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Autore: vincey_strychnine    13/04/2020    0 recensioni
Avevamo solo sedici anni, allora. Avevo baciato una ragazza per sbaglio, e un’altra per una scommessa, anche se mi piace pensare che se non fosse stato per te sarei stato il Casanova del sesto anno. Ma tu mi hai avuto in pugno fin da quando avevamo undici anni, e ci siamo conosciuti da Olivander. Era destino che tu fossi mia. Non lo hai saputo finché non abbiamo avuto sedici anni, ma era come in uno di quei libri babbani che ti piacciono tanto. Io, il nobile, magnifico, talentuoso ed esilarante principe azzurro, tu una bellissima principessa da un altro regno, bella come un oceano: tumultuosa e potente. I nostri occhi si incontrarono, e in un istante ci eravamo innamorati.
Fred Weasley X OC
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fred Weasley, George Weasley, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
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Parte 8: Un piccolo segreto

 

Nonostante la stanza fosse piena del rumore degli studenti che chiacchieravano e del tintinnare delle posate, Rebecca trovava che il Gran Banchetto di Ognissanti fosse alquanto monotono, quell’anno. Faceva oscillare il succo di zucca nel bicchiere, pensando con bramosia alla bottiglia di Ogden Stravecchio nascosto nel suo dormitorio, finché non incrocio un paio di occhi scuri dall’altra parte della Sala Grande. Fred aveva intuito la sua noia e le rivolse un pollice alzato come a dire: ci penso io. Rebecca si scosse dal suo umore imbronciato e si concentrò sul tavolo dei Grifondoro, in attesa di vedere l’ennesima diavoleria che Fred e George stavano pianificando.

 

“Le lezioni della Umbridge sono a dir poco ridicole, o sembra solo a me? Non passeremo mai i M.A.G.O. se continuiamo così,” si lamentò Lou mentre si riempiva il piatto di crostata alla melassa.

 

“Secondo mia madre invece è giusto così,” ribatté Marietta. “Non dovremmo essere esposti a pericoli di nessun genere dentro alla scuola, tantomeno durante le lezioni di Difesa contro le Arti Oscure.”

 

“Beh mi pare che sia un po’ troppo tardi per questo, non ti pare Marietta?” Luna riusciva a mantenere quel suo tono trasognato anche quando discuteva con qualcuno, dando sempre l’impressione di essere incredibilmente calma. “Ormai Tu-Sai-Chi è tornato, non abbiamo altra scelta che imparare a difenderci.”

 

“Oh certo, sono sicura che l’hai sentito da tuo padre,” lo sdegno di Nichola Rowe nel parlare del signor Lovegood traspariva nonostante avesse la bocca mezza piena di torta di zucca. “Ma nessuno presta attenzione alle diavolerie che scrive sul Cavillo.”

 

Luna aveva sicuramente una risposta pronta, ma Rebecca non la sentì perché era troppo concentrata ad osservare con un sorrisetto mentre Fed trasformava il suo calice dorato in un enorme ragno dal colore ambrato e lo appoggiava sulla sedia di Ron, che aveva deciso di dar tregua alla forchetta e prendere un attimo di respiro dalla cena, riposando il braccio stanco sulla tavola. Il ragno, forse per istinto o forse per volere dei gemelli, accolse l’invito ad arrampicarsi lungo il braccio di Ron fino al collo lentigginoso.

 

I minuti seguenti furono un caos di urli acuti e risate fragorose provenienti dalla parte opposta della sala. Ron era caduto all’indietro dalla sedia nel tentativo di liberarsi dell’aracnide ed ora si agitava e si dibatteva. Harry ed Hermione tentavano di calmarlo abbastanza a lungo da togliergli di dosso la creatura: Harry faticava a tener fermi gli arti impazziti di Ron mentre Hermione torreggiava su di loro con la bacchetta già pronta.

