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Autore: Mary P_Stark    18/05/2020    1 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2.

 

 

 

San Josè – Luglio 2022

 

Il profumo di salvia pervadeva l’intera stanza in cui Alekos si trovava e, quando nonna Anita mise nel braciere già fumante anche dei rametti secchi di lavanda, l’aroma divenne più forte, più aromatico e avvolgente.

Il primo tentativo di mettersi in contatto con Astrea era stato fallimentare per più di un motivo. Pur se Alekos era riuscito a penetrare nel suo sogno – rimanendo sconvolto dalle terribili immagini di Nagasaki, distrutta da Fat Man – il giovane non era riuscito a scorgere Astrea in quel mare di fuoco.

Nell’uscire dall’ambiente onirico, inoltre, aveva riportato diverse abrasioni e scottature, in gran parte causate dagli incendi perpetrati dalla bomba e che, nel sogno di Astrea, divenivano reali. Esculapio aveva dovuto curarlo sotto gli occhi turbati di Anita che, per tutta la durata del sonno indotto del nipote, aveva scorto con i suoi occhi le ripercussioni di quella prima missione.

Di comune accordo con Athena ed Érebos, Alekos aveva quindi deciso di approcciare il suo nuovo compito in maniera leggermente diversa, affrontando il problema con un occhio del tutto nuovo. Quello umano e, nello specifico, quello di Anita.

Astrea aveva avuto a che fare per decenni con persone del suo stesso pantheon, finendo con l’abituarsi alle loro presenze e al loro spettro energetico di origine divina. Forse, avvicinarsi a lei in modo diverso l’avrebbe spiazzata, mettendo Alekos maggiormente al sicuro dalle ripercussioni di quel mondo onirico così pericoloso.

Era possibile che, appoggiandosi a un credo differente, questo l’avrebbe aiutato a sfiorare la sua mente in modo tale da non irritarla, o spaventarla. Dopotutto, lui era stato battezzato – una volta uscito dall’Oltretomba, sua madre aveva accondisceso per rendere felice Anita – perciò aveva su di sé anche il marchio di un altro dio.

Dio che, nella stanza in cui sua nonna lo aveva condotto, era presente in modo chiaro e forte.

Quella stanza, ricavata nella piccola dependance che i coniugi Rodriguez avevano nella loro proprietà, solitamente ospitava i numerosi parenti in visita. In quel frangente, però, sarebbe servito come punto di partenza per il suo viaggio onirico nel mondo di Astrea.

Curiosando con lo sguardo, Alekos intravide la figura della Vergine di Guadalupe, poggiata su un altarino al pari di diversi fiori freschi, alcuni ceri al profumo di limone e a un piccolo crocifisso in legno e avorio.

Le pareti, in stucco veneziano color salmone, sembravano emanare calore e senso di protezione, forse anche grazie ai raggi di luce solare che penetravano dalle ampie finestre che si aprivano sulla stanza.

«Non avevo mai visto questa parte della dependance, prima d’ora» dichiarò Alekos, incuriosito da quel luogo così mistico e, al tempo stesso, così semplice.

Anita gli sorrise con aria vagamente ironica, replicando: «Capirai bene che, con un parentado come il nostro, questa stanza avrebbe potuto apparire… assurda. E’ per questo che, di solito, ci vengo solo io durante il día de los muertos.»

Alekos sorrise comprensivo, ammettendo senza remore che avere per parenti una buona parte del pantheon greco, poteva creare qualche problema a livello di fede personale.

«Se continui a prendertene cura, però, significa che qui trovi ancora sollievo e serenità» dichiarò il giovane, sfiorando con mano leggera un teschio di cristallo molato della grandezza di una mela.

Annuendo, Anita tirò le tende di batista per attenuare la luce presente nella stanza e, indicandogli un materassino steso sul pavimento di legno, ammise: «Posso credere nella divinità di tua madre e, al tempo stesso, pregare per il mio dio. Una cosa non esclude l’altra. Come voi stessi mi avete detto più volte, il pantheon greco non è l’unico presente su questo mondo.»

