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Autore: breezeblock    29/05/2020    3 recensioni
Non sapeva dire con esattezza quando si era perso. Sta di fatto che adesso faticava a ritrovarsi, tra quei ricci ribelli e morbidi, tra i lembi di stoffa del suo vestito color indaco, nell’incavo del collo che il suo maglione largo lasciava scoperto, nella sua bocca che sapeva di tè al limone. Si era perso in quel labirinto che sapeva di lei, c’era scivolato dentro e adesso annaspava per trovare una via d’uscita. [...]
La Granger alimentava i suoi desideri con i fiammiferi e poi li estingueva con secchiate di acqua gelida, tutto con la stessa bocca carnosa maledetta. [...] Sarebbe finito al San Mungo entro la fine dell’anno, di questo era ormai certo.
IN REVISIONE
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Hermione
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Muggle Studies - The Years '
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Eccomi di nuovo qui! 
Il capitolo è molto lungo, spero non annoi e che possa risolvere un paio di dubbi che si saranno sicuramente accumulati nel percorso (specie i dubbi di Hermione). Ci tenevo a dire che la storia terminerà con il capitolo 12 e poi ci sarà un breve epilogo, quindi mancano 2 capitoli e poi la chiusura finale. Le parole in corsivo che vedrete a un certo punto nel capitolo  sono prese da una delle canzoni che vi ho indicato nel capitolo precedente, quindi non appartengono a me, ho solo pensato che potessero essere perfette per il momento che leggerete.
Vi auguro una buona lettura e a presto!


 
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Muggle Studies

10. 

 
Come let’s be gentle, be soft in my arms
The twilight is keeping us close to the stars
 
 
 

Non sapeva dire con esattezza quando si era perso. Sta di fatto che adesso faticava a ritrovarsi, tra quei ricci ribelli e morbidi, tra i lembi di stoffa del suo vestito color indaco, nell’incavo del collo che il suo maglione largo lasciava scoperto, nella sua bocca che sapeva di tè al limone. Si era perso tra quelle radici degli alberi che fuoriuscivano dalla terra e che lo facevano inciampare continuamente, si era perso in quel labirinto che sapeva di lei, c’era scivolato dentro e adesso annaspava per trovare una via d’uscita. 
La notte passata dalla nonna fu per lui tremenda. Si svegliò più volte così sudato e ansimante che temeva la Granger potesse sentirlo respirare così pesantemente e svegliarsi. Lei però dormiva tranquilla, persa in chissà quale sogno lontano, uno in cui molto probabilmente lui non faceva parte. Aveva la bocca semichiusa, i ricci sparsi sul cuscino, gli stessi in cui aveva affondato le mani più volte durante la loro prima e unica notte passata davvero insieme. Dovette sforzarsi con tutto sé stesso per non far notare la sua agitazione nello stare di nuovo accanto a lei, per altro seminudo, per colpa della sua dimenticanza che probabilmente alla Granger sarà risultato l’ennesimo squallido tentativo di sedurla. Uscì a fumare sul balconcino e si calmò un po’ nel sentire l’aria ormai estiva riscaldargli le mani congelate, ma nemmeno una sigaretta gli bastò per placare il galoppo del suo cuore imbizzarrito. Non riusciva a capire come la Granger fosse capace di trattenersi così bene, come riuscisse a sembrare totalmente disinteressata al calore del suo corpo, cosa che aveva imparato non esserle completamente indifferente. D’altronde glielo aveva dimostrato molte volte, non solo quella notte a casa Black, ma anche nel Reparto Proibito, quando un po’ per la paura, gli si era praticamente spalmata addosso spargendo i suoi folti ricci sul petto, riusciva a distinguere chiaramente quel desiderio che puntualmente rimaneva insoddisfatto perché mai pronunciato dalle sue labbra carnose. Quello non poteva essere un sogno, non poteva essersi immaginato tutto, la tensione dei loro corpi la conosceva così bene che avrebbe potuto perdersi in quello della Granger e ritrovarci le sue stesse ossa. 
E se pure lei non lo avesse mai ammesso, forse nemmeno a sé stessa, Draco lo sentiva, e poté constatarlo l’ennesima volta quella mattina presto, quando si svegliò per primo e la vide vicina a lui, le mani quasi gli sfioravano il tessuto della maglietta, i piedi nascosti sotto alle lenzuola che si sfioravano. Lui non si scompose di un millimetro, fece finta di essere ancora addormentato quando capì che la Granger stava per svegliarsi, e lasciò che lei si rendesse conto di quella vicinanza tutt’altro che insolita. E ovviamente, per l’ennesima volta, lei non gli diede alcuna soddisfazione. Si allontanò da lui e poi lo svegliò con una mano sulla spalla, scuotendolo con delicatezza e chiamandolo per nome, con quel nome che aveva assunto tutt’altra definizione da quando lo aveva pronunciato per la prima volta.
Draco.
La Granger alimentava i suoi desideri con i fiammiferi e poi li estingueva con secchiate di acqua gelida, tutto con la stessa bocca carnosa maledetta di cui lui si era accorto del potere mortale fin dalla sera del Ballo del Ceppo, quando ciò nonostante decise volontariamente di esserne vittima. Non poteva biasimarla quindi, quando in treno cominciò a raccontarle della sua ennesima insicurezza, dell’ennesima voce fuori dal coro che però si frapponeva tra lei e lui, pensando di sapere cosa c’era stato, vantando pretese sull’intelligenza e il buon senso della Granger. Non poteva essere così sciocca da far prevalere il pensiero di altri al suo, specie quando si trattava di questioni così personali. Eppure, quella sera in giardino lei glielo aveva detto, era ubriaca certo, ma gli aveva detto la verità. Tutti vedevano solo quello che di lei ammiravano di più, la lealtà, l’intelligenza, il coraggio, l’assennatezza, solo lui aveva visto anche altro, quello che probabilmente gli altri avrebbero disprezzato perché “non troppo da lei”, perché scomodo e odioso, eppure era proprio a lui che lei continuava a negarsi, manifestando mille insicurezze e indecisioni, dubbi che forse non appartenevano davvero a lei. Ma questo lui non poteva saperlo né affermarlo con certezza, ed era stanco. Non voleva più cercare di capirla o farle capire, lui per primo faticava a comprendere cosa volesse da lei, l’unica cosa che gli era chiara era che voleva smettesse si comportasse da ragazzina, ma comunque, glielo aveva detto lui, che a diciassette anni era concesso sbagliare, tentare e tentare, quindi forse era stato solo uno strumento temporaneo che lei aveva posseduto solo per brevi istanti, ma stentava ancora a capire perché non potessero sbagliare insieme, ammesso che lei fosse uno sbaglio per lui, una cosa di cui non era più tanto certo.
Sarebbe finito al San Mungo entro la fine dell’anno, questo era ormai certo.
 