 

Nel mentre, l’intera Sala Grande aveva interrotto le varie conversazioni per osservare l’ennesima sceneggiata che si stava verificando al tavolo dei Grifondoro. Rebecca si accorse che anche la discussione piuttosto animata fra Lou e Marietta sul sistema educativo di Hogwarts si era interrotta. Fred e George si stavano godendo il successo del loro magnifico scherzo accogliendo i complimenti degli studenti dei tavoli di Grifondoro e Tassorosso vicino a loro. Il trionfo cessò solo quando la McGranitt, che era scesa da tavolo dei professori col suo solito sguardo impassibile, prese George per un orecchio e iniziò a trascinarlo fuori dalla sala. Fred, che come Rebecca sapeva bene si sarebbe dannato piuttosto che lasciare che il gemello soffrisse da solo un tale destino, si inchinò, le sorrise ancora una volta e le fece l’occhiolino prima di seguire il fratello fuori dalla Sala Grande. Ma non fu l’ultimo ad andarsene: al seguito dei gemelli, una piccola strega in abito rosa si alzò lentamente dal tavolo dello staff e si fece strada verso l’uscita. Rebecca non poté fare a meno di avere un presentimento sinistro. 

 

Rebecca fece del suo meglio per continuare a mangiare come nulla fosse ma il pensiero di Fred chiuso nello studio rosa caramella della Umbridge per uno stupido scherzo le fece venire la nausea. “Credo che mi assenterò un attimo,” mormorò a Lou rivolgendole un sorriso teso. L’amica corrugò le sopracciglia scure ma non fece domande quando vide la preoccupazione nei suoi occhi. 

 

Uscì di fretta dalla sala e subito si chiese dove sarebbe stato meglio dirigersi ma nel dubbio l’istinto la portò verso la Sala Comune di Corvonero. Era a metà strada per arrivarci quando intravide una familiare zazzera rossa. Fred sedeva sulle scale con la testa appoggiata contro il muro e Rebecca immediatamente accelerò il passo per raggiungerlo più in fretta.

 

“Freddie…” si precipitò verso di lui non appena notò lo stato in cui si trovava.

 

“Oh, ciao tesoro.” La voce di Fred era provata. Si voltò verso di lei e tentò quello che Rebecca credeva dovesse essere un sorriso, ma il suo volto era contorto in un smorfia di dolore e il suo braccio sinistro cullava la mano destra: sembrava che la Umbridge avesse avuto l’ultima parola in merito al piccolo scherzetto dei gemelli nella Sala Grande. Rebecca gettò un’ultima occhiata vigile dietro di lei e si sedette sul gradino accanto a Fred: gocce di sudore rigavano il suo viso scolpito e i suoi occhi scuri erano puntati al suolo. Rebecca osservò il suo petto sollevarsi e abbassarsi lentamente ma con movimenti controllati, come se il ragazzo si stesse sforzando di non piangere.

 

“So di essere incredibilmente attraente, Becky, ma credo che il mio bell’aspetto ti abbia fatta smettere di respirare,” le fece notare Fred con una risata forzata. Rebecca fu bruscamente riportata alla realtà ed emise un suono a metà fra uno squittio e un colpo di tosse.

 

“Non mi sembra il momento, Fred.”

 

Osservò meglio la sua mano destra: le parole Non devo causare disagi erano incise sulla pelle chiara con lettere color sangue, e i tagli erano profondi. A quanto pareva la Umbridge aveva ritenuto che Fred dovesse scrivere la frase più volte per capirne appieno il messaggio. Le contorceva le budella vedere Fred provare quel dolore, ma mentre si chiedeva se i tagli sarebbero guariti prima che i gemelli ricominciassero a fare i loro soliti scherzi seppe subito che la risposta era no.

 

“Questo,” cominciò Fred, notando la direzione del suo sguardo, “Questo non è niente. Una volta mi è esploso un fuoco d’artificio Filibuster in mano…”

 

“…E tua madre disse che eri fortunato ad avere ancora tutte le dita,” lo interruppe lei. Rebecca conosceva quella storia: era successo quando avevano tredici anni e lei era presente, ovviamente. Era orribilmente preoccupata ma Fred dopo qualche momento iniziale di confusione aveva cominciato a ridere e tutti avevano capito che stava bene. In quel momento, invece, sembrava davvero abbattuto, e questo bastava a preoccuparla oltre misura.

 

“Come posso aiutarti?”

