Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: ValeAck    05/05/2020    1 recensioni
| Ereri | Mini-Long | Modern!Au |
«Se avessi la capacità di riavvolgere il tempo, tornerei ad un anno fa, solo per cercarti e dirti queste stesse parole.»
«Mi dispiace essere arrivato in ritardo.»
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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"C'è stato un incidente lo scorso anno."

Stava tornando a casa a passo lento, le giunture delle gambe che parevano aver perso consistenza, riuscendo a reggere il proprio peso per chissà quale forza divina. E nel frattempo, le parole di Farlan riecheggiavano nella sua mente a ondate, piccoli stralci di un discorso che aveva ascoltato passivamente, senza cogliere la maggior parte delle frasi, se non quelle salienti.

"Non c'è stato nulla da fare, quando i soccorsi sono giunti sul posto aveva già smesso di respirare."

Avrebbe voluto urlargli contro, pregarlo di smettere di mentirgli perché lui, il suo petto gonfiarsi d'aria per poi sgonfiarsi, l'aveva visto. E la sua pelle, seppur gelida, era entrata per effimeri attimi in contatto con la propria, riuscendo a farlo rabbrividire. Ma in fin dei conti, perché Farlan avrebbe dovuto raccontargli una bugia così tremenda? Lui per primo aveva percepito che ci fosse qualcosa di illogico nei comportamenti delle persone che circondavano Eren Jaeger, quell'assurda indifferenza che aveva provato a giustificare in centinaia di modi. Possibile che, il meno concepibile, fosse quello che rispondeva perfettamente ad ogni suo quesito, ricollocando tutti i tasselli, fino a quel momento scollegati, al proprio posto?

"Abbiamo deciso di comune accordo di lasciare libero il suo banco, nella speranza di sentirlo più vicino."

E allora la domanda era una e nasceva spontanea: in quale irrazionale dinamica del mondo era andato ad incappare? Cosa stava pretendendo da lui l'universo, giocandogli un tiro mancino di quella portata?

Eren Jaeger non esisteva più, eppure per lui, nel mese passato, era stato più reale di chiunque altro. La sua voce gli aveva carezzato i timpani, il suo sguardo smeraldino aveva provato a leggergli l'animo e i suoi sorrisi radiosi l'avevano schiavizzato, condannato a non avere occhi che per essi.

Nemmeno si rese conto di essere giunto a destinazione finché, attraversando il vialetto di casa la vide, capendo immediatamente, dalla vacuità della sua espressione, che avesse saputo qualcosa di quel pomeriggio. Mikasa era seduta sulla scaletta di legno del porticato, le ginocchia strette, la divisa scolastica ancora indosso e la solita sciarpa rossa ad avvolgerle il collo, mentre i suoi occhi erano persi ad ammirare il quadernetto che stringeva spasmodicamente tra le mani. Era visibilmente affranta e quella, si rese conto Levi, era la prima volta che riusciva a scorgere sul suo volto una qualche traccia di emozione. Quando le sue iridi incontrarono quelle scure e contornate dal fuoco di lei, provò un tuffo al cuore e con esso la frustrante sensazione di essersi spinto in qualcosa che con lui avesse poco e niente a che fare.

Si aspettava una sfuriata, nonostante sua cugina non fosse affatto quel tipo di persona, invece si ritrovò a trattenere il respiro nel vedere le sue dita colpire con un paio di tocchi leggeri lo spazio libero a lei di fianco. Un invito a farle compagnia che, molto probabilmente, in un'altra occasione avrebbe rifiutato. Nemmeno rientrò dentro a posare le proprie cose, semplicemente la raggiunse, piegandosi sulle ginocchia per mettersi seduto, in attesa che questa fosse pronta a parlare. La vide passarsi il dorso della mano su entrambe le gote per poterle liberare dal peso delle lacrime che ignobili avevano deciso di solcarle.

«Sasha mi ha chiamata e mi ha raccontato tutto.» sospirò, occhi puntati sulle proprie scarpe e presa sul quadernino talmente forte da sgualcirne la copertina e farle sbiancare le nocche. Una leggera folata di vento scompigliò i capelli di entrambi, tinti del medesimo inchiostro, e Mikasa appena rabbrividì.