 
 
Arrivarono ad Edimburgo nel primo pomeriggio. La strada per la casa dei suoi era su una collinetta in salita, un po’ più lontana dal centro, infatti avevano dovuto prendere un autobus che li spinse fino in piena campagna. Draco realizzò a sue spese che l’abbonamento che gli aveva regalato Hermione non valeva per tutta l’Inghilterra e nel momento in cui il controllore gli chiese il biglietto riuscì a scampare una multa perché Hermione fece svelta un incantesimo che modificò il suo abbonamento in un biglietto della zona. 
La casa affacciava su una grande scogliera che scendeva a picco sul mare agitato. Era circondata da una serie di villette identiche, lontano dal piccolo villaggio con i negozi e la piazzetta per il ritrovo e l’incontro. 
Non parlarono per tutto il resto del viaggio. Draco non sapeva più cosa dirle ed Hermione era troppo occupata a cercare di respirare e restare viva fino alla fine della salita per poter pensare ad altro, se non al momento in cui avrebbe finalmente rivisto i suoi dopo mesi di silenzio assoluto.
Il tempo non era dei migliori, una pioggerillina sottile finì per bagnarli completamente, l’aria era decisamente più fredda e pungente di quella di Londra e i lampi in lontananza non prospettavano di certo un miglioramento.
Hermione gli fu silenziosamente grata quando sentì la sua mano dietro la schiena, e quando premette il campanello al suo posto. Si voltò a guardarlo per ringraziarlo anche solo con gli occhi, ma Draco fece finta di nulla, rimanendo con la testa bassa e la mano immobile dietro la sua schiena. 
Quando la porta si aprì, Hermione sentì mancare la terra sotto i piedi, l’unica che la centrava nuovamente a terra era Draco, la sua gravità.
“Oh, siete arrivati! Hermione e..Draco, giusto?”, la madre era bella come non mai. I capelli li portava sciolti sulle spalle, erano cresciuti dall’ultima volta che li aveva visti e leggermente schiariti sulle punte. Gli occhi azzurri le brillavano, sembrava felice.
“Buonasera signora, la ringraziamo per la disponibilità”, Draco parlò per primo, vedendo che la Granger non si decideva a rispondere. 
Vederla di nuovo da vicino, sentire la sua voce, constatare che non era cambiata per niente, che anzi, sembrava ringiovanita, la ammutolì.
“Figurati! Chiamatemi pure Monica, mi dispiace che mio marito non sia in casa al momento, spero che riusciate a vederlo per cena, sapete, lavora in un ospedale qui vicino ed oggi il turno è toccato a lui”. Monica Wilkins, quello era il cognome che Hermione gli aveva suggerito subito dopo aver effettuato l’incantesimo, adorava ricevere ospiti. Questa era una cosa di lei che sua figlia non cambiò e non seppe dire con certezza come fosse stato possibile, visto che l’incantesimo, se riuscito bene, era in grado di estrapolare qualsiasi ricordo della persona, fino a modificarne la personalità. Eppure, mentre Monica parlava e nel frattempo li aveva fatti accomodare, Hermione riconobbe sua madre in tutto e per tutto. 
“Allora...” continuò poi lei una volta fatti accomodare sul divanetto nel piccolo soggiorno.
“Josephine, la madre di mio marito, mi ha telefonato ieri, mi ha detto che cercavate un appartamento per questo autunno, sono certa che studiare qui in Scozia vi piacerà”.
Draco le sorrise cordiale, e bevve un sorso d’acqua che Monica gli aveva offerto appena entrati. Hermione continuava a fissarla senza dire nulla. 
“Avete già scelto il corso di laurea?”, la Wilkins cercava di riempire il silenzio mai risultando scortese. A quella domanda il Serpeverde raggelò, perché non aveva la minima idea di cosa fosse un corso di laurea e già il nome annunciava sicuramente qualcosa di troppo noioso.
“Io studierò legge, lui invece letteratura”, la voce di Hermione, ancora flebile e timida irruppe nella conversazione salvando il ragazzo, che annuì per darle manforte. Gli studi di legge le sarebbero sicuramente stati a pennello, pensò.
“Oh, interessante! Due materie diversissime ma molto molto utili”, rispose convinta lei. anche quando Monica non sapeva esattamente cosa dire riusciva sempre a cavarsela con frasi di circostanza che sembravano tutt’altro che studiate, anzi, la facevano sembrare onnisciente anche quando non lo era affatto. Quella era una dote che aveva trasmesso anche ad Hermione, che però preferiva colmare qualsiasi lacuna in ogni ambito piuttosto che rischiare di farsi cogliere impreparata.
Entrambi i suoi genitori avevano studiato medicina ed erano diventati dentisti, una professione che non aveva niente a che vedere con il mondo strampalato e senza logica in cui viveva la figlia e che però avevano imparato ad accettare.
Ritornò il silenzio, ma Hermione, ripresasi un po’ dallo shock di poco prima, parlò quasi subito.
“È veramente una bella casa, signora Monica”, disse, guardandosi intorno.
La casa si ergeva su due piani, era molto luminosa e completamente tinta di bianco. I mobili erano in legno chiaro, che ben si adattavano al chiarore dei muri, sui quali erano appesi tantissimi quadri, foto e disegni solo abbozzati ma che davano tutta l’idea di essere opere d’arte. 
Il padre adorava disegnare nei suoi giorni liberi e il pensiero la fece quasi piangere.
Anche le scale che portavano al secondo piano erano in legno e le camere da letto erano così finemente curate che sembravano essere uscite da una casa delle bambole.
“Grazie cara, ma ti prego, non chiamarmi signora, mi fa sentire vecchia!” scherzò lei, suscitando una risatina tra i presenti.
“Beh, suppongo che il viaggio sia stato un po’ stancante, perciò vi lascio sistemare, domattina avrò la mattinata libera e se volete potrei aiutarvi a fare qualche ricerca tra le case libere in zona!”
“Sarebbe fantastico”, rispose Draco, per nulla desideroso di camminare avanti e indietro per quella contea a visitare case che non avrebbe comunque mai abitato.
Ma ormai c’era dentro, perciò avrebbe continuato a fingere, stava diventando bravo a farlo, con lei e per lei.
 
