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Autore: Circe    24/04/2020    2 recensioni
Il veleno del serpente ha effetti diversi a seconda delle persone che colpisce. Una sola cosa è certa: provoca incessantemente forte dolore e sofferenza ovunque si espanda. Quello di Lord Voldemort è un veleno potente e colpisce tutti i suoi più fedeli seguaci. Solo in una persona, quel dolore, non si scinde dall’amore.
Seguito de “Il maestro di arti oscure”.
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Rabastan Lestrange, Rodolphus Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'Eclissi di sole: l'ascesa delle tenebre'
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Dal grimorio di Bellatrix : “Come è fatto il vento”


“Allora? Sei riuscita a terminare?”
Mi voltai verso il mio maestro scuotendo la testa.
Lui pretendeva sempre molto, anzi, sempre il massimo e non era semplice per me estrapolare un rito oscuro di così difficile applicazione e allo stesso tempo avere lui nel letto.
Nel mio letto.
Non avevo concluso ancora nulla, ma quella situazione mi piaceva troppo, amavo prendere lezioni così, in quel modo tanto nuovo, quanto piacevole.
“Maestro, in questo punto, vedete, non riesco a trovare il modo di concludere, non riesco nemmeno a ricordare le parole giuste.”
Allora si voltò verso di me distrattamente, ancora troppo immerso nelle letture che si era scelto.
“Non ci vuole poi molto, Bella, ti devi concentrare.”
Alzai le spalle sospirando arresa. Riguardai il foglio con l’incantesimo scritto solo in parte, poggiava sulla sottoveste di raso nero lucido che avevo rimesso addosso per studiare, si stropicciava anche senza che ci scrivessi sopra.
Presi anche a picchiettarci sopra con la matita, come se la soluzione potesse venire fuori per magia, ma ovviamente ciò non avvenne.
Allora il Signore Oscuro mi prese con garbo il foglio dalle mani, lesse velocemente quanto avevo scritto fino a quel momento, era attento e concentrato.
Attesi, poi lui mi pose la mano senza parlare, capii che voleva la matita, gliela misi fra le dita. 
Restai zitta a guardarlo. 
Vidi che correggeva alcuni passaggi, altri li spostava nel testo.
Mi avvicinai per capire meglio.
“Così il rito scorre meglio, le parole devono avere una loro musicalità.” 
Parlò senza guardarmi, totalmente immerso nell’incanto, poi aggiunse il finale. Lentamente, ma con fluidità, come se gli venisse tutto molto naturale.
“Terminata la parte che ho aggiunto ora, non resta che chiudere il cerchio e il rito può concludersi. Non era complicato, Bella.”
Mi porse i foglio con la matita e, sempre senza quasi guardarmi, si immerse di nuovo nei libri.
Osservai il testo, mi bastò un’occhiata per capire la sua grandezza e la sua bravura: in pochi minuti aveva completato un rito per il quale io avevo impiegato ore, senza nemmeno riuscire a terminarlo.
“Per voi è semplice, maestro, perché siete molto più intelligente di me e sapete davvero tutto.”
Dissi quelle cose veramente convinta, poi, non ricevendo subito risposta, restai zitta e lo osservai alla tenue luce delle candele e del fuoco del camino. 
Era bellissimo, era ancora più affascinante quando si immergeva nei suoi interessi e studi, aveva uno sguardo molto intenso, che difficilmente si poteva notare in altri momenti, sembrava lontano e irraggiungibile, amavo quegli occhi tanto attenti e concentrati.
Io lo trovavo geniale, insuperabile in tutto ciò che gli interessava davvero.
Purtroppo, a mio parere, aveva il difetto di volersi occupare anche di attività che non gli si confacevano e non rendevano giustizia al valore che dimostrava in altre. 
Improvvisamente alzò gli occhi dal libro e mi guardò distrattamente.
“So bene di essere più intelligente.”
Gli sorrisi, ma non dissi nulla. 
Lui si fece più attento e mi guardò serio, cambiò completamente discorso.
“Hai moltissimi libri davvero interessanti, antichi, sconosciuti, è stata una ottima scoperta.”
“Grazie, mio Signore, sono libri che ho da molto tempo, molti poi sono della mia famiglia da generazioni, li ho portati con me qui in questa casa, perché pensavo potessero venirmi utili, inutile dire che potete prenderli o leggerli quando volete.”
Il suo sguardo era strano, duro, freddo, ma non aggiunse nulla. Allora parlai ancora io.