 

“Non servirebbe a nulla,” mormorò Fred febbrilmente. “Madama Chips ha detto che non c’è niente da fare a parte metterci del ghiaccio sopra e aspettare che guarisca.”

 

Rebecca gli prese la mano e la esaminò attentamente: era umida e tiepida per via della ferita infiammata e Fred rabbrividì al contatto, ma lei aveva già visto quel tipo di magia prima. Era lo stesso genere di punizione che la nonna Argenta era solita riservare agli elfi domestici che osavano contraddirla. 

 

“Beh…” disse lei alquanto sommessamente, “…non dovresti mai chiedere ad una santa di fare il lavoro di un peccatore.”

 

Rebecca aveva capito dall’esame della ferita di Fred che la Umbridge per la punizione aveva utilizzato delle piume che contenevano una forma di magia antica ed oscura, e dubitava fortemente che qualunque incantesimo convenzionale sarebbe stato in grado di annullare gli effetti della maledizione. Fortunatamente per lei e per Fred, però, in tutti quegli anni si era sempre allenata in segreto con i pochi incantesimi proibiti che ricordava dall’infanzia.

 

“Ci penso io,” gli disse spostandosi i capelli chiari dal viso per guardarlo negli occhi. “Ma dovrai fidarti di me…” non c’era nemmeno bisogno di dirlo: sapeva che Fred si fidava di lei più di chiunque al mondo ad eccezione di George, e le spezzava il cuore il pensiero di come lui avrebbe reagito dopo aver visto il genere di incantesimi di cui era capace.

 

“…e devi promettermi che non lo dirai a nessuno. Non credo che questo tipo di magia sia ben accetto a Hogwarts.” 

 

Fred annuì con sicurezza e dopo che ebbe acconsentito, l’attenzione di Rebecca tornò alla sua mano. Non estrasse la bacchetta, ma semplicemente avvolse le sue mani su quella del ragazzo. Fred si agitò impercettibilmente. 

 

“Va tutto bene,” gli sussurrò. Non sapeva esattamente se stesse cercando di calmare lui o sé stessa.

 

L’aveva già fatto centinaia di volte con i pipistrelli moribondi al cottage, ma ora a starsene seduta sulle scale imponenti del castello, con la salute di Fred a gravare su di lei, sentiva un’enorme quantità di pressione. Dopo che ebbe coperto la mano del ragazzo con la sua iniziò a recitare, dapprima così sommessamente che Fred a malapena riusciva a sentirla. Mentre la sua voce si alzava, il rosso capì che non stava parlando una lingua corrente ma che si trattava di un incantesimo in latino.

 

Si minus offendit vitam vis horrida teli

ossibus ac nervis disclusis intus adacta,

at tamen insequitur languor terraeque petitus

suavis et in terra mentis qui gignitur aestus

interdumque quasi exsurgendi incerta voluntas.* 

Il fuoco delle fiaccole attorno a loro cominciò ad affievolirsi man mano che la voce di Rebecca si innalzava sempre più forte e i suoni del banchetto sotto di loro sembravano sfumare nel silenzio. La magia sfrigolava nell’aria come scintille in un focolare e le loro mani unite cominciarono a pulsare e brillare di una lieve luce dorata. E poi tutto si interruppe com’era iniziato, le fiamme delle torce erano tornate alla normale intensità e i rumori provenienti dalla Sala Grande ricominciarono ad echeggiare dalla scala subito sotto.

 

Rebecca si sforzò di guardare Fred in faccia, decisa ad imprimersi a fuoco nella mente ogni singolo lineamento in vista dell’espressione di terrore che era sicura di trovarvi: il suo viso aveva ripreso colore, le guance erano rosee e le labbra che prima erano quasi blu ora invece si incurvavano nello spettro di un sorriso. Incrociò i suoi occhi, ora non più addolorati ma pieni di… non di paura, ma di qualcos’altro. 

Fred respirò a fondo strappandola al suo torpore, Rebecca slegò le mani dalla sua, sollevata. Quando si separarono Fred esaminò la sua mano: non c’era nemmeno un graffio, nemmeno una cicatrice.

 

“Ma come…?”

 

“Non importa come,” tagliò corto Rebecca. “Non ne parleremo mai più, ricordi?”