 
 
Da quando avevano lasciato Hogwarts era passata una settimana. Erano ospiti dei suoi da circa sei giorni ed Hermione non era neanche lontanamente vicina a guadagnare la loro fiducia a tal punto da riuscire a farli entrare nel cerchio magico. Lei e Draco erano riusciti ad eludere sia Monica che Wendell, il quale difficilmente si faceva imbrogliare, perché di solito capiva tutto al volo; eppure i due ragazzi riuscivano a cavarsela sempre con scuse ben studiate e quindi finivano per dire di no a qualsiasi casa o appartamento che visitassero. Il padre di Hermione ne aveva fatta ormai una questione personale, e gli proponeva un appartamento da vedere almeno due volte al giorno, perché ormai in quel paesino lo conoscevano tutti e non c’era nessuno che si rifiutasse di aiutarlo. Insomma, nel giro di sei giorni tutto il paese era venuto a conoscenza della situazione di Draco ed Hermione. Draco nel frattempo continuava con il suo saggio sui babbani, facendosi aiutare dal padre, che aveva cominciato a seguire durante le sue passeggiate nei giorni liberi, quando usciva fuori a dipingere paesaggi. Hermione invece aiutava Monica in casa, parlava dei suoi ricordi, comunque consapevole che lei non avrebbe capito nulla, e questo le diede più libertà nel raccontarle la sua visione delle cose, quello che l’aveva resa felice, quello che da piccola proprio non sopportava, e di quanto facesse penare i suoi genitori perché c’era stata una fase della sua crescita in cui si rifiutava di mangiare verdure.
“E chi non la ha quella fase?” le aveva risposto lei, divertita dal modo di narrare di Hermione e da quei piccoli dettagli nei suoi modi di fare che a volte le ricordavano sé stessa.
Quasi ogni sera da quando erano lì, bevevano qualcosa al bar del paese, l’unico bar del paese, e fecero conoscenza con i suoi abitanti. Draco aveva preso a scrivere più frequentemente del solito, annotandosi qualsiasi piccolezza che riusciva a cogliere nel loro strambo comportamento. Hermione fece di tutto per non ritornare al discorso che li aveva fatti infuriare in treno, e lui fece lo stesso, stabilendo una specie di tregua, l’ennesima, da quando si conoscevano. 
Le piaceva osservalo mentre scriveva. Assumeva un’espressione dolce, le labbra si corrucciavano in una piega concentrata, gli occhi fissi sul quaderno assumevano tutt’altra sfumatura e i capelli gli ricadevano sulla fronte perché eccessivamente chinato sul suo taccuino. Era come in meditazione, per quanto era concentrato, ed Hermione arrivò persino a pensare che forse quegli studi gli stessero piacendo. Draco Malfoy non faceva mai nulla che non gli andasse, dopotutto. 
 