Nell’accomodarsi sul materassino, Alekos annuì tra sé. Sapeva della presenza di altre divinità appartenenti a pantheon diversi dal suo, perciò comprendeva appieno le parole di sua nonna. In un paio di occasioni, inoltre, aveva anche avuto modo di parlare con un esemplare appartenente a diversi pantheon, grazie alla sua peculiare unicità1.

Se esistevano loro, potevano tranquillamente esistere anche gli altri. Dipendeva soltanto dalla volontà della singola divinità, rendersi o meno visibile agli esseri umani.

Personalmente, non si era mai posto il problema relativo alla fede, né aveva mai pensato approfonditamente ai vari Credi religiosi terrestri. Avendo una famiglia come la sua, il limite era solo l’universo, perciò non faticava a credere nell’immateriale.

Se si aveva la forza sufficiente per aver fiducia al proprio dogma, non importava il pantheon a cui si faceva affidamento.

Sdraiatosi lentamente sul materassino mentre i profumi della stanza contribuivano a rilassarne le membra, Alekos mormorò: «Io credo in te, nonna. Su questo non ci piove.»

Anita sorrise al nipote e, nell’inginocchiarsi accanto a lui, dipinse due croci sulle sue mani con un impasto di verbena e salvia, asserendo: «Protegge dagli influssi maligni. Visti i precedenti…»

Alekos sorrise nel chiudere gli occhi e, con un sospiro, disse: «Io vado.»

La donna gli carezzò la fronte e, nel sistemargli alcune ciocche dei lunghi capelli, sussurrò: «Ormai devi tagliarli un po’, o comincerai ad assomigliare a Jared Leto.»

Il giovane scoppiò a ridere, tornando in sé per esalare divertito: «Nonna! Come faccio a concentrarmi se tu mi dici una cosa del genere?!»

Lei rise a sua volta, gli diede una pacca sulla spalla con la promessa di rimanere in silenzio ma, con una strizzatina d’occhio, sussurrò: «Però ho ragione.»

Alekos lasciò perdere, ridacchiando nel rimettersi disteso e, con un profondo sospiro, tornò a concentrarsi sulla propria mente e sul modo più veloce per distaccarsi dal proprio corpo.

Nel farlo, i ricordi lo riportarono come sempre a quei giorni passati nel ventre di Chaos e, pur sapendo che un evento simile non si sarebbe più ripetuto, interiormente rabbrividì.

Aveva rischiato l’annientamento suo e di Érebos, a causa della sua parte divina e, pur se ora ne aveva il pieno controllo, era difficile cancellare la paura provata al pensiero di aver fatto del male al proprio patrigno.

Ugualmente, non doveva lasciarsi andare a quei pensieri luttuosi o alla paura, ma concentrarsi unicamente sul suo compito.

“Non allarmarti, se ogni tanto pensi a Mister Sbruffone. Lo tengo a bada io, se ti fa paura” intervenne a sorpresa Eris, comparendo accanto a lui nel suo personale spettro mentale.

La condivisione di un unico filo le permetteva intrusioni simili e Alekos, non poche volte, l’aveva cercata col pensiero per essere certo che tutto andasse bene, per lei.

Vederla proprio in quel momento, quando per un istante aveva ceduto al dubbio, gli ridonò sicurezza ed Eris, dandogli un pizzicotto sul naso, aggiunse: “Sai benissimo che non si potrà più ripetere quel casino, perciò occupati di questa missione e non pensare ad altro. Io…”

Interrompendosi, Eris sbuffò contrariata e borbottò: “Me ne vado… devo pensare a uno scocciatore.”

Ciò detto, svanì dal suo spettro mentale mentre Alekos, estendendosi verso l’alto alla ricerca di Astrea, ghignò divertito, immaginando senza problemi chi fosse lo scocciatore di Eris.

***

Il vento la sferzava con il suo calore malsano, strappandole gli abiti di dosso e riducendo la sua pelle a una superficie raggrinzita e piagata, ricoperta di sangue purulento e impuro.

Arrancando alla ricerca di un riparo, Astrea venne più volte scacciata da persone indignate e ferite, che la additavano come la causa prima di quello sfacelo.

Ormai non ricordava neppure più quante volte avesse ascoltato quelle parole cariche di fiele, eppure ancora non aveva trovato il modo per scusarsi con ognuna delle persone a cui aveva cagionato dolore.

