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Autore: Smaug The Great    17/05/2020    8 recensioni
|INTERATTIVA| The Umbrella Academy AU|ISCRIZIONI APERTE FINO AL 8/12
L'Umbrella Academy è stata, per cinque gloriosi anni, la squadra anti-crimine del mondo magico: un gruppo di bambini prodigio, baciati dal destino e dotati di abilità magiche fuori dall'ordinario, messi al servizio della giustizia da un padre celeberrimo. Padre adottivo, in realtà. Perché i nove ragazzini dell'Umbrella Academy sono nati nello stesso momento ma in posti differenti e sono, soprattutto, frutto di una profezia centenaria che ne decantava la lotta contro il male magico. E per cinque anni, dai dodici fino al diploma a Hogwarts, è stato così.
Poi i bambini sono cresciuti e l'Accademia si è disgregata, crollata dall'interno per le più svariate ragioni. A distanza di otto anni, si riunisce per il funerale dell'uomo più celebre ed enigmatico del Mondo Magico. Octavius Cleremont è morto, solo e in una stanza di ospedale, delirando su nemici invisibili che volevano la sua testa.
E ora, mentre i suoi figli si ritrovano dopo anni e si incastrano nel puzzle della sua morte, i nemici brindano sulla sua tomba e tornano a complottare nell'ombra.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
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Capitolo III
Interessi di Guerra




«Tu magari non hai alcun interesse verso la Guerra
ma la Guerra ha sempre interesse per te»

Leon Trotskij

 





17:31, 15 Dicembre 2011, Scozia, Castello di Hogwarts 

«Che vuol dire "non torno a casa"?» 

Alexis –le guance arrossate dal freddo e le dita affusolate strette alla lana morbida della sua sciarpa di Grifondoro– alzò platealmente gli occhi al cielo e rivolse a suo fratello uno sguardo annoiato «Esattamente quello che ho detto. Passo il Natale a Hogwarts» 
Rigel aggrottò la fronte, le labbra serrate in una linea sottile, e poi scosse la testa in un movimento secco che gli portò i capelli sul volto «Te lo puoi scordare. Papà ci vuole tutti a casa per le vacanze invernali» 
Numero Nove voltò il capo dall'altra parte per non doverlo guardare in faccia. Ogni anno era la stessa storia. E ogni anno era più difficile sfuggire alle grinfie dell'Umbrella Academy, anche per quella manciata di settimane che era il periodo natalizio. Sapeva che ad Octavius non sarebbe sfuggita la sua assenza e che, naturalmente, non ne sarebbe stato felice. Ma ad Alexis Cleremont della felicità di suo padre, a quel punto, importava poco e niente. Era al suo sesto anno accademico a Hogwarts. Mancava un anno alla maggior età. Non era forse libero di scegliere dove e con chi passare il Natale? 
Le vacanze in famiglia non erano mai state particolarmente piacevoli. Octavius li avrebbe costretti a mettere quella ridicola uniforme dell'Umbrella Academy per mostrarli ai suoi colleghi ed amici, nelle feste –anzi no, nelle soirées di gala– a Rosewood, come trofei e li avrebbe fatti allenare come bestie da soma per il resto del tempo. E se quando era un bambino lo aveva convinto la prospettiva di passare del tempo con i suoi compagni di squadra, ora neanche quell'idea lo allettava. I suoi fratelli iniziavano a diventare degli sconosciuti. Sapeva benissimo, ormai, che Ezra e Levi sarebbero spariti alla prima occasione, Artemis non si sarebbe mossa dal fianco di loro padre e Tony si sarebbe rinchiuso in camera sua, isolandosi dal resto del mondo. Certo avrebbe potuto unirsi alle eventuali e varie marachelle –che ormai erano mere infrazioni del coprifuoco di Octavius– di Caesar ed Esmeralda, che puntualmente trascinavano con loro il povero Oliver, ma Alexis non condivideva il loro profondo legame di fratellanza e si sarebbe probabilmente sentito a disagio. Per non parlare del fatto che a un certo punto, come da copione, Numero Tre avrebbe proposto di coinvolgere anche Rigel e là sì che la situazione sarebbe diventata tremenda. 
Ed ecco qui il cuore pulsante del problema, che ora gli stava davanti con uno sguardo gelido e furioso. Perché Numero Uno insistesse tanto per farlo tornare a casa con loro, poi, era tutto un altro dilemma di cui non gli interessava conoscere la risposta. Come se quella scena non fosse già imbarazzante da sé, temeva che suo fratello stesse per fare una scenata nel cortile di Hogwarts. 
In fondo, però, era anche colpa sua. Alexis sapeva che avrebbero cercato di trascinarlo a casa di forza. Lo sapeva. Succedeva tutti gli anni. Eppure si era ostinato a voler prendere una boccata d'aria in cortile, vedere la neve e incontrare gente fintanto che ce ne fosse stata. Suo fratello lo aveva visto appena entrato nello spiazzo interno del castello e si era congedato rapidamente da un gruppo di amici per braccarlo senza pietà davanti alla panchina su cui era seduto.  
«E cosa vuoi fare?» Alexis soffocò a stento una risata «Buttar giù la porta della Torre di Grifondoro, fare la mia valigia e caricarmi di peso sull'Hogwarts Express?» 
«Non hai idea di quello che potrei fare» fu la risposta denti stretti di Rigel «Ti consiglio caldamente di collaborare» 
«E questa sarebbe la tua idea di caldamente?» gli occhi verdi di Numero Nove si fecero sottili e provocatori «Minacciarmi di chissà quale tremenda punizione nel caso in cui non ti seguo? Mi chiedo da chi mai potresti aver ereditato questo atteggiamento. Magari è la stessa persona da cui hai preso la convinzione di poter risolvere ogni problema con la forza!» 
«Non dovresti parlare così di nostro padre» suo fratello alzò il mento e si lisciò alcune pieghe del mantello, mostrando nel movimento la spilla verde smeraldo da prefetto «e non dovresti neanche rivolgerti a me in questo modo. Sono il tuo capitano, tu devi obbedirmi» 
Alexis neanche si curò di rispondergli. Raccolse dalla panchina il manuale di Astronomia e fece per andarsene. Non riuscì a compiere un solo passo che Rigel lo aveva afferrato per un braccio e tirato malamente indietro. Fu impossibile evitare il contatto visivo. Gli altri studenti già iniziavano a fermarsi e indicarli, bisbigliando rumorosamente tra loro, ma a nessuno dei due importava, troppo impegnati a guardarsi in cagnesco. 
La voce di Numero Uno era talmente bassa da poter essere udita solo da suo fratello «Dove credi di andare?» 
«Ovunque» sul viso spigoloso di Alexis si tratteggiò un sorriso crudele «purché sia lontano da te» 
Rigel incassò il colpo. Per qualche secondo sembrò sul punto di dire qualcosa, di fare qualcosa. Invece allentò la presa e lasciò che Numero Nove se ne liberasse. Anche il suo sguardo si fece in qualche modo più cupo, come se quelle parole l'avessero davvero toccato. Alexis, da parte sua, si rifiutò di abbassare gli occhi, nella speranza che un gesto di sfida potesse conquistare le sue beneamate vacanze in solitario, e rimasero, così, a guardarsi negli occhi per qualche minuto, pronti a saltarsi addosso al primo segno di debolezza. 
«Ragazzi, ma che state facendo?» 
Entrambi si voltarono di scatto verso Hillevi, che –infagottata nel suo mantello nero e nella sua enorme sciarpa di Tassorosso, i capelli neri a coprirle parzialmente il volto– li guardava con occhi preoccupati e confusi. Accanto a lei, muto e impassibile, c'era Ezra. 
Alexis pensò che non avrebbe potuto andargli peggio. 
«Grazie al cielo» borbottò Rigel «Qualcuno» e il suo sguardo cadde su Levi «dica a Numero Nove che è impensabile trascorrere questo Natale a Hogwarts» 
La ragazza gli scoccò un'occhiata supplice e Alexis non poté far a meno di sentirsi in colpa. Sapeva quanto Levi odiasse dover prendere posizione. Specialmente nelle liti. Specialmente in liti del genere, in cui non c'era alcun modo di accontentare tutti. Quando capì che non poteva tirarsi fuori, lei sospirò. «Papà tiene molto alla presenza di tutti noi quest'anno» disse, a bassa voce «Gli scorsi anni non è stato molto insistente, ma proprio questa volta...» 
La frase rimase in sospeso. La conclusione ovvia. 
«In effetti è dalla fine dell'estate che ci ha avvisato» la supportò immediatamente Ezra «Quest'anno niente diserzioni» 
Rigel si voltò verso suo fratello, un insolito mezzo sorriso stampato in faccia come a dire: "vedi? Non sono io il cattivo. Il problema sei tu". Alexis pensò, mentre si tratteneva dal tirargli un pugno, che fosse assurdo come quel mero incurvarsi di labbra illuminasse totalmente il volto di Numero Uno. Decise, miracolosamente, che non valeva la pena iniziare una rissa. Girò i tacchi e, senza salutare nessuno né conferma nulla, se ne andò. 
Quella partita l'aveva persa, non c'era altro da fare, ma si consolò al pensiero che alla fine avrebbe vinto lui. Non Octavius. Lui. Appena compiuti diciassette anni, sarebbe andato via di casa e nessuno di loro l'avrebbe mai più rivisto, se non sui giornali. 
Un Natale in prigione lo poteva passare, in cambio della promessa di una vita intera in libertà.  

 

 

 

 

 

 

