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Autore: _camus_    23/05/2020    5 recensioni
Stabilizzarsi, mettere radici – costruire legami.
Per compiacere le malelingue che lo seguivano ovunque andasse, per amor di apparenza.
Per il bene di Naruto.

Arrivati a un crocevia, non è facile scegliere quale direzione intraprendere.
Ci sono strade prive di sbocco, protese sul niente; strade che ripiegano vanamente su loro stesse, riportandoti sempre al medesimo punto; strade lungo cui camminare in due, ma senza toccarsi – come quella del dovere.
- Quinta classificata al contest "Tarocchi Narranti" indetto da _Vintage_ sul forum di EFP -
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dopo la serie
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II. Strade parallele

 

 

Nonostante il suo indiscusso peso all’interno dello scacchiere politico, Konoha non brillava certo per la maestosità della propria sede di governo.

Fino a poco tempo addietro il Palazzo dell’Hokage era stato l’edificio più imponente della città, ma adesso stava rapidamente cedendo tale primato agli immobili di nuova costruzione; non v’erano statue all’ingresso, né decorazioni o stucchi di qualche genere che ne impreziosissero le pareti.

A contraddistinguerlo rimaneva ormai unicamente il colore, di un rosso acceso e sfavillante come la Volontà del Fuoco che rappresentava.

Poi, naturalmente, c’era la Montagna degli Hokage.

In un passato non troppo remoto Sasuke avrebbe guardato quei volti disgustato, desiderando soltanto di poterli sbriciolare tutti insieme con un unico, sfolgorante Chidori; una volta salvati i suoi resti bruciacchiati dall’ossessione della vendetta, invece, la stessa vista ora gli comunicava un vago senso di malinconia – come di sogni incompiuti.

Per Naruto, al contrario, l’effige degli antichi protettori del Villaggio della Foglia era un simbolo sacro, tanto che neppure la consapevolezza di essersi ritagliato un futuro posto tra loro ne aveva scalfito l’ammirazione.

Ai tempi della squadra 7 lo scemo aveva l’abitudine di rintanarsi a pensare – «pensare, certo. Come se ne fosse capace» – appollaiato su uno spuntone di roccia proprio in cima alla testa del Quarto, col villaggio ai piedi e null’altro che il cielo a fare da tetto.

«Sei cervelli sono meglio di uno, neh? E poi, da lassù Konoha toglie il fiato» diceva, col solito atteggiamento semplicistico così disarmante che non sapevi mai se sorridere con lui oppure prenderlo a pugni.

Nonostante fossero passati anni – lunghi duecento vite o, forse, solo una manciata di secondi –, Uchiha non dubitava che quello fosse ancora il suo rifugio prediletto: è risaputo che le volpi tendono ad affezionarsi alla propria tana. Non come i serpenti, che sguisciano via dal nido alla minima fonte di disturbo.

«Data l’ora in cui Kakashi ha deciso di congedarti, avresti fatto meglio a tornartene a casa. Cosa vuoi?»

«Ciao anche a te, Sas’ke!» rise Naruto, come se Sasuke avesse detto qualcosa di particolarmente divertente «Noto con piacere che la lontananza dal mondo civilizzato non ha per nulla intaccato il tuo proverbiale garbo».

La luce della luna si rifletteva sul suo nuovo copri fronte tirato a lucido con un leggero luccichio metallico; portava i capelli più corti dall’ultima volta che l’aveva visto, e una casacca nera che gli abbracciava con grazia le ampie spalle di giovane uomo.

Ma lo sguardo, lo sguardo era rimasto lo stesso di sempre – «insolente. Irritante. E fin troppo azzurro».

«Non sono qui per sorbirmi le tue stupide battute». Già. Perché era lì, quindi? «Allora, ti decidi o no a dirmi per quale motivo ti sei messo in contatto con me?»

«Ho sentito che eri in città e volevo vederti, che cavolo! Ti avrei cercato anche prima, ma il maestro Kakashi mi ha costretto ad aiutarlo fino a qualche momento fa. E non ero affatto sicuro che ti avrei trovato ancora, domani mattina».

«L’idea che io potessi essere a letto non ti è passata neppure per l’anticamera del cervello, vero?»

«Non dire stupidaggini: so benissimo che ti fermi a casa una volta su mille. A proposito,» disse poi, fissandolo con aria inquisitoria «sei andato a trovare Sakura?»

«Sì, certo».

«Nel senso che anche lei se n’è accorta, giusto?»

«Stava dormendo, quando sono arrivato; l’avrei volentieri imitata, se qualcuno non avesse avuto la brillante pensata di scocciarmi nel bel mezzo della notte!» sbuffò Sasuke, infastidito da quell’insinuazione così amaramente fondata.