«Mi dispiace, ho fatto una stronzata.» le rispose, sentendosi quasi un automa, data la meccanicità di quelle parole. In fondo, per quanto lui stesse dando per veritiere tutte le informazioni acquisite nelle ultime due ore, una parte di lui stentava ancora a crederci. Che fosse la parte impulsiva o razionale, proprio non riusciva a stabilirlo. Magari si trattava di entrambe. Eren Jaeger gli aveva parlato, sorriso, raccontato aneddoti del sua vita e poi l'aveva toccato: quelle non erano forse cose concrete? E ancora: l'aveva stregato, attratto a sé, impiantato un'infatuazione letale nel suo petto che giorno dopo giorno non aveva fatto altro che crescere, cibandosi dei battiti che aumentavano di intensità in sua presenza. Impulso.

Ma al tempo stesso, assurdamente, sapeva anche che quel ragazzo non apparteneva più all'unico mondo da lui conosciuto, un po' come se fosse incastrato tra due dimensioni diametralmente opposte, non riuscendo a far parte né di una, né dell'altra.

Mikasa scosse il capo in segno di negazione, tirando su con il naso e mostrandogli per la prima volta un lato estremamente vulnerabile. Avrebbe voluto prenderle una mano, accoglierla in un abbraccio, donarle un minimo di conforto, ma la sensazione che lei si sarebbe potuta sgretolare al minimo contatto lo fece desistere.

«Tu non potevi saperlo, non è colpa tua. - a stento riuscì a trattenere un singhiozzo e Levi si rese conto, per la prima volta, quanto si somigliassero pur essendo vissuti praticamente come due estranei. Quasi riusciva ad individuare lo spessore della corazza di cui si era rivestita, un'armatura d'indifferenza finalizzata a separarla dal mondo circostante e dalla sofferenza che questi prima o poi, inevitabilmente, deciderà di scagliarti addosso. Eppure era rotta, crepe su crepe che, pur provandoci, sarebbero state impossibili da rimarginare. - Quando papà mi ha detto che saresti venuto a vivere qui io... non credo di essermi mai arrabbiata così tanto in vita mia. In quel momento ti ho detestato profondamente.» ammise con un sospiro, le ciglia pregne di sale e il naso a malapena arrossato. Levi la guardò, i pensieri in subbuglio e un centinaio di domande a martellargli le tempie.

«Mikasa, io-»

«Fammi finire, Levi. - lo interruppe, provando a mantenere la voce ferma. - Io non odio te in quanto persona. - annuì, come se stesse cercando di convincere se stessa in primis di quella affermazione. - Ma odio ciò che la tua presenza qui a Shiganshina rappresenta. - schiuse le labbra, il cuore che prese a martellare velocemente contro la cassa toracica mentre la ragazza apriva il quadernetto, rivelando il nome di Eren trascritto con una grafia disordinata ed infantile e quello di Mikasa immediatamente sotto. Gli si mozzò il respiro quando la ragazza voltò la prima pagina, rivelando una fotografia di loro due assieme, seduti sotto quello stesso portico, lei con una coroncina di fiori tra i capelli e un abito rosa, lui con i vestiti sgualciti, un ginocchio sbucciato e gli occhi più belli e luminosi che avesse mai visto. Nessuno dei due guardava l'obbiettivo, Mikasa aveva le iridi rivolte verso l'alto ad ammirare ciò che le stava adornando il capo, Eren che le sorrideva con una tenera complicità. La frase che attirò la sua attenzione era scritta in piccolo appena sotto la data di quel giorno: da grandi ci sposeremo. - Abbiamo iniziato a raccogliere i nostri ricordi non appena abbiamo imparato a scrivere. O meglio, a scrivere ero io. - si morse il labbro inferiore, carezzando dolcemente il loro ritratto. - Eren scattava le foto. A dirla tutta, non credo di averlo mai visto senza una macchinetta fotografica tra le mani. Parlava continuamente di volersi trasferire a Tokyo per poter studiare in accademia e diventare un professionista.» e per un attimo riuscì quasi a figurarselo mentre passeggiava per le affollate vie della sua città natale, a scrutare con quelle iridi enormi ogni singolo dettaglio per poterlo catturare e fare proprio nella memoria.

«Sembrate così...» non riuscì a concludere la frase, un groppo gli si formò all'altezza della gola e dovette zittirsi per reprimere quel sentimento che minacciava di rendersi palese.