Era davvero una ben misera dea, e non meritava neppure l’amore e la compassione che i suoi genitori o Esculapio volevano condividere con lei.

Persino Érebos il sommo e i suoi figli si erano scomodati per lei, per la miserevole dea quale era, e anche per questo si era sentita immonda e immeritevole.

Il suo scopo nella vita sarebbe stato sempre e solo il dolore, come giusta punizione per non aver saputo guidare gli uomini e le loro deboli menti.

Se Giustizia non riusciva a portare a termine il proprio compito, quale altra ammenda da pagare poteva esservi, per lei, se non il rimpianto eterno?

Un soldato nipponico la scacciò di colpo, puntandole contro un fucile a baionetta e strappandola così ai suoi lugubri pensieri. Subito, Astrea si allontanò, non riuscendo ancora una volta a entrare nel campo di raccolta dei feriti.

Le era preclusa anche quella piccola concessione. Non poteva aiutare i feriti in alcun modo, poteva solo scorgerli da lontano e piangere per loro.

Arrancando lungo una salita che conduceva alle colline, raggiunse infine la pianta ove era solita sedersi per osservare lo scempio compiuto dalla sua inettitudine.

Da quel colle solitario, la baia di Hiroshima si scorgeva senza problemi e, da quella posizione privilegiata, lei poteva piangere e disperarsi, lasciando che il dolente pianto della terra martoriata penetrasse in lei.

Quel giorno, però, non trovò solo una pianta, ad attenderla, ma un giovane.

Appariva di bell’aspetto, lindo e pulito e dal viso solcato da un sorriso tenue, quasi non fosse sicuro di se stesso o delle proprie azioni.

Non lo conosceva, ma sapeva trattarsi di una creatura di origine divina. Nessun altro poteva attraversare il passaggio lasciato aperto da Hypnos tanti decenni addietro.

Interrompendo il suo incedere arrancante, Astrea mormorò roca: «Ti chiedo requie, viandante dei sogni. Non desidero parlare con te, né approcciarmi a te per ricevere una tua personale morale sul mio modo di vivere.»

Il giovane non le rispose, sedendosi a terra a gambe raccolte contro il torace e, col mento poggiato sulle braccia intrecciate, disse soltanto: «Il mare brilla ancora.»

Astrea si volse a mezzo, osservando quella distesa scintillante e pacifica che si estendeva in lontananza. Sì, le sue acque non recavano segno alcuno della distruzione perpetrata dall’uomo, né davano l’idea di racchiudere i sé i primi morti nucleari della storia.

Esso era immoto, tranquillo, baciato da un sole inclemente che non teneva conto dell’arsura provocata sulle ustioni purulente, o sulla pelle scarnificata dal fuoco e dalla radioattività.

Sì, il mare brillava ancora, ma era solo un’effimera pantomima di un mondo che non era più lo stesso, né mai lo sarebbe stato.

Terminata la sua salita con passo stanco e piedi piagati dalle pietre del sentiero, Astrea ristette dinanzi al giovane e, accigliandosi, disse nuovamente: «Non desidero parlare con te.»

«Va bene» mormorò il giovane, poggiando la schiena contro la pianta sotto cui si trovava, e che estendeva la sua ombra ben oltre le loro figure.

Adombrandosi ulteriormente, Astrea borbottò con tono più fermo: «E’ la mia pianta.»

Il giovane la squadrò con un solo occhio – l’altro era chiuso, il corpo rilassato in una posa di totale tranquillità – e replicò: «La mia prozia non sarebbe d’accordo.»

«Prozia? Che intendi dire?» esalò Astrea, ora fissandolo con aria confusa.

Alekos continuò a fingere disinteresse, anche se era ansioso che lei si accomodasse accanto a lui e non fuggisse dal suo tentativo di approccio.

Nonna Anita, però, era stata chiara. Per avvicinare una creatura inselvatichita come Astrea, doveva agire con cautela e non spingerla a tutti i costi a parlare.

Proprio per questo, nelle sue ultime incursioni, ne aveva solo studiato i movimenti, venendo così a scoprire quel luogo segreto in cui si rifugiava per sfuggire al dolore.

