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Autore: Circe    01/06/2020    2 recensioni
Il veleno del serpente ha effetti diversi a seconda delle persone che colpisce. Una sola cosa è certa: provoca incessantemente forte dolore e sofferenza ovunque si espanda. Quello di Lord Voldemort è un veleno potente e colpisce tutti i suoi più fedeli seguaci. Solo in una persona, quel dolore, non si scinde dall’amore.
Seguito de “Il maestro di arti oscure”.
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Rabastan Lestrange, Rodolphus Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'Eclissi di sole: l'ascesa delle tenebre'
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Dal grimorio di Rodolphus : “Ci sta prendendo tutti lentamente”


In pochi secondi se la portò via di nuovo e restammo noi due da soli, nel buio della stanza, nel silenzio. Solamente le luci della sera entravano a rischiarare l’ambiente freddo e scuro.
Restammo zitti per alcuni istanti, senza guardarci, io osservavo il punto in cui, fino a pochi istanti prima c’era Bella, che ora era di nuovo scomparsa, si era dissolta nell’aria, continuava a scapparmi proprio come il vento fra le dita. 
O era lui a togliermela? Il Signore Oscuro. Imperversando su di noi e su di me come una tormenta di vento gelido.
Gli occhi mi bruciavano forte per via delle lacrime che spingevano per uscire, ma non lasciai loro spazio, non potevo piangere e non davanti a mio fratello. Non potevo permettermi anche questo smacco.
Lui era quello forte ormai, quello che non perdeva mai la calma, che sembrava sapere tutto e aver previsto e accettato tutto. Io ero diventato quello debole, emotivo, incapace di reagire ad una situazione che non sapevo come accettare.
Questo era stato fino a quel momento, questo era quello che mi aspettavo ancora, e invece no, quella volta successe una cosa strana.
Lo vidi che improvvisamente si scagliò contro il camino, diede pugni sulla pietra, si mise ad urlare ed imprecare, prese a calci violentemente gli alari, poi la griglia e infine se la prese con il parascintille.
Improvvisamente nella stanza volarono pinza, attizzatoio, paletta, spazzola, soffietto, tutto con una violenza che spaventò persino me. Le scenate violente e incontrollate erano sempre state il mio pane quotidiano, c’ ero assolutamente abituato, eppure mi agitai molto assistendo alla scena.
Dopo alcuni momenti di sorpresa, provai ad avvicinarmi per calmarlo, ma lui mi strattonò.
“Dove l’ha portata? Dove l’ha portata ora? Perché ce la porta via? Cosa c’entra lui con noi? Noi tre siamo insieme fin da bambini, non può portarci via Bella, non può farlo per davvero.”
Rimasi spiazzato da quelle parole, da quel legame che lui descriveva come così solido e naturale.
“Rabastan, è lei la prima che vuole andare con lui.”
Non mi era facile dire quelle cose, ma mio fratello sembrava sconvolto, tutta la sua calma e consapevolezza sembravano sparite nel giro di un attimo.
Per tutta risposta mi attaccò senza pietà.
“No, sei tu che la lasci andare, è colpa tua, tu non la ami abbastanza, te la dovevi tenere stretta, sei suo marito, la dovevi tenere solo per te! Sei uno schifoso fallito.”
Quelle parole mi colpirono dentro, non riuscii a difendermi, sapevo di averla persa, sapevo anche che non era del tutto colpa mia, ma lo sapevo razionalmente, farlo capire al mio cuore era un’altra cosa. 
Rimasi zitto a guardarlo, senza riuscire a rispondere o controbattere.
“Dovevi tenertela, dovevi amarla, dovevi capirla e legarla a te! Non hai fatto nulla, non hai fatto nulla di buono, certo che poi ti è scappata, io ti odio fratello, ti ho sempre odiato e ora ti odio più di prima.”
A quel punto mi stancai.
“Lo so, me le hai già dette queste cose, è da quando sei nato che mi dici quanto mi odi!”
Rabastan sentendo quelle parole si avvicinò di più a me, non so se volesse picchiarmi, comunque non lo fece, si trattenne forse a fatica e andò invece avanti a ferirmi dentro.
