II.
Strade
parallele
Nonostante
il suo
indiscusso peso all’interno dello scacchiere politico, Konoha non
brillava
certo per la maestosità della propria sede di governo.
Fino
a poco tempo
addietro il Palazzo dell’Hokage era stato l’edificio più imponente
della città,
ma adesso stava rapidamente cedendo tale primato agli immobili di
nuova
costruzione; non v’erano statue all’ingresso, né decorazioni o stucchi
di
qualche genere che ne impreziosissero le pareti.
A
contraddistinguerlo
rimaneva ormai unicamente il colore, di un rosso acceso e sfavillante
come la
Volontà del Fuoco che rappresentava.
Poi,
naturalmente, c’era
la Montagna degli Hokage.
In
un passato non troppo
remoto Sasuke avrebbe guardato quei volti disgustato, desiderando
soltanto di
poterli sbriciolare tutti insieme con un unico, sfolgorante Chidori;
una volta
salvati i suoi resti bruciacchiati dall’ossessione della vendetta,
invece, la
stessa vista ora gli comunicava un vago senso di malinconia – come di
sogni
incompiuti.
Per
Naruto, al
contrario, l’effige degli antichi protettori del Villaggio della
Foglia era un
simbolo sacro, tanto che neppure la consapevolezza di essersi
ritagliato un
futuro posto tra loro ne aveva scalfito l’ammirazione.
Ai
tempi della squadra 7
lo scemo aveva l’abitudine di rintanarsi a pensare – «pensare,
certo.
Come se ne fosse capace» – appollaiato su uno spuntone di
roccia
proprio in cima alla testa del Quarto, col villaggio ai piedi e
null’altro che
il cielo a fare da tetto.
«Sei
cervelli sono
meglio di uno, neh? E poi, da lassù Konoha toglie il fiato»
diceva, col
solito atteggiamento semplicistico così disarmante che non sapevi mai
se
sorridere con lui oppure prenderlo a pugni.
Nonostante
fossero
passati anni – lunghi duecento vite o, forse, solo una manciata di
secondi –,
Uchiha non dubitava che quello fosse ancora il suo rifugio prediletto:
è
risaputo che le volpi tendono ad affezionarsi alla propria tana. Non
come i
serpenti, che sguisciano via dal nido alla minima fonte di disturbo.
«Data
l’ora in cui
Kakashi ha deciso di congedarti, avresti fatto meglio a tornartene a
casa. Cosa
vuoi?»
«Ciao
anche a te,
Sas’ke!» rise Naruto, come se Sasuke avesse detto qualcosa di
particolarmente
divertente «Noto con piacere che la lontananza dal mondo civilizzato
non ha per
nulla intaccato il tuo proverbiale garbo».
La
luce della luna si
rifletteva sul suo nuovo copri fronte tirato a lucido con un leggero
luccichio
metallico; portava i capelli più corti dall’ultima volta che l’aveva
visto, e
una casacca nera che gli abbracciava con grazia le ampie spalle di
giovane
uomo.
Ma
lo sguardo, lo
sguardo era rimasto lo stesso di sempre – «insolente.
Irritante. E fin
troppo azzurro».
«Non
sono qui per
sorbirmi le tue stupide battute». Già. Perché era lì, quindi? «Allora,
ti
decidi o no a dirmi per quale motivo ti sei messo in contatto con me?»
«Ho sentito che
eri
in città e volevo vederti, che cavolo! Ti avrei cercato anche prima,
ma il
maestro Kakashi mi ha costretto ad aiutarlo fino a qualche momento fa.
E non
ero affatto sicuro che ti avrei trovato ancora, domani mattina».
«L’idea
che io potessi
essere a letto non ti è passata neppure per l’anticamera del cervello,
vero?»
«Non
dire stupidaggini:
so benissimo che ti fermi a casa una volta su mille. A proposito,»
disse poi,
fissandolo con aria inquisitoria «sei andato a trovare Sakura?»
«Sì,
certo».
«Nel
senso che anche lei
se n’è accorta, giusto?»
«Stava
dormendo, quando
sono arrivato; l’avrei volentieri imitata, se qualcuno non
avesse
avuto la brillante pensata di scocciarmi nel bel mezzo della notte!»
sbuffò Sasuke, infastidito da quell’insinuazione così amaramente
fondata.
Non
di rado gli era
capitato di limitarsi a osservare sua moglie da lontano, semplicemente
per
accertarsi che stesse bene, e poi ripartire senza scambiare con lei
una sola
parola.
Sapeva
che Sakura non
avrebbe avanzato obiezioni né si sarebbe lamentata in nessun caso, ma
il velo
di tristezza che le scendeva sul viso a ogni nuova separazione lo
faceva
sentire sgradevolmente in colpa – non più del fatto di trovarsi lì in
compagnia
di quell’idiota, comunque.
