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Autore: Saeko_san    13/04/2020    2 recensioni
Un'ombra si risveglia alla Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, a Venezia, qualche giorno dopo l'uccisione di un importante imprenditore della zona.
Un patto di collaborazione viene stretto tra l'ombra e una giovane ragazza, in cerca di vendetta.
| written between 2009 and 2010 |
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8:
La scoperta    
 
28 febbraio 2002. Venezia, Campo dei Frari, sestiere di San Paolo. Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, cappella della tomba di Monteverdi.
 
-La signora Costantin alla fine è venuta- disse Paolo, riscuotendo l’attenzione dei suoi amici.

L’aria era pesante. I due frati gemelli Luigi e Lazzaro erano andati insieme a frate Ballon, sorella Marta (la suora paffuta), sorella Vanessa (la suora giovane) e Federico a San Marco, per un’omelia importante. Avevano lasciato Paolo a occuparsi della Basilica dei Frari; era un giovedì particolarmente tranquillo, poiché in occasione della mancanza dei frati, la messa era stata annullata e i fedeli erano stati invitati a recarsi alla Basilica di San Marco. Lixa aveva assemblea a scuola quel giorno, per cui non appena finita la prima ora si era precipitata nell’edificio sacro, che ormai era diventata la sua seconda casa, incontrandosi poi con Manes e Paolo alla cappella dell’avo del ragazzo.
Quella mattina, di buon ora, la signora Maria Melania Costantin aveva fatto una capatina alla chiesa. Non trovando nessuno aveva deciso di parlare con Paolo; gli aveva raccontato la strana storia di un investigatore in borghese dagli occhi verdi, i capelli castani e i baffi scuri che era venuto a casa sua a farle delle domande riguardo all’omicidio del 23 gennaio 2002. Paolo aveva fatto finta di non saperne nulla, mentre la donna gli raccontava di tutti questi accadimenti.
In realtà, quel 3 febbraio, mentre pranzava, un’ombra con gli occhi color oro si era avvicinata. Manes aveva preso le sembianze di ragazzo (non senza fatica, cosa insolita per lui) e gli aveva raccontato cosa era successo – perciò era perfettamente conscio di cosa stesse parlando la signora Costantin.
 
-Chiama Lixa- gli aveva intimato in quel momento l’amico, agitato come non mai.
 
Paolo aveva eseguito e raccontato tutto alla ragazza; insieme a Manes avevano deciso che avrebbero aspettato che la signora Costantin si fosse fatta viva, perché dopo una cosa di quel genere e dopo aver visto l’ombra schizzare verso la chiesa, la prima cosa che si aspettavano era che la donna venisse a cercarla lì. Era stata una fortuna che non avesse visto Manes sotto forma di ragazzo.
Comunque quella mattina del 28 febbraio, dopo che la signora Costantin ebbe finito il suo racconto, Paolo aveva chiesto:
 
-E perché non è venuta qui il giorno stesso?-.
-Perché per un po’ di tempo mi sono convinta di aver sognato. Di essermi assopita sui fornelli e di aver immaginato tutto- aveva risposto la signora –Ma poi, ripensandoci, ho capito di non essermi assopita. A meno che non sia una sonnambula molto brava a cucinare-.
-E poi?- chiesero Lixa e Manes.
 
Stavano letteralmente pendendo dalle labbra di Paolo. Il ragazzo continuò.
 
-E poi ho fatto l’errore di chiederle cosa aveva detto a quella presunta ombra riguardo l’omicidio di Livio Tosca-.
-E lei?-.
-Lei mi ha guardato storto. Deve aver colto qualcosa nel mio sguardo. Ha detto: “Non credo che siano affari tuoi, giusto?”. Poi si è alzata con un sorriso freddo e se ne andata-.
-Era della stessa freddezza anche quando le ho parlato- convenne Manes.
-Accidenti che razza di casino!- commentò invece Lixa.

***
 
-Accidenti che razza di casino!- commentò Lixa, ma senza convinzione: c’era qualcosa che le dava da pensare.
 