 
Tutto cambiò in quella fresca sera di fine giugno. 
Draco ed Hermione stavano ripassando il rito, ancora una volta, su indicazione della Grifondoro. Draco l’accontentò solo per non discutere ancora. Cominciò a disegnarle le rune sulle braccia, per proteggerla dall’incantesimo. Compirono quel rito in silenzio, mentre si disegnavano quei simboli antichi sul corpo come se lo avessero sempre fatto, toccandosi come se lo facessero da una vita.
A fine rito, Draco le disse che sarebbe andato a letto perché quella mattina Wendell lo aveva portato per boschi chiedendogli se gli potesse portare l’attrezzatura per dipingere e non poteva rifiutarsi, ma adesso era distrutto. 
Lei era rimasta sola sul pavimento del salotto, i suoi genitori erano fuori per una cena tra colleghi e amici, probabilmente avrebbero tardato, perciò procedette a disfare tutto con calma. Chiuse il libro, raccolse le rune sparse sul pavimento. Aveva quasi pulito tutto, quando sentì scattare la serratura della porta d’ingresso. Sobbalzò dallo spavento, ma si rilassò subito quando vide sua madre. Il soggiorno era completamente avvolto nell’oscurità, che l’incantesimo diceva fosse propizia per una buona riuscita, perciò Hermione intravide solo la sua sagoma scura farsi avanti.
“Oh, sei qui”, le disse Monica, il tono di voce sommesso.
“Ciao ma…Monica, tutto bene? Com’è andata la cena?”
“Me ne sono andata un po’ prima, ho detto a Wendell che non mi sentivo bene ma di non preoccuparsi, non volevo che questo gli rovinasse la cena”.
“È tutto ok?”, le richiese Hermione, che nel frattempo accese la luce della lampada da lettura sul comodino accanto al divano.
La madre non si era mossa dalla porta.
“Si, volevo solo trovare un momento per parlarti”.
Hermione cominciava a sentirsi pericolosamente a disagio.
Fortunamente, con quella luce così scarna, la madre non si accorse che c'era ancora del gesso sul pavimento.
“Ma certo, ascolto”. Si sedette sul divano, a quel punto la madre fece qualche passo avanti e si sedette sulla poltrona di fronte a lei. Dopo intensi attimi di silenzio che ad Hermione parvero durare un’eternità, la madre finalmente parlò.
“So perché siete qui, Jo mi ha detto tutto”.
Hermione si congelò.
“Cosa?”
Monica rimase impassibile di fronte alla reazione della ragazza, e continuò a parlare.
“Sono mesi che non fa altro che dirmi che questa ragazza, Hermione, di cui io non so nulla, sarebbe stata la chiave per tornare come un tempo. Sulle prime non sapevamo cosa intendesse, mio marito ha persino pensato fosse completamente uscita di senno, ma poi sei arrivata, e non so nemmeno perché vi abbiamo accolto è stato…”
“Istinto”, finì la sua frase per lei.
“Si..ma non ho voluto dirti subito la verità, ero terrorizzata da quello che avresti potuto fare se solo ti avessi dato più fiducia. Josephine mi ha detto che sei una strega, che vieni da un posto di nome Hogwarts, ci ha dato tutte le prove, così accurate da sembrare vere. Sembrava così disperata all’idea che non ti riconoscessi, che non avrei mai potuto incontrarti.”
“Ti ho mentito dicendoti che Jo mi aveva chiamato perché cercavi una casa prima di iniziare l’università, solo perché volevo...conoscerti, capire com’eri, cercare di scoprire se era veramente come diceva lei, che mi aveva detto saresti venuta”.
“E che hai scoperto?”
“Solo che abbiamo stranamente così tante cose in comune, che a volte mi sembra di rivedere me stessa quando avevo la tua età. Ho così tanti ricordi confusi che io…non so cosa pensare. Non ho mai avuto una figlia ma tu in solo una settimana mi hai fatto quasi credere che quella figlia potessi essere tu.”
Hermione non sapeva più cosa dire.
“Non ti ho detto subito la verità perché..non lo so neanche io il perché, so solo che non voglio perdere quello che ho, e tu dai racconti di Josephine mi sei sempre sembrata quella che mi avrebbe portato via tutto, invece che aiutarmi per non so bene quale motivo.”
“Io non..farei mai niente che possa ferirti. Credimi, sono venuta qui per risolvere una questione lasciata in sospeso”.
“Cosa, esattamente? Faccio una vita dignitosa, io e Wendell ce la caviamo”. Le mani quasi le tremavano.
“Non voglio toglierti ciò che hai, voglio solo restituirti una cosa che ti ho portato via, devi solo avere fiducia in me…ti prego”.
“Come faccio a sapere che Jo dice la verità, come..come può anche solo pensare che tu sia una strega? È assurdo”. Monica si era schiacciata sulla poltrona, terrorizzata da chi aveva davanti.
Hermione voleva solo scappare, ormai sicura fosse una causa persa.
“Non può”, disse il Serpeverde. La sua voce roca fece trasalire Monica, che si alzò di scatto voltandosi verso di lui. 
Draco, che nel frattempo non era riuscito ad addormentarsi, aveva sentito la conversazione dalle scale, e si mostrò a loro una volta raggiunte in salotto.
“Non può saperlo con certezza.” Continuò poi, con la voce ferma. Hermione gli fu silenziosamente grata per essere venuto in suo aiuto in quella questione così delicata, non avrebbe fatto una scelta diversa da lui, se fosse tornata indietro.
“Ma lo ha detto lei stessa, la decisione di farci venire qui è stata dettata dal suo istinto, da quello di suo marito. Avete preso questa decisione insieme, spinti dalla curiosità, dal rispetto che avete per Jo, che infondo sapete che non potrebbe mai mentirvi. Ci avete accolto in casa vostra, nonostante tutte le voci poco convincenti sul nostro conto, nonostante il fatto che siamo dei maghi e questo non può che non suscitare timore in chi non possiede questo dono”. 
Draco si stava avvicinando a lei, che in tutta risposta continuava a farsi indietro, spingendosi sempre di più verso il cerchio disegnato sul pavimento con del vecchio che gesso che avevano trovato tra i pennelli del padre. Hermione capì solo in quel momento cosa avesse intenzione di fare.
“Non può sapere con certezza cosa succederà, quello che può fare è...fidarsi”.
Monica Granger era esattamente finita nel cerchio a sua insaputa, non aveva detto nulla, paralizzata un po’ dalla paura dell’ignoto, un po’ da quel sentimento nascosto nelle sue viscere che la stava supplicando di ascoltare il suo cuore. Rimase in silenzio, mentre abbassava lo sguardo ai suoi piedi.
“Adesso”, disse Draco rivolto ad Hermione, uscendo velocemente dal tracciato.
Hermione non se lo fece ripetere due volte. Draco era riuscito a rendere spontanea, a sua insaputa, la volontà di sua madre nel posizionarsi all’interno del cerchio. Non c’era stata forzatura, solamente qualche passo in più. Draco era sicuro che non lo avrebbe mai fatto se non si fosse distratta, gli era parsa così terrorizzata che forse se presa dal verso sbagliato, li avrebbe cacciati di casa in un secondo.
Hermione cominciò a ripetere alcune frasi che sembravano all’apparenza senza alcun senso. Draco allungò il braccio verso la lampada, e la spense.
Mamma, abbi fiducia in me, guarda me. Andrà tutto bene”.
Delle lacrime cominciarono a scendere sul viso di Monica, che però non si scompose, rimase dentro al cerchio a testa bassa, piangendo di un dolore che da tempo era stato sepolto e che stava riemergendo, insieme a quell’altro sentimento, all’amore che premeva in direzione di Hermione.
 
 
By earth and water, air and fire,  
by blade and bowl and circle round,  
we come to you with our desire:  
let all that is hidden now be found!
By all the light of moon and sun,
by all the might of land and sea,
chant the rune and it is done.
As we will, so mote it be!
 
 
Un grande fascio di luce li avvolse, illuminando ogni angolo buio della casa. Non si udì niente da Monica, che rimase in silenzio ad occhi chiusi mentre quei fasci di luce sembravano attraversarla.
L’effetto durò pochissimo, in un attimo tutto tornò normale. Draco, che nel frattempo si era inginocchiato accanto ad Hermione, cominciò a guardarsi intorno cercando di capire se avesse funzionato. 
Tutte le foto sui mobili gli dissero di si. Hermione era ritornata da loro, attraverso il tempo e lo spazio, con solo quelle parole e quattro rune.
Era davvero la strega più brillante della sua età. 
La sua Hermione.
“Hermione?”.
Il suo sguardo alle foto fu dirottato dalla voce rotta della madre, che giaceva in ginocchio ancora nel cerchio. Hermione si avvicinò a lei con gli occhi pieni di lacrime.
“Mamma, sei qui”.
“Non sono mai andata via”.
Il lungo abbraccio che seguì fu solo interrotto dal rumore delle chiavi che giravano nella serratura della porta d’ingresso. Wendell entrò e li vide in penombra, Hermione accovacciata su sua moglie piangente.
“Che sta succedendo?”, chiese in preda al panico. Aveva bevuto un po’ con i suoi colleghi e pensò di essere finito in uno strano sogno.
“Tesoro...” disse Monica Granger, facendogli cenno di avvicinarsi a lei.
Draco aveva capito cosa avesse intenzione di fare.
Il marito la raggiunse senza protestare. Chiese solo “cosa sta succedendo qui?”, notando gli amuleti per terra e il grande cerchio bianco. 
“Vieni da me”, disse lei.
Hermione ripeté il rito una volta che la madre saltò fuori dal cerchio.
Quella sera ritrovò anche suo padre.
 