22:06, 21 Dicembre 2020, Londra (UK), Umbrella Academy 

Il tardo pomeriggio era sfumato in sera più velocemente di quanto i ragazzi sperassero, ma l’atmosfera, a dispetto delle loro paure, non si era tesa né sbiadita. Anzi, sarebbe opportuno dire che si era rilassata, distesa, ammorbidita. I silenzi erano ora colmi di complicità e la conversazione scorreva placidamente, passando di argomento in argomento con invidiabile semplicità. La luce tiepida del sole invernale era stata presto sostituita dalle fiamme magiche di alcuni candelabri e il salone di casa si era finalmente popolato. Insomma, la riunione dei Cleremont ancora sani di mente (come Caesar aveva insistito nel chiamarla) era in pieno svolgimento ed era addirittura stata graziata dall’aggiunta compagnia di Tony ed Esmeralda –il primo più che altro trascinato dalla sorella–. 
Era stato facile, scivolare nella vecchia routine. Il gossip, le lamentele, i progetti, le false promesse e i processi truccati. E così, accampati scompostamente difronte al camino, finalmente si aggiornavano a tutti gli effetti sugli ultimi anni delle loro vite indipendenti. Dopo i primi imbarazzi, era stato più facile aprirsi l’uno all’altro e confessare fallimenti e disillusioni, interrompere tutte le farse e mostrare mestamente le proprie brutte verità. 
«Vi giuro» stava dicendo Esmeralda, sporgendosi ulteriormente verso il focolare «Era uno stronzo totale» 
«E perché non l'hai mollato su due piedi?» non c'era alcuna cattiveria nella voce di Artemis, che aveva progressivamente occupato tutto un divano e guardava sua sorella con curiosità «Voglio dire, io probabilmente non l'avrei fatto, ma tu... insomma, tu non sei me. Tu sei... beh, tu» 
Tutti gli occhi caddero di nuovo su Esmeralda, in attesa. 
«Era una situazione complicata» fu la risposta, veloce e brusca «In fondo lui era l’unico amico che avevo, l’unica persona di cui potessi fidarmi. Vedete, quando...» si schiarì la voce «quando sono arrivata a Chicago, non conoscevo nulla del mondo babbano. Avevo pochi soldi, nessuna idea di cosa fare e tantissima nostalgia di casa... praticamente tutte le sere pensavo di tornare a Rosewood e rientrare nell’Umbrella Academy. Poi però ho conosciuto Kai e la mia nuova vita ha iniziato ad avere un ordine. Lui era così gentile e tanto, tanto paziente, all’inizio. Credevo che–» esitò un attimo, occhi e voce bassi «credevo che mi amasse» 
«Esme» Levi, che le era seduta accanto, le prese una mano tra le sue «Non devi parlarne, se non te la senti» 
«No, è giusto che sappiate perché sono così felice di essere tornata» replicò Esmeralda «Kai era un manipolatore e uno stronzo e io sono rimasta in una relazione tossica per quattro anni perché non avevo nessun altro. Lo amavo perché non c’era nessun altro da amare. Ma è un capitolo chiuso» si affrettò ad aggiungere «Ora sono tornata a casa e ho intenzione di dare una svolta alla mia vita» distolse lo sguardo dal fuoco e lo rivolse ai suoi fratelli, un sorriso soffocato all’angolo delle labbra e la voce ricolma di entusiasmo «Non l’ho ancora detto a Rigel, ma voglio rimanere qui. Non per Natale. Per sempre. Voglio ricominciare da dove ho lasciato» 
«Esme, questa è..» la voce di Artemis inciampò tra i suoi pensieri. La peggior idea che ti sia mai venuta in mente? Una futura disgrazia? La fine della tua identità? Un disastro in divenire? «un’idea grandiosa!» 
Oliver le rivolse uno sguardo obliquo, come se avesse fiutato la sua bugia. Anche Caesar le scoccò un’occhiata confusa e Tony tenne chiusa la bocca per amor del quieto vivere –come al solito–. La verità è che Artemis era tremenda con le bugie e i suoi fratelli lo sapevano bene. Esmeralda, però, non ci fece granché caso e ci pensò Levi a darle corda. 
«Sono contenta che tu abbia preso una decisione» le strinse più forte la mano e piegò le labbra in un sorriso luminoso «Credo che questa potrebbe essere la scelta migliore per te, quindi non ascoltare nessun altro. Pensa soltanto a cosa tu vuoi per te stessa. Lo sai... odio vederti indecisa, non è vero?» E Dio solo sapeva quante volte Esmeralda aveva bussato, disperata, alla porta di sua sorella, riversandole addosso tutti i suoi problemi. Era una routine assodata tra loro due. Hillevi era stata, nella giungla infame dell’Umbrella Academy, porto sicuro e terra di nessuno, ghiozzo paciere per scelta e dovere. Probabilmente, assieme a Caesar, era quella che conosceva meglio Esmeralda e sapere quanto avesse sofferto negli ultimi anni la faceva sentire in colpa. 
Caesar non ci mise molto a supportarla e rivolse loro un sorriso luminoso, dal basso del tappeto su cui si era appollaiato «All’accademia farà bene una presenza femminile. Soprattutto ora,» aggiunse «con me e Rigel che ci occupiamo di casa senza Bizzie» 
«Te e Rigel?» si lasciò sfuggire Tony «Senza Bizzie?». Nessuno lo biasimò per la tinta di orrore nella voce, al pensiero di Numero Uno e Numero Tre soli in casa senza la supervisione dell’elfo domestico. Visioni terrificanti di cucine saltate in aria, ombre che facevano le pulizie e postini agonizzanti gli comparvero davanti agli occhi. 
«Beh, mi pare ovvio» Caesar alzò le spalle «La mia missione è finita e, ora che posso finalmente tornare dalla mia famiglia, non ho intenzione di andar via. State sicuri che io, Esme e Rigel ce la spasseremo. Vi manderemo cartoline ogni mese. Faremo un calendario con i photoshoot della nostra vita felice, magari anche un album delle figurine del Trio Brio» 
Esmeralda e Oliver scoppiarono a ridere e Tony si coprì il volto con una mano. 
«Chase» una ruga di preoccupazione solcò la fronte di Artemis «Tu vuoi rimanere qui?» 
«C’è qualche problema a riguardo?» replicò lui bruscamente. 
«No, no... è solo che–»  
«Risparmiati la predica, Artemis» la interruppe il ragazzo «So già cosa stai per dire e non ne voglio sapere niente» 
Artemis diede una gomitata a Tony, che le scoccò, di rimando, un’occhiata supplice. L’ultima cosa che voleva in quel momento –o in qualunque momento, a essere onesti– era mettersi in mezzo ai bisticci dei suoi fratelli; d’altra parte, però, doveva a Numero Sette ancora un paio di favori. 
«Quello che Artemis cerca di dire» fece Numero Cinque «è che siamo tutti molto sorpresi da questa decisione e–» si fermò per un istante, incerto su cosa dire. Già, cos’è che intendeva Artemis? «e pensavamo che tu saresti stato il primo a volersene andare» 
«Qualunque cosa tu voglia fare» intervenne prontamente Levi «noi ti appoggeremo» 
«Se rimani qui» Oliver sfoggiò un sorriso a trentadue denti «saremo molto vicini! Potremo rimanere in contatto, magari fare delle serate film e andare insieme al cinema!» 
«Non so cosa sia un film» Caesar alzò le spalle «ma ci sto» 
«Io lo so» le belle labbra di Esmeralda si piegarono in un sogghigno «E sta’ sicuro che ci divertiremo un casino. Scommetto che riusciremo a convincere Rigel a fare un cosplay di gruppo con noi!» 
Caesar scoppiò a ridere «Non esageriamo con le chimere, ora» 
Il sorriso di Oliver, se possibile, si allargò ulteriormente «Ce lo vedete Rigel al cinema? O a una convention, vestito da personaggio di un qualche show televisivo?» 
Di fronte a quell’immagine, anche Tony –che fino ad allora aveva tantato di rimanere impassibile– riuscì a trattenersi dal ridere. Nella sicurezza dei suoi pensieri, poteva ammettere che riunirsi non era stata poi una così cattiva idea. Certo l’imbarazzo iniziale era stato palpabile. Per non parlare della lettura del testamento, che non era ancora avvenuta. D’altra parte, però, riconosceva la piacevolezza di quell’intimità familiare e polverosa. Il modo in cui tornavano spontaneamente a incastrarsi nel vecchio meccanismo dell’Umbrella Academy: Levi calma e paziente, Esmeralda un tornado di entusiasmo, Oliver strapieno di idee folli e lui... lui in silenzio, ad ascoltare quietamente i suoi fratelli, pronto a intervenire qualora fosse necessario. 
Fu colto alla sprovvista da una fitta di nostalgia. Non rimpiangeva l’Umbrella Academy, con le sue regole e convenzioni e i suoi ingranaggi perversi di manipolazione. Ma loro? La sua famiglia? Tony era stato un po’ troppo solo in quegli anni per rimanere insensibile davanti a quel tipo di calore. In un moto di sentimentalismo, pensò che a Vittorio sarebbero piaciuti i suoi fratelli. 
«Non so voi» fece all’improvviso Oliver, strappando tutti dai propri pensieri «ma io sto morendo di fame, che ore sono?» 
«Ora di cena» Caesar diede un'occhiata sbrigativa all'orologio a pendolo che si ergeva all'angolo della stanza «E ancora nessuna traccia di Bizzie; prima ho dimenticato di chiedere a Rigel che fine abbia fatto, dannazione» 
«Possiamo sempre ordinare d'asporto» propose Esmeralda «Vi ricordate TacoJoe?» 
«Intendi il diner messicano che chiudeva quasi ogni mese per infrazione al codice igienico?» il sorriso di Levi si piegò in una smorfia un po’ schifata «Passo» 
«Io e Caesar ci andavamo ogni volta che papà era via per lavoro» protestò Numero Otto, con una voce trasognata «Joe era un brav'uomo» 
«Nessuno lo mette in dubbio, ma ho un’idea migliore» Tony si stiracchiò pigramente sulla poltrona «Perché non ordiniamo delle pizze dalla Londra babbana, senza attentare alla salute di nessuno?» 
«Mi sembra un'ottima idea» approvò immediatamente Artemis «Così non avremo nessun animale sulla coscienza» 
«Oh, non ti azzardare a riprendere quella strada!» Caesar le rivolse uno sguardo tradito «Avevi promesso che non avresti più tentato di convertirci alla tua religione blasfema!» 
«Non sto tentando di convertire nessuno!» replicò lei «E comunque essere vegetariani non è una religione ma un corretto stile di vita» 
«Ed ecco che ci risiamo» commentò cupamente Esmeralda. 
«Il tuo stile di vita te lo puoi tenere per te» sbottò Caesar «In Cina mangiavo cavallette ogni venerdì. E le adoravo!» 
Artemis sgranò gli occhi, inorridita, e gli lanciò un cuscino addosso «Mostro!» 
«Mostro? Io?» Numero Tre prese a gesticolare come un matto «Almeno la mia dieta non ha mai fatto piangere Bizzie!» 
«Non di proposito!» ribatté prontamente Artemis «Non è mica colpa mia se il pezzo forte del suo ricettario è una zuppa di cadaveri di animali!» 
«Ragazzi!» Hillevi alzò la voce, richiamando su di sé l'attenzione «Ragazzi, per piacere. Sono le dieci. Prima di morire tutti di fame, smettiamo di litigare e qualcuno abbia la decenza di ordinare delle pizze» 
«Ci penso io» fece subito Caesar, sfilando via il cellulare dalla tasca dei jeans «Vanno bene margherite per tutti?» 
«Scordatelo» rispose seccamente Esmeralda «Io ho proprio voglia di far schifo. Pensavo, prima di tutto, a una base diavola. Formaggio affumicato, salame piccante, magari delle patatine? Tu che dici Tony? Patatine o salsa? O magari entrambi?» 
Antoine alzò gli occhi al cielo «Tutto quello che ti rende felice, sorellina» 
Caesar non aveva ancora digitato il numero che già si stava pentendo di essersi offerto. Alzò gli occhi al cielo, ignorando bellamente tutti gli altri, e iniziò a indagare la rubrica del suo cellulare. 
Nello stesso momento, sulla soglia della porta del salone apparve la figura alta e allampanata di Numero Due. Ezra avanzò, cauto, verso la zona focolare, attento a non fare troppo rumore o attirare eccessivamente l’attenzione dei suoi fratelli. 
Sapeva che, da quando la sera precedente si era rinchiuso in camera, nessuno si aspettava di vederlo prender parte alla vita familiare. Eppure non era riuscito a isolarsi completamente. Poco prima era sceso per una passeggiata in giardino e le risate dei suoi fratelli, le loro voci chiare in salone, gli erano sembrate un canto di sirena. Impossibile resistere. In fondo, si era detto, io non sono Rigel
La prima ad accorgersi di lui fu Artemis, che gli rivolse un sorriso smagliante e gli fece cenno di avvicinarsi «Ezra, giusto in tempo! Stavamo ordinando da mangiare. Perché non ti unisci a noi?» 
Lui a stento colse le sue parole. Si accorse, però, del fatto che Hillevi evitava il suo sguardo «Volentieri, prendetemi quello che preferite»
«Numero Due, ricordami di inserirti nel mio testamento. A quanto pare qui in giro sei l’unico che si adatta» borbottò Caesar tra sé e sé, scoccandogli un’occhiata di gratitudine, per poi rivolgersi a Esmeralda, che nel tanto aveva continuato a parlare «Tu, piuttosto, hai finito o ci vuoi anche del bezoar sulla tua pizza?» 
«Oh, scusami se non sono banale come te» lo stuzzicò lei «Comprendo che non tutti possono essere sofisticati e unici come me» 
«Levi» la voce di Ezra tradiva un certo nervosismo. 
Hillevi gli rivolse uno sguardo indecifrabile. Cos’era a scurirle gli occhi? Rancore? Imbarazzo? 
«Avrei bisogno di parlarti» continuò Ezra «in privato» 
«Io non mi muovo da qua» si intromise Oliver, aggrovigliato con Artemis sul divano in pelle «Quindi vi suggerisco di andare da qualche altra parte, se volete privacy» 
Levi gli rivolse un sorriso imbarazzato «Oh, io non penso che–» 
Ezra non la fece neanche finire di parlare «Per favore» 
«Va bene» Levi si alzò dalla sua postazione a bordo camino e si portò una ciocca di capelli blu dietro le orecchie. Doveva soltanto parlare con Ezra. Cosa sarebbe mai potuto accadere di male? Avrebbero chiarito, si sarebbero abbracciati magari e poi sarebbero subito tornati in sala, vaneggiando sui tempi andati e raccontandosi tutto i dettagli degli scorsi anni. 
Quasi si convinse di non poter spiegare il nervosismo che le serrava lo stomaco solo a vederlo. Ezra ricambiò timidamente il suo sguardo, ma lei lo distolse subito. Ebbe la netta impressione che se l’avesse guardato per più di un secondo non sarebbe stata in grado di lasciarlo andare. 
«Ti va di andare in giardino?» propose Ezra. 
«Forse fa un po’ freddo di fuori» replicò lei «Meglio il piano di sopra» 
«Certo, il piano di sopra» ripeté Numero Due «Meglio il piano di sopra» 
Mentre i due si dirigevano verso le scale, i loro fratelli finsero di non percepire per niente l’imbarazzo palpabile tra i due e si sforzarono –da non-impiccioni quali erano– di non mettere in mezzo l’argomento. 
«Io credo che andrò in bagno» fece Tony, alzandosi dalla poltrona. 
«E io vado a cercare un po’ di linea per chiamare la pizzeria» aggiunse Caesar. 
«Se qualcuno va di sopra» Esmeralda si stropicciò lentamente gli occhi «per piacere dica ad Alexis che è ora di cena e che non può fingere di non esistere e sperare che ci dimentichiamo di lui» 
«Alexis è qui?» domandò Oliver, con le sopracciglia inarcate. 
Esmeralda rise «Proprio quello che intendevo» 
«Non vi scomodate» li rassicurò Caesar, imboccando l’uscita del salone «Ci penso io a richiamare il resto della crew» 

 

 

 