Il fatto che ogni tanto volesse discostarsi da quel mare di fuoco e morte era stato, per Alekos, un chiaro segno di speranza. Nonostante la decisione di soffrire per coloro che erano morti, anche Astrea aveva bisogno di rifuggire quell’ansia perenne, almeno per alcuni istanti.

Dopotutto, non voleva stare lì. Forse, più semplicemente, non sapeva più come fermare quel processo.

L’aria aggrottata di Astrea, così come il suo sbuffo irritato, lo riportarono al presente. Era chiaro quanto, in quel momento, avrebbe voluto gettarlo fuori dal suo sogno, pur non potendo.

Il condotto di Hypnos impediva il pieno controllo di Astrea su quel mondo, permettendo ai viandanti onirici come Alekos di andare e venire a loro piacimento. Questo, di certo, non significava che potessero variare qualcosa di quel regno; in questo, Astrea aveva ancora potere assoluto.

Il fatto di non poter essere tagliati fuori, comunque, era già un buon risultato.

Levando il viso a scrutarla, Alekos notò come la fronte della dea fosse solcata da profonde rughe d’ansietà. Rughe che, andando a incidere una pelle già piagata e debole, formarono sottili ulcerazioni rossastre e pronte a sanguinare.

Alekos se ne spiacque, ma non demorse. Ristette immobile e sorridente a guardarla, pronto a restare in silenzio anche per ore, pur di metterla a proprio agio.

Astrea, allora, bofonchiò nervosa: «Se ti manda mia madre, puoi dirle che le voglio bene, ma che non intendo interrompere ciò che sto facendo.»

«Non credo che tua madre mi vedrebbe volentieri. Pensò di uccidere mio zio, qualche anno fa e, per poco, non si arrivò a uno scontro tra lei e mia zia» gettò lì casualmente Alekos, chiudendo entrambi gli occhi e intrecciando le braccia dietro la nuca, mentre le lunghe gambe si stendevano sul terreno secco.

«Come?!» esclamò a quel punto Astrea, facendo tanto d’occhi.

Gettandosi in ginocchio accanto ad Alekos quando quest’ultimo non diede adito di voler concederle ulteriori spiegazioni in merito, la dea proseguì dicendo: «Spiegati meglio! Cosa fece, mia madre?!»

Grattandosi pensosamente una guancia, l’aria del tutto rilassata e per nulla in ansia – pur se dentro di sé fremeva d’impazienza – Alekos aggiunse: «Volle prendersi una vendetta nei confronti di mia zia Artemide, così pensò di ferirla uccidendo il suo attuale marito… mio zio, per l’appunto. Ma non lo fece, alla fine, se questo può consolarti.»

Portandosi le mani screpolate alle labbra per soffocare un grido inorridito, Astrea esalò sconfortata: «Ma perché tutto questo?!»

«Per via di Orione. La sai, no, la storia?» chiosò Alekos guardandola con aria serafica.

Astrea a quel punto tornò ad accigliarsi, si sistemò meglio accanto ad Alekos e borbottò: «Senti un po’, tu… chi saresti, per vantare tutte queste parentele così altisonanti?!»

«Sono Alekos, figlio di Athena. E tu?» disse con semplicità il giovane.

«Sai benissimo chi sono, o non saresti qui!» sbottò Astrea, già pronta a rialzarsi per andarsene.

«Mia madre mi ha insegnato a presentarmi sempre e comunque, con le persone che non conosco, e mia nonna si infurierebbe molto, se non lo facessi nel modo più corretto possibile» sottolineò Alekos con tono assolutamente sereno.

«Tua… nonna? Athena non ha genitori, a parte Zeus!» sbottò Astrea. «E anche lui, a dir la verità, è stato ben poco presente, per lei, durante la sua crescita.»

«Parlo della madre di mio padre. Anita. E’ un’umana» precisò a quel punto Alekos, sorprendendola.

«Athena… e un mortale?» esalò Astrea, bloccando la propria fuga per tornare a sedersi e conoscere altro. «Ma non è possibile!»

«Se vuoi, puoi assaggiare il mio sangue. Funziona meglio di qualsiasi carta d’identità» chiosò Alekos, facendo spallucce.

Astrea si accigliò, a quell’accenno e, indicando dabbasso verso la città in fiamme, borbottò: «Ho visto fin troppo sangue, per i miei gusti. Sei pregato di non parlarne con tanta superficialità.»

