Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Emmastory    01/05/2020    4 recensioni
Muovendosi lentamente, anche ad Eltaria il tempo ha continuato a scorrere, dettando legge nella selva, al villaggio e nelle vite dei suoi abitanti. Il freddo inverno ha fatto visita a sua volta, e solo pochi giorni dopo un lieto evento che cambierà le loro vite per sempre, in modi che solo il futuro potrà rivelare, la giovane fata Kaleia e Christopher, suo amato protettore, si preparano ad affrontare mano nella mano il resto della loro esistenza insieme, costellata per loro fortuna di visi amici in una comunità fiorente. Ad ogni modo, luci e ombre si impegnano in una lotta costante, mentre eventi inaspettati attendono un'occasione, sperando di poter dar vita, voce e volto al vero e proprio rovescio di una sempre aurea medaglia. Si può riscrivere il proprio destino? Cosa accadrà? Addentratevi di nuovo nella foresta, camminate assieme ai protagonisti e seguiteli in un nuovo viaggio fatto di novità, cambiamenti, e coraggiose scelte.
(Seguito di: Luce e ombra: Il Giardino segreto di Eltaria
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
 
Capitolo III 
 
Novità di fate e umani 
 
Erano passati altri quattro giorni, ed era di nuovo mattina. Appena svegli come noi, i primi raggi del timido sole di inizio inverno ci salutava cordialmente, e aprendo gli occhi senza alcuna fatica, mi sentivo piena di energie, come se nulla potesse rovinare la mia felicità. Sveglia da poco, mi voltai verso il mio Chris, che ad occhi chiusi, sembrava dormire. Sorridendo lievemente, non osai disturbarlo, e prima che potessi voltarmi e tornare ad affondare il viso nel cuscino, lui mi colse di sorpresa. Lento ma deciso, sfiorò con la mano la mia ancora sotto le coperte, e lasciandolo fare, sorrisi a quel tocco. “Buongiorno, Christopher.” Salutai, ridacchiando appena e usando appositamente il suo nome completo. “Buongiorno a te, Kaleia.” Replicò di rimando, sorridendo a sua volta e ripagandomi con la stessa moneta. Innamorata, gli concessi anche quell’azzardo, e preparandomi ad alzarmi, mi scostai di dosso le coperte. Ancora stanco anche dopo una notte di riposo, Christopher rimase lì dov’era, e osservando la mia immagine riflessa nello specchio della stanza, non notai nulla di diverso. A specchiarmi ero sempre, io la stessa fata della natura dai capelli castani e gli occhi azzurri di sempre, in altre parole, sempre Kaleia. Quella mattina l’unica cosa a non avere un ordine erano i miei capelli, e sicura di odiare i nodi, mi impegnai a sistemarli come potevo, servendomi di una spazzola trovata in un cassetto, sempre tenuta lì per emergenze come quella. Sveglio ma comodamente sdraiato a letto, Christopher sembrava osservare il mio lavoro senza una parola, e notando che lo specchio mi rimandava anche un’immagine del suo viso, non riuscii a non sorridere. Colta dall’imbarazzo, finii per arrossire, e quando finalmente il più testardo di quei nodi si sciolse, rimisi a posto la spazzola. “Che c’è? Ti diverto così tanto?” gli chiesi, notando che ridacchiava sommessamente e senza mai staccarmi gli occhi di dosso. “Cosa? No. Kia, lo sai, ti trovo adorabile.” Ammise, sempre sfoggiando quel dolce sorriso mentre davo un’ultima sistemata ai capelli. Stavolta senza spazzola e sfiorandoli appena con le mani, ma comunque con delicatezza. “Dici davvero?” azzardai, sondando il terreno con quella domanda. Ad essere sincera conoscevo già la risposta, ma nonostante i miei trascorsi, l’infanzia accanto ad Eliza mi aveva reso il cuore tenero, e dovevo ammettere che ricevere lodi e complimenti di quel calibro a volte non fosse altro che un piacere. “Certo, e poi hai fatto bene a prepararti, sai?” mi disse, dolce e premuroso come al solito. Colpita, sentii