 

Lo sguardo di Fred si spostò dalla sua mano agli occhi della ragazza: non sembrava spaventato, ma piuttosto stupito. Prima che potesse fare altre domande, lei si alzò in piedi e gli porse la mano per aiutarlo a fare lo stesso.

 

“Coraggio Freddie, vieni con me,” disse tirandolo per la manica del mantello. “Ti offro da bere, direi che te lo sei guadagnato.”

 

La Sala Comune di Corvonero era deserta dato che tutti erano ancora a cena, e così Fred e Rebecca poterono tranquillamente accomodarsi su uno dei divani di raso blu. Rebecca versò due bicchieri di liquido ambrato e poi appoggiò la sua bottiglia di whisky Ogden Stravecchio sul tavolino.

 

“Regalo di Remus per il mio diciassettesimo,” disse con fierezza in risposta all’occhiata interrogativa di Fred.

 

“Cos’è, Lupin vuole trasformare la sua protetta in un’alcolizzata?”

 

“Si è alcolizzati solo se si beve da soli, e guarda un po’,” rispose facendo tintinnare il bicchiere contro il suo, “Tu stai bevendo con me.” Inghiottì tutto il contenuto in un sorso solo. 

 

“Becky, quella cosa che hai fatto prima…”

 

“Lascia stare Fred,” Rebecca sbatté il bicchiere sul tavolo con più forza di quella che intendeva usare e Fred sobbalzò appena.

 

“Qualsiasi cosa sia, Becky, sai che puoi parlarmene.”

 

Aveva ragione, naturalmente: non c’era segreto di Rebecca che lui non conoscesse, e per quanti potessero essere i suoi scheletri nell’armadio, lei sapeva che Fred l’avrebbe sempre considerata la persona migliore del mondo, ma come avrebbe reagito sapendo che la sua ragazza, la sua piccola Becky praticava incantesimi per nulla dissimili da quelli che eseguivano i Mangiamorte? Eppure sentiva di dovergli una spiegazione: poteva mentire a tutta la scuola, ad Hestia, all’intero mondo della magia ma non a Fred, lo capiva dai suoi occhi.

 

“Sai, quand’ero in Italia mia nonna materna, Argenta, era solita insegnarmi degli incantesimi,” cominciò quindi lei, accomodandosi meglio sul divano. “Era un tipo di magia antica, di prima che le bacchette venissero inventate.” Prese un respiro profondo. “Magia del sangue.”

 

“Arti Oscure, vuoi dire.” Rebecca non riusciva più a reggere lo sguardo di Fred e dovette abbassare gli occhi. Prese a tormentarsi le mani.

 

“Beh, non sapevo si chiamasse così finché non mi sono trasferita e mio padre mi disse che non avrei mai dovuto usare quegli incantesimi, ma quando ho visto la tua mano ho capito subito che non era una fattura normale.” Si spiegò tutta d’un fiato e attese che Fred sfogasse il suo shock e la sua rabbia, ma non accadde nulla di tutto ciò. Invece, lui le mise due dita sotto al mento per sollevarle il viso cosicché potesse guardarla negli occhi.

 

“Se scoprissero cos’hai fatto ti potrebbero espellere.” Non l’aveva mai guardata così: un misto di stupore e pura gioia alla consapevolezza che Rebecca aveva appena infranto circa una decina di regole del mondo della magia per lui, che lo amava tanto quanto lui amava lei.

 

“Ma non l’hanno scoperto, o sbaglio? E in più, forse preferirei farmi espellere che passare un intero anno con la Umbridge.” Si accoccolò più vicina a lui, ora che aveva la certezza di non averlo spaventato a morte.

 

“Quella megera…” sibilò Fred con il ricordo del dolore alla mano destra ancora vivo più che mai.

 

“Se potessi, farei esplodere quella stupida bottiglietta parlante di Pepto-Bismol con le mie mani!” Fred scoppiò a ridere.

 

“Sei proprio la donna della mia vita, Nolton. Ma anche se non è affatto una cattiva idea, prima di ricorrere a misure così drastiche forse dovremmo sentire cos’ha da dirci Harry.” Rebecca inarcò un sopracciglio con aria interrogativa sollevando la testa dal petto di Fred.