“Per me potete considerare vostra ogni cosa che troverete nella mia casa, maestro.”
Ancora silenzio. 
Era una situazione inusuale per noi, ma a lui non sembrava importare molto, restava immerso nei suoi pensieri e interessi, quasi fosse solo.
Rimasi ferma e zitta a guardarlo, portava ancora la camicia addosso, ma l’aveva lasciata aperta, le maniche leggermente alzate sugli avambracci e le lenzuola sulle gambe, lì aveva appoggiato qualche libro.
Sembrava stanco, ma rilassato.
Era meraviglioso vederlo così perfetto, ma allo stesso tempo un po’ scomposto, non mi era mai capitato di poterlo avere con me a quel modo in quelle circostanze.
Rimasi molto tempo a guardarlo, quasi in adorazione, e probabilmente se ne rese conto.
“Credo sia giunto il momento che tu impari a comandare il vento, Bella, dobbiamo procedere coi tuoi insegnamenti.”
Dicendo queste cose chiuse il libro che aveva davanti e mi guardò.
“Il vento, mio Signore, il vostro elemento?”
Fui molto emozionata per ciò che mi aveva detto. Imparare a comandare il vento voleva dire prima di tutto capirlo, entrare nell’elemento ed interpretarlo.
Ma sarei mai riuscita a capire e interpretare lui? Proprio lui, il mio Signore?
“Non ti ho chiesto di conoscermi e capirmi, Bella, ma ti ho detto di studiare l’elemento, il vento, di imparare a comandarlo, nient’altro.”
Mi leggeva la mente, mi prendeva in giro, fingeva non fosse una situazione particolare, ma non poteva fingere di non capire benissimo che studiare il suo elemento avrebbe significato entrare nel profondo del suo essere.
Non riuscii a dire nulla per contraddirlo, ma probabilmente comprese da solo cosa stessi pensando. 
Restammo in silenzio per poco tempo, non feci nulla, lui invece si mosse lentamente, vidi che faceva da parte i libri, li lasciò cadere a terra, sparpagliarsi sul pavimento, tutto mentre si avvicinava a me.
Scostò la sottoveste che mi teneva coperte le gambe, anche il foglio con l’incantesimo andò a finire sul tappeto vicino al letto. 
Si insinuò tra le mia cosce, stringendole forte a sé, tenendomi avvinghiata a lui con forza. Poi sentii la sua lingua lambire il mio sesso caldo, anche la sua lingua era calda, abile, subito mi sentii bagnata.
Il calore della sua bocca e delle sue labbra si unì al calore del mio sesso. Sentii lunghi fremiti di piacere propagarsi ovunque e più i miei tremiti e il mio calore aumentarono, più lui seguitava a leccarmi, mordermi, stringermi forte con le mani sulle mie cosce.
Con quel graffiante piacere mi torturava, io lo desideravo e lui invece indugiava. Era sempre stato molto veloce, aveva sempre preferito saltare ogni tappa ed entrare dento di me prepotentemente, ma da qualche tempo a questa parte preferiva prima provocarmi a lungo, torturandomi di piacere, facendomi desiderare ciò che poi mi concedeva, con forza e passione, solo nel momento in cui decideva lui, quando più gli garbava.
E quando arrivava quel momento era forte e violento.
Anche quella volta fu travolgente, mi fece venire moltissime volte, così tante che mi sentii bruciare dentro, mi sentii lacerata.
Il suo sesso, le sue mani, le sue spinte, la sua forza, tutto di stava facendo letteralmente morire di piacere, non potevo più distinguere amore da dolore, piacere da tortura, i nervi mi mandavano sensazioni devastanti, ma lui non si fermava, se anche lo imploravo insisteva, più chiedevo un attimo di respiro, più aumentava la forza della sua violenta passione.
Senza rendermene conto completamente, arrivata al limite, gli afferrai forte le spalle, quasi in un abbraccio e piantai le unghie nella sua carne, graffiai come una gatta per sopravvivere a quell’inesauribile piacere senza tregua che mi stava togliendo il fiato.
Nemmeno allora si fermò, anzi, spinse ancora più forte, ma per brevi istanti perché lo sentii venire quasi subito, mentre le mie dita strisciavano ancora sulla sua pelle candida. 
Sentii i suoi muscoli rilassarsi e potei guardare l’espressione del suo viso.
Assaporai anche, seppur vagamente, l’odore del suo sangue. Si percepiva dai graffi che si stavano aprendo.
Quel suo sangue.
Impuro.