Non di rado gli era capitato di limitarsi a osservare sua moglie da lontano, semplicemente per accertarsi che stesse bene, e poi ripartire senza scambiare con lei una sola parola.

Sapeva che Sakura non avrebbe avanzato obiezioni né si sarebbe lamentata in nessun caso, ma il velo di tristezza che le scendeva sul viso a ogni nuova separazione lo faceva sentire sgradevolmente in colpa – non più del fatto di trovarsi lì in compagnia di quell’idiota, comunque.

Lo indisponeva in maniera terribile constatare come evitare Naruto continuasse a rappresentare il suo più grande fallimento: ci provava da tutta una vita, eppure nessuna delle barriere erette a difesa della propria integrità si era mostrata in grado di resistere al laccio – «troppo stretto. Troppo largo» – che, prima o poi, finiva per strattonarlo nuovamente verso di lui.

Uzumaki aveva impiegato anni, lacrime e tutta la forza di cui disponeva per riuscire a farglielo accettare – «ti ricordi, Naruto? Ricordi gli schizzi d’acqua tinta di rosso, il sapore ferrigno del sangue sulla lingua, la sensazione di non avere più un solo osso ancora integro? Ricordi che, nonostante la stanchezza indicibile e i denti saltati, continuavamo a girarci intorno come bestie in agonia? A scambiarci pugni più flebili di qualsiasi carezza? Rammenti il momento in cui siamo entrambi crollati in ginocchio e tu, dopo aver appoggiato la fronte contro la mia, mi hai colpito per l’ennesima volta, malgrado i tuoi occhi gridassero che ne avevi abbastanza? Perché io sì, io lo ricordo bene».

Era arrivato a un passo dal sacrificare persino se stesso, salvo poi innalzare fra loro il più definitivo e invalicabile dei muri.

Quella di sposarsi era stata l’unica scelta intelligente che il compagno avesse mai fatto, la più naturale per uno shinobi che aspirava da sempre a diventare guida e modello del villaggio; tuttavia, benché detestasse doverlo ammettere, Sasuke stava faticando non poco a farsi bastare il ruolo di mera spalla.

«Comunque,» esclamò, dopo qualche secondo di silenzio «premesso che il modo in cui gestisci la vita coniugale non è affar mio – e viceversa –, mi risulta che neppure tu passi molto tempo con tua moglie: non vorrai farmi credere che quella di stasera sia stata un’eccezione, Naruto?»

Quest’ultimo, punto sul vivo, arrossì leggermente.

«Hai ragione: tra le missioni e tutto il resto, ultimamente non sono mai a casa» ammise, prendendo a giocherellare con la cerniera della giacca «Hinata ha fin troppa pazienza. È così buona, così dolce che spesso mi chiedo se non abbia commesso un errore ad accontentarsi di uno zuccone come me».

Nel fare quella sorta di confessione le labbra gli si erano piegate in un sorriso tanto tenero quanto fugace, molto simile a un qualcosa di prezioso da mostrare con cautela.

Mai prima di allora Sasuke si era sentito così fuori posto, insieme a Naruto – «come se si fosse smussato un incastro e i pezzi non combaciassero più».

«Visto che non hai nulla di importante da dirmi, io me ne vado» proruppe allora, in modo più accorato di quanto gli sarebbe piaciuto «Ci vediamo, testa quadra».

Si era voltato senza neppure guardarlo, ben deciso a non dargli l’occasione di replicare; stava appunto per saltare nel buio, quando si sentì trattenere per i lembi del mantello.

La mano di Naruto, erroneamente protesa ad afferrare il suo braccio sinistro, aveva annaspato tra la stoffa vuota sino a trovare un qualcosa a cui aggrapparsi.

«Quel braccio te lo sei già preso. Ma c’è pur sempre l’altro, se lo vuoi».

Improvvisamente, gli era venuta una gran voglia di litigare: di sentire il proprio chakra infiammargli i bulbi oculari e scagliare contro quello stupido il più potente dei suoi attacchi, sì da risolvere ogni non detto – perché loro avevano sempre preferito i pugni alle mille parole che non sapevano pronunciare.

«Anche tu ti sei preso il mio, pezzo di idiota! Stavo solo provando a farti restare – senza picchiarti, per una volta. È che… che non mi va di vederti già andar via, cavolo».  

Naruto sorrise di nuovo, stavolta nella maniera sfrontata che Sasuke conosceva così bene; poi, altrettanto sfacciatamente, gli cinse le spalle e lo tirò a sedere accanto a sé.