“Ti era capitata la fortuna che lei ti amasse, tu non hai saputo apprezzarla, sei un egoista sconsiderato, te la sei goduta senza preservare il suo amore, te la sei lasciata prendere dal primo venuto, il primo psicopatico, drogato, assassino pericoloso, te l’hanno presa tutti sai? Te l’ho presa persino io! Da sotto il naso, solo che io non sono riuscito a portartela via, come invece ha fatto lui.”
Lo guardai inferocito, lo interrogai con gli occhi.
“Sì, è vero, sono stato con lei, il pomeriggio del fidanzamento, ricordi? Era sola, nel giardino, era triste, distrutta, non per te, ma per quell’altro, quello che la avvelena tutta e le fa del male. Allora c’ero io a consolarla, a sostenerla, ad aiutarla, a curare le sue fragilità. Siamo stati insieme non una, ma due volte! Tutto sotto il tuo naso, mentre tu ti occupavi delle tue scemenze di non so quale tipo.”
Stavolta rimasi per un attimo senza fiato. Anche questa dovevo sentire: anche lui mi aveva tradito. Non solo Bella mi aveva trattato come un estraneo di cui non le importava, ma anche il mio fratello sfigato. 
Sapevo da sempre che la voleva, che viveva nella mia ombra per stare vicino a Bella, ma credevo non avrebbe mai davvero concluso nulla con lei.
Lei era mia, questo avevo sempre pensato.
E avevo sempre sbagliato.
Mi fidavo di lei.
E mi fidavo anche di Rabastan.
Che idiota.
Dopo quegli istanti di sbandamento iniziai io ad insultarlo come meritava.
“Tu! Sei tu lo psicopatico! Tu sei malato, Rabastan! Sei stato sempre dietro a noi, in mezzo a noi fin da ragazzini. Nel tentativo disperato di farti vedere, di avere le sue attenzioni e il suo amore. Mi hai sempre invidiato, da sempre, ti sei innamorato della stessa ragazza di cui mi sono innamorato io, hai sempre desiderato togliermela, non solo perché la amavi, ma anche per fare del male a me, per surclassarmi, per dimostrare che non sei il fratello venuto male, che hai anche tu la tua ragione di stare al mondo.”
Lo guardai ancora, la rabbia non si placava, anzi aumentava al solo pensiero che si era portato davvero a letto Bella.
Scelsi di andare a colpire la sua ferita mai rimarginata.
“Invece lo sai che non dovevi stare al mondo, che nostra madre è morta a causa tua, che nostro padre ti odia. Abbiamo sofferto tutti a causa solo tua. Dovresti sparire, nessuno ti vuole, meno che mai Bella. Io ero l’unico a sopportarti, ti volevo anche bene in un certo modo, perché sei mio fratello. Nonostante la tua cattiveria, la tua invidia, la tua mostruosità e la tua debolezza. Ora non ti è rimasto proprio nessuno, adesso davvero ti odio anche io, sarebbe davvero meglio tu morissi.”
Afferrai la bacchetta e gliela puntai addosso avanzando verso di lui, non so nemmeno io cosa gli volessi fare davvero.
Lui, però, fu più veloce. In men che non si dica mi vidi addosso un fascio di luce, non potei nemmeno schermarlo. 
Il braccio destro era lento, mi doleva nei repentini movimenti, non fui pronto e il lampo mi colpì in pieno petto.
Caddi, forse svenni, non saprei dire. 
Non so quanto tempo passò, prima che riaprissi gli occhi.
Lentamente vidi la luce che mi fece leggermente male, mi trovavo sul pavimento, ancora indolenzito, ma stavo bene, mi misi a sedere.
Accanto a me c’era mio fratello, silenzioso e preoccupato.
Lo guardai afflitto, la rabbia e l’odio erano spariti, oppure solo momentaneamente dimenticati, come succedeva sempre tra noi.
Fu lui il primo a parlare, anche nella sua voce era scomparsa la rabbia, restava solo molta tristezza.
“Pensavo ti difendessi, mi schermassi, non volevo farti così male, fratello.”
Non risposi, dovevo riprendermi un pochino.
“Ma stai bene. Cosa ti succede?”