 
 
Erano quasi giunti alla fine delle due settimane di meritata libertà. Mancavano tre giorni e sarebbe tornata tra i banchi di scuola per l’ultima volta, prima di uscire sul mondo e cercare la sua strada. Quegli ultimi giorni passati di nuovo con i suoi genitori le diedero una forza che non sapeva più di avere, una fiducia e speranza che l’avevano rigenerata. Si sentiva pronta ad affrontare quegli ultimi mesi di scuola al meglio che poteva, e non pensava solo alle lezioni. Avrebbe trascorso ogni momento sentendosi veramente parte di un qui ed ora che non aveva mai considerato prima, perché sempre proiettata ad un futuro incerto che l’aveva sempre derubata di qualche pezzo. Qualche giorno prima quei pezzi se li era ripresi. Si sentiva più completa.
Hermione si sarebbe lasciata trasportare dal vento, se avesse potuto. I folti capelli ondeggiavano seguendo il movimento dell’aria impetuosa e il suo cuore batteva al ritmo di quel mare agitato che sbatteva sulla costa rigogliosa. 
Draco era stato fondamentale nella riuscita dell’incantesimo, non immaginava nemmeno lei quanto sarebbe stato d’aiuto e di certo non pensava che avrebbe giocato un ruolo determinante. Era convinta che una volta trovatasi di fronte ai suoi, avrebbe saputo come gestirli, ma la verità era che non lo sapeva affatto, e in quel momento la presenza del ragazzo l’aveva salvata da un fallimento quasi certo. La sera in cui fece tornare al presente i suoi genitori, rimase con loro tutta la notte a parlare di tutto quello che era successo; Hermione spiegò per filo e per segno ciò che aveva passato. Draco preferì lasciarli soli ed uscì a fare una passeggiata. Aveva perso il sonno in ogni caso, ed era convinto che una camminata nell’aria gelida lo avrebbe rinsavito per bene da tutta quella giostra di emozioni a cui era stato partecipe. 
Lo aveva ringraziato il giorno dopo a colazione, mentre i suoi erano a lavoro. Rimasero soli tutto il giorno eppure non parlarono molto, perché Draco aveva preso a scrivere ossessivamente, forse usando carta e penna per nascondersi da lei. Gli disse solo questo: grazie, al quale lui rispose con un vago sorriso. 
Eppure, lei sentiva che qualsiasi grazie non sarebbe mai stato abbastanza. Lui l’aveva seguita, si era offerto di aiutarla, seppur con i suoi modi strampalati di offrire aiuto, aveva rischiato la sospensione nel reparto proibito, aveva fatto questa e tante altre cose che forse lei non aveva nemmeno notato perché troppo concentrata a pensare ai suoi difetti, che credeva insormontabili, troppo impegnata a pensare a quello che le dicevano gli altri.
 