le guance bruciare e imporporarsi di nuovo, e fermandomi a pensare, scivolai nel silenzio. “Come mai? C’è un’altra festa oggi, per voi umani?” tentai, poco dopo, certa di aver riflettuto abbastanza. “Esatto. Succede ogni anno, sempre il sei di questo mese. Ufficialmente si chiama Epifania, ma nella mia famiglia ha un nome diverso.” Mi spiegò semplicemente, mentre, ormai stanco di poltrire, scalciava leggermente le coperte e decideva di alzarsi. Spinta dalla curiosità, non feci che guardarlo e andare in cerca di lumi, e per mia fortuna, la sua risposta arrivò chiara e in fretta. “Happyfania, tesoro mio.” Disse soltanto, avvicinandosi lentamente e sfiorandomi piano la vita. Di nuovo preda dell’imbarazzo, divenni rigida come un’asse di legno, ma poi le sue labbra mi sfiorarono la guancia, e come d’incanto, mi calmai. “E tu sai... cosa vuol dire?” soffiai al suo indirizzo, meravigliata e intenerita da quello che immaginai essere un ricordo d’infanzia. “L’inglese è un’altra lingua di noi umani, Kia. Happy significa felice, e io lo sono sempre quando si tratta di stare con i miei, capisci adesso?” come la precedente, anche questa una spiegazione veloce ma esauriente, che ascoltai senza interrompere e limitandomi ad annuire, salvo poi richiudermi ancora nel silenzio ed ergermi sulle punte per un bacio. Calmo e paziente, Chris lasciò che lo raggiungessi, poi mi baciò. Sulle labbra, piano e con delicatezza. Stringendomi a lui, sperai che quel contatto si facesse più profondo, e poi, come se fosse riuscito a leggermi pensiero e anima, o qualcuno più in alto di noi mi avesse sentita, il mio desiderio divenne realtà. In un attimo, chiese con la lingua l’accesso alla mia bocca, e sospirando la schiusi lentamente, aprendola per lui. “Chris...” chiamai appena, estasiata. Pur riuscendo a sentirmi, lui non rispose, e guidata da lui e dai suoi movimenti, mi ritrovai fra le sue braccia, per me fonte di sicurezza da tutti i mali di questo o di qualunque altro mondo. Fra noi due l’essere magico ero proprio io, lui non era altro che il mio protettore prima e mio marito poi, secondo la legge magica e una decisione delle fate più anziane con il compito di allenarmi e aiutarmi a sviluppare i miei poteri fino all’ultimo dei suoi giorni. Un incarico arduo, dovevo ammetterlo, ma che fino ad oggi aveva onorato con coraggio e amore. “Un protettore è sempre tenuto ad assicurarsi del benessere della fata che ha a cuore.” Diceva una pagina del bianco libro di magia della sua famiglia, ormai da tempo tenuto sopra lo scaffale più alto del ripiano in legno del salotto. Ripensandoci, sentivo spesso il cuore battere, ed era allora che capivo. Prima di lui suo padre aveva scelto lo stesso mestiere, e malgrado non sapessi davvero nulla della fata che aveva allenato a suo tempo né che fine avesse fatto, continuavo a restare al suo fianco, sempre sicura di potermi fidare o sfogare in caso di bisogno. Anche in quel momento, il cuore mi batteva veloce nel petto, così forte da poter essere udito nel silenzio fra di noi e nella stanza, e quando finalmente ci staccammo, provai l’impulso di restare fra le sue braccia. In molti avrebbero detto che esagerato, ma in fin dei conti era lì che mi sentivo al sicuro, e la mia normalità non sarebbe stata tale solo agli occhi di chi mi guardava, ragion per cui calmai cuore e mente, concentrando tutti i miei sentimenti in quell’abbraccio. “Tu sai cosa provo adesso, vero?” gli chiesi, con voce rotta dall’emozione. “Non hai alcun bisogno di dirlo, fatina mia.” Replicò semplicemente, la speranza dei suoi occhi riflessa nei miei. “Ora che ne dici, vogliamo andare?” azzardò poi, lo sguardo fisso nel mio ma allo stesso tempo concentrato su qualcosa che non vedevo. Confusa, alzai le spalle, e non appena