«Felici? - sorrise, poggiando un gomito sulle ginocchia per sorreggere la guancia con un palmo. - Lo eravamo. Lo siamo sempre stati. - sfogliò ancora una volta, rivelando l'ennesima foto di loro due, questa volta in compagnia di un ragazzino dai capelli biondi e un cerotto a coprirgli il mento. - Anche quando mi sono innamorata di Jean. - una foto di lei è Kirschtein che si baciavano sulla riva del mare. - Anche quando lui ha fatto coming-out. Credevamo, tutti e tre, di avere il mondo stretto in un pugno e ci comportavamo di conseguenza, come se nulla potesse scalfire ciò che spontaneamente eravamo riusciti a costruire.» si susseguirono svariate foto della loro infanzia, lo scorrere di tre vite racchiuso in immagini immobili e immutabili, capaci addirittura di ingannare lo spettatore, inducendolo a pensare che non fosse cambiato nulla. Invece era tutto dolorosamente differente.

Spalancò gli occhi quando, tra tutte le istantanee, riconobbe se stesso con l'espressione imbruttita e il braccio ingessato appeso al collo, affianco a sua cugina, che sorrideva all'obbiettivo, e... Eren: due dita alzate, un braccio a circondargli le spalle e un sorriso radioso a piegargli le labbra rosee. Sotto una piccola annotazione: il cugino di Mika è così carino!

«Ma questo sono io. - disse appena, il respiro corto e un peso lancinante a premergli sul diaframma, impedendone il regolare movimento. Lei annuì appena, staccando attentamente la fotografia e cedendogliela quasi a malincuore. - Com'è possibile?» domandò, prendendola tra le mani come fosse qualcosa di estremamente prezioso.

«Aveva insistito per fare la foto con noi due dietro la torta e nessuno riusciva a dirgli di no. Ha sempre avuto un particolare ascendente su tutti quelli che lo circondavano: semplicemente non si riusciva a non volergli bene. - scosse il capo, sconvolto da quella rivelazione. - Comunque immaginavo che tu non te ne ricordassi, in fondo non era nulla di rilevante. Un moccioso troppo esuberante per stare al proprio posto non è una cosa che generalmente viene registrata dalla mente di un ragazzino, a maggior ragione se questo ragazzino non è per nulla felice della giornata che sta vivendo. - se non avesse avuto un'aria così sconsolata, molto probabilmente avrebbe inteso quelle parole per una bonaria presa in giro. Ma i suoi occhi non seguivano l'artificioso sorriso che si era formato sulle sue labbra, loro erano semplicemente malinconici, nostalgici e colmi di rimpianto. - Ma Eren ti ha sempre ricordato, periodicamente mi chiedeva se ti avessi visto o sentito. Ogni Natale, da quel giorno, mi domandava se l'avremmo passato insieme. Addirittura aveva iniziato a seguirti su Instagram nella speranza, un giorno, di poterti conoscere per davvero. Blaterava continuamente di quanto fossero meravigliosi i video degli assoli di chitarra che pubblicavi, di quanto gli sarebbe piaciuto ascoltarli dal vivo e non solo tramite l'anonimato di uno schermo. - si passò una mano tra i capelli, tirando le ciocche scure all'indietro e provando a regolare il respiro. - Capisci perché dico che odio ciò che la tua presenza rappresenta? Se lui fosse ancora vivo avrebbe avuto l'occasione di parlare con te, avreste frequentato la stessa classe, avrebbe potuto ascoltarti suonare la chitarra e chissà, magari il piedistallo su cui ti aveva piazzato per qualche assurdo motivo, sarebbe addirittura crollato. Ora tu sei qui e lui... sono sicura che anche lui sia da qualche parte, solo che mi è impossibile raggiungerlo. Semplicemente non mi è concesso. - altre lacrime le rigarono verticalmente il volto, tagliandolo proprio come avrebbero fatto delle sottilissime lame. - Non è giusto, gli avevo promesso che saremo stati sempre insieme e adesso non posso adempiere al mio giuramento, è così... frustrante.» Frustrazione: quella era sicuramente la parola che più si adattava anche alla sua di situazione. Sviluppare un sentimento per una persona che non avrebbe nemmeno dovuto conoscere, essere consapevole di non poter rivelare a nessuno quanto il dolore lo stesse attanagliando in quello momento, sentirsi in difetto addirittura per quella tristezza che gli stritolava il muscolo cardiaco. Che diritto aveva lui, un estraneo, di piangerlo? Nessuno e al tempo stesso tutto.