«Non intendevo mancarti di rispetto, ma so che è l’unico modo per essere riconosciuto da un’altra divinità» ci tenne a dire Alekos, tentato di afferrarle una mano perché non fuggisse.

Si trattenne solo a stento dal toccarla, pur se desiderava essere certo che non scappasse alla prima parola travisata e, con tono dolente, aggiunse: «Non era mia intenzione ferirti. Volevo solo presentarmi. Ma forse ho sbagliato.»

Astrea allora sospirò, si sistemò meglio a terra e domandò: «Quanti anni hai, Alekos?»

«Ventidue. Passai i miei primi anni di vita nell’Oltretomba finché mia madre non mi liberò, grazie ai buoni consigli di Érebos, conducendomi sulla Terra» le spiegò lui, sorprendendola ulteriormente.

Sbattendo le palpebre con aria confusa, Astrea esalò: «Ma… se eri morto, come hai potuto…?»

«E’ una storia piuttosto lunga e complicata. Se hai tempo, te la racconterò» disse a quel punto Alekos, lappandosi nervosamente le labbra in attesa di una sua risposta.

«Non ho dove altro andare» sbuffò Astrea, e al giovane spiacque che la dea la pensasse a quel modo.

Davvero credeva che il mondo non la rivolesse più? Che quel luogo di dolore potesse – e dovesse – essere la sua unica casa?

Cercando di non mettere a parole il proprio sconforto, Alekos iniziò quindi col dire: «Mio padre amava il mare e il surf. Conobbe mia madre in un parco acquatico nei pressi di Los Angeles.»

«Sapevo che Athena aveva lasciato l’Olimpo, ma non pensavo che volesse accoppiarsi con gli umani…» dichiarò con una certa acredine Astrea prima di rendersi conto della propria indelicatezza.

Alekos, però, non diede adito di essersi offeso e la dea, ora spiacente, mormorò: «Intendevo dire che non sapevo che Athena desiderasse concepire un figlio. Si è sempre tenuta a distanza dalla maternità. Immaginavo che il suo allontanamento dall’Olimpo fosse dipeso da un litigio con Zeus, non dal suo desiderio di maternità.»

Il giovane scrollò le spalle e replicò: «Non ti so dire da cosa dipese. Non ne parlo mai, con mamma, e neppure con il nonno. Del suo passato sulla Terra so soltanto che vagò senza meta per molto tempo, visitò un sacco di posti e conobbe molte persone, ma fu con mio padre che decise di vivere come una donna, e non come una dea.»

«Immagino si addolorò molto per la tua morte…» ipotizzò Astrea.

Alekos storse appena il naso e asserì: «Morimmo lo stesso giorno. Lui, in mare, e io nel ventre di mamma.»

Astrea sgranò gli occhi per la sorpresa, a quella notizia e, sempre più contrita, esalò: «Oh… non sapevo che tu…»

Lui scrollò le spalle, limitandosi a dire: «Mamma ebbe una crisi, quando seppe della sorte di mio padre. All’epoca era sola, non aveva più contatti con la sua famiglia, perciò Demetra non poté aiutarla con me e Thanatos giunse subito, al richiamo del filo della mia vita che si spezzava. Fu a quel punto che intervenne Érebos.»

Sbattendo le palpebre con aria ora totalmente sconcertata, Astrea mormorò turbata: «Il… il Sommo Érebos intervenne per aiutare Athena… e te? Per quale motivo tentò di bloccare l’agire del figlio?»

Alekos sorrise in risposta, mormorando: «E’ il mio secondo padre da quel giorno. Amava da molto tempo mia madre e, quando Thanatos gli disse quello che stava succedendo - e ciò che lui avrebbe dovuto fare - intervenne per salvare il salvabile. Il tutto, però, richiese diverso tempo, tempo che Thanatos impiegò per portarmi nell’Oltretomba come era suo compito. A giochi fatti, io ero vivo, legato all’anima di mia madre, ma non assieme a lei.»

Basita, Astrea esalò: «Un battesimo alla vita davvero incredibile. Mi spiace, comunque, che tuo padre non abbia potuto conoscerti.»