si voltò, capii. Forse sbagliavo, forse stavo ancora imparando e mi serviva più tempo per abituarmi a tutti i modi di fare degli umani, ma stando al muto consiglio di Christopher il salotto era il luogo migliore per festeggiare. Annuendo, mi allontanai di qualche passo, e prima di lasciare la stanza, ricordai qualcosa. Preziose e lucenti, le lanterne che proteggevano i nostri bambini erano ancora vicine al nostro letto, e aguzzando la vista, notai un movimento. Veloce e accompagnato da una sorta di luce intermittente, che grazie all’istinto materno scoprii essere uno dei tanti segnali dei miei piccoli. Non sapendo cosa fare, avevo chiesto consiglio anche ad Amelie proprio nel giorno della loro nascita, e per fortuna le sue parole erano bastate a tranquillizzarmi. “In questo stadio pixie e folletti sono incapaci di piangere, ma si agiteranno molto se affamati, perciò sta attenta.” Aveva detto, seria e perentoria. “Già, ten cuidado.” Aveva aggiunto Carlos, preoccupato quanto e forse più di lei. Fidandomi, avevo dato loro ascolto, e ora eccomi lì, già in allerta e pronta a soccorrerli ad ogni bisogno. “Sì, ma aspetta. Voglio controllare i bambini.” Spiegai, già vicina a quelle che per qualche tempo sarebbero state le loro culle. Cauta, sfiorai con le dita la catenina d’oro che le teneva chiuse, e reagendo al mio tocco e alla mia magia, queste si aprirono. “Hanno fame, mi passeresti...” provai a chiedere, non avendo però tempo né modo di terminare quella frase. Già abituato a richieste del genere, Christopher non si fece attendere, e non perdendo altro tempo, mi fu subito accanto, con in mano un biberon di latte caldo. “Tieni, spero vada bene così.” Si limitò a dire, per poi scivolare nel silenzio e attendere una risposta. Volendo esserne sicura, lo provai sul polso, constatando solo allora che la temperatura fosse perfetta. Era strano a dirsi, nessuno ci avrebbe creduto, ma erano bastati pochi giorni, e già ci sentivamo genitori provetti. Ovvio era che seppur sporadici i dubbi non mancassero, e che data proprio l‘assenza del pianto prenderci cura di non uno ma due esserini come loro non fosse facile, ma nonostante tutto, e soprattutto insieme, Christopher ed io riuscivamo sempre a trovare una soluzione. “Grazie, basterà solo qualche goccia.” Risposi, muovendo appena la bottiglietta e versandone il contenuto nella lanterna. Felice, la mia piccola Delia reagì all’istante, e assaggiando quel buon latte ricominciò ad agitarsi. Mossa a compassione, le regalai un sorriso, e poco dopo fu il turno di Christopher e del suo fratellino. “Ora di colazione, Darius.” Gli sussurrò, dolcissimo. A sentire la sua voce, il folletto prese a brillare di luce propria, poi ad agitarsi come la sorella, e infine si ritirò in un angolo della lanterna, mentre il suo bagliore svanì pian piano, segno che era sazio e tornato a dormire. “Perfetto.” Commentai, finalmente più tranquilla. “Ora sì che possiamo andare.” Dichiarai, riavvicinandomi al mio amato e stringendogli la mano. Tranquillo e orgoglioso, Christopher mi lasciò fare, e richiudendomi la porta alle spalle, raggiunsi con lui il salotto di casa. Addormentato nella cuccia che gli avevamo da poco regalato sostituendola a un semplice cuscino, Cosmo non mancò di salutarci, aprendo gli occhietti vispi e drizzando le orecchie al nostro arrivo. Correndoci incontro, ci piantò le zampe sulle gambe, e più che contento, prese ad abbaiare. “Sì, Cosmo, sì, ti vogliamo bene entrambi.” Lo rassicurai, abbassandomi al suo livello per accarezzarlo. Sicura di me e del mio operato, gli grattai appena un punto sensibile dietro le piccole orecchie a punta, e del tutto preso da quelle coccole, il cagnetto prese a muovere ritmicamente una zampa. Proprio come mostrare la pancia o ergersi su