22:10, 21 Dicembre 2020 Londra (UK), Rosewood 

Quando in futuro avrebbero ripensato a quella sera di metà dicembre, tutti si sarebbero ricordati del vento gelido e graffiante che strisciava sotto i cappotti e della tensione che faceva l'aria a fette e dell'adrenalina che scorreva tra loro come corrente. Soprattutto, non avrebbero potuto fare a meno di ricordare quanto graziosa fosse Rosewood nelle sere d'inverno, la sua tranquillità in delizioso contrasto con quello che stavano per fare. Si erano trovati, puntualissimi, a mezzo kilometro dalla cancellata dell’Umbrella Academy, tutti avvolti in tensione e caldi cappotti scuri. Era una nottata brulla. Il cielo completamente coperto, il vento che raschiava il terreno. Nessuno si sarebbe accorto di loro. 
Elijah, come al solito, aveva parlato per primo. «Voglio sperare che tutti sappiate esattamente quello che stiamo per fare» aveva detto «e che è di fondamentale importanza che tutti svolgano alla perfezione il loro compito. Stanotte scriviamo la storia. Ma voglio assicurarmi che non ci siano falle nel piano» aggiunse, scoccando un’occhiata eloquente a Gideon «Sfinge, cosa devi fare?» 
Nasheeta gli rivolse uno sguardo smarrito «Chi? Io?» 
Lo Zar aggrottò la fronte, le labbra serrate di nervosismo e la voce irritata «Conosci un’altra Sfinge, per caso?» 
Lei arrossì visibilmente e abbassò gli occhi «Giusto, scusa. Volevo dire, io devo perlustrare i piani superiori e togliere di mezzo tutti quelli che trovo. Poi devo raggiungerti e starti vicino fino alla fine della missione» 
«Bene» sentenziò lo Zar «Apollo?» 
«Io sarò la tua ombra» rispose prontamente Gideon, sorridente come al solito «E ti aiuterò a tenere tutti i ragazzi occupati fino a quando sarà necessario. Terrò aperto il contatto con la Kitsune, così da poterti riferire in tempo reale come procede il suo lavoro» 
«Kitsune?» 
«Io mi recherò all’ultimo piano, nello studio di Octavius, e trafugherò i documenti che ci servono, a costo di rivoltare la stanza e infrangere ogni blocco magico. Quando avrò preso ciò di cui abbiamo bisogno e sarò uscita dalla proprietà, lo farò sapere ad Apollo» 
«Il mio compito» disse lo Zar «sarà fare in modo che vada tutto alla perfezione e risolvere qualsiasi intoppo si presenti sul momento. Kitsune, il tuo obiettivo è non farti vedere da nessuno. Evita a tutti i costi lo scontro e non attirare attenzione su di te. Se qualcuno ti vedesse, le cose si complicherebbero e potrebbero prendere pieghe sconvenienti. Quanto a te» spostò la sua attenzione su Nasheeta «Non cercare lo scontro diretto con nessuno. Non sei pronta. Io e Apollo cercheremo di radunare quanti più possibili nello stesso posto e li terremo a bada. Se si dovesse presentare Numero Uno,» aggiunse «cosa di cui sono abbastanza sicuro, lasciatelo a me. Non tentate piani suicidi dell’ultimo minuto. Mi riferisco a voi due» rivolse un’occhiata d’intesa a Gideon e Nasheeta «Ho fatto in modo che, se uno di voi due dovesse essere ferito e impossibilitato a combattere, io stesso sarei in grado di sostuirlo senza problemi. Inutile dire che preferirei evitare complicazioni» 
«Non preoccuparti, Zar» lo rassicurò Kasumi «per quanto possibile, eviteremo» 
«Perfetto. Ora muoviamoci» stabilì lui «Dobbiamo fare in fretta. E, naturalmente, mi sembra assurdo anche dirlo» la sua voce si fece acciaio «non voglio morti. Apollo, vacci piano con i ragazzi. Non tollererò cadaveri sulla nostra strada, neanche se attaccano per uccidere. Il nostro scopo è trattenerli ed essere discreti. L’Ordine non vuole sangue versato inutilmente» 
Apollo annuì «Mi sforzerò di avere la mano leggera» 
Non ci fu altro da dire. Si avviarono in tutta fretta verso l’entrata della proprietà dei Cleremont, ognuno immerso nei propri pensieri. Gideon non poteva fare a meno di chiedersi come sarebbe andata quella nottata e se davvero sarebbe tutto finito immediatamente dopo. Per quanto i suoi compagni lo ritenessero immaturo, non era uno sciocco. Impulsivo, forse. Ma non stupido. Si era reso conto di come la missione si allungasse alla fine di ogni fase, di come l’obiettivo cambiasse di momento in momento. Ed era abbastanza convinto che anche lo Zar ci avesse fatto caso. 
Ad ogni modo, meglio star zitti. Se quella sera fosse andato tutto per il verso giusto –come sperava–, avrebbe ricevuto la sua dannata promozione e si sarebbe finalmente spostato dall’Inghilterra. Se invece qualcosa fosse andato storto o l’Ordine avesse deciso –come sospettava– di prolungare ulteriormente la missione con qualche altro incarico, perlomeno avrebbe confermato i suoi sospetti. 
«Siamo arrivati» annunciò lo Zar, distogliendo tutti dalle proprie riflessioni «Kitsune?» 
Kasumi squadrò con occhio critico la cancellata dorata in stile vittoriano che avevano difronte e fece schioccare la lingua «C’è un incanto di protezione, ma non è troppo complesso. Ci penso io» concluse «Voi preparatevi» 
Gli altri non se lo fecero ripetere. Lo Zar si scrollò di dosso il cappotto nero e lo fece sparire con un gesto fluido della bacchetta e un «evanesco» appena mormorato. Indossava stivali alti per camminare nel terreno incolto dell’Umbrella Academy e una camicia bianca infilata in un paio di pantaloni di pelle di drago. Non esattamente il tuo tipico outfit di guerra, ma di sicuro degno dell’Ordine. D’altronde, lo Zar era conosciuto per essere sempre indecentemente elegante, anche e soprattutto in missione. Non c’era da meravigliarsi se l’Ordine lo aveva eletto suo araldo di morte. 
Terrore e bellezza, in fondo, sono due facce della stessa medaglia. 
Apollo lo imitò in quella che era, ormai, una convenzione pre-missione: evanescere ogni effetto personale che fosse inutile all’operazione –giubbotti, sciarpe, occhiali, biglietti, borse e contenitori di qualsiasi tipo– e poi indossare la maschera. Perché, beh, i Cavalieri di Vetro non avevano quel nome per niente. Requisito necessario prima di ogni missione era una maschera di vetro, dalle eleganti fattezze veneziane, fatta per coprire gli occhi e la parte superiore del volto, composta interamente di vetro colorato e, soprattutto, incantato. La maschera serviva a proteggere la mente dei cavalieri dagli incantesimi destabilizzatori e dalle maledizioni di controllo. 
Ogni cavaliere ne riceveva una all’investitura, con la promessa di proteggerla e renderle onore. Quella di Apollo era uno splendido mosaico di rosso vivo e giallo caldo; allo Zar, invece, era toccato un intrico di porpora e blu notte. Al momento, la Sfinge non aveva esattamente bisogno di una maschera –l'avrebbe indossata dopo, se fosse stato il caso– e, quanto alla Kitsune, giravano strane voci sulla sua. Alcuni, nell’Ordine, affermavano con convinzione che l’avesse persa e l’avesse sostituita con una che richiamava le sue origini orientali. Altri ribattevano, certi, che l’aveva rifiutata in prima battuta e c’era, addirittura, chi sosteneva che non gliene fosse stata data una in primo luogo perché la Kitsune non aveva intenzione di restare a lungo nell’Ordine. Qualunque fosse la verità, Kasumi non indossava una maschera veneziana in vetro magico. La sua era più semplice, bianca, con le fattezze rosse e sottili di una volpe, in perfetta concordanza con il suo alias. 
«Ho fatto» esclamò d’un tratto Kasumi, con un sorriso vittorioso. 
«Tutti pronti?» lo Zar portò la sua maschera al volto, lasciando che aderisse spontaneamente, e Apollo lo imitò subito dopo.  
Nasheeta, dal canto suo, aveva appena finito di imporsi un incantesimo di auto riscaldamento, dato che il suo travestimento esigeva un certo codice di abbigliamento.
«Sfinge» si sentì afferrare per il braccio da Gideon in una stretta esitante e morbida «Sta' attenta» 
Lei annuì in un gesto secco e un mezzo sorriso. Nel giro di qualche secondo, i suoi lunghi capelli rosa si accorciarono e inspessirono per diventare bruni e accarezzarle le spalle, i suoi begli occhi scuri si schiarirono in un grigio cupo e impallidì fino a perdere ogni traccia di colore sulla pelle. Si irrobustì e alzò tanto da, finalmente, riempire gli abiti che indossava –le ossa che scrocchiavano nell'allungarsi e nel restringersi–. 
La voce di Elijah, nel freddo invernale, risuonò più fredda e roca del solito «Facciamo in fretta» 

 

 

 

 

22:20, Londra (UK), Umbrella Academy 

«Allora» Levi si issò sul vecchio tavolo in mogano al centro della biblioteca e volse lo sguardo su Numero Due «di cos'è che vuoi parlare?» 
Ezra si schiarì la voce e si costrinse a non fissare troppo Hillevi. A essere sinceri, aveva impiegato così tanto tempo a capire come convincerla a parlare con lui che non aveva più un'idea precisa su cosa dovessero parlare. Anzi, di idee ne aveva anche troppe. Ma quella era una questione delicata. Sospirò. "Delicata" era il termine giusto. Anni prima, a Numero Due non sarebbe mai venuto in mente di definire in quel modo il suo rapporto con Levi. Tutto il contrario. Parlare con Levi era la cosa più semplice che potesse fare. Non esistevano forzature nelle loro parole, crepe nei loro intenti, imbarazzo nei loro gesti. Ora sembravano due sconosciuti. 
«Di questo» Ezra si passò una mano tra i capelli «So che andare ognuno per la propria strada è stata la cosa giusta, ma sono passati cinque anni, Levi. Vuoi che ci ignoriamo per questi giorni e poi torniamo a fingere di non esserci mai conosciuti?» 
Hillevi non provò neanche a sostenere il suo sguardo. 
«Non hai davvero niente da dirmi?» 
«E cosa ci sarebbe da dire?» la sua voce era poco più che un sussurro «È andata com'è andata, Ezra. Pensi che tu non mi sia mancato per tutti questi anni? Credi che sia stato facile ricominciare daccapo sapendo di aver ferito l'unica persona da cui non potevo sopportare di allontanarmi? Non è stato facile» Levi si prese la testa tra le mani «e se ora dovessimo anche solo ricominciare a parlarci, so che poi mi sarebbe impossibile voltarti le spalle una seconda volta. Capisci perché non possiamo?» 
«Capisco perché tu hai paura» replicò Ezra «e non ti biasimo, ma sono passati anni dall'incidente e penso che a questo punto siamo abbastanza maturi da riconoscere che è stata colpa mia e che-» 
«Ezra!» lo ammonì lei «Avevi promesso che non ne avremmo parlato mai più» 
«Sì, l'ho promesso» Numero Due le si avvicinò cautamente «E ti ho anche lasciata andare. Ammetto che ho fatto non poche cazzate cinque anni fa e se sono qui ora non è per l'eredità di Octavius, né per mettermi alla ricerca dei suoi fantomatici assassini. Se sono qui, è per rivedere te» 
Numero Quattro puntò ostinatamente lo sguardo per terra «Ezra, io-» 
«Cos'è stato quel tonfo?» la interruppe lui. 
Levi aggrottò la fronte e si voltò istintivamente verso la porta. Era stato solo un suono ovattato, apparentemente figlio di una fonte innocua, ma lei aveva passato venti lunghi anni in quella casa e aveva imparato a conoscerla, imprimendo nella propria memoria tutti i suoi cigolii e stridori. L'aveva sentito anche lei, quel tonfo. E, anche lei, l'aveva percepito come estraneo ai suoi ricordi, artificiale. Probabilmente era stato qualcuno tra i loro fratelli. Oliver ed Artemis erano sempre stati un po' imbranati, per non parlare poi degli istinti distruttivi di Caesar. Levi ricordava ancora di come ogni mercoledì alle otto di sera, con precisione svizzera, Numero Tre facesse a pezzi la sua stanza con una mazza da baseball; un'abitudine a dir poco terrificante, soprattutto per lei che dimorava nella camera accanto alla sua, e allo stesso modo ingiustificata, a cui però tutti si erano adeguati. 
Insomma, l'accademia non era mai stata un posto silenzioso e, ora più che mai, c'erano migliaia di spiegazioni plausibili per quel rumore estraneo. Ezra, d'altra parte, non era il tipo che crede alle coincidenze e sapeva bene che, al centro del primo piano, l'unico rumore che poteva arrivare così chiaro e sordo doveva provenire dal portone in ebano all'ingresso. 
«Qualcuno è entrato in casa» osservò. 
«Sarà stato uno dei ragazzi,» replicò Hillevi «ma forse è meglio evitare sorprese». Balzò giù dalla scrivania senza neanche aspettare una risposta e si precipitò verso la porta, certa che Numero Due l'avrebbe seguita. Percorsero in silenzio i corridoi del primo piano, le orecchie tese per catturare qualsiasi altro rumore sospetto; per quanto sperassero si trattasse di un falso allarme, erano stati addestrati per le peggiori evenienze e nessuno dei due poteva impedirsi di pensare al peggio. Sgattaiolavano furtivamente nella villa, ombre tra le ombre, seguendo quell'addestramento che tanto avevano odiato e disperatamente avevano cercato di dimenticare.  
Ma non fecero in tempo a scendere le prime scale che incontrarono qualcuno. 
«Rigel!» mormorò Levi, alzando il passo per andargli in contro «Rigel, pensiamo ci sia qualcuno al piano di sotto. Abbiamo sentito un tonfo, come della barriera centrale abbattuta, e stavamo giusto andando a controllare cosa sia successo e-» 
«Seguitemi» Numero Uno indossava una camicia grigia che non gli aveva mai visto addosso e un paio di scarpe basse da tennista che stonavano con il suo solito abbigliamento. Le mise una mano sulla spalla, mentre con l'altra si scostava i capelli dal volto spigoloso, e la spinse delicatamente verso il corridoio a destra. Lei si ritrasse istintivamente dal contatto, come scottata. Ma suo fratello non le diede modo di obiettare e riprese a camminare «Non c'è tempo; vi spiegherò tutto quando saremo al sicuro» 
Hillevi ed Ezra si scambiarono un'occhiata confusa, senza però osare contraddirlo, e lo seguirono. 
«Al sicuro da cosa?» 
Neanche a questo Rigel rispose; si limitò, piuttosto, a portarsi i capelli indietro con un gesto nervoso della mano e continuare a camminare. 
Erano già nel fitto dedalo del primo piano, diretti verso una meta ignota –in quella direzione, le uniche possibili erano il salotto orientale e il laboratorio pozionistico–, quando Ezra decise di fermarsi e fece segno a Levi di fare lo stesso. Pur avendo vissuto lì per gran parte della loro vita, nessuno dei due ricordava con precisione la pianta dell'Umbrella Academy –non con tutti i suoi corridoi e passaggi segreti, in quel labirinto che non aveva nulla da invidiare a Hogwarts– ed era possibile che si fossero dimenticati di una terza stanza da quelle parti –forse la dispensa? Oppure la lavanderia?– ma entrambi sapevano ancora benissimo il protocollo di sicurezza e le sue collocazioni: tutte le camere magicamente blindate, tutti i nascondigli a prova di disastro magico e aggressioni si trovavano tra il secondo piano e la soffitta. Qualunque cosa Rigel avesse in mente, dunque, non aveva niente a che fare con la loro sicurezza. 
«Che fate?» chiese, infatti, con lo stesso allarmismo di prima «Dobbiamo andare, prima che ci trovino» 
«Prima che ci trovi chi?» insistette Levi. 
«Loro» rispose di getto, gettando un'occhiata nella direzione da cui erano venuti, come se temesse di esser stato seguito «Gli assassini di nostro padre. Sono qui. Dobbiamo nasconderci» 
Ezra aggrottò la fronte e arretrò di qualche passo. C'era qualcosa, in quella scena, di tremendamente sbagliato; scrutò l'espressione preoccupata sul volto di Numero Uno, l'esitazione nei suoi gesti, l'apprensione nel suo sguardo e seppe, nelle proprie ossa, che qualcosa non andava. Eppure quello era proprio Rigel. Lo stesso Rigel che non gli aveva mai chiesto scusa, che non gli aveva mai dato ragione né gli aveva mai fatto un complimento o aveva mostrato alcunché interesse nei suoi confronti. Quel medesimo Rigel che, quando anni prima se n'era andato di casa, non si era curato di salutarlo; si era limitato a dire: «Sappiamo entrambi che tornerai strisciando». 
Ecco, proprio quel Rigel ora era davanti a lui, a pregarlo di seguirlo per la sua stessa sicurezza. 
«Abbiamo i minuti contati» si sporse in avanti, porgendogli una mano con delicatezza «Sii ragionevole, fratello» 
A quel punto, Ezra non ebbe più dubbi. Chiunque avesse davanti era ben lontano dall'essere suo fratello e, ancora peggio, non aveva idea di chi stesse impersonando. Con una vena pesante di amarezza, si rese conto che Rigel non si era mai rivolto a lui se non con il gelido appellativo di Numero Due. 
«Levi, allontanati da qui» disse tra i denti «E tu» soggiunse, facendo cenno a suo fratello «non fare un altro passo» 
Hillevi gli rivolse uno sguardo di occhi grandi e tanto blu quanto confusi, scoccando poi un'occhiata curiosa verso l'altro «Non... non capisco. Rigel ha detto-» 
«Ho detto allontanati, Levi» ripeté, senza staccare gli occhi dall'uomo d'avanti a sé «Questo non è Rigel» 
Levi non ebbe neanche il tempo di assimilare la notizia, che Rigel 2.0 –come lo avrebbero nominato in seguito– le puntò contro una bacchetta di legno bianco e un lampo azzurro la fece cadere a terra, incosciente. Né tanto meno Ezra ebbe la possibilità di prendere la sua, di bacchetta. 
Rigel trascinò i loro corpi nella prima stanza disponibile e ne sigillò la porta con la magia. 
Mentre si appuntava stizzosamente i capelli dietro le orecchie, la Sfinge si chiese come diavolo facesse Numero Uno a non volerseli strappare dalla testa. Trasse un profondo sospiro e riprese a camminare, stavolta verso il secondo piano, verso l'aria notturna. Fuori due.  