Rab mi aiutò ad alzarmi, ancora infermo sulle gambe mi feci accompagnare sul divano. Mi sedetti e sentii man a mano il corpo che si riprendeva, ritrovavo lucidità ed energia, ovunque, meno che al braccio. Non era stato tanto l’incantesimo di attacco di Rab a provocare l’incidente, ma l’altro incantesimo, uno ben più potente e oscuro.
Quel braccio non voleva tornare a posto, mi spiegai con mio fratello che, naturalmente, non sapeva nulla dell’accaduto.
“Non ti preoccupare, ora sto bene, mi sto riprendendo.”
Sospirai, ci guardammo negli occhi attentamente e lungamente.
“Non è che non volessi difendermi, Rab, è che non riesco più a controllare il braccio come si deve, non è più come prima, sembra sia distrutto.”
Mi guardò sgranando gli occhi. Ovviamente non poteva capire.
“Cioè? Spiegati, cos’hai al braccio che non va?”
Riflettei per un attimo sul da farsi. Poi con calma, senza parlare, mi tolsi la camicia scoprendo il petto e le braccia: tutto l’avambraccio era ancora rosso scuro, tendente al viola, fino ad arrivare più su, fino quasi alla spalla.
“Vedi? Se anche non è più dolorante, non riesco a muoverlo come prima, lo percepisco a fatica e anche quando mi sforzo di usarlo, è molto debole.”
Mio fratello era sconcertato, osservava il mio arto inorridito, solo dopo alcuni istanti provò a toccarlo delicatamente, forse con paura di farmi male, ma io non sentii molto.
Mi rimisi la camicia.
“Sapevo di avere dei problemi, ma me ne sono reso conto davvero solo nell’ultima missione, quella da cui siamo tornati poco fa, non so come fare purtroppo. Ho qualche problema anche al petto, dove mi sento dolorante, ma non sembra grave come il braccio.”
“Fratello, ma cosa ti è successo, come hai fatto a ridurti così?”
Tornai a guardare Rab dopo essermi riallacciato la camicia, non ero sicuro di volerglielo dire, non ero certo di svelare l’avvenimento, ma vedendo i suoi occhi preoccupati, sempre tanto ingenui nonostante tutto, decisi di parlare.
“È stata Bella.”
Lui rimase zitto, quasi a bocca aperta, non riuscì a dire una parola, allora continuai.
“Abbiamo avuto una discussione grave, io ho offeso il suo maestro…”
Sgranò gli occhi.
“Sì l’ho offeso, perché anche io sono geloso e soffro, fratello! Io molto più di te! Perché è vero che era mia… e non sai come sia stare davvero con lei… è un fuoco che ti travolge, un’onda che ti porta via, perdi tutti i tuoi punti di riferimento, improvvisamente c’è solo lei. Lei con la sua forza, la sua bellezza e il suo egoismo. Improvvisamente ci sono solo i suoi occhi a guidarti, il suo sguardo scuro e magnetico, le sue labbra affamate di sesso e sangue, la sua passione che ti brucia dentro. Ogni giorno insieme a lei è un inferno e un paradiso di cui non puoi più fare a meno, perché ti fa sentire vivo come non mai.”
Rabastan mi guardava, ascoltava in silenzio.
“L’ho fatta arrabbiare parlandole male del suo maestro e lei mi ha fatto questo.”
Mi toccai il braccio senza percepirlo appieno.
“Non sento quasi nulla. È magia oscura, è questo quello che impara ogni giorno, non so cosa succederà, perché non conosco quasi nulla di questi incantesimi e, a dire la verità, ho paura.”
Rimasi zitto, con lo sguardo tetro verso il mio stesso braccio.
“No, fratello, non è stata lei, non è fatta così, lei ci vuole bene.”
Sorrisi.
“Lei è fatta così, io lo so, solo io la conosco fino in fondo. Bella è crudele ed è senza pietà… e lo è con tutti meno che con una persona sola sulla faccia della terra.”
Feci una pausa eloquente, poi mi decisi ad aggiungere la conclusione della frase ad effetto.
“E quella persona non sono io e nemmeno tu…”
Provò a scuotere la testa, ma neanche lui credeva alle sue rimostranze.