due zampe e mendicare, anche quello un modo di comunicare tipico dei cani come lui, che piccoli o grandi, sembravano aver sempre molte cose da dire e mille modi per farlo. Ora come ora ci stava solo salutando, e felice, lo lasciai fare. Così, con tanta gioia negli occhi e un sorriso sul muso, il lupacchiotto si fermò a guardarci, seduto composto ma con la coda così veloce da risultare invisibile. Per effetto dei suoi poteri, le focature mostrarono un lieve bagliore azzurrognolo, e poco dopo, dei piccoli fiocchi di neve iniziarono a danzargli intorno come leggiadri ballerini. Divertita, per poco non risi, fallendo nel tentativo di trattenermi quando uno di quei gelidi fiocchi gli finì sul naso. Colto alla sprovvista, Cosmo finì per starnutire, e ridacchiando della sua piccola disgrazia, Chris ed io ci scambiammo un’occhiata d’intesa. “Sempre lo stesso, vero?” commentai, ormai affatto sorpresa dalle sue allegre buffonate. Al solo suono della mia voce, Cosmo piegò la testa di lato, e con un mugolio, sperò di attirare la mia attenzione. “In che senso?” parve voler chiedere, ingenuo e adorabile come sempre. “Tranquillo, cucciolotto, ti vogliamo bene anche così.” Gli dissi soltanto, abbassandomi di nuovo per accarezzarlo. “Dice sul serio, sai?” continuò Christopher, regalandogli una carezza frettolosa sulla testa. Ridendo ancora, decisi di ignorarlo, e fatti pochi passi, mi sedetti sul divano. Di lì a poco, il silenzio cadde nella stanza, e in un attimo lo stesso accade al mio sguardo, che per la prima volta si posò su un dettaglio che mai avevo notato. “Chris, sono parte dell’usanza?” azzardai, confusa e stranita. Ancora distratto dal nostro Arylu, Christopher dovette voltarsi per capire a cosa davvero mi riferissi, e quando accade, lui si limitò ad annuire. “Esatto. Acuta osservatrice, vero, tesoro?” scherzò, già immensamente divertito. “Chris, sai che è ovvio. Che fata naturale sarei se non conoscessi il mondo che mi circonda?” risposi, stando al suo gioco e lasciandomi sfuggire una piccola risata. “Hai ragione.” Si limitò a rispondermi il mio amato, con quel solito e dolce sorriso onnipresente sulle labbra. Scivolando nel silenzio, lo guardai senza un’altra parola, battendo distrattamente il posto vuoto accanto a me. Annuendo lentamente, Christopher mi diede le spalle, e diretto verso il caminetto ancora acceso, pieno di grigia cenere e calde lingue di fuoco, accarezzò lievemente le calze appese con dei piccoli chiodi, e staccandole, le portò con sé, facendo attenzione a non rovinarle. “Non noti niente?” mi chiese poi, sedendosi al mio fianco. “No, perché?” indagai, più confusa di prima. “Guarda meglio.” Insistette, parlando con la solita dolcezza che lo caratterizzava. Fidandomi, aguzzai la vista, e fu allora che lo notai. Vicine com’erano, le due calze sembravano esattamente identiche, ma su un lato, nascosta a un occhio meno critico del mio da quella che sembrava un’etichetta, un’iniziale. Piccola e di colore arancione, la mia. “Chris, tesoro...” lo chiamai, incredula. “Visto? Ti avevo detto di controllare.” Mi rispose appena, sfiorandomi con delicatezza la mano ancora libera. “E adesso apriamole d’accordo?” propose, con uno strano eppure adorabile luccichio negli occhi. Stando a ciò che mi aveva raccontato, si sentiva sempre benissimo quando si trattava di festeggiare una ricorrenza come questa con la sua famiglia, e nonostante non avesse né avrebbe dimenticato quella d’origine, sapere che ora ne avevamo una tutta nostra mi riempiva di gioia e d’orgoglio. “Va bene, ma al tre.” Concessi, curiosa di scoprire cosa si nascondesse al loro interno. “D’accordo, tre. Uno... due...” iniziò a contare Christopher, sopportando come al solito e con amore i miei modi di fare, che mi rendevano a suo dire