 

 

22:24, 21 Dicembre 2020, Londra (UK), Umbrella Academy 

Al piano terra, l'inferno. 
Erano spuntati dal nulla. Tony passava di lì per caso; più che altro stava tornando dal bagno di servizio, quando aveva visto il portone d'ingresso cadere in avanti e stanziarsi sulla soglia tre delle persone più strane che avesse mai incontrato. E, diciamocelo, Antoine Cleremont ne aveva incontrata di gente eccentrica nei suoi anni di servizio all'Umbrella Academy. Octavius aveva l'abitudine di ospitare all'accademia eventi di ogni tipo: dai salotti intellettuali alle serate di beneficenza, passando per nottate di gala e conferenze politiche. Le maschere veneziane, però, era nuove. 
A Tony era bastato uno sguardo per capire che non erano lì per fare conversazione. Era arretrato lentamente e, prima che i tre loschi figuri davanti a lui potessero iniziare a lanciare incantesimo, era corso in salone. Esmeralda era in piedi, le spalle al camino e lo sguardo fisso verso la porta; aveva già impugnato la bacchetta e lo accolse con uno sguardo di aspettativa. Oliver e Artemis si alzarono appena entrò, scambiandosi occhiate preoccupate. 
Tony era avanzato a grandi falcate verso di loro «Protocollo 12. C'è gente in casa e ho la netta impressione che non abbiano buone intenzioni» 
A Esmeralda servì un secondo per decidersi «Vai a chiamare Rigel. Corri. Noi li tratterremo finché possiamo» 
Numero Cinque aveva annuito seccamente e si era fiondato oltre la porta che dava sul giardino; direzione cripte. 
A quel punto, i tre Cleremont –bacchette in mano e in posizione di difesa– avevano atteso l'arrivo degli ospiti inaspettati. Ne erano giunti due. Uno aveva una selva di ricci ramati e un sorriso tutto denti, l'altro labbra sottili e il passo discreto ma sicuro di chi sa cosa sta facendo. Entrarono nel salone come se fossero i padroni di casa e li squadrarono con sguardi da predatori dietro alle eleganti maschere di vetro. Esmeralda gli si parò d'avanti con il mento alto e occhi neri e tempestosi. 
«Chi siete?» 
«Puoi chiamarmi Zar. Il mio compagno, invece» un cenno distratto oltre la spalla «è Apollo. Noi siamo la Giustizia, venuta a chiedere il conto delle vostre azioni» 
«Dammi retta, Zar» Esmeralda rise, una risata amara e senza alcuna gioia «Abbiamo già pagato il conto, con tutti gli interessi. Andatevene ora e fingeremo che non sia successo nulla. Restate» sul suo volto sparì anche l'ombra del sorriso «e il prezzo che pagherete sarà in sangue» 
«Parole audaci» aveva commentato l'altro, Apollo «per un morto che cammina» 
La prima maledizione colpì il pavimento e crepò il marmo. 
Da quel momento, non ci fu più spazio per le parole. 

 

 

 

 

22:17, 21 Dicembre 2020, Londra (UK), Umbrella Academy 

«E tu chi diavolo sei?» 
Kasumi si girò di scatto, per ritrovarsi difronte a quello che –a giudicare dal metro e ottanta e dal sorriso beffardo– doveva essere Numero Tre. Si bloccò, pietrificata, e iniziò a pensare a cosa potesse inventarsi. Era appena arrivata al secondo piano, attentissima a non farsi vedere da nessuno, e si stava dirigendo con più discrezione possibile verso la porta in fondo al corridoio. Lo studio di Octavius Cleremont. Scrigno di immensa conoscenza e di segreti impronunciabili che solo lei poteva aprire. Aveva anche tolto la maschera per prendere riprendere fiato nell'ambiente polveroso e chiuso dell'accademia. E ora, a distanza di un paio di passi e di un potente incantesimo di infrazione, veniva scoperta. Si prese un paio di secondi per ragionare. Mettersi a combattere era fuori discussione. Il punto fondamentale del suo compito nella missione era la discrezione e un combattimento non solo l'avrebbe rallentata, ma avrebbe anche attirato più attenzione di quanto potesse permettersene. D'altra parte, però, se l'avesse schiantato in quel momento, avrebbe avuto dalla sua il fattore sorpresa. Ma quanto l'avrebbe aiutata? Caesar Cleremont era al pari di suo fratello Rigel, se non forse più micidiale. Uno schiantesimo non l'avrebbe tenuto a freno a lungo e, una volta ripresosi, gli sarebbe bastato uno straccio di pensiero per ridurla a una salsiccia agonizzante. E lei proprio non ci teneva. In tutto ciò, stava passando troppo tempo senza che lei parlasse. Si sarebbe insospettito. Kasumi non era mai stata una tipa da improvvisazione. L'imprevedibilità le metteva ansia e le cose che non riusciva a controllare la facevano innervosire. Caesar Cleremont avrebbe dovuto essere nel suo letto, a dormire dopo quel viaggio sfiancante che aveva fatto dalla Cina centrale fino a Londra senza magia. Eppure era lì, cosciente e in piena forma a squadrarla come se fosse un pasticcino durante il tè del pomeriggio. 
«Non c'è bisogno che tu risponda» disse lui all'improvviso, un'espressione cupa ed enigmatica sul volto «Io so chi sei» 
La Kitsune si sforzò di rimanere impassibile lì dov'era, senza irrigidirsi troppo. In realtà era pronta a tirar fuori la bacchetta al primo segno di pericolo, magari lanciargli addosso quel delizioso vaso di terracotta che sedeva sul mobile accanto a lei. «Ah sì?» ebbe il coraggio di mormorare, guardandolo dritto negli occhi. 
«Mi pare ovvio» rispose Numero Tre, avvicinandosi pericolosamente a lei e mantenendo il contatto visivo «che tu sia la nuova domestica» 
Kasumi rimase di sasso. La nuova cosa? Secondo quale logica una persona vestita completamente in nero che si aggira furtivamente per i quartieri privati di una casa potrebbe essere una domestica? Le ci volle tutto l'autocontrollo del mondo per non tradire il suo nuovo alibi, appena gentilmente fornito da monsieur Caesar Cleremont. Distese le labbra in un sorriso cordiale e annuì, immaginando che le domestiche facessero così. Di come si comportasse una domestica, in realtà, la Kitsune non aveva la più pallida idea. Ma –hey– Caesar –maledetto lui– sembrava piuttosto convinto dalla sua performance. 
Improvise. AdaptOvercomepensò tra sé e sé. 
«Questo spiegherebbe perché Bizzie è praticamente sparita e la casa è ancora in piedi» Numero Tre sorrise di rimando e si rilassò visibilmente, prendendosi del tempo per squadrarla ancora un po' da capo a piedi «In ogni caso, questo piano al momento è off limits e l'ora è abbastanza tarda, non trovi? Non che non apprezzi la tua dedizione» si affrettò a continuare, con imbarazzo «ma forse è ora di tornare a casa. Voglio dire... non intendo in alcun modo denigrare la tua professione e, anzi, te ne sono estremamente grato e, proprio per questo, credo che tu debba amarti e rispettarti abbastanza da andare a riposare. Nel senso di rispettarti!» aggiunse subito dopo «Non che io pensi che tu non possa essere amata, semplicemente non credo che siamo arrivati a quel punto della nostra relazione. Non che noi- insomma, hai capito» 
La Kitsune non lo ascoltava già da un pezzo. L'ansia continuava a crescerle in petto. E ora che diavolo gli diceva? Se solo ci fosse stato Gideon, al posto suo, avrebbe già trovato una comoda scappatoia da quella situazione. Ma Gideon non era lì. E lei doveva liberarsi alla svelta di Numero Tre. «Il fatto è» balbettò, dandosi mentalmente dell'idiota «che mi sono persa. E dovrei finire di pulire lo studio del Signor Cleremont. C'è una nascente infestazione di doxy e io non posso permettere, sul mio onore, che si arrivi al punto di chiamare i disinfestatori» 
«Ah, ma potevi dirlo subito!» esclamò Caesar, deliziato, passandole un braccio attorno alle spalle e sospingendola nella direzione opposta a quella sperata «Lo studio lo puoi ripulire dopo il funerale, ma ti accompagno volentieri alla porta d'ingresso. Anzi!» le rivolse un sorriso a trentadue denti «Questa casa è tremendamente cupa da quando la nostra elfa domestica è... beh, non so dove sia di preciso, ma fatto sta che questa casa è un mortorio. Quindi perché non mi fai compagnia e ti fermi a mangiare... come hai detto di chiamarti?» 
«Joanna» sputò fuori lei, facendo un ennesimo sorriso di circostanza che più che un sorriso sembrava la smorfia di un barbone epilettico «E non è proprio il caso di fermarsi a mangiare. Anzi, forse dovrei andarmene subito» aggiunse, slegandosi dalla stretta. 
«Ma come, Joanna?» insistette lui, invadendo nuovamente lo spazio personale della sua "domestica" «Ci conosciamo così poco! Potremmo conoscerci meglio, parlare delle nostre vite difronte a una tazza di tè caldo o a una cena d'asporto. Penso che sarebbe molto edificante per la famiglia Cleremont andare oltre i rapporti professionali e conoscere la persona che c'è dietro. Per esempio... per esempio tu sembri molto giovane, perché fai la domestica?» 
«Un lavoretto part-time» lo liquidò la Kitsune, ancora miracolosamente nella parte «per mettere qualcosina da parte mentre studio» 
«Una donna onesta, vedo!» Caesar, osservò la ragazza, doveva avere un vero talento nel non accorgersi delle cose ovvie. Ma lei non era proprio nella posizione di lamentarsene «E cos'è che studi?» 
«Magizoologia» rispose lei, tutto d'un fiato, senza smettere di sorridere come un'idiota «Nella scuola specializzata di Londra» 
«Sembra stupendo. Sai? Non sapevo neanche che ci fosse una scuola specializzata di magizoologia qui a Londra!» lui sorrise ancora, poi però aggrottò la fronte e la ragazza maledisse qualunque cosa stesse per dire «Ma cos'è che hai in mano?» 
«Oh, questa dici?» replicò Kasumi, con la voce molto più acuta di quanto avrebbe voluto, alzando la sua maschera e pregando di non sembrare troppo sospetta «Una sciocchezzuola!» esclamò «Tipica della...» esitò un attimo «tradizione delle domestiche giapponesi, naturalmente. La volpe è... simbolo delle... pulizie intelligenti. Sai? Risparmio, scelta di prodotti efficienti, roba da domestiche» 
Numero Tre annuiva con grande interesse e un'espressione trasognata che quasi la fece sentire in colpa «Affascinante. Sai? Ho trascorso tanto tempo in Asia, negli scorsi anni» commentò in tono più cupo, come se all'improvviso qualcosa lo avesse reso infinitamente triste e stanco «ma non avevo mai sentito dell'associazione tra l'antico spirito della volpe e le pulizie domestiche. Queste piccolezze mi fanno davvero rendere conto di quanto avrei potuto imparare se non fossi stato alla finestra ad aspettare un gufo, con la testa ancora Inghilterra. Ma la vita è breve, Joanna» sospirò, con lo sguardo fisso nel vuoto «Carpe diem, Joanna, quam minimum credula postero» 
Più tardi, quella sera, Kasumi si sarebbe complimentata con se stessa per quel suo talento nascosto che era la recitazione e si sarebbe chiesta, pungolata dal senso di colpa, quanto solo si dovesse sentire qualcuno per attaccare bottone con la domestica e iniziare una conversazione filosofica. Per il momento continuò ad annuire con insospetta solennità. Tristemente, le passò per la testa, ne so qualcosa di vivere nel presente e non pensare al futuro. 
«Cosa diavolo è questo rumore che viene da giù?» borbottò improvvisamente Caesar, aggrottando la fronte. Entrambi si voltarono verso la parte est del corridoio, dove iniziavano le scale ed echeggiavano strani rumori, e per un attimo rimasero in silenzio. Poi Caesar piegò le labbra in una smorfia indecisa «Saranno arrivate le pizze. Scendi con me, Joanna? Se non mi sbrigo, quei barbari dei miei fratelli si prenderanno la mia diavola» 
«No, io...» rispose Kasumi, incerta. La sua capacità di mentire si indeboliva a ogni sguardo speranzoso «vado a prendere le mie cose ed esco dal retro. Ma grazie per l'offerta, sarà per un'altra volta» 
Numero Tre alzò le spalle, le rivolse un ultimo stralcio di sorriso e imboccò le scale, senza neanche immaginarsi cosa stesse succedendo al piano terra. Kasumi lo guardò andar via con una certa aspettativa e un po' di rimorso. Se per aver mentito così spudoratamente a una persona che non le aveva fatto nulla o per aver indirizzato una macchina da guerra ai suoi compagni di reggimento, che sicuramente erano già parecchio impegnati, non seppe dirlo. D'altra parte, però, non aveva avuto scelta in entrambi i casi. Non era in grado di misurarsi con Numero Tre come un nemico (al contrario di altri) e, anche se lo fosse stata, aveva un altro compito. E aveva già perso troppo tempo. 
Solo quando lui ebbe voltato l'angolo, si permise di tirare un sospiro di sollievo. Tempo di darsi da fare, pensò. 
Mentre si dirigeva a grandi falcate verso lo studio, si rese conto di avere la faccia atrofizzata dal troppo sorridere e, per la milionesima volta da quando lo aveva conosciuto, maledisse Caesar Cleremont. 