«Cosa gli è successo?» portò entrambe le mani a coprire gli occhi, i tremiti che le scuotevano le spalle. Levi stava per rimangiarsi la domanda, stava per scusarsi per la sua ingiustificata brama di sapere. Non poteva certamente dirle di aver visto Eren e di aver parlato con lui, una cosa del genere suonava folle perfino alle sue stesse orecchie.

«Avevi postato su Instagram la locandina di un live in un locale che dista più o meno un'oretta da Shiganshina. - smise di respirare e sentì le forza venirgli meno in ogni singolo muscolo. No, non era possibile. Improvvisamente ebbe l'impulso di portare le mani all'altezza delle orecchie e di urlarle di chiudere la bocca, invece, tutto ciò che si limitò a fare, fu stringere le palpebre, cercando di ricacciare indietro le lacrime. - Ero stata categorica, gli avevo detto che non avremmo potuto partecipare assolutamente all'evento. Il giorno dopo ci sarebbe stata scuola, in più eravamo solo dei ragazzini di sedici anni, non avevamo i mezzi necessari per poterci spostare tanto in tre. - notò a malapena il suo tentare di darsi un contegno. - Ma lui insisteva così tanto... ha passato interi giorni ad escogitare piani assurdi per poter venire e ad ogni mio rifiuto si rattristava sempre di più. Talmente tanto che, alla fine, Jean ha ceduto. - scosse il capo con forza, come a voler negare ciò che in seguito era accaduto. - Aveva preso la patente da così poco, la moto gli era stata regalata da appena una settimana, ma lui voleva accontentarlo. Voleva esaudire il suo desiderio, voleva farvi incontrare, anche se solo per un'ora. Te l'ho detto, nessuno riusciva a dirgli di no. Così ha deciso di portarlo al tuo live, nascondendolo sia ai suoi genitori che a me. - chiuse di botto il quaderno, proprio quando questi mostrava una foto dei due ragazzi abbracciati. - Non sono mai arrivati. Hanno avuto un incidente appena a metà strada. Jean è stato in coma per un mese, Eren... - scoppiò in un pianto disperato. - Quando sono arrivati i soccorsi aveva già smesso di respirare, non hanno potuto fare nulla. - le stesse parole che poco prima gli aveva rivolto Farlan, questa volta gli piovvero addosso come una doccia dolorosamente fredda. - È andato via da solo, sul ciglio di una strada, lontano da me. - e il pensiero che seguì fu inevitabile: la colpa era sua. Eren era morto per seguire una persona che aveva idealizzato e mitizzato all'inverosimile. E lui cosa aveva fatto? Del tutto ignaro della sua esistenza si era limitato a suonare in un locale del cazzo con sì e no venti spettatori disinteressati, poi era tornato a casa, giurando a se stesso che non avrebbe fatto mai più una cosa del genere ed era andato a dormire colmo di frustrazione, inconsapevole che qualcuno di relativamente vicino aveva fatto di tutto pur ascoltare la sua chitarra, perdendo la vita. E per cosa era morto? Per un ragazzino irascibile che, dopo appena un live mal pagato, aveva messo sottochiave il suo strumento, promettendosi di non riprenderlo in mano mai più.

«Mi dispiace. - mormorò, la voce spezzata come mai gli era successo prima di allora. - Mi dispiace tantissimo.» sobbalzò quando percepì il capo di Mikasa poggiarsi sulla sua spalla, le lacrime di lei che gli ricadevano sulla giacca.

«No Levi. Non sto cercando di scaricare la colpa su di te. So che non è così, proprio come so che non è colpa di Jean. È la prima volta che parlo ad alta voce di quel giorno e probabilmente sarà anche l'ultima, ma tu dovevi sapere proprio perché so che lui avrebbe voluto così. Non ti conosceva per niente, eppure gli piacevi; il minimo che potessi fare era parlarti di lui. - si portò le mani al cuore, artigliando con forza la camicetta bianca. - Ho sempre saputo che non sarei riuscita a tenerlo ancorato a me per sempre, la sensazione che prima o poi mi avrebbe lasciata è stata radicata in me per anni. Ogni mio sforzo è stato vano, Eren parlava continuamente di voler andare via da Shiganshina, di volere una vita nuova, di sentire il bisogno di ricominciare in un posto dove nessuno lo conoscesse e io non l'ho mai accettato. Desideravo che tutto rimanesse immutato. Lui aveva me e Jean, io avevo loro due: ero convinta che non avessimo bisogno di altro per essere felici, che andasse bene così. Il mio egoismo è stato ripagato con la peggiore delle punizioni. La colpa è solo mia. Se non mi fossi opposta al suo desiderio di venire ad ascoltarti, probabilmente non sarebbe andata in questo modo.»