 

“Non lo so, Ron dice che hanno un piano per imparare davvero a difenderci e insegnarci tutto quello che la Umbridge non vuole che facciamo. Dobbiamo incontrarlo domenica prossima alla Testa di Porco a Hogsmeade, vuoi venire anche tu?”

 

“Mi pare ovvio.”

 

***

 

La Stanza delle Necessità aveva le pareti coperte di scaffali pieni di ogni libro sulle Arti Oscure si potesse immaginare, a Rebecca si illuminarono gli occhi appena li vide. Il pavimento era coperto di cuscini e un grande Avversaspecchio riempiva l’unica parete non occupata dai libri. Rebecca si scambio un’occhiata emozionata con Lou mentre entravano e la porta scompariva dietro di loro: Rebecca, Fred e George avevano fatto del loro meglio per reclutare più studenti del settimo anno possibili per l’Esercito di Silente ma in pochi si erano dimostrati interessati, quasi tutti troppo presi dall’ansia per i M.A.G.O. e poco disposti a rischiare di mettersi nei guai. Alla fine, Rebecca era riuscita a convincere Lou e naturalmente Lee aveva seguito a ruota dal momento che non avrebbe mai perso occasione per passare del tempo con la bruna, e George era riuscito a portarsi dietro Angelina. Luna e Cho avevano avuto anche loro scarso successo fra i loro compagni e avevano convinto soltanto Marietta e Michael Corner, anche se quest’ultimo, sospettava Rebecca, probabilmente si era unito a loro più perché gliel’aveva chiesto Ginny che per vera e propria lealtà nei confronti di Silente o desiderio di nuocere alla Umbridge: Rebecca aveva visto il ragazzo e Ginny scambiarsi timidi sorrisi e tenersi per mano nei corridoi nelle ultime settimane. 

 

Non era una sorpresa per lei che pochi Corvonero avessero deciso di unirsi all’ES, dal momento che il confronto diretto non era esattamente il loro forte. E non c’era nulla di più diretto che un duello, si disse lei mentre prendeva posto con le spalle rivolte allo specchio, la bacchetta ben salda in mano: Harry aveva appena finito di spiegare gli Schiantesimi e adesso voleva testare la loro prontezza di riflessi. Rebecca fece scrocchiare il collo, roteò le spalle un paio di volte ed alzò gli occhi sul suo avversario: Zacharias Smith non le era mai stato troppo simpatico, era uno di quei pochi Tassorosso con cui faticava ad andare d’accordo, e da quando si era unito all’ES si era dimostrato a dir poco insopportabile.

 

“Molto bene, cominciate!” Harry soffiò nel fischietto.

 

Expelliarmus!” gridò Rebecca prima che Zacharias avesse avuto tempo di aprir bocca. La bacchetta gli volò via dalla mano e Rebecca non poté trattenere un sorrisetto soddisfatto: Non credo che l’Expelliarmus ci aiuterà, aveva detto lui. 

 

Stupeficium!” Zacharias volò in aria per poi atterrare a peso morto su un mucchio di cuscini.

 

“Ottimo, ottimo. Bene, avete visto tutti? Disarmare l’avversario come prima cosa può essere un’ottima mossa, vi da il tempo per pensare a quale incantesimo usare. A chi tocca adesso?” Harry le diede una piccola pacca sulla spalla e Rebecca gli sorrise di rimando prima di prendere posto fra Fred e Lee contro il muro.

 

“Ricordami di non farti arrabbiare mai,” le disse Fred ammirato. 

 

Quando fu il suo turno, Fred si girò a farle un occhiolino prima di puntare la bacchetta contro Angelina ma la ragazza fu più veloce: in un millesimo di secondo Fred fu schiantato con violenza contro il pavimento e qualche risatina si sollevò dagli studenti.

 

“Gran bel colpo Angie!” Rebecca si congratulò con la ragazza che stava tornando verso di loro accogliendo le pacche e i complimenti da parte dei loro amici.