 

 

 

22:37, 21 Dicembre 2020, Londra (UK), Umbrella Academy 

«Ma quanto ci mette Tony?!» 
La voce di Esmeralda traboccava di impazienza. Da quelle che sembravano ore –e che in realtà erano più o meno quindici minuti– continuava a parare gli attacchi dello Zar, retrocedendo suo malgrado verso il camino. E più indietreggiava, più si infuriava e cercava disperatamente di contrattaccare in qualsiasi modo. In realtà si rendeva conto di essere in netto svantaggio rispetto al suo avversario; a malapena era in grado di bloccare un colpo che già ne arrivava un altro e aiutava ancora meno la consapevolezza di star affrontando uno dei due nemici e che nessun altro in quella stanza era propriamente in grado di combattere. 
Dall'altro lato del salone, infatti, il secondo aguzzino stava conducendo un duello tremendamente impari con Artemis. Numero Sette non prendeva in mano una bacchetta da anni. E si vedeva. I suoi attacchi erano imprecisi e lenti e il suo avversario sembrava sapere esattamente cosa stesse per fare. Se era ancora in piedi era perché assieme a lei duellava Oliver, che sembrava ricordare un po' di più dei loro tempi a Hogwarts. E Tony ancora non tornava. Dannazione. Esmeralda guardò la maschera elaborata del suo avversario, la facilità con cui avanzava, costringendola lentamente in un angolo, i movimenti fluidi della sua bacchetta, sentì i suoi incantesimi non verbali abbattersi sui suoi scudi e seppe, nelle ossa, che non c'era via d'uscita. 
A giudicare dal mezzo sorriso di lui, non era l'unica a rendersene conto. 
«Artemis!» un colpo più potente degli altri la costrinse a un repentino cambiamento di direzione. Lo scudo magico sempre alzato, Numero Otto saltò agilmente sul divano, pregando quel Dio in cui non credeva più di tanto che i suoi stivali col tacco non la tradissero proprio nel momento del bisogno «Artemis, dannazione! Usa i tuoi poteri!» 
«Non... non posso!» balbettò Artemis, rivolgendole uno sguardo a dir poco disperato «Distruggerei la stanza!» 
«Stupeficium» 
Oliver cadde rovinosamente a terra e fece appena in tempo a prendere la sua bacchetta per evitare un altro schiantesimo e contrattaccare. Artemis era al centro della sala, ignorata momentaneamente dai due avversari, e si guardava intorno con un'espressione disperata. Certo che ricordava cos'era successo l'ultima volta che aveva usato i suoi poteri. Come faceva a dimenticarsene? Non era forse per quello che aveva abbandonato l'Umbrella Academy, la sua famiglia e l'intero mondo magico? 
Esmeralda balzò giù del divano e le rivolse un'occhiata esasperata «Preferisci che distruggano me?» 
«Onestamente non mi darebbe fastidio un aiutino, Missie» la incoraggiò Oliver, che ora esibiva un vistoso taglio sul braccio sinistro. 
Fu un attimo. Il tempo di lanciare un'occhiata speranzosa alla porta che dava sul retro. Ad Esmeralda volò via la bacchetta. Si guardò le mani per qualche istante, inorridita, e sentì su di sé lo sguardo impietoso del suo avversario, che già rivolgeva l'attenzione ai suoi fratelli. Le mancò il respiro. Le bastò uno sguardo di traverso ad Artemis –a occhi chiusi al centro della stanza, immersa nel tentativo di richiamare i suoi poteri– e a Oliver –che giocava una partita persa in partenza contro Apollo– per capire che non poteva permettersi di farsi sconfiggere. E Rigel ancora non arrivava. Contro ogni aspettativa, Esmeralda brandì una spranga di ferro rovente da dentro il camino e si lanciò, urlando, contro il suo avversario. 
Questo, finalmente, sembrò prenderlo alla sprovvista. 
Lo Zar indietreggiò verso il centro della sala, un sorriso divertito a incurvargli le labbra. Esmeralda tentava affondi con tutta la creatività di cui era capace, passandosi l'arma improvvisata da una mano all'altra, puntando alle gambe, alle spalle, al petto, senza mai alcun risultato. E, anche quando riusciva a colpirlo, il suo nemico non dava segno di provare alcun dolore; tanto che, all'ennesimo affondo, afferrò la punta rovente della spranga con due mani, incurante del calore, e la tirò con violenza verso di sé. Numero Otto perse l'equilibrio e finì per cadergli addosso. Nella foga del momento perse la presa della spranga e cercò di recuperarla alla cieca. Era del tutto consapevole che senza bacchetta e a mani nude, contro un uomo come quello che le stava davanti, non sarebbe rimasta in piedi per un minuto. Per questo, cercò di riappropriarsi della spranga o, perlomeno, di non cadere. Tese una mano verso l'alto, tentando di ricordare i rudimenti della magia senza bacchetta, e pensò "Accio". 
L'arma non tornò mai nelle sue mani, ma Numero Otto strappò qualcosa di ben più prezioso allo Zar. La maschera viola e blu non fece in tempo ad arrivare a lei che si infranse sul pavimento. Esmeralda ebbe appena un momento per guardarlo in faccia, per fissarlo senza pudore e memorizzare i dettagli del suo volto, prima che lui la atterrasse del tutto con un calcio rabbioso, negandole qualsiasi senso di trionfo avesse sentito. 

 

 

 

22:44, 21 Dicembre 2020, Londra (UK), Umbrella Academy 

«Cosa diavolo sta succedendo qui?» la voce di Caesar li fece voltare d'improvviso tutti verso la porta d'accesso al salone. 
Oliver si concesse un sorriso -più che altro un angolo alzato delle labbra- e approfittò della momentanea distrazione del suo avversario, che osservava Numero Tre con una ruga di preoccupazione sulla fronte, per recuperare la bacchetta e ritornare in posizione d'attacco. La situazione non poteva andare peggio di così: Esmeralda non faceva in tempo a rialzarsi da terra e curarsi appropriatamente che il suo avversario ricominciava a infierire su di lei, con quelli che potevano essere solo incantesimi non verbali. Numero Otto gli aveva strappato via la maschera, certo, ma per il resto quella rimaneva una partita persa in partenza. Lui e Artemis, invece, combattevano contro il tizio che si faceva chiamare Apollo, il quale non faceva alcuna fatica nel tenerli a bada entrambi e, per qualche ragione, non si decideva a schiantarli. Se non fosse stato così tremendamente impegnato a non farsi uccidere, Numero Sei avrebbe pensato che c'era qualcosa di strano in quella scena. 
Caesar arrivava come un miracolo. 
Non appena lo videro, Apollo e lo Zar si scambiarono un'occhiata di intesa e, mentre il primo schiantava Artemis e disarmava Oliver, il secondo rallentava nei suoi attacchi ad Esmeralda e le permetteva di controbattere ai suoi incantesimi o, perlomeno, di rialzarsi e guarire parzialmente. Da parte sua, Caesar Cleremont tentò di mettere da parte lo sgomento e zittire ogni pensiero nella sua testa, di prepararsi a quello che sembrava uno scontro inevitabile di cui non sapeva ragioni né propositi. E pensare che era tornato a casa con la speranza di trovare un po' di pace. 
«Tu» tutti i buoni propositi di Numero Tre si stracciarono non appena gli occhi gli caddero sul ragazzo difronte a lui «Io ti conosco!» 
«Mio vecchio amico» Apollo allargò le braccia e il sorriso, come a invitarlo ad avvicinarsi «Da quanto tempo non ci si vede! Almeno un paio d'anni, se ricordo bene, e come sei cresciuto mentre ero via... confesso che sono commosso da questo riconoscimento topico! Ammettilo, ti sono mancato» 
«Stammi a sentire» Caesar occhieggiò sua sorella, incosciente sul pavimento, e poi il suo nemico «Non ho idea di come tu abbia fatto due anni fa in Siberia e non voglio neanche saperlo, ma ti assicuro che sono migliorato e ora non hai nessuna possibilità» 
«Ti ricordi di quanto ci siamo conosciuti!» esclamò Apollo, deliziato «Non è una meraviglia, questo Caesar Cleremont? Tu che ne dici, Zar? Non trovi sia un tale bravo ragazzo?» 
Lo Zar gli scoccò un'occhiataccia, ma non rispose. Sapeva che per il suo stimato collega quella non era che la normale dinamica di un combattimento. Questa teatralità esasperata era il suo marchio di fabbrica, il suo segno distintivo e, fintanto che portasse a termine il suo lavoro, non gli interessava quanto parlasse e quanto combattesse. 
«Certo che mi ricordo di quanto ti ho preso a calci per la prima volta, Apollo» replicò Numero Tre «Ma stanotte andrà diversamente» il suo sguardo si fissò sulla figura di Apollo, andandone a tracciare il profilo morbido della maschera e poi quello netto delle spalle rilassate e della vita «Dole» 
Era qui che accadeva quella che Octavius aveva definito magia e Artemis –in un giudizio muto e sacro, impronunciabile– un abominio. Caesar si aspettò di vedere il suo avversario crollare a terra urlando, prendersi la testa tra le mani e poi darsi al furor doloris –come gli piaceva chiamarlo–: iniziare a pregare, piangere, staccarsi una mano a morsi, cercare di cavarsi gli occhi, contorcersi a terra, distrarsi in qualche modo dal dolore. 
Apollo, invece, si mise a ridere, di gusto, pienamente. Gettò la testa all'indietro e sulle sue guance si scavarono un paio di fossette. 
«Dovresti vedere la faccia che stai facendo in questo momento» riuscì a dire tra le risate «È impagabile» 
Caesar non seppe far altro che stringere i pugni fino a far sbiancare le nocche. E sì che aveva passato gli scorsi due anni a studiare il suo potere, imparare a controllarlo e declinarlo nelle varie gradazioni di dolore, a intrappolarlo in una sola parola. Un imperativo, il verbo del comando. In latino, la lingua dei suoi avi. Un idioma con un significato, con una storia. Dole. Soffri. Tutta la rabbia presuntuosa che il suo animo potesse contenere traboccava in quelle due sillabe. Eppure, Apollo rideva e sembrava del tutto indifferente alla sua furia. «Dole!» ripeté, a voce piena. 
«Andiamo, non dirmi che è l'unico coniglio nel tuo cappello» 
«L'unico coniglio!?» sbraitò Caesar «Qualunque sia il tuo trucco, svelalo e combatti da uomo!» 
Apollo gli rivolse un sorrisetto condiscendente «E che gusto ci sarebbe in questo?» 
Numero Tre non ebbe modo di replicare, che sulla porta della sala comparve un'altra figura. Una ragazza che doveva avere pressappoco la sua età. Aveva lunghi capelli rosa pastello e la pelle di un piacevole color caramello; sul volto, la stessa maschera del suo compare, solo nei toni del verde e del rosa. Non appena la vide, Apollo dissimulò un'espressione preoccupata e tirò fuori la bacchetta per cominciare ad attaccare Numero Tre. La Sfinge non si fece pregare e si unì immediatamente a lui. 
La sala si fece fitta di maledizioni che volevano da una parte all'altra, di imprecazioni soffocate e respiri affannati. 
Esmeralda sembrava aver riguadagnato terreno contro lo Zar, ma comunque non riusciva a disarmarlo o procurargli un qualunque danno effettivo; sorgeva in lei, a ogni colpo perfettamente parato, il sospetto che la stesse indulgendo. Oltre i divani, Apollo e la Sfinge tenevano a bada Caesar, senza tuttavia mai in effetti mandarlo a terra o ferirlo abbastanza da metterlo fuori gioco. Tutto sembrava andare secondo il piano ed Elijah ebbe l'impressione che sarebbero potuti andare avanti con quella scenetta per molto altro tempo. 
Ovviamente non fu così. Numero Tre, prima ancora di vederlo, lo percepì. L'ambiente divenne d'improvviso più cupo, come se ci fosse una tenda a filtrare la luce del fuoco nel camino e quella della luna oltre la finestra. Gli calò sugli occhi un'oscurità opaca ma non fredda, non ruvida. Quelle erano tenebre che conosceva e che amava, il buio di suo fratello. Dovette accorgersene anche Esmeralda. Numero Otto non aveva mai provato quel tipo di debolezza. Forse da piccola. Forse quando era la più innocua dei suoi fratelli, incapace di far altro che guarire graffi e lividi dopo una missione. Lo Zar aveva chiaramente capito il ritmo della sua rigenerazione e ci giocava attorno, dandole appena il tempo di riprendersi, di trovare la forza per non collassare a terra, prima di colpirla di nuovo. Lo stesso parevano fare Apollo e l'ultima arrivata con Caesar. Stavano prendendo tempo, non c'era altra spiegazione. Li stavano attirando in salone, tenendoli sulle spine, senza muovere un dito di troppo. Quanto al motivo, non le era dato saperlo ed era sicura che l'avrebbe tenuta sveglia tutta la notte.  
L'entrata in scena di Rigel –perché quel buio innaturale non poteva significare altro– andava a sconvolgere gli equilibri di forza. Se solo avesse avuto un paio di secondi in più, il tempo di guarire del tutto e ristorare le sue forze, avrebbe potuto rendersi utile. Si guardò intorno –gli occhi sgranati per vedere meglio– alla ricerca di una qualche via di fuga. Lo Zar, tuttavia, dovette capire le sue intenzioni e l'arrivo di un altro, inaspettato ospite, perché le rivolse uno sguardo di sufficienza e agitò la bacchetta in una maledizione silenziosa che fece cadere Esmeralda a terra.  
«Numero Uno» lo Zar non si curò neanche di accertarsi che non si rialzasse «È scortese rimanere nascosti a guardare. Rivelati» 
Per qualche secondo, la stanza si fece del tutto nera, un turbinio di buio indistinguibile, poi l'ambiente si andò a rischiarare e la sagoma di Rigel Cleremont si delineò proprio davanti al pianoforte. Accanto a lui, le ombre. Erano in tre. Figure completamente nere ma diverse tra loro: l'una più alta, l'altra più robusta, una invece bassa e sottile come un giunco; tutte, però, avevano denti bianchissimi da esibire in ghigni animali e occhi che erano punti di luce. Parevano creature profane che aleggiavano immateriali sopra il pavimento senza toccarlo davvero. Rigel quasi si confondeva tra loro, tenebra tra le tenebre. Quando si fece avanti, Caesar si liberò rapidamente di Apollo e spinse via la Sfinge per affiancarlo, incurante delle ombre che gli orbitavano attorno. 
«Perdonate il ritardo» gli occhi di Numero Uno correvano incessanti tra i suoi avversari «Il mio invito dev'essersi perso nella posta. Ma mi sembra che la festa stia andando comunque alla grande. Non lo pensi anche tu, Caesar?» 
Caesar gli scoccò un'occhiata impaziente «Dove diavolo sei stato finora?» gli chiese in un mormorio nervoso «Sono neutralizzato» 
Apollo e la Sfinge non osavano muovere un muscolo. Lo Zar osservava. 
«Non dire sciocchezze» lo liquidò Rigel «Non sei neutralizzabile, Che. Avrai scelto il nemico sbagliato, come al solito» 
«Allora? Qual è il tuo piano geniale?» lo incalzò. 
Rigel fissò il suo sguardo sulla Sfinge «Ti ricordi i nostri addestramenti?» non ebbe bisogno di una risposta «Protocollo di combattimento sette» 
Tutto si mosse con precisione meccanica. Due delle ombre corsero a bloccare Nasheeta, la loro presa gelida e ferrea sulle sue braccia, e Caesar le rivolse un sorriso da predatore. «Dole». Questa volta non ci fu alcuna delusione. La Sfinge crollò a terra, contorcendosi nella stretta delle ombre, e iniziò a tremare incontrollabilmente, gli occhi lucidi e sgranati sotto la maschera. Le maledizioni di Apollo andarono a infrangersi contro lo scudo alzato di Rigel e Numero Tre ne approfittò per alzare una mano verso di lui, sulle labbra la promessa di un orrore senza nome. «Dole!». Apollo si bloccò del tutto, ma non cadde. La presa sulla bacchetta si fece spasmodica e le labbra si pressarono in una linea di sforzo. 
«Hai finito di giocare, Numero Uno?» lo Zar scoppiò in una risata scolorita «Quando ti riterrai soddisfatto, sono qui per una partita alla pari» 
Numero Uno mise su un'espressione annoiata «Non lusingarti troppo, Zar. Tu non sei mai stato alla mia altezza. So cosa credi di star facendo, ma questo è il mio gioco e tu stai ballando al ritmo della mia musica» 
«Ma davvero?» la voce di Apollo era roca e vibrante di un sarcasmo velenoso, mentre lui resisteva con sempre più fatica al dolos di Numero Tre «Vi conoscete?» 
Elijah si mise in posizione d'attacco «Non ha importanza. Dopo stanotte non ci rivedremo mai più» 
«Lo hai detto anche la scorsa primavera, non è così?» Rigel estrasse la bacchetta e si avvicinò ulteriormente. Le ombre lasciarono la Sfinge, in lacrime sul pavimento, per riaffiancarlo e Caesar tornò a occuparsi di Apollo «E tuttavia ci siamo rincontrati e neanche quella volta eri da solo. Non ti ricordi cos'è successo alla tua amica Medusa, l'ultima volta che ci siamo visti?» 
«Certo che lo ricordo» lo Zar parò con un gesto della bacchetta una maledizione silenziosa e materializzò nella sua mano un grosso pugnale ricco di fregi; sulla lingua, il peso della menzogna che stava per dire «Ma tuo padre è morto da solo in un letto d'ospedale e Medusa si è battuta fino all'ultimo per la causa in cui credeva. Chi pensi abbia avuto la fine migliore?» 
«Mio padre giace dignitosamente nella tomba di famiglia» il buio attorno a Rigel si fece più fitto nel tanto che lui si avvicinava senza mancare un colpo, la sua voce rimaneva ferma e gelida «La testa della tua Medusa è nella mia sala trofei, la sua ombra al mio servizio. Sei ancora sicuro su chi abbia ricevuto la sorte più clemente?» 
Questo dettaglio parve coglierlo di sorpresa. Lo Zar si fermò per un secondo, come paralizzato, per guardarlo con occhi scuri e assenti. I suoi precedenti scontri con Numero Uno erano sempre stati accidentali, dato che l'Ordine preferiva non entrare in collisione con la gente che circondava i suoi bersagli, ed erano avvenuti più che altro nel periodo delle ricerche, prima di dar inizio alla missione. Lo Zar li ricordava come sfocati e lontani. Schegge di un'altra vita, incastratesi nel cuoio dei suoi stivali mentre se la lasciava alle spalle. Tra di esse c'era il nome di Medusa, che era stata sua partner fuori e dentro l'Ordine per dieci anni e la cui morte era stata liquidata dal Generale come una tragedia eroica. Ad Elijah Stone si spezzò il cuore quando la sua Anastasia morì, in quella missione che avrebbe dovuto garantirle la libertà, ma allo Zar non fu concesso alcun lutto. Per i Cavalieri non esisteva riposo dalla guerra. 
«Ah, questo non lo sapevi» Numero Uno approfittò della momentanea debolezza del suo avversario per aizzargli contro le sue ombre «Non te l'hanno detto cos'è successo a tutti i fantocci che mi hanno mandato contro?» 
Lui incassò in colpo, ma riprese subito a difendersi. Con gli scudi alzati, il volto una maschera impassibile di pietra, cominciò a tracciare nell'aria ampi fendenti del suo pugnale, di un acciaio chiaro e luccicante nelle tenebre. Rigel sembrò capire subito di cosa si trattava, perché indietreggiò rapidamente, curandosi di non urtare nella traiettoria il piede di un divano rovesciato e lo spigolo del tavolino in legno bianco. In ogni caso, non fece in tempo a scostarsi. Né la barriera magica servì a qualcosa. La lama del pugnale affondò nella carne con una lentezza esasperante. Furono le ombre a spingere indietro lo Zar, mentre Numero Uno si portava le mani all'addome e cercava di impedirsi di gridare o piangere o cedere all'attacco di panico che minacciava di rovesciare la sua calma mentale. 
Si decise, infine, a stringere i denti e ricominciare a combattere. 