Lo
indisponeva in
maniera terribile constatare come evitare Naruto continuasse a
rappresentare il
suo più grande fallimento: ci provava da tutta una vita, eppure
nessuna delle
barriere erette a difesa della propria integrità si era mostrata in
grado di
resistere al laccio – «troppo stretto. Troppo largo» –
che,
prima o poi, finiva per strattonarlo nuovamente verso di lui.
Uzumaki
aveva impiegato
anni, lacrime e tutta la forza di cui disponeva per riuscire a
farglielo
accettare – «ti ricordi, Naruto? Ricordi gli schizzi d’acqua
tinta di
rosso, il sapore ferrigno del sangue sulla lingua, la sensazione di
non avere
più un solo osso ancora integro? Ricordi che, nonostante la
stanchezza
indicibile e i denti saltati, continuavamo a girarci intorno come
bestie in agonia?
A scambiarci pugni più flebili di qualsiasi carezza? Rammenti il
momento in cui
siamo entrambi crollati in ginocchio e tu, dopo aver appoggiato la
fronte
contro la mia, mi hai colpito per l’ennesima volta, malgrado i tuoi
occhi
gridassero che ne avevi abbastanza? Perché io sì, io lo ricordo
bene».
Era
arrivato a un passo
dal sacrificare persino se stesso, salvo poi innalzare fra loro il più
definitivo e invalicabile dei muri.
Quella
di sposarsi era
stata l’unica scelta intelligente che il compagno avesse mai fatto, la
più naturale per uno shinobi che aspirava da sempre a
diventare guida e modello del villaggio; tuttavia, benché detestasse
doverlo
ammettere, Sasuke stava faticando non poco a farsi bastare il ruolo di
mera
spalla.
«Comunque,»
esclamò, dopo
qualche secondo di silenzio «premesso che il modo in cui gestisci la
vita
coniugale non è affar mio – e viceversa –, mi risulta che neppure tu
passi
molto tempo con tua moglie: non vorrai farmi credere che quella di
stasera sia
stata un’eccezione, Naruto?»
Quest’ultimo,
punto sul
vivo, arrossì leggermente.
«Hai
ragione: tra le
missioni e tutto il resto, ultimamente non sono mai a casa» ammise,
prendendo a
giocherellare con la cerniera della giacca «Hinata ha fin troppa
pazienza. È
così buona, così dolce che spesso mi chiedo se non abbia commesso un
errore ad
accontentarsi di uno zuccone come me».
Nel
fare quella sorta di
confessione le labbra gli si erano piegate in un sorriso tanto tenero quanto
fugace,
molto simile a un qualcosa di prezioso da mostrare con cautela.
Mai
prima di allora
Sasuke si era sentito così fuori posto, insieme a Naruto – «come
se si
fosse smussato un incastro e i pezzi non combaciassero più».
«Visto
che non hai nulla
di importante da dirmi, io me ne vado» proruppe allora, in modo più
accorato di
quanto gli sarebbe piaciuto «Ci vediamo, testa quadra».
Si
era voltato senza
neppure guardarlo, ben deciso a non dargli l’occasione di replicare;
stava
appunto per saltare nel buio, quando si sentì trattenere per i lembi
del
mantello.
La
mano di Naruto,
erroneamente protesa ad afferrare il suo braccio sinistro, aveva
annaspato tra
la stoffa vuota sino a trovare un qualcosa a cui aggrapparsi.
«Quel
braccio te lo sei
già preso. Ma c’è pur sempre l’altro, se lo vuoi».
Improvvisamente,
gli era
venuta una gran voglia di litigare: di sentire il proprio
chakra
infiammargli i bulbi oculari e scagliare contro quello stupido il più
potente
dei suoi attacchi, sì da risolvere ogni non detto – perché loro
avevano sempre
preferito i pugni alle mille parole che non sapevano pronunciare.
«Anche
tu ti sei preso
il mio, pezzo di idiota! Stavo solo provando a farti restare –
senza
picchiarti, per una volta. È che… che non mi va di vederti già andar
via,
cavolo».
Naruto
sorrise di nuovo,
stavolta nella maniera sfrontata che Sasuke conosceva così bene; poi,
altrettanto sfacciatamente, gli cinse le spalle e lo tirò a sedere
accanto a
sé.
Uchiha
non ebbe neppure
il tempo di chiedergli cosa diavolo stesse facendo, che subito quello
riprese a
parlare.
«Ci
sono un sacco di
stelle stanotte, neh? Mi sono sempre piaciute, le stelle» constatò,
alzando gli
occhi alla volta celeste d’agosto «Casa mia era un tugurio, ma se ti
stendevi
sul letto potevi guardarle attraverso la finestra. Da bambino passavo
ore
intere a fissarle: sicuramente ti suonerà sciocco, però il loro
ammiccare mi
dava l’impressione di essere meno solo».