Durante quel mese di ricerche sui libri che aveva trovato nella Biblioteca Marciana l’avevano portata parecchio avanti. Secondo alcuni di quei libri fantasy, che nessuno prendeva dunque mai sul serio, un mondo parallelo poteva esistere nei quadri se, per esempio, si era fatta una magia sopra il ritratto di un mago morto e quest’ultimo prendeva vita, tornando momentaneamente sulla terra. Oppure di quadri usati come porte per altri mondi, che venivano attivati grazie alla parola giusta al momento giusto. In un volume dei tanti libri – concernenti cronache di un mondo fantastico – infatti due dei quattro protagonisti si ritrovavano in una stanza con il quadro di una nave insieme al cugino; dopo una frase detta quasi per caso la cornice del quadro iniziava improvvisamente ad allargarsi e a risucchiare i ragazzi, trasportandoli nel mare del dipinto. C’era un libro, del quale non ricordava il nome, che parlava addirittura di un mondo al di là di uno specchio. C’erano poi storie di demoni disegnati con un particolare inchiostro di china mischiato a sangue umano che prendevano vita e uscivano dal quadro. Oppure di strani cerchi che, collegati attraverso energia magica e sangue di sacrificio, portavano in un mondo al di là di uno strano portale[1].
Ma qualcosa non tornava e Lixa sapeva perfettamente quale fosse il tassello mancante di tutta la faccenda: l’incantesimo, la formula, il sacrificio opportuno per attivare il ciclo della magia atto a raggiungere lo scopo.
Perché ella ormai credeva che potesse essere in ogni caso possibile? Diamine, parlava con un’ombra da quasi un mese, per quanto all’inizio fosse per lei improbabile, come poteva essere possibile che lei non credesse che una qualche magia sarebbe potuta esistere, pur di riportare il nuovo amico nel quadro?
 
-Lixa, cos’hai?- chiese ad un certo punto Manes, con lo sguardo preoccupato.
-Sì, è vero, cos’hai?- convenne anche Paolo –Capisco che tra me e Manes non si sa chi sia il più idiota- l’ombra guardò male il ragazzo, ma Paolo continuò senza curarsene –Ma questo non è il motivo per il quale devi abbatterti-.
-Non sono abbattuta per quello-.
-Ah, no?-.
-E per cosa, allora?-.
 
Gli occhi azzurrodorati di Manes si posarono su quelli color cioccolato di Lixa, la ragazza si sentì improvvisamente come se l’ombra potesse leggerle nel pensiero. Ma poi vide lo sguardo di Manes farsi sconsolato e lei si rilassò – aveva capito che no, ancora non poteva leggerle nella mente.
Iniziò a raccontare delle sue ricerche e del “quasi” negativo esito. C’era ancora una speranza, ma molto blanda e poco sicura.
 
-Ho letto in un grosso tomo, anonimo, che parlava di strane magie nere, come se fossero una cosa reale- continuò –Che esisterebbe una strana tecnica riportata in un’antica pergamena che permette di entrare nei quadri. C’era scritto che questa pergamena è andata perduta quasi novant’anni fa. Veniva chiamata la “tecnica proibita”. Il nome della pergamena era scritto in latino, ma ora non me la ricordo. Devo rileggerlo-.
-Interdictae Artis Membrana- disse Manes, all’improvviso.
 
Aveva lo sguardo vitreo, come se fosse entrato in trance.
 
-È vero, era quello il nome. Vuol dire “Pergamena della Tecnica Proibita”-.
 
Ma l’ombra non disse nulla. Era ancora in trance.
 
-Manes?-.
-Manes? Che hai?-.
 
L’ombra sembrò destarsi repentinamente. E disse, con tono quasi sognante:
 
-Ricordo qualcosa. Una ragazza bruna e un ragazzo alto con una lunga cicatrice che gli attraversa il viso e i capelli biondi, che si baciano al lato del campanile della chiesa. Ma ormai non sono più tanto ragazzi. La ragazza ha in mano un rotolo di pergamena. Prima non l’avevo notato-.
-Prima quando?-.
-La prima volta che ho visto questi ricordi. Il ragazzo prende per mano la ragazza. Ah!-.
-Che c’è?- Paolo era ansioso.
 
Iniziava a capire cosa il ragazzo stesse ricordando e chi fossero quei due “ormai non più tanto ragazzi”.
 
-Mi sto sforzando molto, non sono ricordi chiari. Inizia a farmi male la testa. I due entrano in chiesa… salutano un frate grasso… frate Ballon. Si avvicinano alla tomba di Monteverdi. La ragazza apre il cancello di ferro e fa entrare lui. Lo accostano. La ragazza tira fuori una chiave e la infila nella serratura sotto la tomba del musicista. Apre una piccola urna. È l’urna dei ricordi dei cari di Monteverdi. Ci mette dentro il rotolo. Poi lo richiude. E poggia un dito sopra la bocca del ragazzo-.
-Non ricordi altro?- chiese Lixa, curiosa.
-No. Questo ricordo si interrompe qui. Però c’è qualcos’altro. Legato alla chiave-.
-Allora va avanti- lo incitò Paolo.
 