Non mi importava, era il sangue del mio Signore e io l’amavo in ogni modo, avrei voluto leccarlo via, leccare le ferite che io stessa gli avevo provocato. 
Mentre lui era ancora sopra di me e riprendeva fiato, mi avvicinai alla sua pelle per leccare i graffi, chiusi gli occhi, mi accostai lentamente. Mi lasciavo trasportare dal suo odore, sentii i graffi con le labbra, ma non feci in tempo a sfiorare la pelle lacerata che lui si scostò immediatamente, andandosi a sdraiare all’altro lato del letto.
“Non mi toccare”
Questa frase tagliente era davvero difficile da capire e accettare. Questi repentini cambiamenti d’umore mi lasciavano sempre spiazzata.
Avevamo fatto l’amore fino ad un attimo prima, lo avevamo fatto più volte nello stesso pomeriggio, era stato intenso e devastante per entrambi, ma in quel momento invece mi diceva di non toccarlo, si allontanava da me.
“Siete arrabbiato, mio Signore?”
“Non fare la sciocca, se fossi arrabbiato te ne saresti accorta poco fa…”
Lasciò l’affermazione come sospesa, poi, con molta lentezza, si alzò sui gomiti e si voltò a guardarmi lungamente.
“Tante volte ti ho detto che devi smettere di fare la ragazzina, non c’è bisogno di chiedermi sempre se sono arrabbiato.”
In quell’esatto istante mi salirono le lacrime, ma le rigettai indietro con uno sforzo immane, proprio per non fare la ragazzina, come diceva lui. Davvero non riusciva a comprendere quanto fosse difficile per me capirlo senza chiedere conferme e rassicurazioni, non gli veniva minimamente in testa come mi dovessi sentire io davanti ai suoi repentini cambi d’umore, ai suoi silenzi improvvisi e prolungati, alla sua freddezza o improvvisa emotività. Quanto a volte avessi il terrore delle sue esplosioni di rabbia, anche se mai mi era capitato fossero rivolte verso di me.
Era vero che di fronte a lui ero ancora una ragazzina, ma non capiva quanto lui per primo, a volte, si comportasse come un bambino, un bambino impaurito, solo, ma soprattutto egoista.
I nostri sguardi si incrociarono duri e fermi, questa volta non mi feci leggere la mente, i miei pensieri erano troppo duri nei suoi confronti, ero troppo arrabbiata: misi in pratica tutti gli insegnamenti che avevo ricevuto proprio da lui e non lasciai che entrasse nei miei pensieri. 
Misi un muro e mi feci forza a mantenerlo finché non smise di provare, si mise a ridere e tornò ad appoggiarsi al materasso, la testa sul cuscino, i capelli leggermente bagnati dal sudore dell’orgasmo precedente.
Fui felice di averlo fatto così tanto godere.
“Hai imparato proprio bene, mia Bella, sei stata brava!”
“Grazie, mio maestro.”
Gli sorrisi, gli perdonavo comunque sempre tutto e bastava poco. Fui felice del complimento a proposito delle mie abilità nel chiudere la mente.
Chiusi gli occhi e mi rilassai qualche minuto, quando li riaprii lui si stava sistemando i vestiti, pronto per andare via.
Indugiai ancora un po’ nel letto, in silenzio, senza chiedere nulla. Solo dopo un po’ ripresi a parlare.
“Mio Signore, quando inizieremo le lezioni di cui mi avete parlato prima?”
Mentre guardavo lui, iniziai anche io a rivestirmi.
“Inizieremo presto, ti chiamerò io attraverso il Marchio Nero, tu fatti trovare pronta.” 
Annuii, lasciai sparpagliati alcuni indumenti sul letto, mi avvicinai a lui.
“I libri sono da riporre per bene, Bella.”
Diedi uno sguardo alla stanza in disordine, il letto sfatto, i fogli sparsi, i libri sul pavimento, ma io non ero abituata a far caso a queste cose.
“Ci penseranno gli elfi, mio Signore.”
Lui sorrise con sufficienza.
“Perché ridete, mio Signore?”
“Lo sai bene perché rido, perché sei una viziata.”
Non erano rimproveri veri, solo gli piaceva stuzzicarmi, umiliarmi, non lasciarmi mai in pace. Iniziavo ad apprezzare quel suo modo di trattarmi male pur di avermi sempre nei suoi pensieri.
Io avrei voluto averlo lì con me sempre. 
Vidi però che lui stesso indugiava, si aggiustava lentamente i vestiti, mi parlava di cose di poco conto, sembrava non volesse andarsene subito.