«Questo non puoi saperlo.» ma come si faceva a consolare una persona distrutta dai sensi di colpa, quando lui era il primo a sentirsi nel medesimo modo?

«Lo amo ancora. Jean intendo. E so che per lui è lo stesso. - sorrise dolcemente, asciugandosi l'ultima gocciolina salata che le bagnava il mento. - Lo vedo come mi guarda. - nascose il naso nella sciarpa rossa avvolta attorno al collo. - Ma due persone distrutte dal senso di colpa non possono stare insieme, finirebbero per annullarsi a vicenda. È per questo che ho deciso di chiudere con lui. - si alzò in piedi, stringendo il quaderno tra le mani, senza chiedere indietro la fotografia che gli aveva ceduto. - Lo so cosa stai pensando, che avremmo potuto farci forza l'uno con l'altro. - nemmeno si voltò a guardarlo mentre pronunciava quelle parole. - Ma non è facile stare con una persona che ti ricorda costantemente l'assenza di un'altra.»

«Non sto giudicando la vostra scelta, Mikasa. Non potrei mai.» stava piangendo ormai, forse proprio per quel motivo la ragazza aveva scelto di allontanarsi da lui. In fondo era un'Ackerman anche lei: l'arte della consolazione non spiccava tra le loro qualità.

«No, hai ragione. Sono io che cerco di giustificarla con me stessa.»

...

«Ti avevo già detto che, di tanto in tanto, strimpello con la chitarra?»

Quasi si sentì rassicurato quando quel pomeriggio lo trovò sulla stessa terrazza della prima volta, di nuovo gli occhi puntati verso il cielo che, quando scesero a specchiarsi nei suoi, si sgranarono, accompagnando quel gesto con un dolce rossore a colorargli le gote. Fece scivolare la custodia dalla spalla destra, stringendola tra le mani e sporgendola nella sua direzione. Lo vide passarsi una mano tra i capelli arruffati, le labbra increspate in un mezzo sorrisetto imbarazzato, che s'incrementò quando Levi gli si avvicinò con un sopracciglio inarcato.

«Mikasa te l'ha detto, non è vero? Che sono un tuo fan, intendo.» Sei il mio unico fan, si ritrovò a pensare, mentre annuiva lentamente, giungendo ad appena due passi da lui. Bello, bello e strappato ingiustamente alla vita così presto. E lui sentiva una connessione così profonda con quell'entità che sapeva di per certo non far parte del suo stesso mondo, incastrata in quell'istituto scolastico.

«Ti piacerebbe ascoltarmi?» s'illuminò e quel sorriso radioso, questa volta, gli colpì il cuore come un proiettile. Se l'intuizione che aveva avuto il giorno prima, dopo aver parlato con Mikasa, si sarebbe rivelata giusta, non avrebbe potuto vederlo mai più. Una parte di lui, molto egoista, avrebbe fatto finta di niente, lasciando immutate le cose e accontentandosi di poterlo vedere e di potergli parlare in attimi come quelli. Ma che valore avrebbe dato ai suoi sentimenti un comportamento così vile?

«Ti prego!» disse solamente, sedendosi a gambe incrociate, la schiena poggiata contro la ringhiera. Levi lo affiancò, posizionando la custodia dinanzi a sé, tamburellando con le dita contro la stoffa nera mentre ragionava su ciò che si era prefissato di dirgli.

«Prima devi fare una cosa per me, però. - iniziò ed Eren lo guardò spaesato, intenerendolo con quelle ciglia che sbattevano ripetutamente. Gli afferrò una mano, carezzandone piano il dorso con il pollice, disegnando cerchi invisibili con il fine unico di rassicurarlo e il contatto con la sua pelle fredda lo fece rabbrividire. - Solo rispondere ad un paio di domande, - portò la mano libera contro il petto. - lo giuro. - Non gli rispose, fece di sì con la testa, la preoccupazione dipinta in volto. - Quanti anni hai?» quella domanda lo rasserenò visibilmente, i muscoli contratti si rilassarono all'istante.