Quel silenzio tra loro la stava facendo impazzire, e il bello era che lei aveva spaventosamente torto. Le piaceva e la turbava il fatto che lui sapesse capirla e sembrasse essere capace di leggerle nella mente senza nemmeno praticare incantesimi. La verità era che lei non aveva mai spesso di pensare, mai smesso di rincorrersi nella sua mente affaticata e in costante movimento. C’era stato un attimo, anzi, degli attimi sparsi nel tempo che avevano condiviso, in cui era riuscita a spegnere quella parte di lei costantemente rabbiosa, quella parte che lottava per uscire e dimostrare chissà cosa, quel grifone che era necessario solo in alcuni casi, ma che non aveva mai saputo farlo tacere per almeno un giorno intero.
Con lui le era venuto quasi facile, naturale, come se fosse effettivamente una cosa possibile, per una come lei, lasciar per il momento perdere il movimento degli astri e il passaggio del tempo al quale strenuamente si opponeva pensando di poterlo controllare.
Con Draco quella smania di controllo svaniva nel nulla, era come se non ci fosse mai stata, e poteva tornare a pensare al suo corpo, ai suoi movimenti, al modo in cui la sua pelle reagiva e si preparava al suo tocco, poteva semplicemente riprendere ad esistere senza che. 
Si voltò verso la casa e si decise a rientrare. Nonostante l’aria estiva, a quell’altura aleggiava un’aria fresca che la fece rabbrividire.
Rientrando, si fermò giusto per qualche secondo perché intravide Draco alla finestra, intento a leggere con una sigaretta che gli pendeva dalle labbra. I muscoli in tensione erano ben visibili perché non indossava la maglietta. Non riusciva a capire come facesse a non rabbrividire dal freddo.
I suoi avevano ripetuto quella cena che era stata bruscamente interrotta dalla loro prematura dipartita. 
Avrebbe voluto passare più tempo con loro, ma quella partenza non avrebbe significato un addio, non quella volta.
Fece un respiro profondo ed entrò, fece le scale in fretta, stando però attenta a non farsi sentire; non voleva interromperlo.
Una volta entrata in camera, lui era ancora di spalle, voltò la testa quel poco che bastasse per suggerirle che si era accorto della sua presenza, ma non disse nulla.
Hermione fece l’ennesimo respiro profondo e stavolta lo trattenne nei polmoni, cominciò a fare piccoli passi verso di lui, fino a che non riuscì a toccare con la punta delle dita la sua schiena fredda e liscia.
Deglutì pesantemente, come se volesse buttare un giù un enorme groppo in gola che la opprimeva. Era stanca di fingere, stanca di ragionare su cose che non potevano comprendersi razionalmente, almeno fino a un certo punto. Doveva lasciar spazio a qualcos’altro, a qualcosa che si era sempre rifiutata categoricamente di accogliere ma che sempre scalpitava dentro le sue costole desiderosa di uscire fuori. Non riusciva più a controllarla con la mente, perché per una volta il cervello non poteva immischiarsi.
“Mi perdonerai mai?”, la sua voce era rotta per un’emozione sconosciuta.
“Non c’è niente da perdonare, hai solo detto ciò che pensi”, rispose lui dopo un intenso sospiro. Sembrava abbattuto. Era rimasto di spalle, ma non si era scostato al suo tocco. La mano di Hermione continuava ad indugiare piena dietro la sua schiena. Quei muscoli in tensione che aveva intravisto dalla finestra adesso li poteva sentire sotto le sue dita.
“Beh, non esattamente.” Ammise poi lei. “Non intendevo veramente dire che continuo a sbagliare con te e non è vero che non ti conosco, almeno credo. Sento che ho imparato così tanto di te e di me stessa in questi ultimi mesi, mi dispiace se ti ho ferito”.
Quella che parlava non poteva essere Hermione Granger, pensò il Serpeverde. C’era del tremore nella sua voce, ma anche una convinzione che non aveva mai riconosciuto prima in lei.
Tuttavia, lui non volle sembrarle più ferito di quanto non fosse, e non voleva nemmeno ferirla più di quanto non avessero già fatto in passato. Si voltò verso di lei, e si appoggiò con la schiena alla finestra. La mano di Hermione scivolò dalla sua schiena e il braccio tornò accanto al corpo sottile. La ragazza non si allontanò di un centimetro vedendolo girarsi, né lui pretese più spazio per sé di quanto gliene servisse per respirare. Insomma, erano vicini, come tante volte prima di quel momento erano stati. 
“Ero solo incazzato. Mi fai incazzare così tanto…”, glielo disse in un sussurro, piegando la testa verso di lei.
(Mi spezzi il cuore, così tanto).
“Mi fai impazzire anche tu”, rispose lei e Draco si ritrovò a pensare alla curiosa scelta di parole. “Ma forse questo è il punto, mi sento me stessa quando sono con te e quindi forse sono pazza sul serio”.
“Finalmente lo hai capito”, scherzò lui, riuscendo a strapparle un sorriso. Hermione piegò la testa verso il basso, e cominciò ad osservare il resto del suo corpo, fino ad incontrare i piedi che le sudavano per quanto era nervosa.
“Quello che voglio dire è che...”, fece una pausa, incerta se continuare o meno, ma comunque sicura di volergli dire la verità, e volerla comunicare anche a sé stessa, ad alta voce, così che finalmente prendesse forma.
Un altro respiro profondo.
“Sono più me stessa quando sono da sola e quando sono con te ed è infinitamente meglio stare con te che da sola, a volte”. 
Draco era scioccato. La sua espressione non le lasciava molto all’immaginazione ma in quel momento non riuscì a mettersi addosso la sua maschera di freddezza e indifferenza. Gli brillavano gli occhi e non sapeva cosa dire. Aveva bisogno di tempo per riflettere e riuscire a mettere due parole in fila senza risultare uno scemo, doveva trovare le parole giuste.
Ma Hermione aspettava una risposta, era stata così brutalmente onesta con sé stessa e con lui, si era esposta così tanto. E lei non aveva mai pazienza. 
Quindi parlò di nuovo, come a voler spingere nel dimenticatoio le ultime cose che aveva detto senza troppo pensare. Cercò di stemperare la serietà di quella mezza confessione. Era sicura lo avesse spaventato, dopo tutto lui non era mai stato tipo da coppia fissa, e perché avrebbe dovuto proprio cominciare con lei?
Una Grifondoro, una Mezzosangue.  
“Solo per stanotte”, disse quindi e gli occhi di Draco si spensero di nuovo, tornarono scuri, di nuovo. 
Che cosa voleva dire con “solo per stanotte”? Non poteva sul serio suggerire di fare sesso lì, a casa dei suoi. 
Intendeva dire solo questo? tutte quelle parole solo per…
“Stanotte?”, chiese lui, sperando di aver capito male. Sembrava così diversa un momento prima e poi...
“Si”, rispose lei confusa, balbettava in cerca delle parole giuste, il rossore sulle guance dovuto all’eccessiva esposizione di prima la stava mettendo in serie difficoltà, doveva cercare riparo dietro parole ragionate, non poteva lasciare che lui se ne andasse via spaventato dalla sua sincerità.
“Non voglio rimanere da sola, stanotte”. 
(Non lasciarmi mai).
“Ti ricordi quando ho detto che non voglio più giocare? Mi riferivo proprio a questo”, rispose lui, brutale. Hermione lo guardava con occhi lucidi, accesi di un desiderio che non si sarebbe mai potuto estinguere in sola una notte.
“Non giocare con me, Granger, non...prenderti gioco di me”, ripeté sconfitto. 
Hermione non sapeva più cosa pensare. Aveva veramente gettato la spugna con lei? eppure avrebbe potuto giurare che a lui piacesse, almeno fisicamente, e se lui non avesse potuto amarla interamente, come per altro aveva dimostrato con il suo silenzio di poco prima, lei pensò che potesse amare il suo corpo, almeno per una notte. Ma la sua voce gli arrivò così ferma e decisa, che iniziò persino a dubitare del suo stesso fascino.
Draco lo sapeva, ci aveva messo le mani sul fuoco e ne ebbe la conferma adesso, dopo quello che lei gli aveva detto, che era in cerca di un’esperienza da una notte sola. Mesi prima sarebbe stato felice di dargli quello che adesso lei gli stava chiedendo, perché non cercava niente di più, ma prima, guardandola negli occhi, osservando il suo viso parzialmente coperto dal suo corpo e parzialmente illuminato dalla luce di quel sole morente, aveva davvero iniziato a pensare che lei gli avesse dichiarato i suoi veri sentimenti, senza più fingere, a lui, a sé stessa.
Ma Draco era ormai perso, soggiogato dal suo incantesimo mortale e in quel momento lo realizzò davvero. Capì di essere completamente, inesorabilmente perso in lei, così tanto che le avrebbe dato ciò che lei chiedeva senza aspettarsi niente in cambio. Il serpente cambia la sua muta e all’improvviso non è più serpente.
L’amava, dopotutto.
Quindi la baciò, facendo esclamare dalla sorpresa Hermione, deciso a perdersi completamente nel calore di quei baci che non avrebbero significato niente di più che il desiderio di una notte sola, ma che erano pur sempre meglio dell’assenza.
Continuava a risentire le sue mani dietro la schiena, che aveva iniziato quasi a bruciare per l’assenza del suo tocco. Quindi non la lasciò nemmeno prendere fiato, le avrebbe buttato addosso tutta l’irruenza che il suo cuore non riusciva a sopportare. La sollevò ed Hermione intrecciò istintivamente le gambe dietro la schiena, le mani nei suoi capelli. L’appoggiò alla parete e cominciò a baciarle il collo, a succhiare i lobi delle orecchie, a leccare il mento, le labbra, il petto, mentre stringeva possessivamente le gambe per sostenerla. Si schiacciò completamente su di lei, le morse le labbra più volte, lasciandogliele arrossate. Con le gambe della Granger intorno al corpo poté liberare una mano da lì e spostarla in alto, nei suoi capelli, che tirò lievemente e strinse tra le dita. 
Poi Hermione sciolse quella morsa e lui le fece rimettere i piedi a terra, si spogliò da sola, mentre senza neanche guardarla Draco procedette a sbottonare i jeans. La Grifondoro approfittò di quel momento di riacquistata libertà e cominciò a spingerlo verso il letto, avvolgendo le sue braccia intorno al collo e camminando in punta di piedi. 
Lei di nuovo su di lui inerme. 
Hermione non ci pensò due volte, finì di spogliarlo di fronte a lei già nuda e si inginocchiò davanti a lui che trasalì per un secondo prima di accasciarsi completamente tra le lenzuola e cominciare a respirare pesantemente, gemendo di piacere misto a quel dolore che non voleva sapere di andarsene. 
Dopo qualche minuto, che gli parve una vita, la chiamò per nome e si sollevò quel tanto che bastasse per trarla a sé prendendola dalle braccia e portarla sopra di lui. 
“Stringimi” gli rispose lei, a cavalcioni su di lui con le mani abbandonate sul suo stomaco. Gli occhi lucidi dal piacere incontrarono i suoi, malinconici ed eccitati al tempo stesso. Con un gesto lesto Draco la portò sotto di lui, Hermione aprì le gambe istintivamente e lui, altrettanto istintivamente, si abbassò su di lei fino a che i loro corpi non furono nuovamente uniti. Quella vicinanza Hermione l’aveva sognata fin dalla loro prima volta, fin da quando una volta scioltisi i loro corpi avvinghiati, aveva sentito una mancanza pungente che era rimasta con lei fino a quel momento. Ritrovarsi così era tutto ciò che segretamente aveva agognato. Sospirarono entrambi e rimasero per alcuni secondi immobili, godendosi quel ritrovato contatto così intimo che avrebbe potuto demolire qualsiasi ostacolo nelle loro menti. 
Draco la guardò, sosteneva il suo peso appoggiato sul cuscino sotto di lei, mentre Hermione premeva le sue mani sulla schiena per averlo più vicino. Fu quando Draco si abbandonò completamente sul suo corpo e iniziò a muoversi dentro di lei, che Hermione chiuse gli occhi e riprese a baciarlo ovunque la sua bocca capitasse. Draco si sentiva scoperto ogni volta che la lingua della ragazza abbandonava una porzione di pelle per dedicarsi a un altro punto.
La ragazza sentiva il respiro del Serpeverde sul suo collo, e la sua mano sui glutei che lo incitavano ad un’ulteriore vicinanza, per quanto fosse possibile, assecondando il ritmo delle sue spinte. 
“Così?” le chiese, desideroso di darle ciò che voleva, nel modo in cui lo voleva. La stringeva abbastanza? Con che misura poi definire “abbastanza”?
“Si”, gli rispose lei, buttando la testa indietro. 
Le loro mani non riuscivano a stare ferme, si intrecciavano e si separavano, partendo alla scoperta di quei corpi che non si sarebbero mai conosciuti abbastanza, tornavano ad intrecciarsi sui capelli sciolti di Hermione sul cuscino, per poi ricominciare tutto daccapo.
Si lasciarono sfuggire un sorriso quando iniziarono a sentire le molle del letto scricchiolare, Draco sorrideva di un sorriso pieno, non pensando minimamente a fermarsi, mentre le sfiorava la fronte con i capelli che scivolavano davanti agli occhi.
Hermione non pensò al fatto che quella era la prima volta che si amavano senza fare caso alle dovute precauzioni, e a quanto sembrava nemmeno Draco, che si abbandonò dentro di lei non appena la avvertì gemere più forte. Sentirla serrare ancora di più le gambe intorno a lui e stringergli le membra e le ossa, fu davvero troppo. Nonostante quella consapevolezza nessuno dei due ci pensò troppo, consapevoli che al mattino avrebbero rimediato, rimettendo apposto i pezzi di quel puzzle che erano i loro corpi, in quel momento mescolati e avvinghiati così perfettamente da dimenticare dove iniziava e finiva lui e dove lei.
 