 

“Oh, non preoccupatevi per me, sto bene.” Fred fece una smorfia mentre si massaggiava la schiena con una mano e si alzava dolorante. “Certo sarebbe carino se almeno a mio fratello e alla mia ragazza importasse qualcosa.” George lo aiutò a sorreggersi mentre Marietta e Hannah Abbott si preparavano al duello. 

 

“Coraggio ragazzone, non è nulla.” Rebecca lo guardò divertita dalla sua teatralità.

 

“In realtà mi fa un po’ male qui, ecco,” disse lui drammatico indicandosi la faccia. “Ma sono sicuro che un bacio della mia donzella farebbe passare tutto.” Rebecca scosse la testa con una risatina.

 

“Vi prego, non anche durante le esercitazioni!” esclamò Lou rivolgendo loro un’occhiataccia.

 

“Davvero, siete disgustosi,” le fece eco Lee.

 

“Vi dispiacerebbe restare concentrati sui duelli? Solo perché adesso tocca agli altri non vuol dire che siate autorizzati a distrarvi.” Un coro di sbuffi e sospiri scocciati si levò dal gruppetto del settimo anno alle parole di Hermione, ma un suo eloquente sguardo truce fu sufficiente a zittirli per il resto della lezione.

 

***

 

Le esercitazioni dell’ES continuarono per tutto il trimestre, senza mai un orario fisso: era difficile incastrare gli impegni di tutti soprattutto considerando che molti di loro erano nelle squadre di quidditch, ma Harry sosteneva fosse meglio così poiché le rendeva più difficili da scoprire e Rebecca non poteva dargli torto. Le cose presero una brutta piega poco prima di Natale quando giunse la notizia che il signor Weasley era stato ferito gravemente ed ora si trovava all’Ospedale San Mungo per Malattie e Ferite Magiche: successe nel cuore della notte, e Rebecca lo scoprì soltanto il giorno dopo quando le arrivò un gufo dall’ospedale. Fred le diceva di non preoccuparsi, e di raggiungerli il prima possibile al Quartier Generale per festeggiare il Natale tutti insieme, ma quando fu lì nonostante le decorazioni festose che Sirius aveva appeso ovunque e il tentativo di tutti di ostentare serenità, trovò Fred nello stato peggiore in cui l’aveva mai visto.

 

Quando Rebecca ed Hestia si materializzarono nel salotto della casa di Grimmauld Place, la signora Nolton subito fu arruolata da Molly per aiutarla a finire gli ultimi pacchetti regalo. La signora Weasley stessa sembrava meno calorosa del solito ma la cosa non sorprese affatto Rebecca: la povera donna aveva avuto uno degli spaventi più grandi della sua vita ed era normale avesse la testa da tutt’altra parte. Fred era allungato su una poltrona e la salutò mestamente senza nemmeno alzarsi per salutarla.

 

“Ehi…” disse soltanto, alzando appena gli occhi dalla bacchetta con cui stava giocherellando. 

 

Non l’aveva mai visto così: era già raro vederlo arrabbiato, come sicuramente doveva essere stato non appena aveva ricevuto notizia dell’attacco al padre, ma ora era soltanto affranto, rassegnato,lo sguardo spento. Rebecca detestava l’idea di non essere stata lì per lui quando ne aveva avuto bisogno, quando quella notte era stato svegliato da una McGranitt insolitamente in preda al panico, quando era stato portato all’ospedale e si era seduto accanto al padre ferito e debole, ma nessuno l’aveva avvertita. Un figlio non dovrebbe mai vedere il genitore inerme e impaurito, e questo lei lo sapeva bene. Si fece strada fino alla poltrona di Fred e sedette sul bracciolo.

 

“Ciao Freddie,” sussurrò appena piegandosi per baciargli una guancia. Finalmente Fred alzò lo sguardo su di lei: gli occhi erano arrossati e gonfi, come se avesse passato gli ultimi giorni a piangere. Rebecca gli accarezzò delicatamente il viso e il contatto con la sua pelle fu come un segnale per Fred che lasciò cadere la bacchetta e le cinse la vita con le braccia, bagnandole il maglione di lacrime che aveva cercato di trattenere per tutto il giorno. Rebecca gli passò una mano fra i capelli più e più volte, tentando di calmarlo.