Sapeva cosa stava per rivelare Manes, ma non voleva iniziare lui quel discorso.
 
-La stessa donna. Poco più anziana. È fuori, al portone principale della chiesa. È appena uscita con il figlio. Gli sta dando la chiave. E gli dice qualcosa-.
-Puoi vedere che aspetto ha il ragazzo?- chiese ancora Lixa.
-Sì…- ma poi si fermò, mentre un’espressione incredula si dipingeva sul suo viso.
 
Si voltò a guardare Paolo. Più stupito che mai.
 
-Che succede?- chiese Lixa, che evidentemente non aveva ancora capito.
-Perché non ci hai detto nulla?- gli chiese.
-Perché non ho pensato che potesse esserci qualcosa di così importante dentro quell’urna-.
-Mi volete spiegare che succede?- Lixa alzò la voce, visibilmente alterata.
-Il bambino che ha ricevuto la chiave dalla donna ha i capelli rossi e gli occhi grigi-.
-Paolo- realizzò la ragazza, voltandosi a fissarlo.
-Sì, ero io quel bambino. Quando la mamma mi diede quella chiave avevo cinque anni e mio padre era morto da cinque mesi. Aveva quella cicatrice che gli attraversava il volto-
-Come se l’era fatta?-.
-Mia madre mi aveva raccontato che quella cicatrice il papà se la fece litigando con il nonno, quando era ancora vivo. Un anno dopo che ricevetti quella chiave mia madre morì. Da allora non me ne sono mai separato e sono sempre vissuto qui, accanto alle spoglie del mio avo. La chiave la porto sempre al collo-.
 
Così dicendo spostò da un lato il colletto del maglione grigio e quello della camicia azzurra che indossava quel giorno, mostrando qualcosa che gli brillava sulla pelle. Una piccola catenella d’argento teneva quella piccola chiave, impreziosita dai ghirigori complessi e da due piccole metà, una smeraldo e una rubino, di una minuscola pietra. Aveva la stessa fattura della piccola serratura dell’urna dei ricordi di Monteverdi.
 
-Possiamo aprirla?- chiese Manes.
 
Paolo incontrò i suoi occhi azzurrodorati, dopodiché spostò lo sguardo le sue due ciocche verde brillante. Sentì che il ragazzo cercava di evitare di leggere i suoi pensieri, anche se gli riusciva ovviamente difficile.
Capì che forse avrebbe fatto di tutto pur di tornare nell’Assunta di Tiziano; ricordò quando Lixa gli aveva raccontato di un angioletto del quadro sparito dal dipinto. Il giorno dopo aveva dato un’occhiata più accurata e aveva scoperto che era vero: mancava un angioletto, ma nessun altro pareva essersene accorto, rendendo la questione cupa e inquietante. Quel quadro era diventato parte integrante della chiesa, una cosa alla quale non si fa più caso.
 
-Sì- rispose infine.
 
Si slacciò la catenina d’argento e porse la chiave all’ombra. Manes la prese, poi si avvicinò all’urna. L’aprì e iniziò a sollevare il coperchio. Non ci riuscì subito, poiché i giunti in ferro erano parecchio arrugginiti e l’ombra temeva di rompere quell’oggetto così importante per i discendenti del musicista. Mentre lo sollevava, Paolo e Lixa ci guardarono dentro. Paolo notò, tra i tanti oggetti, una pergamena arrotolata e rovinata e la prese in mano. C’era uno strano simbolo in cera lacca rossa, raffigurante il leone di Venezia con una specie di chiave gigantesca; sopra vi era la scritta “Interdictae Artis Membrana”.
 
-È questo il rotolo- disse porgendolo a Lixa.
 
La ragazza lo prese delicatamente, spalancando tuttavia gli occhi; mai si sarebbe aspettata di avere veramente tra le mani qualcosa di nominato in un libro che parlava di magie nere, in maniera alquanto discutibile e inverosimile; invece si ritrovava con una pergamena ereditata da un discendente di un musicista morto quasi a metà del 1600. Sempre delicatamente, aprì il sigillo.
 