“Rab, stavolta sei tu che non accetti la realtà, mi hai sempre preso in giro perché non accettavo che fosse innamorata di Lord Voldemort, adesso sei tu a non accettare che lei sia tale quale a lui. Sono opposti, ma uguali, due facce della stessa medaglia, la stessa cattiveria che si esprime in due modi completamente differenti.”
Mi guardava in maniera disperata. Tornò quel bambino spaurito che avevo accanto quando restammo soli, in un castello gigantesco, quando anche nostro padre decise di abbandonarci, non per morire, come la mamma, ma per andarsene a fare la sua vita in Francia. 
Ecco, Rab, in quel momento, sembrava tornato il bambino di quei tempi, solo e sperduto.
“Non voglio dire che non ci voglia bene, Rab. Anzi, a te vuol bene anche in maniera speciale, anche se non ne capisco il motivo. Però anche tu conosci la sua crudeltà, è capace di passare sul cadavere di chiunque, fare qualsiasi cosa, pur di fare piacere al suo maestro, al suo Signore.”
Abbassò lo sguardo.
“Accettalo, Rab, perché è così purtroppo, non esiterebbe un solo istante ad ucciderci se lo ritenesse giusto, o necessario, gliel’ho letto negli occhi quando mi ha fatto questo, e i suoi occhi non mentono.”
Rab mi alzò di nuovo la manica della camicia: tesi il braccio verso di lui, si vedeva bene come l’arto tremava leggermente, se lo lascivo teso e anche sotto un lievissimo sforzo. Mio fratello passò la mano sulla mia pelle, cercando di essere delicato, ne guardava il colore rosso scuro, quasi viola.
“Sembra avvelenato…”
Disse queste parole quasi in un sospiro, restò pensieroso.
“È il suo veleno, fratello, ci sta prendendo tutti lentamente.”
 

Dal grimorio di Bellatrix : “Ovunque volesse”




Mi ero seduta per terra, come sempre vicino al fuoco, iniziava a fare sempre più freddo e il tepore del mio elemento mi faceva sentire bene. Da qualche giorno il mio maestro era impegnato con altri Mangiamorte in affari che non mi riguardavano, che non amavo nemmeno seguire, per cui mi ero concentrata sullo studio degli elementi, anzi del suo elemento. 
Ugualmente sentivo molto la sua mancanza e l’inattività spesso mi annoiava. 
Ero sola senza le sue battute fredde e taglienti, senza i suoi sguardi di fuoco, le sue polemiche e provocazioni nei miei confronti. Mi mancava lui, il suo corpo accanto al mio, il fremito di paura e piacere che mi provocava. 
Guardai fuori, si stava facendo buio. 
Strinsi la maglia sulle spalle e tornai ad esaminare il libro.
Con le dita sfiorai il disegno dorato del simbolo dell’aria: un triangolo equilatero col vertice rivolto verso l’alto. La figura geometrica era attraversata da un tratto orizzontale che la divideva in due parti. 
Lessi poco più in basso che la rappresentazione simbolica esprimeva l’arresto del moto unicamente ascensionale tipico solo del fuoco, il mio elemento.
Quindi era come se fossimo divisi da una barra, lui ed io, pensai tra me e me. Non mi riuscivo a concentrare molto e, nella calma di quel momento, tendevo a fantasticare. 
Pensavo spesso a cosa ancora ci dividesse, ma non c’era nulla di reale, solo il suo carattere, il suo modo di essere, lui che non voleva mai legarsi veramente a nessuno. 
Io non facevo eccezione.
Era palese ormai che con me era diverso, che mi considerava speciale rispetto a tutti e mi trattava in maniera esclusiva. 
Fino ad un certo punto però, non era mai diverso fino in fondo. C’ era come un muro di ghiaccio attorno al suo animo più profondo, che non era superabile nemmeno da me, non potevo scioglierlo nemmeno col mio fuoco.
Provai a tornare alla realtà, lessi ancora il libro, compresi da quelle poche righe che la linea orizzontale nel simbolo rappresentava il punto di incontro tra il fisico e il metafisico, ma cosa volesse dire questo non mi entrava in testa. 
Passai oltre, mi soffermai su concetti più semplici: “è un elemento maschile, emblema del sapere, della conoscenza e dell’intelletto”.