 

 

 

22:57, 21 Dicembre 2020, Londra (UK), Umbrella Academy 

«Ma che-»  
Alexis si concesse un paio di secondi per contemplare lo spettacolo insolito –e parecchio inquietante– di due dei suoi fratelli incoscienti, legati malamente a due sedie nello sgabuzzino del primo piano. Pochi minuti prima aveva deciso che fissare il soffitto della sua vecchia camera per il resto della permanenza all'accademia non era poi una grande strategia. I suoi fratelli, in fondo, non gli avevano fatto nulla. Si sentiva bizzarramente in colpa all'idea di ignorarli anche quando dormivano sotto lo stesso tetto. Ezra non dimenticava mai di mandargli una cartolina nelle occasioni speciali e Caesar, per i primi quattro anni dopo la sua fuga da casa, lo aveva sommerso di missive via gufo; per non parlare dell'anno in cui Esmeralda aveva in qualche modo rintracciato il suo numero di telefono, con la vana speranza di poterlo rincontrare. Da parte sua, Alexis riconosceva di essere un pessimo fratello. Non solo non aveva ricambiato in alcun modo i tentativi di contatto della sua famiglia negli ultimi otto anni, ma ora si rifiutava anche di scendere in salone e discutere civilmente con loro. La lunga meditazione in solitario e il senso di colpa lo avevano, infine, convinto a tentare un approccio pacifico nei confronti della sua famiglia. Il giorno dopo, ovviamente. Piombare in salone nel mezzo della serata avrebbe accentuato la sua precedente assenza, mentre, se si fosse presentato a colazione la mattina dopo, la sua apparizione sarebbe sembrata più naturale. Si rasserenò al pensiero che, con ogni probabilità, Rigel non si era ancora fatto vivo e, di conseguenza, lui sarebbe stato solo il penultimo fratello ad aggiungersi alla riunione di famiglia.  
Quanto alla questione dello sgabuzzino, era stata una mera coincidenza. Spinto da un'insolita voglia notturna, cercava il bagno del primo piano, quello con la vasca in pietra che, a detta di Esmeralda, faceva invidia al bagno dei prefetti di Hogwarts e che, casualmente, Octavius aveva proibito ai suoi figli per i loro primi quindici anni di vita. Per (s)fortuna, non ricordava bene dove si trovasse e aveva iniziato ad aprire tutte le porte in cui si imbatteva, con il risultato di trovarsi difronte a uno spettacolo a dir poco bizzarro.  
Suo malgrado, tirò fuori la bacchetta e recitò una formula blanda di guarigione.  
Ezra aprì gli occhi di scatto e trasse un respiro profondo. Quando si accorse della sua presenza, lo guardò come se volesse farlo a pezzi «Liberaci, mostro»  
«Rigel...» Levi sbatté le palpebre un paio di volte «Dio, la mia testa...»  
«Che avete voi due?» Alexis iniziò a sciogliere i nodi delle vecchie corde sfilacciate «Ezra, cos'è successo?»  
Numero Due gli rivolse un'occhiata sospetta, come se stesse valutando se atterrarlo appena la corda fosse allentata o no. Poi si decise «Quando avevo sei anni, tu e uno dei nostri fratelli mi prendevate in giro senza sosta. Perché?» 
Alexis aggrottò la fronte, cercando di far mente locale e non pensare che suo fratello stesse dando di matto. Quando avevano sei anni. A quel punto, gli sembrava di star parlando di un'altra vita, di una dimensione diversa. Com'era Ezra a sei anni? Magrolino, pallido, imbronciato e... un sorriso gli increspò le labbra. «Ezra» a stentò riuscì a soffocare una risata «a sei anni, io e Caesar ti prendevamo in giro perché tu credevi che Bizzie fosse tua madre»  
«Vedo che hai una buona memoria, Alexis» commentò cupamente Numero Due, liberandosi dalle corde allentate.   
«Lo so e ne vado fiero» rispose lui «ma non posso fare a meno di chiedermi se ti manchino i bei vecchi tempi o ci sia una ragione sensata dietro questo quiz a sorpresa sulla nostra infanzia»  
Hillevi si alzò rapidamente dalla sedia e gli rivolse uno sguardo tutto occhioni blu e sopracciglia arcuate «Alexis... da quanto sei qui?»  
«Sono arrivato questo pomeriggio» Numero Nove evitò accuratamente il contatto visivo con sua sorella «Ma al momento non penso che abbia importanza. Stavi dicendo qualcosa su Rigel?»  
Levi arricciò il naso «Sì, Rigel è-»  
«Quello non era Rigel» la interruppe Ezra «C'è un mutaforma qua in giro. Potrebbe essere un metamorphomagus o semplicemente un idiota capace di produrre pozione polisucco. Si è presentato a noi come Rigel e ci ha convinti a seguirlo fino a qui. Quando mi sono accorto che era un inganno era troppo tardi. Ci ha schiantati e legati. Onestamente sono sorpreso che tu non l'abbia incontrato»  
«Non ho visto nessuno» confermò Alexis «né al secondo piano, né qui. Anche se ho sentito dei rumori provenienti dal piano di sotto»  
«Questo significherebbe che c'è qualcuno in casa» rifletté Hillevi «e se tutti sono al piano di sotto, potrebbe esserci qualcuno al piano di sopra?»  
Tre paia d'occhi corsero al soffitto. «L'ufficio di Octavius» 

 

 

 

 