***
 
L’odore che Manes avvertì quando Lixa aprì il sigillo in cera lacca fu quello stesso odore di morte che ricordava in quelle memorie di molto tempo prima.
Arricciò il naso.
Osservò la ragazza mentre srotolava la pergamena, facendo attenzione a non rovinarla. Quel giorno indossava una felpa rossa e un paio di jeans scoloriti e strappati. I suoi occhi si erano riempiti di curiosità mentre strappava la lacca dalla carta.
“Quant’è bella”. Un pensiero improvviso, che aveva un suono dolce, qualcosa di incredibilmente ovattato e sognatore.
Quel pensiero non però era suo, ma di Paolo. Si voltò a guardarlo: i suoi occhi grigi si erano riempiti di affetto e passione, le sue guance si erano colorite. Subito dopo si mise a osservare Lixa; anche lei aveva le guance colorite e sembrava consapevole del fatto di essere osservata con tanto affetto. Eppure non stava guardando Paolo.
Ancora una volta provò a sondare i suoi pensieri, solo per trovare per l’ennesima volta il vuoto ad accoglierlo. Lixa aveva iniziato a leggere l’Interdictae Artis Membrana, mentre la sua espressione si faceva sempre più confusa.
 
-Lixa che ti prende?- chiese Paolo, diventando ansioso.
-C’è qualcosa di macabro?- chiese allora Manes.
-No. È che non riesco a capirci nulla-.
-È scritto in latino?-.
-No-.
-E allora?-.
 
Paolo si avvicinò.
Anche lui assunse uno sguardo confuso.
 
-Allora?-.
 
A quel punto Manes perse la pazienza e anche lui si sporse sul foglio ingiallito dal tempo. Strani segni quadrati si susseguivano formando parole, che tuttavia non era in grado di capire. Sapeva tuttavia di che genere di scrittura si trattasse, a quale lingua appartenesse.
 
-È cirillico- disse semplicemente.
 
Il suo tono lasciava intendere che non capiva però come tradurlo.
 
***
 
Di nuovo le nuvole scure all’orizzonte: quella notte avrebbe probabilmente piovuto; ma non importava. Sapeva che ormai non doveva più preoccuparsi; Antonio Cisano non doveva preoccuparsi, perché il suo piano stava andando a gonfie vele: dopo la morte di Livio Tosca era riuscito a sbarazzarsi del revolver e a presentarsi come vecchio grande amico di Tosca alla Ca’ de Delizie e a prenderne le redini, tanto da portare in poco tempo alla cessione quasi completa della società, senza intoppi di sorta. La polizia, nonostante stesse ancora indagando, non era riuscita a trovare l’assassino di Livio Tosca. Fissò a lungo il cielo dal vano della finestra della sua camera all’albergo Universo e Nord. Poteva ritenersi un uomo fortunato, libero ormai dalle paure che l’avevano portato a confessarsi alla chiesa davanti al quale aveva compiuto l’omicidio.
Tuttavia egli non poteva aspettarsi nessuno degli intrighi che il suo assassinio aveva scatenato.




 
 

[1] Si parla di notizie presenti all’interno dei volumi di “Harry Potter” di J.K. Rowling, del volume 5 de “Le Cronache di Narnia”, ovvero “Il viaggio del veliero”, del mondo del nostro Io interiore al di là dello Specchio de “La Storia Infinita" di Micheal Ende, di menzioni provenienti dai primi volumi di “Inuyasha” di Rumiko Takahashi e infine dai volumi di “Full Metal Alchemist” di Hiromu Arakawa.




















Note di Saeko:
cominciavo a temere di non riuscire a pubblicare, dato che questo capitolo è stato decisamente complicato da revisionare; tra il racconto di Paolo del suo incontro con Maria Melania e il time-skip di circa un mese dagli avvenimenti del capitolo precedente, cominciavo a dilungarmi troppo. Come sempre, spero di aver dato un senso compiuto a quanto sto raccontando e che la storia vi intrattenga.

Devo ringraziare alessandroago_94 e Miryel per essere passati a leggermi e recensirmi, sono contenta che la storia vi appassioni.

Una piccola menzione va anche a Cartasporca che ha letto e recensito un altro capitolo dell'altra mia long, Historiae - Il viaggio fantastico.

Spero che stiate trascorrendo in maniera serena questa Pasquetta, prima o poi ne usciremo (spero il prima possibile). A questo punto a venerdì, non ingozzatevi troppo e attenti alle carie.
Un abbraccio (virtuale).

Saeko's out!
  
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