Sorrisi mentre continuavo la lettura: questa caratteristica gli si addiceva perfettamente.
“Tra tutti gli elementi è quello più sottile, in quanto invisibile, non può essere afferrata e trattenuta. L’aria è lo spazio intangibile che avvolge e permea l’intero universo, l’invisibile che respiriamo, perciò è l’energia vitale senza la quale non ci sarebbe la vita”.
Tutte queste descrizioni mi facevano pensare a lui per mille sue caratteristiche e modi di essere, l’ultimissima frase, quell’invisibile che respiriamo, più che l’energia vitale, come indicava il libro, mi faceva pensare a quel veleno, il suo veleno invisibile che respiriamo e senza il quale per me non ci sarebbe vita.
Mi rendevo conto che non potevo più vivere senza quel suo dolore e quel suo veleno che erano indissolubilmente legati a lui, e di cui il mio amore non poteva fare a meno.
Diedi una letta veloce al resto della pagina, ma proprio non riuscivo a concentrarmi, chiusi il libro e lo adagiai sulle mia gambe nervosamente.
Non feci in tempo a decidere cosa fare al posto di studiare la magia, che la sua magia arrivò prepotentemente dentro di me: il Marchio Nero si mise a bruciare prima lentamente, per diventare poi sempre più forte.
Indugiai qualche istante, restai seduta alla luce delle fiamme e mi scostai la manica per illuminare per bene il Marchio sull’avambraccio. Quando lo volsi lentamente verso l’alto, per ammirarlo oltre che sentirlo, vidi una luce argentea che rischiarò il mio sguardo, non lo aveva mai fatto prima, era un effetto strano e del tutto nuovo.
Solo per me.
Sorrisi e lo ammirai ancora, il bruciare aumentava e mi faceva male nella carne, ma restavo ancora lì. 
Ancora qualche istante.
Mentre mi attardavo, sentii come un lieve soffio d’aria provenire ancora dal Marchio. Fu una carezza leggera sul mio viso, che smosse appena i miei capelli. Portava l’odore della natura selvaggia, della pioggia nel bosco. Impalpabile e fugace.
Sarei stata ancora molto lì ferma, ad assaporare quella forma di lui. Volevo mantenermi nella splendida attesa di vederlo, sentirlo, parlargli, ma non potevo aspettare tanto, non volevo si adirasse, dunque mi alzai in piedi, spensi il fuoco in un attimo, misi il mantello sulle spalle e andai dal mio maestro.
Quando giunsi da lui tramite materializzazione, mi avvicinai cauta, senza dire nulla. Anche la stanza dove mi attendeva era al buio come era la mia di poco prima, illuminata solo dalla luce del fuoco.
Era appoggiato con un gomito al camino e guardava fissamente le fiamme all’interno. 
Tutta la sua figura si confondeva col buio e l’oscurità attorno. Il suo viso era pallido, forse più del solito, era illuminato e scaldato dal fuoco. Era quasi immobile, soprappensiero, solo la mano sinistra si muoveva leggermente, illuminata anch’essa dal fuoco. Stringeva distrattamente un oggetto argentato, lo rigirava nervosamente e abilmente tra le sue dita sottili e pallide. 
Era troppo pensieroso e concentrato, restai nel buio e nel silenzio non volendolo disturbare. O forse preferii guardarlo da lontano per cercare di capirlo, ma non ci riuscii.
Mi stupii quando lo vidi portarsi quell’oggetto alle labbra, suonarlo per qualche istante, con calma, gli occhi semichiusi sembravano guardare altrove, molto lontano. 
Uscirono poche note lugubri e tristi. 
Poi si fermò di nuovo, riprendendo a rigirare tra le dita quel piccolo strumento argentato. Dopo pochi secondi lo vidi brillare, volando, per poi finire dritto tra le fiamme. 
Lui non fece una piega, continuando a guardare il fuoco impassibile. Solo quando si accorse che mi ero avvicinata allora si voltò verso di me, avanzando anche lui in silenzio.
Mi tolse il mantello di dosso senza dire nulla e, sempre senza dire nulla, mi baciò il collo con ardore, stringendomi forte in vita.