23:04, 21 Dicembre 2020, Londra (UK), Umbrella Academy 

Apollo si voltò all'improvviso verso i suoi compari «È fatta!» 
«Perfetto» commentò lo Zar «Avete dieci secondi» 
Il resto avvenne così velocemente, ben meno di dieci secondi, che i ragazzi a stento si resero conto di quello che stava succedendo. La Sfinge, miracolosamente in piedi, atterrò Caesar con un calcio all'addome e Gideon lo schiantò con un colpo secco di bacchetta. Rigel non ebbe neanche il tempo di richiamare le ombre o lanciare uno schiantesimo che i tre cavalieri erano al centro del salone, le braccia tese in avanti verso quello che sembrava un calice da vino. Sparirono in un vortice nero e di loro non rimase neanche una traccia. 
Numero Uno fissò per qualche secondo il punto in cui erano svaniti, attonito, cercando di metabolizzare quello che era appena successo, la rapidità con cui tutto era accaduto, come se il tempo si fosse ripiegato su se stesso. Poi si portò i capelli sudati indietro con una mano e rivolse la sua attenzione ad altro. La sala era un disastro: tavoli rovesciati, divani lacerati da maledizioni mancate e cocci di vasi sul pavimento. Solo il fuoco nel camino scoppiettava ancora. Oliver si tirò su a fatica e arrancò verso Caesar, per assicurarsi che stesse bene. C'era un silenzio irreale. Artemis era ancora incosciente e Tony, seduto per terra accanto a lei, osservava quel buffo deja vu vivente che erano i suoi fratelli. Esmeralda si era appena rialzata. Le sue ferite si stavano lentamente rimarginando, ma era evidente quanto quel combattimento l'avesse stancata. Una ad una le ombre di Rigel tornarono da lui, sgusciando da sotto le porte e attraversando i vetri delle finestre, e gli si fusero addosso, finché l'ambiente non tornò a essere rischiarato dal focolare. 
Quando Ezra, Levi e Alexis arrivarono in sala, trovarono i loro fratelli a crogiolarsi in quel silenzio pieno di accuse. 
«Mio Dio» Hillevi si portò una mano alle labbra, contemplando il disastro che le stava davanti «Cos'è successo qui?» 
«Già» commentò Alexis «Chi c'era in casa e perché sembra che sia passato un uragano al piano terra?» 
«Nemici» sentenziò Rigel, rigido come una statua, appoggiato alle grosse pietre del camino «Ma non mi è chiaro perché ora, perché qui» 
«C'era qualcuno al piano di sopra» disse Ezra «nell'ufficio di Octavius» 
Caesar, supportato nei limiti del possibile da Oliver, si era appena alzato e si dirigeva verso l'unico divano ancora in piedi «Avete idea di cosa abbiano preso?» 
«No» Levi scosse la testa, sconsolata «C'era un casino tremendo. Non aiuta il fatto che papà fosse estremamente geloso delle sue cose e noi non sappiamo cosa custodisse il suo ufficio» 
«E voi dove siete stati, mentre noi affrontavamo il nemico?» l'occhiata inquisitoria di Rigel non ammetteva repliche. 
«Ci hanno teso un'imboscata» si affrettò a rispondere Levi «Un mutaforma, un metamorphomagus ci ha teso una trappola; non avevamo modo di capire che era un inganno. Se non fosse stato per Alexis saremmo ancora rinchiusi nello sgabuzzino del primo piano» 
«Numero Tre» Rigel si avviò verso le scale con un'espressione a dir poco cupa. 
Caesar alzò il capo. 
«Qual è la situazione al piano terra?» 
«Numero Cinque e Numero Sei sono feriti, ma non gravemente» iniziò a elencare lui, meccanicamente «Numero Sette è incosciente, Numero Otto si sta ancora riprendendo e io sono un po' acciaccato a dir la verità. A occhio e croce» aggiunse «Numero Due, Numero Quattro e Numero Nove non riportano danni» 
«Perfetto» commentò, con la faccia di uno che non ci trovava proprio nulla di "perfetto" in quella situazione «Quindi è questo che avete fatto, abbandonando l'Accademia?» Rigel era appoggiato al corrimano delle scale, il respiro irregolare e una rigidità che lo stringeva totalmente. Soprattutto, li guardava con un disprezzo senza nome né volto e sembrava ferito, in ogni senso possibile «Avete barattato anni di addestramento e disciplina per la vostra sciocca serenità? Per questo avete lasciato morire nostro padre, voi che gli dovete tutto ciò che siete, voi che avevate giurato di proteggere l'accademia da qualsiasi male?!» 
Oliver azzardò un paio di passi verso di lui «Rigel-» 
«No» all'improvviso sembrava un animale ferito, la voce un rantolo rabbioso e gli occhi grigi che correvano da una parte all’altra della stanza con circospezione «Nessuno di voi ha diritto di chiamarmi con quel nome. Per voi io sono Numero Uno»
«Ma cosa stai dicendo, Rigel?» Esmeralda lo guardò come fosse impazzito, un'accusa mesta velata nello sguardo «Per chi credi che sia tornata, dopo tutto questo tempo? Non per la salma di un morto, ma per te. Io sono qui» disse «per la mia famiglia, per tutta la mia famiglia. E voglio restare qui, con te e con Caesar, con le persone che amo, con i miei fratelli. Tu sei Numero Uno per me, ma anche tante altre cose. Rigel» già totalmente guarita, gli si avvicinò fino a stargli difronte «io sono qui per te e non ho intenzione di abbandonare l'accademia, ma tu devi collaborare. Siamo una squadra, no?» gli parlava come si fa con i bambini, con parole quiete e un sorriso a tentoni «Dicci quello che sai e, insieme, sbroglieremo questo impiccio, come facevamo prima» 

«È complicato» 
«Andiamo al punto. Tu sai chi sono quelle persone» Ezra iniziava a perdere la pazienza «e sai cosa hanno preso dall'ufficio di Octavius. Diccelo e noi resteremo per aiutarti a risolvere questo casino» 
«Non ho bisogno del vostro aiuto» Rigel si voltò verso di lui «Hai visto cos'è successo prima, no? Vi hanno usati come fantocci, mere esche per attirare la mia attenzione e distrarmi da ciò che ho giurato di proteggere. Se non ci foste stati, non si sarebbe neanche presentato questo problema di cui tanto parlate. Ho tutto sotto controllo. La vostra presenza mi è stata solo d'intralcio» 
«Rigel,» lo ammonì Caesar «stai esagerando»
«Sto dicendo la verità e lo sai anche tu» Rigel sembrava tornato calmo come al solito. Si accarezzò il mento con le punte delle dita «Ora potete ritirarvi nelle vostre stanze. Stanotte penserò a un nuovo incantesimo di protezione, uno che i loro segugi non possano spezzare, e domani mattina ci occuperemo alla faccenda dell'eredità. Al resto penserò io» 
«Questa serata è durata anche troppo» disse Oliver «Forse è davvero meglio se ne riparliamo domani. Questo non è il momento giusto»
Per la stanza si alzò un mormorio di assenso. Era tardi, il piano terra semi distrutto e i loro propositi per la serata ormai caduti. 
Improvvisamente, lo squillo allegro del citofono. 
Tutti si voltarono verso la porta abbattuta dell'ingresso, come se da un momento all'altro potessero spuntarvi altri nemici. 
Caesar si fece avanti ed afferrò la cornetta del citofono, chiedendo uno sterno: "chi è?". Una risposta indistinta. «Arrivo» borbottò poi. Infilò il cappotto e fece per uscire, quando si accorse che gli altri continuavano a guardarlo con aspettativa. Si schiarì la voce e tentò un sorriso imbarazzato «Sono arrivate le pizze» 
«Meraviglioso» commentò Esmeralda «Sto morendo di fame» 
«Dio, pensavo di essere l'unico» le fece eco Oliver. 
«Okay, io vado a prendere le pizze con Caesar» decise Numero Otto «Qualcuno abbia la decenza di svegliare Artemis e di trovare da bere. Appena torno, io e Oliver» soggiunse subito dopo «ci occuperemo di qualsiasi danno riportiate. Questa notte è ancora salvabile» 
Senza aggiungere altro, Numero Tre e Numero Otto uscirono di casa, Tony prese la direzione della cucina e gli altri iniziarono una macabra sfilata verso la sala, le bacchette in pugno per riparare i danni più gravi. Non parlarono di quello che era appena successo. La sospensione della realtà, d'altronde, era una tradizione ben radicata tra i giovani Cleremont. Ogni qual volta una missione andava male, si impegnavano, almeno tra loro, a fingere che non fosse accaduto nulla. Era compito di Octavius riportarli alla realtà, punendoli nei modi che più riteneva adeguati. In quella bolla comoda che era il loro tempo insieme, preferivano lasciar fuori l'Umbrella Academy, loro padre, le aspettative altissime del futuro. 
Levi si voltò verso Ezra, che già pensava di avviarsi al piano di sopra, e gli tese una mano «Vieni con noi?» 
Entrambi sapevano che quel gesto così innocuo significava in realtà miliardi di cose e che aveva il potenziale di creare danni impossibili da riparare. Ma quella era la notte dei Cleremont. Avevano il diritto, per quello straccio di tempo, di fingere che fosse tutto come prima. Allora Ezra non ebbe esitazioni. Annuì e ricambiò la stretta. Per quel momento, non esistette più nulla. Solo Levi. Le sue dita affusolate contro il palmo della mano, il sorriso appena alzato agli angoli della bocca, i capelli blu a incorniciarle il viso e la certezza che quello era il suo posto nel mondo.   
«Alexis» chiamò Hillevi «tu che fai?» 
Numero Nove lanciò uno sguardo alla scalinata in mogano, all'angolo buio in cui Rigel si era dileguato, all'occasione inestimabile che lo aspettava al piano di sopra. «È stata una lunga giornata. Credo che andrò a dormire e ci rivedremo domani a colazione» 
Lei annuì con poca convinzione e lo lasciò andare. Era troppo stanca per insospettirsi degli atteggiamenti di Alexis e la prospettiva di riprendere la serata tranquilla che avevano iniziato ore prima suonava ben più allettante alle sue orecchie. La mano di Ezra stringeva ancora la sua. Mentre entravano in sala sul sottofondo delle voci dei suoi fratelli –Artemis lamentava il peggior mal di testa della storia dei mal di testa, Oliver si offriva di aiutarla e Tony, appena tornato dalla cucina, li prendeva benevolmente in giro– ebbe la sensazione che si sarebbe aggiustato tutto. 

 

 

 