tanto ingenua quanto adorabile. “Tre!” finii per lui, già eccitata alla sola idea di aprire la mia personale calza. Fu quindi questione di un attimo, e con un veloce movimento del polso, riuscii ad aprirla. Spinta dalla curiosità, spiai all’interno, e proprio allora, dolci. “Christopher Powell, stai cercando di farmelo apposta?” azzardai, prendendolo bonariamente in giro. “Scusa, cosa?” tentò allora lui, incerto e dubbioso. “Se mi avessi detto che erano dolci l’avrei aperta subito, sappilo.” Gli feci notare, trattenendo a stento un’altra piccola risata. “Davvero, fatina mia?” mi chiese, ridacchiando divertito. “Già, e pensa, all’improvviso non m’importa più della linea.” Gli risposi semplicemente, troppo contenta dei regali per badare alla mia immagine. “Kia, amore, un paio di dolciumi non ti rovineranno, lo sai. Goditi i piaceri della vita, va bene?” commentò semplicemente, scavando nella propria calza e dando il primo morso a una tavoletta di cioccolata. Ingolosita, mi ritrovai ad imitarlo, e pur non sfiorando con le dita nulla d’interessante, non demorsi. “A proposito, tu cos’hai trovato?” fu la sua ovvia domanda, fatta quando mi notò rovistare nella mia personale scorta di dolcetti. “Non lo so, aspetta.” Mi limitai a dirgli, abbassando lo sguardo per concentrarmi meglio e tirando finalmente fuori qualcosa. “Tu guarda! Un cioccolatino a forma di Cosmo!” esclamai, sorpresa. Voltandosi a guardarmi, Christopher rimase piacevolmente sorpreso a sua volta, e come chiamato in causa, il vero Cosmo corse subito verso di noi, sedendosi sul tappeto e piantandomi le zampe sulle ginocchia. “Ho detto che ti somiglia, non che è per te. La cioccolata ti fa male, sai?” gli dissi, tranquilla e preoccupata per la sua salute. Con l’andar del tempo, anche Cosmo stava crescendo, ora aveva cinque, quasi sei mesi, e dopo ciò che aveva passato, ritrovandosi costretto a vivere da solo nei boschi accanto alla madre morta fino al mio arrivo nella sua vita, avevo promesso di prendermi cura di lui, e avrei continuato a farlo fino alla fine dei suoi giorni. Triste ma convinto, il lupacchiotto non osò lamentarsi, e tornando alla sua cuccia, si sdraiò comodamente, stringendo fra i denti la sua pallina preferita, tenuta proprio accanto alla sua corda colorata e a un morbido osso di gomma. Tutti giocattoli adatti alla sua età, che Chris ed io gli avevamo comprato durante una delle nostre abituali gite fuori porta. “Chiamatemi se usciamo.” Parve voler dire, fra un piccolo ringhio e l‘altro mentre masticava quella pallina. Sorridendo appena, continuai a gustare i miei dolci, e fra un morso e l’altro, non esitai a scambiare i miei con quelli di Christopher, come se all‘improvviso quei dolcetti fossero diventati figurine. “Chris! Sul serio?” quasi urlai, non riuscendo a credere ai miei occhi. “Cosa? Che ho fatto?” replicò lui, come sconvolto. “Hai davvero staccato la testa a un Pyrados?” continuai, scoppiando nuovamente a ridere nel notare che quel cioccolatino a forma di drago era stato appena decapitato. “Scusa, avevo fame.” Si limitò a dirmi, per nulla colpevole. “Certo, ma potevi almeno iniziare dalle ali!” commentai, ancora inorridita. Grazie al cielo si trattava di semplice cioccolata e non di un animale, ma nonostante tutto, la sola idea mi dava il disgusto. Non riuscendo a restare arrabbiata con lui, gli assestai un affatto offensivo pugno sul braccio, poi sorrisi. “Sempre meglio della fine dello Slimius, sai?” mi fece notare, serio e giocoso al tempo stesso. “Che intendi?” non potei fare a meno di chiedere, curiosa eppure poco convinta di voler sentire la risposta. Volendo essere sicuro di sorprendermi, Christopher si concesse una pausa di silenzio, poi indicò il dolce, abbandonato sul tavolo del salotto e già mezzo