«Oh, ma lui mi conobbe» dichiarò lui, sorprendendola ulteriormente. «La sua anima rimase aggrappata ai ricordi e divenne senziente, perciò potei conoscerlo nel regno di Ade, e lui poté conoscere me. Impiegò diverso tempo prima di comprendere che ero suo figlio, ma alla fine potemmo stare insieme per un po’. In quei primi anni, mia madre venne tenuta all’oscuro del mio reale destino – nessuno osò avvicinarla, perché stava soffrendo moltissimo – così, a turno, tutti gli dèi si presero cura di me, finché il prozio Poseidone non decise di dirle la verità.»

«Immagino che per tua madre debba essere stato davvero straziante… soprattutto se si considera il rapporto assai conflittuale che esiste tra Athena e Poseidone» convenne Astrea, ascoltando rapita il racconto del giovane.

Alekos annuì e ammise: «Érebos non volle dirle nulla perché riteneva di non essere riuscito a compiere un gesto risolutivo. Si sentiva così in colpa nei suoi confronti! Gli altri dèi, invece, avevano paura delle sue reazioni.»

A quell’accenno, Astrea asserì con un certo divertimento: «Dalla dea della guerra, puoi aspettarti di tutto.»

«Già» ammiccò complice Alekos. «Comunque, Érebos passò quei miei primi anni nel regno di Ade immerso nello studio, sicuro di poter trovare il modo di liberarmi dall’Oltretomba. Poseidone, nel frattempo, decise di spezzare il silenzio che circondava mia madre, conscio che altrimenti sarebbe incorsa in un pericolo più grande del dolore.»

«L’autodistruzione» annuì recisamente Astrea. «Beh, se sei qui per questo, posso rassicurarti fin d’ora. Io non mi autodistruggerò di sicuro.»

«Oh, ne sono consapevole, altrimenti non avresti vissuto qui per così tanti decenni» dichiarò lui, sorprendendola un poco. «Ma sei l’unica che non ho mai conosciuto, e così ho pensato di venire, visto che era l’unico modo per vederti.»

«In che senso, scusa?» borbottò Astrea.

«Semplice. Io desidero conoscere tutti i membri del Pantheon greco perché sono parte della mia famiglia, e tu restavi l’ultima della lista. Ho conosciuto anche Chaos, e onestamente è stato più semplice che incontrare te» sottolineò Alekos, sorprendendola non poco.

«Chaos? Ma… sei certo di quel che dici? O mi stai prendendo in giro?» esalò la dea, fissandolo con aria confusa.

«Vesto semplicemente la verità con l’abito che più le si addice2. Dovresti prendermi in parola quando dico; ho davvero conosciuto Chaos» motteggiò Alekos, vedendola accigliarsi per diretta conseguenza.

Il giovane allora ridacchiò, si scusò con la dea e replicò a mo’ di spiegazione: «Scusa. E’ la battuta di un’Anime giapponese che ho visto in Italia qualche anno addietro, con il doppiaggio in italiano. Mi sembrava che si addicesse al momento.»

«Un… Anime? Parli in modo davvero strano» storse il naso Astrea.

«Si tratta di un cartone animato. Come quelli di Walt Disney, che immagino avrai conosciuto, a suo tempo, ma questo in particolare parla di dèi e di cavalieri… anche se forse rimarresti sconvolta da alcune trasposizioni fatte. Mia madre è la dea che guida i giusti cavalieri di bronzo in ogni battaglia, per esempio» le spiegò Alekos, con un sorriso sempre presente in volto.

«D’accordo, ora mi stai prendendo davvero in giro! Tua madre in un cartone animato?» gracchiò Astrea, incredula. Gli occhi azzurro cielo erano sgranati e pieni di meraviglia frammista e incomprensione.

Alekos, allora, scoppiò in un’allegra risata e replicò: «Non le hanno chiesto di certo il permesso! Hanno inserito un personaggio come guida spirituale di questi cavalieri, e hanno deciso che dovesse trattarsi di Athena.»

«E tua madre come l’ha presa, quando l’ha saputo?» si interessò a quel punto Astrea, levando un sopracciglio con interesse.

«Ha una sua action figure in camera da letto» ammise Alekos, prima di spiegarsi meglio. «Una raffigurazione, una sorta di statuina. Gliela regalò zio Hermes alcuni anni addietro.»