“Fai la fatica di eliminare almeno i fogli, Bella, sono pur sempre una prova di magia oscura e non è bene che altri sappiano.”
Ubbidii e con un incantesimo li mandai a fuoco.
Mi guardò incuriosito.
“Ricordi tutto del rito?”
“Certo, mio Signore, dopo che me lo avete terminato voi lo ricordo perfettamente, come ricordo tutto quello che mi dite, sempre.”
Si interruppe e mi guardò attentamente, piegando la testa da una parte, puntando il suo sguardo nel mio. Quando faceva così aveva tutta l’aria di un bambino curioso, triste ed intelligente, cupo e riservato.
Era un suo peculiare modo di fare che mi piaceva e mi affascinava ogni volta che lo vedevo.
“Ricordi sempre tutto ciò che dico?”
Annuii.
Non disse nulla, abbassò lo sguardo e sorrise tra sé. Lo vidi soddisfatto.
Uscì dalla stanza da letto e io lo seguii.
Camminammo fianco a fianco fino alla sala da pranzo dove era ubicato il camino più grande per le entrate e le uscite. 
Più o meno nell’istante in cui entrammo nella sala, comparvero, proprio da quel camino, sia Rod che Rab: ritornavano da una delle missioni in cui li aveva destinati proprio il mio maestro. Ero certa sarebbero stati via svariati giorni, invece non fu così.
Eravamo lì faccia a faccia tutti e quattro insieme.
Ci fu un lungo attimo di silenzio e scambio di sguardi tra tutti noi.
Rod e Rab mi guardarono entrambi sconcertati, credo avessero capito tutto molto velocemente, sapevano che era stato lì a casa con me, nel mio letto, una sorta di profanazione della casa che era anche di Rod, mio marito. 
Nulla faceva pensare che fossimo stati insieme, il mio Signore ed io, che avessimo fatto l’amore insieme, avrebbe potuto essere lì per qualsiasi altro motivo, ma evidentemente non presero nemmeno in considerazione questa possibilità. 
Non mancarono comunque subito dopo di accennare uno sguardo e un saluto al Signore Oscuro, ma in ogni loro gesto si percepiva lo sconcerto per quella scoperta. 
A me non salutarono nemmeno.
Rimasi impassibile, anche quando vidi il loro sguardo cambiare dalla sorpresa alla tristezza e rassegnazione, continuai a non provare nulla, nessuna pena, nessun pentimento, niente, ero solo felice e orgogliosa di essere lì col mio maestro.
Mantenni lo sguardo fiero, felice e spavaldo, sapevo di ferirli, ma non potevo fare diversamente, quella ero io. 
Dopo aver osservato loro, guardai attentamente anche Lord Voldemort. 
Anche lui aveva ricambiato il saluto dei due Mangimorte, aveva un sorrisetto sadico, divertito. Aveva gli occhi puntati su di loro e su di me. Lo sapeva che sarebbero tornati, sapeva perfettamente tutto, aveva temporeggiato prima di andarsene, aveva preso tutto il suo tempo per godersi l’epilogo del pomeriggio, li aveva praticamente aspettati.
Ad un certo punto spostò tutta la sua attenzione su di me, i nostri sguardi si incrociarono. Esaminava attentamente anche me, il mio comportamento, il mio stato d’animo.
Gli sorrisi con orgoglio, non mi vergognavo, ero totalmente felice quel pomeriggio, tanto quanto lui. In quel momento non mi importava di nessun altro.
Sembrò soddisfatto. Sentivo l’umiliazione degli altri due, la disperazione che provavano entrambi. Lo sapevo bene che loro mi amavano. 
Erano deboli e devastati per questo.
Avvelenati dal veleno di Lord Voldemort.
“Io e Bellatrix stavamo andando via.”
Mi stupì quell’affermazione perché, fino a poco prima, mi aveva fatto capire che se ne sarebbe andato solamente lui, invece aveva improvvisamente cambiato idea e voleva anche me.
Mi fece grandemente piacere, senza perdere tempo presi il mantello e infilai gli stivali alti e fui pronta per seguirlo. 
Lo guardai e attesi che facesse cenno di lasciare la casa. Lui era già pronto per andarsene, non aveva nulla di caldo da indossare, non lo aveva mai, sembrava non ne avesse mai bisogno. Si rivolse per un attimo agli altri.
“Mi relazionerete la missione di oggi questa notte, quando vi chiamerò.”