mangiucchiato, con una parte del ripieno che si intravedeva oltre l’involucro di zucchero. “Cielo, Christopher!” rischiai di urlare, scuotendo la testa e respirando a fondo per calmarmi. In quel momento, sicuro di aver trovato l’occasione perfetta, Cosmo si avvicinò al tavolino, ma più veloce di lui, lo allontanai prima che potesse anche solo assaggiarlo. “Cosmo, no! Non è per te!” gli ripetei, a voce alta e con tono fermo. Colpito, il lupacchiotto finì per mugolare, e ritirandosi nuovamente nella sua cuccia, tentò di nascondersi. Mossa a compassione, sentii gli occhi iniziare a bruciare, e con il cuore stretto in una morsa, lasciai la mia calza ancora colma di delizie sul divano, e alzandomi dal divano, afferrai il suo guinzaglio. “Chris, credo sia ora di uscire. Almeno così si distrarrebbe, che ne dici?” proposi, respirando a fondo e sforzandomi per restare calma. “Certamente. In fondo anch’io ho bisogno di una passeggiata.” Scherzò, sfiorandosi la pancia mentre si alzava, come a voler mostrare che si sentiva ingrassato. Ovvio era che pochi dolci non avrebbero avuto un effetto così deleterio, e alla sua vista in quella posa così comica, risi. “Va bene, allora. Cosmo! Vieni, bello, andiamo!” chiamai, decisa. Nel farlo, mi battei piano una gamba, poi attesi. Rispondendo immediatamente a quel richiamo, il cucciolo si precipitò da me, e agganciando il guinzaglio al suo collare, lo pregai di sedersi. “Aspetta.” Dissi soltanto, mostrandogli una mano aperta e allontanandomi lentamente. Fra un passo e l’altro, chiesi mutamente a Christopher di controllarlo, mentre, veloce e decisa, tornavo nella nostra stanza. Era ancora mattina, mancava poco al pomeriggio e avevano mangiato da poco, quindi supponevo che i piccoli dormissero, ma fermandomi a pensare, avevo deciso che portarli con noi perché vedessero, o meglio, percepissero il mondo, fosse la soluzione migliore. Cauta, sfiorai le loro lanterne con dita delicate, e sollevandole appena, le portai con me. Avevano appena una settimana di vita, ed era vero, ma già sognavo di vedere la loro trasformazione in veri neonati così da tenerli finalmente in braccio, e in totale onestà non c’era giorno in cui non ci pensassi. “E così vengono anche loro!” commentò Christopher alla mia vista, sorridendo dolcemente. “Ovvio! Non possiamo lasciarli qui, c’è troppo da scoprire!” gli risposi, felicissima. “E a proposito, scusa per prima.” Aggiunsi poco dopo, sinceramente dispiaciuta per ciò che avevo fatto. A quanto sembrava, dovevo avere ancora gli ormoni fuori posto, e gravidanza appena conclusa o meno, litigare era sempre l’ultimo dei miei desideri. “Tranquilla, amore, lo so. So che non volevi, e poi ci stavamo divertendo, non è un problema.” Per mia fortuna, la sua risposta arrivò in fretta, e riceverla fu come sentire un peso svanirmi dal cuore. “Grazie.” Dissi soltanto, con la voce ridotta a un sussurro. “Non fa niente. Ora andiamo, c’è un Arylu qui da far passeggiare.” Replicò il mio amato, tranquillo come al solito. Mantenendo il silenzio, non feci che annuire, e aprendo la porta, fui la prima ad uscire. Fatti pochi passi, mi ritrovai immersa nella natura, e prendendo un altro, ampio respiro, non provai altro che calma. In un solo istante, i miei poteri reagirono all’ambiente, e restando lì dov’ero, mi concessi del tempo per riflettere. Con il favore del silenzio, mi voltai metaforicamente indietro, rivedendo nei passi appena mossi proprio il mio passato. Riflettendo, capii che in qualche modo vivere era esattamente uguale a camminare, e voltarsi equivaleva a due sole cose. Pensare, o arrendersi. Felicissima, camminavo a testa alta, e affatto sorpreso, Christopher pareva arrancarmi accanto, facendo fatica a governare l’ormai conosciuta irruenza del nostro caro