Astrea si passò le mani sul volto, chiaramente frastornata da quel mare di novità, ed esalò: «Sento che non mi stai mentendo, ma è tutto così assurdo!»

«Beh, in effetti, fin qui la mia vita è stata davvero assurda» ammise il giovane, volgendo lo sguardo quando avvertì una presenza estranea nei pressi dell’altura.

A sua volta, Astrea si accigliò e, nel levarsi in piedi, borbottò: «Arrivederci, Alekos.»

Ciò detto, svanì in un baluginio argentato e, mentre Alekos si levava in piedi per accogliere l’arrivo di Eos, sospirò spiacente e anche vagamente irritato. Era un vero peccato che non fosse rimasta, me era già qualcosa che non lo avesse cacciato a male parole alla sola vista.

Di sicuro, però, avrebbe preferito che Eos non si fosse intromessa così, vanificando a quel modo ogni suo sforzo.

Quando la dea dell’aurora infine giunse accanto a lui, sospirò frustrata e disse: «Lo fa sempre. Quando sente la mia presenza, fugge.»

«Teme una tua reprimenda» le confidò Alekos.

«Non dovrei forse fargliela?» mormorò afflitta la dea, indicando con un ampio gesto del capo tutto ciò che li circondava.

Alekos non faticò a comprendere le parole di Eos. Quel luogo di desolazione e morte non poteva certo essere un buon posto in cui vivere, ma gettarlo in faccia ad Astrea non era la soluzione ideale per avvicinarla.

«Piuttosto, …tu e lei di cosa parlavate?» si informò Eos, curiosa.

«Dell’action figure che Hermes regalò a mia madre» dichiarò Alekos, sorprendendola non poco.

«Che cosa? Parlavate… di un giocattolo?» gracchiò la dea, incredula. In questo, madre e figlia si somigliavano molto. Avevano lo stesso modo di far rizzare le sopracciglia bionde.

Addolcendo lo sguardo, Alekos le sfiorò un braccio con una carezza e aggiunse: «So di chiederti molto, Eos, ma ascolta ciò che ho da dire. Astrea non accetterà mai di tornare, se tu o Astreo la assillerete con le vostre richieste. Deve desiderare di tornare senza essere spinta a farlo.»

«E lo farà ascoltando storie di pupazzetti?» lo denigrò Eos, irritandosi immediatamente.

Imperturbabile ai capricci del carattere di Eos, Alekos replicò: «Ascolterà la mia storia. Vedrà che qualcun altro si è perso ed è tornato a riemergere dal buio in cui era caduto. Non ha bisogno di sapere cose che già sa, e cioè che l’eternità ha molto da offrirle, e che voi la amate, ma deve scoprire cose che non sa, e di me non sa nulla.»

«Pensi che basterà?» borbottò dubbiosa la dea.

«Non ho risposte in tal senso, e mio fratello Moros non è stato molto generoso, quanto a predizioni» ammiccò divertito Alekos. «Ho interpellato anche lui, ma mi ha soltanto detto di comprarmi della crema solare. Non molto utile, in effetti.»

Sbuffando, Eos borbottò: «Quel ragazzo è davvero insopportabile, quando ci si mette.»

«Porta avanti il suo compito, esattamente come io intendo fare con questo. Ho deciso di aiutare Astrea e a ciò mi atterrò, ma ti chiedo… non tornare, se desideri soltanto assillare tua figlia. Non otterrai nulla, così.»

«Tse… avere il filato di Eris ti ha fatto diventare più irrispettoso, a quanto pare» brontolò Eos, scuotendo irritata il capo.

«Io sono orgoglioso di condividere il suo filato, e ciò che tu vedi come mancanza di rispetto, è solo la richiesta dettata da una persona che desidera operare per il meglio» replicò serafico Alekos.

«Non lascerò qui mia figlia da sola! Sappilo!» sbottò allora Eos, fissandolo astiosa.

«Allora, lei non ti parlerà mai. Mi spiace per te, Eos» mormorò il giovane, chiudendo gli occhi per tornare nel proprio corpo.

Quando riemerse, sospirò per la stanchezza, osservò la nonna con aria infastidita e mormorò: «A volte, vorrei prendere a schiaffi le persone.»

