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Autore: alessandroago_94    03/05/2020    21 recensioni
Alex è un giovane uomo pieno di dubbi e di voglia di mettere in carreggiata la propria vita, che spesso gli appare senza senso. È infatti vittima di un’ossessione, quella riguardante una persona idealizzata, o forse un suo stesso personaggio inventato; il fantomatico G.
Alla ricerca costante di questa persona si aggiunge una ricerca interiore, quella riguardante sé stesso.
Nel frattempo, dall’altra parte del mondo, l’agente James Barley, prossimo al pensionamento, si ritrova immischiato in una vicenda quasi assurda. Immerso in una società dell’orrore dove regnano bugie e disonestà, e dove sono solo i soldi a fare la differenza tra gli esseri umani, indagherà a riguardo di una clinica privata in cui si effettuano strani e proibiti esperimenti.
Le due vicende si intrecciano, anche se non si incontrano mai definitivamente. Possibile che anche questo racconto sia tutta una grande bugia? Un Limbo, appunto. Un Limbo dei Bugiardi. Un luogo immaginario in cui regnano solo le maschere.
Genere: Azione, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo due

CAPITOLO DUE

 

 

 

 

 

 

“Tutti gli esseri umani vogliono essere felici;

peraltro, per poter raggiungere una tale condizione,

bisogna cominciare col capire

che cosa si intende per felicità”.

Rousseau.

 

“Ho riconosciuto la felicità

dal rumore che ha fatto andandosene”.

Jacques Prévert.

 

“Dottore, che sintomi ha la felicità?”

Jovanotti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scrivere è una fonte di potere inesauribile.

Anche se nella vita sono una merda, un fallimento completo, al cospetto di una pagina bianca mi sento un leone. Nessuno mi ferma. E le imbratto con l’inchiostro, queste dannate pagine… e che sia maledetto il giorno in cui sono nato.

Credo che nessuno abbia voglia di venire al mondo per poi soffrire.

Alla fine mi sono ritrovato a vivere di istanti, spesso anche perduti tra i residui di un passato in rovina, una Roma antica ormai sprofondata sotto i freschi muri della capitale odierna. I miei mosaici lì sono ancora ben conservati, ma sono appunto nascosti sotto uno strato di terra e di costruzioni recenti che mi rende impossibile il lasciarli riaffiorare.

Ecco, vorrei tornare a essere quel bimbo spensierato e grassoccio che rideva continuamente, senza pensieri per la testa. Vorrei che questo passato tornasse a riemergere, miscelandosi con l’insipido e frenetico presente.

Non vorrei più essere l’Alex malinconico, quello con lo sguardo perso verso l’orizzonte, colui che sembra sempre imbronciato e pensieroso. No, sono nato per essere felice e spensierato.

Eppure, la felicità dove è finita? Se premettiamo che la felicità è comunque un concetto generale abbastanza soggettivo, si potrebbe anche pensare che in fondo scovarla non sia poi così difficile.

Alla faccia, però! Io con le mani vado a fondo tra fanghiglia e poltiglia varia, scavo pure con la vanga, ma non la so trovare.

Cavolo, penso che nulla sappia nascondersi meglio di un istante di felicità pura. Fugace, anche. Illusoria.

La vita è uno schiaffo continuo, devo ancora abituarmi che dovrò subire, e subire ancora.

Almeno sulla carta posso essere chi voglio, scrivere quello che voglio, costruire ciò che più desidero. Con l’inchiostro anche i sogni possono diventare realtà.

Da quando ho smesso di vivere con il corpo, ho iniziato a farlo con la mente, tramite la scrittura.

 

Una notte buia e tempestosa. Il vento flagella le chiome degli alberi, già pronte a spogliarsi.

Il freddo è accompagnato da una pioggerellina leggera, di quelle gelide che t’imbrattano il giubbotto e ti entrano fin nelle ossa.

Parcheggio la mia Mustang a pelo del marciapiede, nel posteggio riservato.

Mentre tolgo la chiave dal cruscotto sbuffo e inizio a odiare questo maltempo autunnale. E siamo solo all’inizio, l’inverno ci attende. Mi faccio coraggio e abbandono la mia auto, dopo averla chiusa opportunamente a chiave.

Mi avvio verso la porta di casa bestemmiando e imprecando in molteplici lingue. Chi me lo fa fare? Chi? Pure io sto cambiando, ormai, dopo tanti anni a vigilare l’incolumità dei cittadini della contea di Franklin.

Una contea di quelle simili a tutte le altre omonime negli Stati Uniti, in cui accadono sempre le solite cose.

E poi, cosa dovrebbe capitare a un semplice poliziotto come me? Ho già cinquantacinque anni, presto mi ritirerò. Una vita trascorsa a dirigere il traffico lungo le strade e a sostituire i semafori rotti con l’apposita paletta. Non mi è mai stato affidato nessun caso di rilievo.