Come sempre il mio corpo si riempiva di brividi, la pelle e i pori si sollevavano reagendo come antenne al suo tocco, i capezzoli mi si ingrossavano rapidamente ad ogni bacio, o morso. Eppure continuavo a pensare a quel piccolo strumento argentato che bruciava nel fuoco, mentre mi abbandonavo a lui totalmente, senza parlare e senza reagire, guardavo quel piccolo oggetto scomparire, sciogliersi, carbonizzarsi. Non sapevo per quale motivo, ma mi scesero copiose lacrime.
Facemmo l’amore così, in silenzio, lui con rabbia e io con tutto l’abbandono che conoscevo, nel bene e nel male.
Solo dopo avere goduto riuscimmo a parlare.
“Mio Signore, perché mi avevate chiamata prima?”
Lui si voltò verso di me, mi guardò come se si fosse ricordato solo in quel momento che mi aveva chiesto lui di andare lì.
“Avevo intenzione di riprendere le lezioni, ma ora non mi va più, lo faremo un’altra volta.”
Annuii, dopotutto nemmeno io avrei avuto la minima voglia, ora che eravamo lì insieme, dopo aver fatto l’amore.
Mi sorpresi a pensare, forse a torto, che in realtà mi avesse chiamata a sé perché sentiva il bisogno di avermi vicina.
Sicuramente sbagliavo, ma era bello crederlo.
“Posso chiedervi un’altra cosa?”
Sorrise con sufficienza, ma non rispose nulla. Io chiesi ugualmente senza paura di adirarlo: avevo imparato a capire quando i suoi silenzi erano taciti assensi e quando invece quei silenzi fossero rabbiosi, quando era più consigliabile lasciarlo in pace.
“Perché avete bruciato quella cosa d’argento?”
Mi guardò per un attimo, poi si rabbuiò e tacque. Capii che forse avevo toccato un argomento ostico.
“Quella cosa, forse non la conosci, era un’armonica, uno strumento babbano. Inoltre non era d’argento.”
Rimanemmo in silenzio, io lo guardai attentamente, ma aspettai che fosse lui, eventualmente, ad aggiungere qualcosa.
Restò zitto e dunque nemmeno io aggiunsi altro. 
Io stessa mi ero stupita del mio interessamento e della mia reazione. Avevo pianto senza capire il motivo di quelle lacrime, lo avevo fatto per un oggetto senza apparente importanza. Avrei però voluto sapere cosa significasse per lui, ma non ne venni mai a conoscenza, aggiunse infatti solo poche parole che non spiegarono molto.
“Ho raccolto tanti oggetti nella mia vita, tanti simboli. Alcuni hanno ragione di esistere ancora, altri semplicemente no.”
Mentre terminava la frase si allontanò, si rimise in piedi sistemandosi i vestiti. Feci la stessa cosa anche io senza battere ciglio, perché forse era di cattivo umore.
Poi però, poco dopo, quando ormai stavo per chiedere se voleva restare solo, sembrò cambiare idea all’improvviso.
Parlò con calma, come se le idee si elaborassero con lentezza anche nella sua mente.
“A pensarci meglio, però, qualche minuto per anticipare le nostre lezioni pratiche sul nuovo elemento, lo possiamo spendere.”
Fui felice che in tutta la distanza palpabile che era intercorsa tra noi in quei momenti, arrivasse uno spiraglio di connessione con lui, gli sorrisi e mi avvicinai.
“Sono pronta, mio maestro, quando volete.”
Mi travolse con quello sguardo rosso e penetrante, in quel momento ancora più rosso del solito, che mi toglieva il respiro e mi eccitava sempre.
Sì avvicinò a me e mi prese velocemente, stringendomi forte, come se volesse baciarmi, farmi sua: mi piaceva quel modo che aveva di smaterializzarci insieme. Una di quelle cose repentine e passionali che non ti aspetti da lui e che invece, proprio lui, sa fare così bene.
Prima di scomparire dalla stanza buia, sempre stretti in quell’abbraccio, mi sussurrò in modo suadente e sibilante una frase.
“Ora avrai un assaggio del mio mondo.”
Non mi fece paura, mi sentivo totalmente sicura in balia delle sue braccia e mi feci portare via da lui. 
Ovunque volesse.


   
 
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