Anita scoppiò a ridere, lo aiutò ad alzarsi e ammise: «Capisco bene cosa vuoi dire e, anche a me, a volte prudono le mani.»

Abbracciandola, Alekos allora mormorò: «Grazie, nonna. Tu sai sempre cosa dire, per risollevarmi il morale.»

La donna gli diede delle calorose pacche sulla schiena e, nel riaccompagnarlo all’esterno della dependance, disse: «Io ci sarò sempre, per voi, ma ora riposa un po’ e porta lontano da questa casa tuo cugino. Sta rischiando di far andare fuori di testa le mie ragazze.»

Seguendo incuriosito lo sguardo della nonna, Alekos cercò di comprendere il motivo di tanta preoccupazione – misto a una buona dose di divertimento – e, quando infine vide Eros accanto alle sue cugine, scoppiò a ridere.

«Oh, capisco. E’ venuto lui a prendermi?»

«Già, ma non ho fatto in tempo a tener lontano le ragazze dal suo bel faccino» sospirò Anita, scoppiando suo malgrado a ridere assieme al nipote.

Affrettandosi a raggiungere la casa della nonna, Alekos si avvicinò a Eros che, nel vederlo, sollevò una mano e dichiarò: «Le tue cugine sono assai simpatiche. Avrei dovuto venire prima, a trovarle.»

«E Psiche sarebbe stata d’accordo con te?» ironizzò Alekos, avvolgendo le spalle delle cugine con le braccia, quasi a volerle proteggere dal fascino di Eros.

Linda e Carmen gli tributarono un eguale sorriso di saluto e quest’ultima, con ironia pari a quella di Alekos, replicò: «Io sono più che sicura che Psiche non potrebbe mai essere gelosa di noi.»

Il giovane le baciò entrambe sul capo – essendo molto più alto di loro, gli riusciva bene – e ribatté: «Mai sfidare la gelosia degli dèi, mia cara. E poi, io vi trovo bellissime.»

Le cugine risero compiaciute e, dopo un doppio bacio sulle guance ad Alekos, si accodarono a una accigliata Anita che le richiamò subito all’ordine, riportandole in tutta fretta in casa.

Eros le osservò per un attimo prima di rivolgersi ad Alekos, ancora tutto sorridente, asserendo: «Mi mancava, il mondo degli umani. Mi sono sempre trovato assai bene, qui.»

«Vedo che non hai più problemi. L’avvelenamento è del tutto sparito, quindi» chiosò Alekos.

Il dio dell’amore assentì, scrollando poi le spalle con fare indolente. «Esculapio vorrebbe che io passassi da lui più spesso per dei controlli approfonditi, visto che gli organi erano stati assai colpiti dall’infezione, ma io sto bene! Non sento più alcun dolore.»

Alekos lo fissò con indulgenza, sapendo ormai bene quanto gli dèi detestassero gli ordini o le imposizioni di qualsiasi genere, anche quelli che riguardavano la loro salute.

«Ora, però, sarà meglio se andiamo. Parleremo in modo più approfondito di me una volta raggiunta casa tua. Athena ci vuole là immediatamente.»

Accigliandosi, Alekos domandò: «E’ successo qualcosa?»

«Nulla di brutto, non temere, ma aveva una certa fretta, quando mi ha spedito qui» ammiccò lui, allungandogli una mano.

Alekos la afferrò lesto e, in un lampo, lui ed Eros trasmutarono lontano da San José, diretti verso novità di cui il giovane non sapeva assolutamente nulla.

 

 

 

 

1 Parlo del personaggio di Benjamin Thomson, figlio di Joy Patterson e Morgan Thomson, apparsi nella mia storia original intitolata “Ali Scarlatte”. Per chi non l’avesse letta, trattasi di una Fenice che, per l’appunto, appare in quasi tutti i Pantheon, sotto diversi nomi. Fenice per i greci, Benu (o Bennu) per gli egizi, Garuda per gli indù, Fenghuang per i cinesi e così via.

2 La frase citata da Alekos appartiene al personaggio di Artax, apparso nella seconda stagione de “I Cavalieri dello Zodiaco”, nel ciclo di Asgard.

  
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