 

“Va tutto bene Fred, tuo padre sta bene. Guarirà in fretta, non è successo nulla.” Rebecca continuò a ripetere queste parole mentre stringeva Fred al suo petto finché i suoi singhiozzi non si furono calmati: non l’aveva mai visto piangere prima, non così almeno. 

 

“Arthur è un osso duro, lo sai. Ci vuole ben più di uno schifido serpente per mandarlo al tappeto.”

 

Fred le fece un sorriso forzato e si spostò un po’ di lato in modo che sulla grande poltrona ci fosse posto anche per lei. Rebecca gli si rannicchiò accanto e per qualche minuto rimasero in silenzio ad ascoltare il crepitio del fuoco nel caminetto.

 

“Percy ha rimandato indietro il maglione che mamma gli aveva fatto per Natale.”

 

“È un gesto veramente orribile.”

 

“E c’è di più: non è nemmeno andato a trovare papà in ospedale, né ha scritto per sapere come sta, e mamma è inconsolabile… Ma forse Lupin ed Hestia riusciranno a tirarla su meglio di me e George.”

 

“Remus è qui?”

 

“Adesso no, ha accompagnato Sirius a sbrigare non so quale faccenda ma dovrebbero tornare dopo pranzo, e poi forse ci porterà a trovare papà a San Mungo.” Con l’ultima frase il tono di Fred si fece di nuovo cupo.

 

“Mi dispiace tanto Fred, per tuo padre, per Percy, davvero… dimmi cosa posso fare per aiutarti e lo farò.”

 

“Sei qui, basta questo.” Fred le mise un braccio attorno alle spalle e l’attirò più vicina a sé.

 

“Avrei voluto essere con te quando…”

 

“Non fa niente, non parliamone più,” la zittì Fred prima di catturarle la bocca in un bacio lento ed esasperato che, lo sapeva, le avrebbe lasciato le labbra livide e doloranti per un po’. Rebecca lo lasciò fare perché, se consumandola così lui poteva dimenticare per qualche minuto tutta la sofferenza degli ultimi giorni, allora lei era più che disposta ad offrirsi come bestia sacrificale. Non che la cosa le dispiacesse, poi: una vibrazione soddisfatta le sfuggì dalle labbra mentre Fred spostava la sua attenzione sul suo collo candido mordendolo appena e lei si sciolse come burro fuso sotto ai suoi baci.

 

“Ahem.” Rebecca spalancò gli occhi e vide Ginny in piedi sulla soglia del salotto, si separò da Fred paonazza per la commistione fra imbarazzo e calore.

 

“Sarebbe pronto da mangiare, piccioncini.” Il tono di Ginny era sarcastico ma il suo sorriso tradiva quanto fosse felice di vedere Fred di buonumore per la prima volta da una settimana. Fred si alzò dalla poltrona e tese la mano a Rebecca per aiutarla a tirarsi su. 

 

“Meno male che la mamma ha mandato me ad avvertirvi che il pranzo è pronto,” disse Ginny con un sorriso beffardo quando Rebecca le passò accanto. La bionda per tutta risposta arricciò la faccia in una smorfia.

 

“Anche se ho come l’impressione che non abbiate troppa fame,” mormorò la rossa fra sé e sé seguendo il fratello e Rebecca verso la cucina.

 

 

Nota dell’autrice: scusatemi se ci ho messo tanto a caricare questo capitolo: avrei voluto farlo ieri ma durante il pranzo di Pasqua ho alzato un po’ troppo il gomito e non essendo più abituata a bere ho passato metà pomeriggio con la testa nel gabinetto e l’altra metà a dormire, e anche quando mi sono svegliata avevo un giramento di testa tale che non riuscivo a guardare lo schermo del computer. Morale della favola: due spritz, tre bicchieri di chianti e un digestivo sono più che sufficienti e dovrei imparare a fermarmi lì anziché farmi anche un secondo gin tonic “per digerire meglio”. Comunque, spero che questo capitolo vi piaccia, fatemi sapere cosa pensate della storia e buona Pasquetta,

 

Vincey 

 

*da Lucrezio, De Rerum Natura III, 170-174
  
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