«Ne ho sedici.» disse, confermando la teoria di Levi: i suoi ricordi erano fermi ad un anno prima, Eren, o almeno ciò che di lui era rimasto, non si era ancora reso conto di nulla.

«Hai iniziato ad andare a scuola un anno prima?» chiese ancora, per confermare la sua teoria, e quel quesito fece ridacchiare il castano.

«No. Sono in regola.»

«Allora com'è possibile che frequentiamo la stessa classe? Io ho diciassette anni, ne compirò diciotto a dicembre.» Eren si portò un paio di dita sotto il mento, guardandolo con circospezione.

«Sei stato bocciato?» fu lui ad interrogarlo questa volta e Levi sentì il bisogno di stringerlo tra le sue braccia, di consolarlo ancor prima di dirgli effettivamente qualcosa.

«No, Eren. Sono all'ultimo anno.» ricevette una leggera gomitata dal compagno, mentre una risata bassa e roca gli sfuggiva dalle labbra rosee.

«Al penultimo, vorrai dire. - Levi scosse il capo, facendolo rabbuiare. Inevitabilmente risalì con le dita a carezzargli l'attaccatura dei capelli, digrignando i denti nel constatare quanto anche quella zona del suo corpo risultasse gelida. - Dove vuoi andare a parare, Levi?»

«Jean non ti rivolge la parola, mai. - Eren provò a protestare, ma glielo impedì, nella speranza che potesse capire. - Ma quando ti ho nominato mi ha preso a pugni senza pensarci sopra due volte. Il tuo migliore amico è forse un violento?»

«No! No, Levi! Non so che gli sia successo ieri, non era in sé, ma lui non è così. Sono pronto a giurarlo.»

«Ti credo, Eren, ma questo non giustifica la sua totale indifferenza nei tuoi confronti. - le sue labbra si strinsero in una linea dura, mentre con il corpo provava ad allontanarsi, combattendo contro la stretta delle dita di Levi sulla sua nuca. - Sai dirmi il perché?»

«No. - ringhiò, come un animale ferito e ingabbiato. - E non vedo cosa c'entri questo. Non volevi suonare?»

«Sì, ma prima voglio raccontarti una cosa. - insistette, riuscendo a bloccarlo, percependo comunque il sospetto celato i quei meravigliosi smeraldi. - Non suono più o meno da un anno.» ammise, facendogli sgranare gli occhi.

«Non è vero.» chiaramente si riferiva al suo profilo Instagram, inattivo da mesi. Ma lui era bloccato ad un anno prima, a quando ancora si dilettava a postare video di se stesso chiuso in camera a suonare.

«Invece è vero. Ho fatto un live in un locale non troppo distante da Shiganshina, l'inverno scorso. Non è venuto praticamente nessuno ad ascoltarmi, se non i miei migliori amici. Gli altri clienti nemmeno hanno fatto caso a me. Ho posato la chitarra quel giorno.» Eren scosse ripetutamente la testa.

«Mi stai mentendo.» lo accusò fermamente convinto, anche un po' risentito e Levi sentì i propri occhi gonfiarsi in risposta.

«No, Eren.» due parole che uscirono fuori con un bisbiglio spezzato.

«Tu vicino a Shiganshina? Chiaramente è una bugia! L'avrei saputo e sarei venuto a vederti, a qualunque costo.»

«Lo hai fatto.» Eren si ritrasse dalla sua presa, come scottato dalle sue parole e dal suo tocco. Gli occhi improvvisamente gonfi di lacrime, arrossati e furenti come mai li aveva visti prima di allora. Si alzò in piedi di scatto, dando un paio di buffetti al proprio pantalone.

«Non starò qui ad ascoltare queste stronzate. Il fatto che tu mi piaccia non ti dà il diritto di prendermi in giro, è semplicemente orribile.» borbottò, le orecchie rosse e le pupille che puntavano in tutte le direzioni, fuorché nelle sue. Avrebbe dovuto aiutarlo, non rivelarsi un nemico: stava evidentemente sbagliando qualcosa e doveva rimediare prima che fosse troppo tardi.

«Eren, io-» la mano che allungò per afferrare la manica della sua giacca venne scansata agilmente, quel verde che gli illuminava solitamente lo sguardo che pareva trasformarsi secondo dopo secondo in veleno.

«No, stammi lontano!»

   
 
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