 
 
Hermione si alzò prestissimo quella mattina, cercando di non svegliare Draco che giaceva ancora beatamente addormentato al suo fianco. Si vestì in fretta e scese le scale, sperando che i suoi fossero ancora a letto. Uscì di corsa e raggiunse il villaggio lì vicino, entrò in farmacia e chiese un rimedio anticoncezionale. Era così di fretta che sorvolò sullo sguardo corrucciato e inquisitorio della farmacista, poi entrò in un bar e chiese un bicchiere d’acqua, con il quale buttò giù quella pillolina. 
Non era particolarmente preoccupata degli effetti collaterali, anzi, Ginny, che pur essendo una strega si affidava a rimedi supportati dalla scienza, gliene aveva parlato una volta e non le sembrò un rimedio così infausto. E comunque, era sempre figlia dei suoi genitori, la scienza era da sempre stata sua amica.
Una volta buttata giù, Hermione si allontanò dal bancone e salutò cordialmente il proprietario, poi fece la strada a ritroso. Dalla fretta non si era acconciata i capelli né lavata il viso, aveva indossato i vestiti del giorno prima, che aveva ritrovato quella mattina ancora sul pavimento dove li avevano lasciati. Solo sulla strada del ritorno si accorse che stava indossando la sua maglietta, che doveva essersi confusa tra i vestiti che si erano tolti una volta insieme. 
Hermione respirò il suo odore, che si confuse con l’aria salmastra del villaggio e con l’odore dei fiori di campo sparsi sulla collina.
Quando rientrò, trovò la tavola pronta per la colazione, i suoi genitori immersi nella lettura rispettivamente di un libro e del giornale del giorno, e Draco che fumava una sigaretta mentre litigava con il tostapane.
Era tutto quasi perfetto.
Nessuno dei due accennò al discorso della sera prima, troppo timorosi di constatare che effettivamente il tutto si era esaurito lì, ma era chiaro che i loro corpi la pensavano diversamente, perché non fecero altro che sfiorarsi le mani sotto al tavolo per tutta la durata della colazione.
 
 
 