Nella stradale ho avuto modo di soccorrere diverse persone in difficoltà dopo alcuni incidenti abbastanza gravi, ma sulle pagine dei giornali sono apparsi i miei superiori, non io.

Dopo trent’anni di servizio mi hanno spostato tra i poliziotti di quartiere, e ho passato i miei ultimi mesi a intervenire a seguito di piccoli furti. Ormai conosco i colleghi, ho buoni rapporti con le alte cariche e con tutti, ma resto pur sempre un uomo pronto a mollare. E mollo senza aver lasciato alcun segno, nonostante una vita di impegno, fatica e lavoro. Giorno e notte, a seconda dei turni.

Un brivido mi percorre quando mi ritrovo al cospetto della porta di casa e sembra che mi stia addormentando in piedi, sommerso dalla stanchezza e dalla delusione.

Non appena varco la soglia a me tanto familiare, vengo affolto dal profumo intenso dei plum-cake appena sfornati. Immerso nella mia malinconica frustrazione interiore, a volte dimentico quanto amo mia moglie.

Nonostante sia ormai tardi, la mia compagna mi aspetta ancora in piedi, e dal rumore soffuso della tv accesa realizzo che probabilmente anche i ragazzi lo sono.

“Amore” la saluto, facendo il mio ingresso in cucina. La luce soffusa della lampada appesa sui fornelli è calda ma allo stesso tempo getta numerose ombre su di noi, e questo rende tutto ancora più romantico. Le ombre coprono i miei vestiti umidi e le rughe di fine giornata.

Tiffany mi sorride e mi abbraccia, venendomi subito incontro.

“Sei fradicio” afferma, tastando la mia divisa e scoccandomi un rapido bacio sulle labbra.

“Non esagerare. È solo un po’ di umidità”.

Leonardo e Jason, i nostri due figli, fanno a loro volta irruzione nella stanza e mi vengono a salutare, interrompendo il dialogo tra me e la loro madre.

“Papà, rientri sempre più tardi” mi fa notare Jason.

Jason ha sedici anni, ma ne dimostra molti di più. Con un repentino movimento della testa scuote la sua chioma mossa e abbastanza allungata, tipo moda anni Settanta. Il Beatles, lo chiamo scherzosamente. Lui però adora affermare che si ispira ad Harry Style, il suo cantante preferito.

Adoro sentirlo parlare e mi mette sempre di buon umore.

“Non è colpa mia. Il lavoro chiama” rispondo con diplomazia.

Leonardo, invece, resta un attimo dietro al fratello minore.

Leo ha un nome italiano, scelto appunto per elogiare Da Vinci, uno dei più grandi uomini della Storia. In realtà non è venuto speciale come invece gli avevamo augurato chiamandolo così. Ha già ventisei anni, sulla carta è adulto, ma è rimasto un ragazzino dentro di sé. Non ha mai saputo staccarsi da noi, anche se delle volte ha degli istinti ribelli, tuttavia restiamo pur sempre una famiglia molto unita. Basti pensare che nei fine settimana usciamo sempre tutti assieme.

Leo è un giovane molto chiuso e difficile da comprendere, il mio primogenito tanto amato. Per quanto Jason sia simpatico e dolce, il fratello maggiore riesce a modo suo a conquistarsi il giusto spazio.

Sono padre di ragazzi ormai grandi, però appunto sarò il loro genitore in eterno, e finché avranno bisogno di me, io ci sarò.

Alla fine, il maggiore si fa avanti e mi batte il solito cinque. Non aggiunge niente, tra noi non c’è bisogno di parole. È tutto a posto così.

Adesso mi sento felice, assieme alla mia famiglia. A mia moglie, ai miei figli… il mio tesoro più grande, nel complesso. Vivo e lavoro per loro. Se non ci fossero stati, penso sarei finito a cadere nella triste spirale della depressione.

“Che dici? Ceniamo?”

Tiffany fa cenno verso il tavolo imbandito e da me finora ignorato.

Le sorrido.

“Non dovete aspettarmi, lo sapete… mangiate quando avete fame. Io sono sempre più in ritardo” spiego e ripeto, come ho già fatto tante altre volte. So che loro però mi aspetteranno sempre. Sono la mia famiglia, la mia salvezza. La mia unica certezza. L’unica cosa bella che ho saputo costruire durante il corso della mia monotona vita.

Almeno, grazie a loro, posso dire che la mia esistenza non è stata vana.

Mi rassicurano con le solite frasi di rito, però sono convinto che mi attendano con grande piacere.

Così, come ogni sera che si rispetti, ci mettiamo a cenare con il sorriso sulle labbra. Iniziamo a parlare del più e del meno mentre mia moglie dà sfoggio della sua grande abilità culinaria, servendoci pietanze da acquolina in bocca.