Senza aspettare una risposta mi afferrò stretta e ci smaterializzammo insieme.  
In men che non si dica ci ritrovammo in una stanza del Quartier Generale, soli al buio totale, ancora ero ferma nella sua stratta forte e vigorosa.
Fra le sue braccia respirai a fondo, assaporando tutto il suo profumo, sentendo il calore del suo petto. Ben presto mi accorsi che ero ferma nella sua stretta e non mi lasciava libera di muovermi, il mio cuore prese a battere all’impazzata e mi sentii le guance piene di calore.
Quelle sue azioni repentine e imprevedibili mettevano sempre una certa piacevole paura. 
“Era un esame per te, non per loro.”
Il respiro si fermò a metà, lo stomaco si contrasse forte.
Mi sentivo stretta a lui nel buio, come in una morsa, come tra le spire di un serpente velenoso, mi piaceva da morire, ma avevo anche paura. Non sapevo cosa aspettarmi.
“Per me, mio Signore?”
Non rispose, sentii soltanto che muoveva il viso sui miei capelli, mi stringeva così forte che non potei fare a meno di eccitarmi. Sentii i miei capezzoli diventare duri al contatto col suo petto. Mi salirono brividi di desiderio fino al cervello.
“Mi avevi detto che tuo marito era geloso.”
“Vi ho detto la verità, lo avete visto.”
“Sì, mi hai detto la verità.”
Allentò leggermente la presa e con la mano mi accarezzò il seno, per poi arrivare a tormentarmi le labbra con le dita.
“Brava. Ti meriteresti un premio, se solo non avessimo da lavorare.”
Dicendo questo si allontanò leggermente da me, tenendo le dita sulle mie labbra. Ero già di nuovo eccitata.
Cercai di calmare i miei bollenti spiriti, ma lui restava così vicino che non mi fu facile.
“Crea il fuoco, accendi il camino, sai che mi piace quando lo fai.”
Eseguii prontamente, la stanza si illuminò della tipica luce calda delle fiamme. Mi calmai un pochino, sentii il tepore riscaldare lentamente lo spazio attorno, guardai il mio Signore illuminato da quella luce a me famigliare. Aveva una semplice camiciola che gli copriva appena il busto ogni tanto potevo scorgere la pelle sui fianchi, le maniche alzate, sembrava sempre perfetto in tutto, ma allo stesso tempo sembrava avere sempre un qualcosa di estemporaneo e di precario. 
Avrei voluto che il mio fuoco lo scaldasse, lo proteggesse.
Ma in quel momento percepii che lui era vento, non fuoco come me, eravamo diversi, opposti, ed era come se il vento lo pervadesse e lo permeasse completamente, anima e corpo.
Era sfuggente, impalpabile, volubile.
“Era vero quello che mi avevi detto, ma volevo vedere come avresti reagito tu, mia Bella.”
La frase era sibillina, continuava a tenermi sulla corda, a mettermi alla prova, a pormi sotto esame, non voleva darmi sicurezze. Però usava quel nome, mia Bella, e lo sapevo che lo faceva solo quando era contento e soddisfatto, quando voleva provocarmi piacevolmente.
“E come ho reagito, mio Signore? Vi ho reso felice?”
Mi avvicinai a lui fino quasi a sfiorarlo, ma rimase impassibile.
“Sì, mi hai reso molto soddisfatto.”
Avvicinai la mia mano al suo collo, volevo provocarlo, lo toccai, lo accarezzai appassionatamente sempre sul collo e sulla nuca.
Lasciò fare per diversi istanti, mi illusi di andare oltre. Ma improvvisamente mi afferrò il braccio con violenza e sempre con estrema forza me lo torse fino dietro la schiena, si avvicinò però ancora di più a me, i nostri corpi si toccavano tutti.
“Mi rendi sempre soddisfatto, Bella, ma sei insaziabile, io invece ora ho detto che dobbiamo lavorare.”
Gli sorrisi. Abbandonai ogni azione in segno di resa totale.
Fu lui però ad avvicinarsi al mio collo e al mio seno, annusò la mia pelle lentamente, come per trovare il punto migliore, quello più appetitoso, poi mi morse, succhiando forte in più punti. 
Come un serpente. Mi sentii mancare tanto era il piacere.
Dopo avere insistito per un po’ a quel modo si allontanò definitivamente.
Vidi la pelle arrossarsi subito e la sfiorai con le dita, quasi stessi toccando lui.
“Adesso vediamo di studiare davvero come è fatto il vento.”
 
   
 
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