23:17, 21 Dicembre 2020, Londra (UK), perfierie 

«Allora? I documenti?» 
Gideon aveva il fiatone, un sorriso da lupo stampato sul volto e le mani che tremavano nell'entusiasmo del momento. La missione non era andata bene quanto avrebbe dovuto. Lui stesso era ferito in più punti e si sentiva la testa scoppiare. Per non parlare del fatto che lo Zar avesse perso la sua maschera di vetro –una questione epocale, a detta sua, addirittura apocalittica– e che la Sfinge aveva quasi perso la testa. E tuttavia, il Decimo Reggimento aveva compiuto l'impossibile. Era uscito vivo da Rosewood, con i documenti di Octavius Cleremont. 
«Abbassa la voce, idiota» a giudicare dal suo sguardo omicida, lo Zar doveva pensarla diversamente sull'esito della missione «Se avessi fatto quello che ti era stato chiesto, non mi sentirei così male» 
Erano tornati nello scantinato buio di quella mattinata, illuminato scarsamente da un paio di fiaccole alle pareti. Sul tavolo c'era una vecchia bottiglia di whisky incendiario che Apollo aveva lasciato lì per le celebrazioni notturne, una volta portata a termine la missione. Nessuno di loro, però, era in vena di festeggiamenti. 
«Voglio un report pulito della missione» declamò Elijah «e le vostre oneste opinioni» 
«Non lo so, Zar, è stato strano» la Kitsune si scostò i capelli dal viso pallido e si sistemò meglio sulla sua sedia «Ho come l'impressione che ci sia sfuggito qualcosa» 
Nasheeta, seduta a gambe incrociate sul tavolo, le scoccò un'occhiata curiosa «Cosa intendi dire?» 
«Gli incantesimi di protezione dello studio di Cleremont erano...» esitò per qualche secondo nella ricerca della parola giusta «spezzabili. Mi aspettavo che fossero meno alla mia portata, meno semplici da decodificare ed annullare» 
«Mia cara Kitsune» commentò lo Zar, con un ampio sorriso freddo «Non dovresti sottovalutarti così tanto. Sei il miglior segugio dell'Ordine, mentre Octavius Cleremont non era un intenditore di magia difensiva, o mi sbaglio? I tuoi dubbi confermano le tue capacità, non sminuirle in cambio di sospetti artificiali» 
«Non cerco complimenti, Zar» replicò lei «e ti ripeto che qualcosa non quadra. Il Terzo Reggimento era sicurissimo che tutti i documenti di valore del vecchio Cleremont si trovassero nel suo ufficio, che in effetti era protetto, ma non ti pare strano che nessuno dei ragazzi, appena siete arrivati, si sia preoccupato di difenderlo?» 
Elijah distese le labbra in un altro, artificiale sorriso «Io non credo che-» 
«Credo che la Kitsune abbia ragione» ebbe l'ardire di interromperlo Gideon «Numero Tre e Numero Otto se la stavano cavando bene, prima che Numero Uno arrivasse. Perché allora lui è corso a dar loro una mano, invece di pensare ai vecchi possedimenti di suo padre? Quando l'intera stanza è diventata buia» continuò, con foga «ho visto delle cose. C'erano ombre tutto intorno a noi, gli orbitavano attorno come impazzite, e poi in gran parte se ne sono andate dalla stessa porta da cui è entrato Numero Uno. Non verso le scale che portavano all'ufficio di Cleremont Senior. In giardino» 
«C'erano ombre anche quando l'ambiente si è rischiarato» provò a controbattere Nasheeta. 
«Erano di meno, ti dico. Tre a malapena, quando sappiamo che può fare di peggio» replicò prontamente Apollo «Seguite il mio ragionamento. C'erano intrusi in casa, a combattere in salotto contro i suoi fratelli. Numero Uno poteva scegliere se salvare la famiglia che non vedeva da anni e che l'aveva abbandonato o l'inestimabile eredità di suo padre, l'uomo che gli è stato accanto tutta la vita. Lui ha scelto la sua famiglia, no?» tacque per un attimo, per assicurarsi di avere l’attenzione di tutti «No. Dai reportage che abbiamo delle sue precedenti missioni si evince che è uno dei più potenti tra i suoi fratelli e stasera a malapena è riuscito a tener testa allo Zar. So che vi sembrerà assurdo, ma io credo che abbia diviso le forze, che abbia mandato le sue ombre a proteggere ciò che andava protetto e sia rimasto con noi per farci pensare di star vincendo» 
«Avrebbe senso» Kasumi contemplò a lungo il libro in pelle di drago che aveva tra le mani «Non mi sembra possibile di non aver trovato alcuna resistenza, a parte Numero Tre, ma quella è un'altra storia. Zar, se Apollo avesse ragione, se il Terzo Reggimento avesse fallito nella locazione dei documenti, se l'ufficio di Cleremont non fosse il posto giusto...» 
«Dammi i documenti» si limitò a dire Elijah, afferrando bruscamente il bottino e aprendolo senza alcuna cura. Le pagine traboccavano d'inchiostro, fitte di date e appunti, la calligrafia in un corsivo elegante ma calcato, le lettere accatastate le une sulle altre per sfruttare al meglio lo spazio, ma nel complesso il tutto era ordinato, quasi simmetrico. Su ogni pagina c'erano almeno una dozzina di date appuntate. Sul volto dello Zar si andava già disegnando un sorriso, ma bastò iniziare a leggere per rendersi conto di non aver in mano il registro di attività illegali in cui tanto sperava. Gli altri, attorno a lui, lo guardavano con aria preoccupata e curiosa. Quando parlò, la sua voce era tremante di rabbia «Dodici aprile duemilasette» lesse «Inviati fiori e lettera di congratulazioni a Numero Quattro per l'ammissione al Coro delle Rane» andò avanti con le pagine in un gesto impaziente «Ventiquattro settembre duemilaotto: spedita liberatoria firmata per le uscite a Hogmsmeade. Quindici ottobre duemilaotto: ricambiata la corrispondenza con Numero Due e Numero Tre con complimenti per l'entrata nella squadra di Quidditch» saltò un altro pugno di pagine, arrivando a oltre metà quaderno «Sedici marzo duemilaundici. Inviata lettera di felicitazioni per la riconfermazione di Numero Otto come campionessa del club dei duellanti con cesto di muffin da parte di Bizzie. Ventisette marzo duemilaundici. Mandata sollecitazione a Numero Cinque, Numero Sei, Numero Sette e Numero Nove alla partecipazione ai corsi scolastici. Io non...» trasse un profondo sospiro per calmarsi e affondò la testa tra le mani. Quando rialzò il capo aveva addosso quella che, più tardi, al sicuro nella loro camera condivisa, Apollo e la Sfinge avrebbero definito un'espressione da isteria sociopatica «Qualcuno sa dirmi cos'è questo?» quando nessuno rispose, alzò la voce «Vi ho fatto una domanda, dannazione!» 
«A occhio e croce» Gideon si portò alle labbra una sigaretta e la accese con uno schiocco di dita «direi che è un'agenda di appuntamenti di Octavius, riguardante i suoi figli» 
«Arguto, da parte tua» commentò lo Zar, inviperito «Kitsune, ti va di dirci cosa dovevi prendere dallo studio di Cleremont?» 
Kasumi gli rivolse uno sguardo gelido «Mi stai forse dando la colpa? No, non rispondere» aggiunse subito dopo «Stanotte mi sento magnanima e non alzerò un dito. Mi limiterò a dirti cosa dovevo fare e ho fatto nello studio di Cleremont. Ho buttato giù l'intero ufficio di Octavius Cleremont» iniziò a elencare «ho trovato un fottutissimo scompartimento nascosto nella libreria. Custodiva questo libro. Era pieno di date che coprivano più di dieci anni di attività, la calligrafia era la sua. Poi ho sentito dei passi. Almeno due persone stavano per entrare nello studio e vedermi. Ho preso il libro, sigillato lo scompartimento e sono sparita prima che potessero vedermi. Ora, chi è che non ha fatto il suo lavoro?» nessuno osò interromperla «Io, che ho infranto tutti gli incantesimi di difesa di quella dannata stanza e ho trovato l'unico oggetto che Cleremont si è degnato di nascondere decentemente? O forse il Terzo Reggimento, che ha sbagliato nell'unico compito che gli era stato affidato, individuare l'ubicazione dei documenti che volevamo? O magari tu, Zar, che ti sei fatto togliere la maschera da una ragazzina e sei stato guardato in faccia da non meno di sette persone? Pensavi davvero che non me ne sarei accorta?!» Gideon, che non l'aveva mai vista perdere le staffe, nascose un sorriso nella sua sigaretta «Qua dentro io sono la sola ad aver svolto efficientemente il suo lavoro e non tollero che mi sia addossata la colpa di un malinteso che non ho creato io!» 
«Forse dovremmo prendere tutti un bel respiro profondo e una tazza di camomilla» propose Nasheeta, in un tono sottile e riverente. 
Per tutta risposta, lo Zar afferrò la bottiglia di whisky incendiario e se la portò alle labbra. 
«Apollo, Sfinge» Kasumi si schiarì la voce ed assunse un'aria diplomatica e calma «Andate pure a guarirvi e riposare. Stanotte stessa io e lo Zar invieremo un gufo all'Ordine e spiegheremo tutta la situazione, che non è assolutamente colpa di nessuno nella nostra squadra. Nei prossimi giorni attenderemo ulteriori istruzioni e procederemo in base alla situazione» 
Apollo annuì e fece per alzarsi, già pronto a smaterializzarsi nella camera d'hotel che condivideva con la sua collega. 
«Kitsune» Nasheeta tentò un sorriso «sarebbe possibile, per me, prendere il libro che hai rubato oggi? Penso che potrebbe essere una fonte inestimabile di informazioni sull'Umbrella Academy. Potrei studiarlo e trarre delle informazioni utili» 
Kasumi considerò l'idea per qualche momento. Avrebbe svolto volentieri lei quel compito, ma non ne avrebbe avuto l'occasione. Non al momento. Non con lo Zar che tentava di affogare i suoi problemi (o se stesso, direttamente) nell'alcol e l'Ordine che attendeva la notizia del loro successo. «Fanne tesoro» si limitò a dire. 
«E se Apollo avesse ragione?» le domandò ancora Nasheeta «Se i documenti che cerchiamo fossero da qualche altra parte a Rosewood?» 
«Significherebbe che è stato tutto vano» la Kitsune storse le labbra in una smorfia seccata «e che la nostra missione è tutt'altro che finita» 

 

 

 

23:34, 21 Dicembre 2020, Londra (UK), Umbrella Academy 

Numero Uno era accasciato penosamente ai piedi del suo letto, una mano a tenere la maglia alzata e l'altra stretta in una coltre di lenzuola sanguinolente, pressate invano sul basso addome. Invano perché, chiaramente, qualunque fosse l'obiettivo, non stava funzionando. Grumi di sangue si incrostavano ai bordi di cotone, sul polso e sui jeans, mentre sul pavimento si era creata una pozza di un sinistro color vinaccia. Numero Uno stringeva i denti e non staccava lo sguardo dalla ferita, incurante delle ciocche brune che gli ricadevano sugli occhi. Alexis aveva capito che suo fratello era ferito nel momento in cui l'aveva visto sulla scala. Dal modo in cui la gamba destra si irrigidiva ogni volta che la piegava, dalla tensione nelle spalle e i respiri un po' troppo profondi, si era accorto che qualcosa non andava. E la fretta con cui si era congedato, mentre tutti si riunivano in sala, era più che sospetta. 
Ora, Alexis non era esattamente Sherlock Holmes, né un impiccione. Ma l'attenzione ai dettagli e la sottile arte della deduzione erano stati punti fondamentali dei suoi dodici anni di addestramento. Per non parlare del fatto che era un uomo di teatro e suo fratello era un pessimo attore. Quanto al perché avesse seguito furtivamente Numero Uno in camera sua, senza alcun riguardo per cose come la privacy personale che stava invadendo e l'intimità necessaria per un gesto simile, aveva le sue buone ragioni. 
Combinazione perfetta, insomma. 
«Dovresti dirlo a Esme» 
Rigel si voltò bruscamente verso la fonte del rumore, per trovare Numero Nove appoggiato allo stipite della porta della sua camera da letto. Si tirò giù la maglia in tutta fretta, come se potesse nascondere quel buco nero di viscere pulsanti che stava vomitando sangue e pus ininterrottamente da quasi dieci minuti. Per sicurezza, gli rivolse uno sguardo storto e sperò di farla finita il più presto possibile. Non era mai stato un tipo particolarmente espansivo e, anche a capo della squadra dell'Umbrella Academy, le persone avevano continuato a metterlo in soggezione. Soprattutto in situazioni del genere. Soprattutto se era Alexis a guardarlo, con le sopracciglia inarcate e un'aria beffarda. Era stato colto con le mani nel sacco, o meglio nella ferita che minacciava di dissanguarlo se non curata, eppure, come ci si aspettava da lui, Numero Uno non considerò neanche la carta della diplomazia. 
Si limitò a sputar fuori un: «Non sono affari tuoi» 
Scelta sbagliata. Un altro giorno, un giorno qualunque, avrebbe funzionato. La scortesia cruda che usava per allontanare chiunque, in una serata qualsiasi, avrebbe respinto ogni approccio da parte di suo fratello. Ma quella non era una serata qualsiasi. Quella notte, la commovente e temporanea rimpatriata di famiglia che li avrebbe visti un'ultima volta insieme a seppellire il caro patrigno era diventata qualcosa di molto più complesso. Dei sicari magici erano entrati in casa loro, avevano rubato chissà cosa dallo studio del defunto Octavius e avevano danneggiato proprietà e abitanti dell'accademia. In tutto ciò, Rigel aveva detto che se ne sarebbe occupato da solo e poi si era dileguato su per le scale. Come ai bei vecchi tempi. Ma non erano nel duemiladieci, non avevano più quindici anni e, soprattutto, Alexis era stanco di ingoiare bugie. 
«Tecnicamente no» acconsentì, staccandosi dalla porta «Ma qualcosa mi dice che questa tua discrezione sospetta e i tizi che per poco non ci hanno fatto a pezzi poco fa siano legati in qualche modo. Non è per questo che non vuoi farti curare?» 
Rigel strinse in una mano le lenzuola sanguinolente del suo letto sfatto «Non so di cosa tu stia parlando» 
«Io invece penso che tu sappia più di quanto voglia ammettere» Alexis iniziò ad avanzare lentamente verso di lui «E se non vuoi dirmelo, sarò felice di sollevare il problema di fronte agli altri. Ho come l'impressione che troverebbero il tuo un comportamento curioso» 
Numero Uno lo osservò, con malcelato orrore, avvicinarsi ancora di più, invadere un territorio sacro che non aveva mai conosciuto la pressione del piede straniero. Anche quando erano bambini, i suoi fratelli raramente erano stati benedetti dal libero accesso in camera del loro leader, per il semplice fatto che quelle quattro pareti blu polvere erano il massimo della privacy concessa. E il fatto che ora Numero Nove le violasse liberamente aveva più valore di quanto entrambi avrebbero voluto. Ma quella era una partita impari. Lui non poteva ritrarsi. Con la circospezione rabbiosa di un animale in gabbia, Rigel appoggiò la schiena allo scheletro del letto e alzò il mento con quella che lui avrebbe definito grande dignità e che, in realtà, era il contegno degli straccioni ai lati delle strade. La presa morbida sulle lenzuola divenne una morsa di nocche sbiancate e unghie affondate nel palmo della mano. Rigel abbassò lo sguardo, furioso come potevano esserlo un vecchio dio o un mare in tempesta. «Qualunque gioco tu stia giocando» disse «Non ti porterà da nessuna parte» 
Alexis continuò a guardarlo con la stessa espressione indecifrabile. Si era appena riscoperto, insospettabilmente, del tutto indifferente alle velate minacce di Numero Uno. Le trovò, anzi, divertenti. Anche così, costretto a terra da una qualche ferita magica che lo rendeva incapace persino di alzarsi, Rigel non demordeva. Credeva di potersi imporre su suo fratello con un'occhiataccia e un paio di parole vuote. Gli venne da ridere. Magari Numero Uno credeva che non fosse cambiato nulla dai giorni dell'Umbrella Academy, che avrebbe potuto isolarsi nelle sue cripte e parlare a tutti loro come se fossero i suoi soldati, i suoi fratelli minori. Forse credeva addirittura di poter salire sul trono di menzogne e paure artificiali di Octavius. O forse no. Fatto sta che erano tutti cresciuti. E Alexis aveva imparato a conoscere quella lingua di denti digrignati e ringhi animaleschi che suo fratello invece parlava da una vita. E, ora che la conosceva, non ne aveva più paura. 
«Ma davvero?» tirò un altro passo in avanti e inclinò la testa di lato, sfoggiando un sorriso divertito «Perché a me sembra stia già dando risultati» 
«Cosa diavolo-» uno spasmo gli spezzò in due le parole e lo costrinse a piegarsi in avanti, la mano già pressata sulla ferita, le labbra schiuse per inspirare più profondamente. Non appena il respiro fu più regolare, alzò cautamente il volto fino a incontrare lo sguardo di Numero Nove. Era la prima volta che si guardavano negli occhi dopo quelli che parevano secoli. In un'altra vita erano stati fratelli. In questa, sembravano solo bramosi di scannarsi. «Come posso convincerti a tenere la bocca chiusa?» 
«Beh, per prima cosa» Alexis si piegò all'altezza di suo fratello, con espressione pensosa «potresti dirmi chi ci ha attaccato e perché. E poi vorrei che mi spiegassi, di grazia, perché non vuoi farti curare da Esmeralda» 
Rigel rise, di una risata roca e amareggiata «Ti conviene metterti comodo, Lexi» suo fratello si irrigidì visibilmente, ma Numero Uno non ci fece caso «C'è gente che è morta, cercando risposta a queste domande» 
Alexis gli si sedette difronte, a gambe incrociate, e sorrise «Non ti preoccupare. La notte è giovane e io non ho più paura del buio» 










Angolo Autore
Ed eccomi qua. Potete procedere con la lapidazione, questa volta me la merito tutta. Ogni pietra.

D'altra parte, vi confesso che questa quarantena è stata molto meno libera dagli obblighi di quanto sperassi e ho avuto ben poco tempo da dedicare alla scrittura di questa storia. Ero pronto per pubblicare, a dir la verità, a metà aprile, ma mi sono reso conto che ero già un bel po' in ritardo e mi sono detto che, a quel punto, valeva la pena scrivere un capitolo un po' più pieno, così da fare ammenda per il ritardo.
In tutto ciò ho anche avuto problemi con il mio amato pc, che a una certa si è sovraccaricato di file e si è bloccato.
Ad ogni modo, tra università, computer che si blocca e il tentativo sempre presente di tenermi in forma senza uscire di casa, ho rimandato fin troppo la scrittura e la pubblicazione di questo capitolo e ne sono davvero dispiaciuto.
A questo proposito, mi sembra il caso di farvi una domanda: preferireste capitoli lunghi e non puntuali come questo o capitoli più corti ma frequenti?
In fondo siete voi i lettori e siete voi a dover sopportare le mie assenze, quindi mi pare giusto lasciare a voi questa scelta.

In ogni caso, ci rileggiamo nelle recensioni e grazie per essere arrivati fin qui :)



Smaug
   
 
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