No,
Sasuke non trovava
per nulla che fosse sciocco.
Un
tempo a lui succedeva
la stessa cosa dinanzi a uno specchio d’acqua: il leggero incresparsi
della
superficie intorno al suo riflesso soleva regalargli la carezzevole
illusione
di avere qualcuno accanto. Ovviamente, però, non lo disse.
«Poi
sei arrivato tu, e
finalmente anch’io ho avuto un volto da cercare in quel marasma di
puntini
luminosi. Durante gli anni in cui sei stato lontano l’ho fatto così
tanto
spesso che, a volte, mi capitava sul serio di vederti apparire nel
blu; ora che
ci penso, devo aver dato il tuo nome a ogni singola stella del
firmamento».
Naruto
si interruppe un
momento, come a sondare l’effetto di tali parole nel suo interlocutore
– il
quale, se non fosse stato per il respiro che gli muoveva la cassa
toracica, si
sarebbe potuto confondere con le figure di pietra alle loro spalle.
Quella
schietta,
impudente dichiarazione era nient’affatto inaspettata, e tuttavia
aveva colpito
Sasuke più intensamente di un affondo in pieno stomaco; non tanto per
il
contenuto in sé, quanto per il momento in cui essa
giungeva.
Che
il “Perché
siamo amici” fosse un concetto irrimediabilmente
insufficiente a
spiegare il loro assurdo gravitarsi attorno sino a collidere era
verità ormai
chiara a entrambi: un sottinteso che condividevano tacitamente da
tempo
inquantificabile, palesatosi con evidenza sempre maggiore nel corso
degli anni.
Neppure
il legame di
tipo fraterno si addiceva a descrivere ciò che univa a doppio filo lui
e il
compagno: Uchiha sapeva bene quante cose potesse rappresentare un
fratello
– «modello, ostacolo, incubo, rimpianto bruciante. Assenza
incolmabile»
– e nessuna di queste assomigliava alla scossa sottopelle che il
solo
pensare a Naruto gli provocava.
Non
erano più rivali, ma
nemmeno amici o fratelli; men che meno, poi, erano amanti –
esistevano troppi motivi per cui mai avrebbero potuto esserlo. Uno su
tutti, le
rispettive nozze.
Benché
cercasse di
trattarla alla stessa maniera delle altre – innumerevoli – cicatrici
che si
portava addosso, imparare a convivere con tale consapevolezza gli
stava
risultando più difficile del previsto; perché quello stupido,
stupidissimo
coglione pareva divertirsi a toccare l’argomento?
Perché
non riusciva
semplicemente a lasciarlo in pace, una buona volta?
Aveva
seppellito ogni
rancore nei meandri nascosti della propria anima, pur di diventare lo
shinobi
che il futuro Nanaidame meritava di avere a fianco; per non alimentare
pettegolezzi che potessero nuocere al buon nome di questi, si era
persino sposato.
Che
accidenti pretendeva
ancora da lui?
«Arriva
al sodo, Naruto.
Cosa stai cercando di dirmi?»
«Non
mettermi fretta!
Sto cercando di dirti… » Naruto aumentò la stretta sulle spalle di
Sasuke,
fissandolo con una concentrazione tanto intensa da risultare quasi
irreale «…
che, rispetto ad allora, non è cambiato niente».
«Ma
quali idiozie vai
cianciando?!» lo aggredì l’ex nukenin, mentre tentava di sottrarsi
alla sua
presa e, soprattutto, al suo sguardo «Non ti sei accorto che, al
contrario di
quanto sostieni, è cambiato tutto?»
Uzumaki
reagì a tale prevedibile
scatto d’ira bloccandogli una gamba sotto la propria, di modo da
impedirgli di
alzarsi e portare la discussione su piani meno civili; poi,
probabilmente
conscio di avere solo pochi secondi prima che l’altro manifestasse la
propria
insofferenza, sbottò: «Vuoi stare zitto e lasciarmi spiegare,
maledetto
testone!? Non sono bravo a fare discorsi complicati, lo
sai».
«Ma
davvero?! Lo sanno
tutti».
«Appunto»
ghignò in
risposta il ninja biondo, per nulla offeso dal suo sarcasmo «Perciò,
piantala
di interrompere. Vedo benissimo che nulla è più come prima, non sono
cieco.
Siamo cresciuti, le nostre vite sono profondamente mutate – tu aspetti
addirittura un figlio da Sakura, cavolo. Ciò che non è cambiato, però,
è quello
che sento per te».
Fu
allora che Sasuke
smise finalmente di divincolarsi, rassegnato all’idea di dover per
forza stare
a sentire dove sarebbe andato a parare il discorso; Naruto ne
approfittò quindi
per rilassare appena i muscoli contratti.