Uchiha non ebbe neppure il tempo di chiedergli cosa diavolo stesse facendo, che subito quello riprese a parlare.

«Ci sono un sacco di stelle stanotte, neh? Mi sono sempre piaciute, le stelle» constatò, alzando gli occhi alla volta celeste d’agosto «Casa mia era un tugurio, ma se ti stendevi sul letto potevi guardarle attraverso la finestra. Da bambino passavo ore intere a fissarle: sicuramente ti suonerà sciocco, però il loro ammiccare mi dava l’impressione di essere meno solo».

No, Sasuke non trovava per nulla che fosse sciocco.

Un tempo a lui succedeva la stessa cosa dinanzi a uno specchio d’acqua: il leggero incresparsi della superficie intorno al suo riflesso soleva regalargli la carezzevole illusione di avere qualcuno accanto. Ovviamente, però, non lo disse.

«Poi sei arrivato tu, e finalmente anch’io ho avuto un volto da cercare in quel marasma di puntini luminosi. Durante gli anni in cui sei stato lontano l’ho fatto così tanto spesso che, a volte, mi capitava sul serio di vederti apparire nel blu; ora che ci penso, devo aver dato il tuo nome a ogni singola stella del firmamento».

Naruto si interruppe un momento, come a sondare l’effetto di tali parole nel suo interlocutore – il quale, se non fosse stato per il respiro che gli muoveva la cassa toracica, si sarebbe potuto confondere con le figure di pietra alle loro spalle.

Quella schietta, impudente dichiarazione era nient’affatto inaspettata, e tuttavia aveva colpito Sasuke più intensamente di un affondo in pieno stomaco; non tanto per il contenuto in sé, quanto per il momento in cui essa giungeva.

Che il “Perché siamo amici” fosse un concetto irrimediabilmente insufficiente a spiegare il loro assurdo gravitarsi attorno sino a collidere era verità ormai chiara a entrambi: un sottinteso che condividevano tacitamente da tempo inquantificabile, palesatosi con evidenza sempre maggiore nel corso degli anni.

Neppure il legame di tipo fraterno si addiceva a descrivere ciò che univa a doppio filo lui e il compagno: Uchiha sapeva bene quante cose potesse rappresentare un fratello – «modello, ostacolo, incubo, rimpianto bruciante. Assenza incolmabile» – e nessuna di queste assomigliava alla scossa sottopelle che il solo pensare a Naruto gli provocava.

Non erano più rivali, ma nemmeno amici o fratelli; men che meno, poi, erano amanti – esistevano troppi motivi per cui mai avrebbero potuto esserlo. Uno su tutti, le rispettive nozze.

Benché cercasse di trattarla alla stessa maniera delle altre – innumerevoli – cicatrici che si portava addosso, imparare a convivere con tale consapevolezza gli stava risultando più difficile del previsto; perché quello stupido, stupidissimo coglione pareva divertirsi a toccare l’argomento?

Perché non riusciva semplicemente a lasciarlo in pace, una buona volta?

Aveva seppellito ogni rancore nei meandri nascosti della propria anima, pur di diventare lo shinobi che il futuro Nanaidame meritava di avere a fianco; per non alimentare pettegolezzi che potessero nuocere al buon nome di questi, si era persino sposato.

Che accidenti pretendeva ancora da lui?

«Arriva al sodo, Naruto. Cosa stai cercando di dirmi?»

«Non mettermi fretta! Sto cercando di dirti… » Naruto aumentò la stretta sulle spalle di Sasuke, fissandolo con una concentrazione tanto intensa da risultare quasi irreale «… che, rispetto ad allora, non è cambiato niente».

«Ma quali idiozie vai cianciando?!» lo aggredì l’ex nukenin, mentre tentava di sottrarsi alla sua presa e, soprattutto, al suo sguardo «Non ti sei accorto che, al contrario di quanto sostieni, è cambiato tutto

Uzumaki reagì a tale prevedibile scatto d’ira bloccandogli una gamba sotto la propria, di modo da impedirgli di alzarsi e portare la discussione su piani meno civili; poi, probabilmente conscio di avere solo pochi secondi prima che l’altro manifestasse la propria insofferenza, sbottò: «Vuoi stare zitto e lasciarmi spiegare, maledetto testone!? Non sono bravo a fare discorsi complicati, lo sai».

«Ma davvero?! Lo sanno tutti».

«Appunto» ghignò in risposta il ninja biondo, per nulla offeso dal suo sarcasmo «Perciò, piantala di interrompere. Vedo benissimo che nulla è più come prima, non sono cieco. Siamo cresciuti, le nostre vite sono profondamente mutate – tu aspetti addirittura un figlio da Sakura, cavolo. Ciò che non è cambiato, però, è quello che sento per te».