Hermione rispettò la scelta dei suoi di rimanere in Scozia. Erano felici, e adesso anche di più dal momento che si erano ritrovati. Infondo a lei non dispiaceva quella casa, era confortevole, accogliente, calda. Si era poi innamorata delle scogliere, del vento all’apparenza ostile e selvaggio che ben si confaceva ad un animo così ribelle come il suo e alle emozioni palpitanti che non l’abbandonavano dal giorno prima. 
Sentiva che c’era ancora qualcosa che dovevano chiarire, ma era troppo felice e piena di quei momenti condivisi con lui e di quelli condivisi con i suoi, per poter pensare a una cosa che l’avrebbe sicuramente intristita.
Lui non voleva più avere a che fare con lei, ormai lo aveva capito, non voleva pensarci più del dovuto.
Percorsero la strada a ritroso, Draco rimase in silenzio ancora scosso da tutta quell’esperienza e dall’altalena di emozioni che stava vivendo dentro.
“Torna a trovarci quando vuoi Draco, sei sempre il benvenuto qui”, gli disse il padre di Hermione, con ancora la figlia tra le sue braccia.
La madre gli sussurrò piano un “grazie” che forse non avrebbe mai dimenticato. 
Quel grazie lo scagionava da tutte le scelte sbagliato che aveva fatto prima d’ora; forse l’unica scelta sbagliata che rimaneva era al suo fianco, in attesa che arrivasse il treno mentre sbuffava impaziente.
Come sempre.
“Puoi essere triste, sai?”
Prima di salutarsi definitivamente, Draco si era allontanato un po’ dal ciglio della porta, lasciando che la ragazza avesse un momento da sola con loro prima di partire. Immaginava dovesse essere stato straziante, specie dopo mesi di totale assenza.
“Come dici?” Hermione si voltò verso la sua direzione, dopo alcuni minuti passati a fare avanti e indietro sulla banchina del treno.
“Che puoi essere triste”, ripeté lui, stavolta a voce più bassa, come se fosse pronto a condividere la stessa tristezza che assalì anche lui.
“Lo so”, rispose lei, sorridendogli distrattamente.
In quel momento Draco capì che il modo che la Grifondoro aveva di essere triste era completamente diverso da quello a cui di solito era abituato lui, che spesso rimaneva fermo in un punto solo a fissare il vuoto e a versare qualche lacrima silenziosa. Hermione si muoveva, doveva scaricare l’adrenalina del suo corpo in qualche modo, persino quando era triste. Si lasciò sfuggire qualche lacrima sul viso, ma la pulì prontamente. Solo dopo che fece un respiro profondo si placò e ritornò al suo fianco in silenzio, tirando su con il naso.
“Non era un addio”, cercò di rassicurarla.
“Lo so”.
 
 
Hermione aveva promesso che sarebbe passata di nuovo da Jo prima di tornare ad Hogwarts per la ripresa delle lezioni, anche se da casa dei suoi la scuola era più vicina. Stavolta il percorso fino a casa sua non fu così imbarazzante come il primo; Draco riuscì subito a passare ai tornelli della metro, non fece alcun commento alle scale mobili, anche se rischiò di cadere un paio di volte perché si ostinava a sostare sulla scala con la schiena rivolta verso la discesa. In metro poi, aveva ripreso a leggere il libro che si era portato dietro, forse per evitare di iniziare conversazioni sgradevoli, pensò lei. Fu quasi carino, giusto, vederlo in quel contesto senza che si meravigliasse di qualsiasi cosa, come se lo avesse sempre fatto. Per un momento Hermione lo sentì affine, come se venissero entrambi dallo stesso mondo, come se non fossero separati da sciocche regole di sangue e pesanti eredità.
Però quell’incanto durò poco, così come la loro tregua dalle parole.
Raggiunto il vialetto che portava a casa di Josephine Granger, i due ragazzi videro Alister con in mano uno skate che sembrava li stesse aspettando.
“Alister?”
Draco sbiancò, come se fosse stato appena colto a commettere un crimine.
“Che ci fai qui?” il tono di voce di Hermione era scioccato almeno quanto il viso del Serpeverde accanto a lei.
“Ciao Herm!” il ragazzo fece una piccola corsetta per raggiungerli, poi piantò un bacio sulle labbra di Hermione, che non fece in tempo a reagire perché colta di sorpresa. Draco si irrigidì, serrò la mascella.
“Hey Draco”, Alister lo salutò con la solita calma e naturalezza che lo contraddistingueva. Il Serpeverde ricambiò con il sorriso più falso che riuscì a trovare e sollevando la testa in cenno di saluto.
“Che ci fai qui?” Hermione ruppe quel silenzio imbarazzante riponendo la stessa domanda che prima era stata ignorata.
“Ginny mi ha detto che saresti passata da tua nonna uno di questi giorni, mi ha dato l’indirizzo, così ho pensato di venire a trovarti, io abito qui vicino”.
“È il tuo giorno fortunato”, mugugnò Draco ancora più stravolto per la fortuna sfacciata che aveva avuto il Corvonero nel riuscire a beccare Hermione proprio quel giorno, a meno che non avesse tentato nei giorni precedenti, il che lo rendeva ancora più patetico e fastidioso. Ignorava in che termini fossero rimasti, se facessero seriamente o meno, il che lo portò a riconsiderare l’evento della sera prima sotto una luce diversa. Non credeva di essere simile a Weasley in nessun modo fino ad allora.
Hermione non sapeva cosa pensare, se non che mai avrebbe portato un altro ragazzo in casa di sua nonna, specie Alister, che al di là di qualche bacio non aveva mai significato niente di più ed era sicura che per lui fosse lo stesso. 
Non avrebbe retto lo sguardo di Jo mentre passava in rassegna a notare quanto Alister fosse diverso da Draco e ad interrogarla sul perché si mostrava con un ragazzo diverso ogni volta che suonava il campanello. Di sicuro l’avrebbe riempita di battute più che giudizi, ma non era di certo in vena di scherzare.
“Stavo proprio tornando da lei in effetti, ma perché non facciamo un giro nei paraggi prima?” chiese lei, visibilmente in difficoltà e sperando di allontanarlo dalla casa di Jo. Draco la guardò corrucciato, incazzato, triste, come la maggior parte delle volte quando era con lei. 
Solo per una notte. 
Quella ne era l’ennesima prova.
“Tu invece che ci fai da queste parti? Sbaglio o sei molto lontano da casa?” domandò Alister ad un biondino ulteriormente seccato dalla sua aria innocente e per niente gelosa. Si comportava come se lui non fosse per niente una minaccia. Eppure, Draco non disse nulla che avrebbe potuto svelare quello che c’era stato. Non avrebbe potuto metterla in imbarazzo in quel modo, anche se probabilmente un altro giorno in un’altra vita, in quella prima di conoscerla come la conosceva ora, lo avrebbe sicuramente fatto.
“Passavo di qui, devo fare un compito di Babbanologia e mi servivano delle testimonianze”. Praticamente niente di più vero.
“Stavo giusto per andare via, comunque”, concluse poi.
“Come?”, la voce di Hermione era flebile, quasi inudibile. Lui però la sentì e scelse di non risponderle. Non la guardò in viso quando le disse “Salutami Jo”. Poi cominciò ad allontanarsi.
“Ci vediamo a scuola!” gli disse Alister alzando la voce per raggiungerlo un’ultima volta.
Hermione non riuscì a dire nulla.
Non appena fu sicuro di non avere babbani intorno, Draco si smaterializzò direttamente nelle stanze Serpeverde.
Diede calci ripetuti a una sedia che aveva intralciato il suo cammino nervoso, poi si buttò a terra con poca grazia e rimase a fissare il soffitto con il braccio sulla fronte.
“Chi è Jo?” le domandò Alister.
Hermione guardava in lontananza al punto dove si era smaterializzato.
Mentì.
“Solo un amico”.
  
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