«Giusti
o sbagliati che
fossero, avevamo entrambi i nostri personali traguardi da raggiungere:
tu
volevi vendicare il clan Uchiha, io diventare Hokage. Erano obiettivi
che non
potevano non condurci allo scontro, eppure io non ho mai smesso di
sperare che
sarei riuscito a fermarti prima; persino il mio desiderio di sedere
sullo
scranno di Konoha finiva per scolorire, dinanzi alla necessità di
riportarti
indietro. Quasi che una cosa escludesse l’altra.
Tu,
dal canto tuo, anziché eliminarmi alla prima occasione e perseguire
fino in fondo i tuoi propositi, in un modo o nell’altro ti sei sempre
lasciato
raggiungere – ed è inutile che ti affretti a negarlo: sai che ho
ragione».
Certo
che ce l’aveva;
anche troppa. Come Sakura prima di lui.
«In
tutti questi anni io ho fissato unicamente la tua schiena, mentre
tu, beh…
tu fissavi Naruto».
«E
se anche fosse? Qual
è il punto?»
«Oh,
insomma! Il punto è
che, finché le nostre aspirazioni si sono contrapposte, farci la
guerra è stato
l’unico mezzo che avevamo a disposizione per tenere vivo ciò che c’è
fra di
noi; adesso non ne abbiamo più bisogno, ma questo non significa che…
che io
possa fare a meno della tua presenza. Sapere di condividere con te il
sogno di
un futuro di pace, finalmente, mi dà la forza di procedere lungo la
direzione
che, ne sono sicuro, è quella più giusta».
«C’è
un vecchio detto, che recita: “Amare non è guardarsi
l’un
l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione”».
Mano
a mano che Naruto
dava voce alla propria – confusa, eppure chiarissima – riflessione, le
parole
della moglie si erano fatte spazio nella mente di Sasuke con irruenza
sempre
maggiore, sino ad assumere la consistenza di un’eco eccezionalmente
potente.
«Amare
non è guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella
stessa direzione».
Un
avvenire senz’ombre,
un mondo pieno di speranza e prosperità dove le future generazioni di
ninja
avrebbero potuto convivere in pace: questo accendeva gli occhi di
Uzumaki,
quando egli parlava della propria direzione – che, a conti
fatti,
era la stessa anche per lui.
Ma
la salvaguardia di
Konoha poteva realmente diventare lo scopo della sua vita, il fine
ultimo su
cui riversare anche quel bisogno di Naruto che
proprio il
villaggio gli aveva imposto di soffocare?
Sasuke
alzò lo sguardo
sulla linea dell’orizzonte, dove un vago chiarore si stava innalzando
al di
sopra delle montagne.
Il
futuro era laggiù, da
qualche parte oltre quelle cime; probabilmente non l’avrebbe mai
raggiunto, ma
tanto valeva mettere un piede dietro l’altro e incamminarsi.
Perché,
per una volta,
lo scemo aveva avuto ragione: qualunque cosa fossero, fra loro non era
cambiato niente – e adesso lo sapeva.
«Sarà
una strada di
doveri e rinunce, la nostra» sussurrò, volgendo appena il
viso
verso il camerata.
«Hai
forse paura,
fifone?» sorrise questi, appoggiando la fronte contro la sua
esattamente come
alla Valle dell’Epilogo, ma senza colpirlo «Costruiremo qualcosa di
grande,
procedendo insieme verso lo stesso obiettivo! Com’era? Ah, sì: “Amare
non è
guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione”».
«C-come?»
«Oh,
è solo un vecchio
proverbio. L’ho sentito dire tanto tempo fa, ma non ricordo proprio da
chi».
Note
dell’autore
Bentrovati
sul secondo – e ultimo – frammento de “L’incrocio”!
Le
considerazioni sul “What if?” da me svolte nelle note al precedente
capitolo valgono a maggior ragione in questa sede: generalmente tendo a
lasciare ambigua la natura del rapporto fra Sasuke e Naruto – cosa che,
a mio avviso, succede persino a livello canonico –, ma stavolta mi sono
vista costretta a esplicitare un poco di più.
Venendo,
al solito, agli aspetti più specifici:
-
“Chidori” è il corrispondente giapponese dell’italianizzato “Mille
falchi”;
-
“Nanaidame”, sta per “Settimo (Hokage)”.
Al
momento non mi vengono in mente ulteriori precisazioni; spero che, nel
complesso, la storia vi sia piaciuta.
Ringrazio
tutti coloro che sono passati sul primo capitolo e, altresì, quelli che
spenderanno un poco del loro tempo per leggere e/o commentare anche
questo!
Irene
Campagna
di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
Dona
l’8‰
del tuo tempo alla causa pro recensioni. Farai felice milioni di
scrittori.
(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio
crede)
(© elyxyz)