Ci sono tuttavia momenti in cui all’improvviso accade un avvenimento che stravolge tutto. Questa è la sensazione immediata che provo a pelle non appena il mio cellulare inizia a squillare, interrompendo il meritato e disteso pasto.

Nessuno mi chiama mai a quest’ora, non ho idea di chi sia, né di cosa voglia, per questo tentenno un attimo ad estrare il telefonino dalla tasca dei pantaloni.

Lo sguardo rassicurante dei ragazzi e di mia moglie mi spinge a procedere.

Sullo schermo illuminato troneggia il numero del mio capo.

“Signore” rispondo immediatamente.

“Agente Barley, grazie per rispondermi anche a fine turno” breve sosta da parte del severo Ramsey, che gestisce tutto in ufficio, “volevo chiederle se potesse presentarsi un po’ prima, domattina. C’è una faccenda che mi è stata presentata poco fa, piuttosto urgente, e di cui dovrei parlarle”.

“D’accordo. Alle sette e trenta sono lì, va bene?”. Il mio turno inizierebbe alle otto, ma se devo andare prima…

“A posto. Buona serata”. Di poche parole come sempre, Ramsey riaggancia.

Gli sguardi interrogativi dei miei famigliari però mi colgono un po’ di sorpresa.

“Niente, domattina mi attendono in anticipo…” rispondo, evasivo, e sorrido a tutti, anche se non so cosa aspettarmi. Durante tutti questi anni di servizio non sono mai stato convocato in anticipo né i pochi casi che mi sono stati sottoposti erano urgenti.

Non voglio grattarmi il capo prima del previsto e mi rilasso, tanto so che sono prossimo alla fine della mia carriera lavorativa quindi di certo non sarà nulla di grave o di impegnativo. Forse una rapina a mano armata, alla peggio.

Ne approfitto allora per donare tutto me stesso a chi mi sta più a cuore, conversando con i ragazzi e sommergendo di complimenti mia moglie, la donna più bella e meritevole che io abbia mai conosciuto.

 

Mi siedo al tavolino esterno del bar. Come ogni mattina. Vengo dalla campagna e la mia camicia vintage troneggia sul mio corpo.

Il paese più vicino alla mia località amena è mezzo spopolato e di dimensioni ridicole, proprio per questo mi conoscono tutti di vista; sanno chi sono, anzi, sanno di chi sono il figlio. Nessuno mi rivolge mai la parola e ognuno ha la sua precisa idea su di me.

Avverto gli occhi degli anziani mentre mi studiano, pensano di sapere ogni cosa e quegli sguardi spesso intorpiditi dalle cataratte non si perdono un attimo del mio show. È uno spettacolo questo, in fondo, no? Cazzo vengo a sedermi qui tutte le mattine, a mostrarmi cialtrone e pure mezzo idiota? Ma certo, a fumarmi quella mezza sigaretta che mi fa sentire un po’ più figo del solito.

No, questo è solo il mio riflesso. Sotto questo strato di inutile pelle, sono molto diverso. E un giorno lo dimostrerò.

Intanto smetto di pensare a quelle fottute storie che mi frullano continuamente per la testa, sono stanco di immaginare e di avere quel bisogno patologico di scrivere.

Devo vivere, no? Vivere questa vita in prima persona, per provare a sfidare quello che sembra un fottuto destino avverso.

Mi accomodo meglio sulla seggiolina da bar e lascio che lo scarico delle auto che scorrazzano a pochi passi da me mi avvolga e si fonda con il leggero fumo che lascio uscire dalle mie labbra socchiuse.

Sono un amante assiduo delle storie complicate. Devo smetterla e trovare la mia libertà. Ma soprattutto imparare a volare e a voltare pagina.

Davvero mi ritengo così sfortunato e sfigato? Porca boia.

È quindi il momento per riflettere davvero.

Lascio alle mie spalle quegli sguardi senili, che non mi appartengono né rispecchiano affatto.

Sono in attesa del mio momento. Del mio giorno.

Magari fosse perfetto, ma la perfezione si sa, non esiste.

Mi accontento, o, meglio, mi saprò accontentare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ringrazio di cuore chiunque abbia letto il primo capitolo, e ovviamente anche questo.

Vi ringrazio tanto; mi avete piacevolmente sorpreso… non mi aspettavo così tanti lettori per questa umile storia!

Storia che affronterà tematiche molto delicate.

La vicenda non è autobiografica, come starete di certo comprendendo… o quando meno non nella sua totalità xD per fortuna non sono Alex xD e non so nemmeno se alla fine avrà un senso. Comunque… questo è solo l’inizio… un assaggio, diciamo… spero di non avervi atterrito… o che non sia troppo antipatico come testo…

Grazie ancora a tutti ^^

 

   
 
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