Cosmo, curioso e innamorato del mondo che lo circondava. “Vuoi una mano?” tentai, volendo solo aiutare. “No, ce la faccio, tu pensa ai bambini.” Mi rassicurò, stringendo la presa sul guinzaglio che il lupacchiotto tirava. Silenziosa, mi limitai ad annuire, e camminando, gli strinsi la mano. Da allora in poi, il silenzio ci avvolse entrambi, e in lontananza, ben quattro visi amici. Senza una parola, mi avvicinai fino a vederli meglio, e in quel momento, il mio cuore perse un battito. “Isla! Oberon!” chiamai, sorpresa e contenta di vederli. “Kia!” rispose la prima, fermandosi e salutandomi con la mano. Bassine e adorabili, le figlie Lucy e Lune erano con loro, e alla vista degli esserini nelle lanterne che portavo, la stessa Lune rimase incantata. “Mamma, pixie!” esclamò, tirando leggermente una manica della sua veste. “Pixie? Pixie?” chiese poi, voltandosi a guardarmi con i suoi occhioni scuri. “Sì, piccola. Ho avuto anche un folletto, sai?” le spiegai, parlandole e assicurandomi di porre la questione in termini comprensibili a una bambina come lei. Forse addormentati, forse spaventati da ciò che percepivano, i miei piccoli non si mossero, e sempre calma e tranquilla Isla prese una mano della sua bimba nella propria, guidandola verso la lanterna così che la sfiorasse. Seguendo i movimenti della madre, la piccola si ridusse al silenzio, e a riprova di ciò non percepii altro che il suo stupore. “Quando diventeranno come noi? Io non me lo ricordo.” Disse allora Lucy, rompendo il silenzio e riprendendo la parola. “Ci vorranno due mesi, pixie, e poi potremo tenerli in braccio.” Le disse tranquillamente Christopher, che finalmente sembrava aver smesso di litigare con l’energia di Cosmo. “Bello! E anche lui è cresciuto!” commentò a quelle parole, stupita quanto e forse più della sorella. Sentendola parlare, e capendo che parlava proprio di lui, Cosmo drizzò le orecchie, e seduto composto, si lasciò accarezzare, leccandole gentilmente anche una mano. “Mi fai il solletico!” ridacchiò la pixie della terra, dolcissima. Limitandosi a guardarla, i genitori le sorrisero, e improvvisamente il padre ricordò qualcosa. “È ora di andare, Lucy. Sai che ti servono i libri per la scuola.” Disse soltanto, tentando di riportarla alla realtà. “Hai ragione! Se non compro un quaderno non potrò prendere appunti! Ciao ciao, Kia!” replicò subito lei, ricordandole all’istante i suoi doveri di studentessa. Non volendo intralciare né lei né i genitori, la lasciai andare, non riuscendo a non sorridere quando notai Lune, la più piccola, sollevare una manina per salutarmi, mostrando con tenero orgoglio uno dei suoi pupazzetti. Un Arylu di pezza simile a Cosmo, diverso da lui solo per ciò che riguardava il colore del pelo. A quella vista, sentii il cuore gonfio d’amore per lei e per la sua ormai solita dolcezza, e nel pomeriggio, quando ci incamminammo per tornare a casa, non resistetti alla tentazione di stringermi al mio Christopher. Erano bastate una passeggiata e una delle sue tradizioni, e in risposta il mondo si era come aperto a noi ancora una volta, pronto ad accoglierci e mostrarci la sua semplice eppure magica bellezza, fatta, come lui non esitò a spiegarmi mentre ci rilassavamo insieme, di novità portate da fate e umani. 




Una buonasera a tutti i miei lettori. Secondo la mia normale tabella di marcia, questo capitolo avrebbe dovuto essere online ieri, ma era così lungo che sono riuscita a finirlo solo oggi. Appena il terzo, peraltro introduttivo, ma spero che vi sia piaciuto lo stesso. Ci risentiremo nel prossimo, che non so quando riuscirò a pubblicare per motivi da me indipendenti, ma intanto grazie ad ognuno di voi di tutto il vostro supporto,

Emmastory :)
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Emmastory