Fu allora che Sasuke smise finalmente di divincolarsi, rassegnato all’idea di dover per forza stare a sentire dove sarebbe andato a parare il discorso; Naruto ne approfittò quindi per rilassare appena i muscoli contratti.

«Giusti o sbagliati che fossero, avevamo entrambi i nostri personali traguardi da raggiungere: tu volevi vendicare il clan Uchiha, io diventare Hokage. Erano obiettivi che non potevano non condurci allo scontro, eppure io non ho mai smesso di sperare che sarei riuscito a fermarti prima; persino il mio desiderio di sedere sullo scranno di Konoha finiva per scolorire, dinanzi alla necessità di riportarti indietro. Quasi che una cosa escludesse l’altra. Tu, dal canto tuo, anziché eliminarmi alla prima occasione e perseguire fino in fondo i tuoi propositi, in un modo o nell’altro ti sei sempre lasciato raggiungere – ed è inutile che ti affretti a negarlo: sai che ho ragione».

Certo che ce l’aveva; anche troppa. Come Sakura prima di lui.

«In tutti questi anni io ho fissato unicamente la tua schiena, mentre tu, beh… tu fissavi Naruto».

«E se anche fosse? Qual è il punto?»

«Oh, insomma! Il punto è che, finché le nostre aspirazioni si sono contrapposte, farci la guerra è stato l’unico mezzo che avevamo a disposizione per tenere vivo ciò che c’è fra di noi; adesso non ne abbiamo più bisogno, ma questo non significa che… che io possa fare a meno della tua presenza. Sapere di condividere con te il sogno di un futuro di pace, finalmente, mi dà la forza di procedere lungo la direzione che, ne sono sicuro, è quella più giusta».

«C’è un vecchio detto, che recita: “Amare non è guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione”».

Mano a mano che Naruto dava voce alla propria – confusa, eppure chiarissima – riflessione, le parole della moglie si erano fatte spazio nella mente di Sasuke con irruenza sempre maggiore, sino ad assumere la consistenza di un’eco eccezionalmente potente.

«Amare non è guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione».

Un avvenire senz’ombre, un mondo pieno di speranza e prosperità dove le future generazioni di ninja avrebbero potuto convivere in pace: questo accendeva gli occhi di Uzumaki, quando egli parlava della propria direzione – che, a conti fatti, era la stessa anche per lui.  

Ma la salvaguardia di Konoha poteva realmente diventare lo scopo della sua vita, il fine ultimo su cui riversare anche quel bisogno di Naruto che proprio il villaggio gli aveva imposto di soffocare?

Sasuke alzò lo sguardo sulla linea dell’orizzonte, dove un vago chiarore si stava innalzando al di sopra delle montagne.

Il futuro era laggiù, da qualche parte oltre quelle cime; probabilmente non l’avrebbe mai raggiunto, ma tanto valeva mettere un piede dietro l’altro e incamminarsi.

Perché, per una volta, lo scemo aveva avuto ragione: qualunque cosa fossero, fra loro non era cambiato niente – e adesso lo sapeva.

«Sarà una strada di doveri e rinunce, la nostra» sussurrò, volgendo appena il viso verso il camerata.

«Hai forse paura, fifone?» sorrise questi, appoggiando la fronte contro la sua esattamente come alla Valle dell’Epilogo, ma senza colpirlo «Costruiremo qualcosa di grande, procedendo insieme verso lo stesso obiettivo! Com’era? Ah, sì: “Amare non è guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione”».

«C-come?»

«Oh, è solo un vecchio proverbio. L’ho sentito dire tanto tempo fa, ma non ricordo proprio da chi». 




.




Note dell’autore

Bentrovati sul secondo – e ultimo – frammento de “L’incrocio”!

Le considerazioni sul “What if?” da me svolte nelle note al precedente capitolo valgono a maggior ragione in questa sede: generalmente tendo a lasciare ambigua la natura del rapporto fra Sasuke e Naruto – cosa che, a mio avviso, succede persino a livello canonico –, ma stavolta mi sono vista costretta a esplicitare un poco di più.

Venendo, al solito, agli aspetti più specifici:

- “Chidori” è il corrispondente giapponese dell’italianizzato “Mille falchi”;

- “Nanaidame”, sta per “Settimo (Hokage)”.

Al momento non mi vengono in mente ulteriori precisazioni; spero che, nel complesso, la storia vi sia piaciuta.

Ringrazio tutti coloro che sono passati sul primo capitolo e, altresì, quelli che spenderanno un poco del loro tempo per leggere e/o commentare anche questo!

Irene  

 

 

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