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Autore: Deruchette    15/06/2020    1 recensioni
[La storia segue lo svolgersi degli eventi dall'epilogo di "Hunger Games" all'epilogo di "Mockingjay"]
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Katniss e Peeta, gli Innamorati Sventurati del Distretto 12, i vincitori della 74esima edizione degli Hunger Games.
La loro storia è sotto gli occhi di tutti ma solo in pochi sanno che, in realtà, si tratta solo di finzione. La mossa strategica che li ha portati via dall'arena è costretta a continuare anche adesso che il sipario inizia a calare sull'ultima edizione dei giochi.
E se ad un certo punto la finzione si trasformasse in realtà?
Cosa succederebbe se gli Innamorati Sventurati fossero realmente innamorati?
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Dal capitolo 6:
"È evidente, chiaro come il sole, che è tutto cambiato. Che il ragazzo che all’inizio di quest'avventura consideravo un semplice amico, un alleato, adesso è diventato qualcos’altro. Per settimane mi sono chiesta se non fosse sbagliato nei suoi confronti recitare la parte della brava fidanzatina conoscendo la reale portata dei suoi sentimenti, sapendo che io non provavo la stessa cosa. Non sarebbe tutto più semplice se ti amassi?, la domanda che ronzava costantemente nella mia testa.
Ora lo so. Non solo è più semplice, più normale. È diventato anche necessario. Necessario come l’aria che respiro."
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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In The Still Of The Night - 4

In the still of the night

 

 

 

 

 

 

4.

 

- Che tipo di pianta è questa?
- È achillea – strappo una manciata di foglie dalla pianta e le porgo a Peeta. – Mia madre la usa per i suoi infusi. Questi invece sono i fiori. – Gli indico uno stelo pieno di fiorellini bianchi, a pochi passi da noi.
- A cosa serve? – mi chiede ancora Peeta, osservando le foglie che ha in mano.
Siamo nel bosco, non molto distanti dal Distretto. Nell’ultimo periodo abbiamo preso l’abitudine di venirci insieme; in realtà è stato Peeta il primo a chiedermi se potesse accompagnarmi qualche volta nelle mie scorribande nella foresta. Non ero gran che entusiasta all’idea di noi due insieme a caccia: il ricordo degli Hunger Games era ancora così vivido che mi sembrava di essere ancora lì. E ricordo che Peeta era piuttosto rumoroso mentre vagavamo in cerca di cibo. Con una gamba finta la situazione non doveva essere migliorata.
Ma era davvero curioso e si vedeva che moriva dalla voglia di venire con me, così non gli ho detto di no. Anche se cacciare sembrava impossibile – troppo rumorosi – abbiamo trovato lo stesso qualcosa da fare: rintracciare e raccogliere le erbe officinali per rifornire la scorta di mia madre. Peeta ha fin da subito portato con sé un blocco da disegno e delle matite colorate, così quando ci fermavamo per mangiare qualcosa faceva qualche schizzo sulle pagine bianche. Rimango sempre senza parole per la facilità con cui riusciva a riportare tutto quello che vedeva grazie a pochi tratti di matita.
Mi è venuto spontaneo proporgli di aiutarmi ad aggiornare l’album delle piante che io e la mamma conserviamo in casa. Lo aveva portato con sé quando lei e mio padre si sposarono ed insieme avevano aggiornato le pagine, aggiungendo anche quelle piante spontanee che erano commestibili e che, in tempi non molto lontani, ci avevano permesso di sopravvivere. Adesso avevo altre nozioni da aggiungere, comprese quelle apprese al centro di addestramento a Capitol City, ma avevo anche bisogno di una mano. Io non so disegnare, per niente.
Peeta è stato più che felice di aiutarmi, e così, eccoci qui. A vagare nel bosco, raccogliendo e catalogando piante e bacche. Sono felice di non essere da sola qui fuori, e poi mi piace davvero stare in compagnia di Peeta. Mi piace mostrargli tutto quello che ho imparato qui fuori, tutto quello che la foresta offre sia in termini di libertà che di cibo. Soprattutto di cibo. Mentre lui è intento a disegnare, riesco a fare un piccolo giro di perlustrazione e ad uccidere qualche scoiattolo, ma il più delle volte torniamo a casa quasi a mani vuote, se non contiamo le prede che recuperiamo nelle trappole.
Non ho smesso di aiutare Gale, anche se non ci vediamo da parecchi giorni. All’inizio ho pensato che Peeta volesse venire perché non si fidava di me o di Gale, ma è stato un pensiero che ho fin da subito scacciato via. È sempre così tranquillo, e non ha detto niente riguardo il mio voler aiutare il mio amico e la sua famiglia, anzi, si è offerto anche lui di dare una mano. Dopo il nostro giro nel bosco portiamo le prede da Hazelle e torniamo insieme a casa. Una volta siamo anche stati al Forno insieme; ho raccontato a Peeta dell’aiuto che ci era stato dato da tutti, ma che nessuno di loro voleva essere ringraziato. Ci siamo limitati a comprare qualche ciotola di zuppa da Sae la Zozza, anche se quella roba più che placare la fame ti fa star male.
Oggi ho preso tre scoiattoli, più della metà di quelli che riesco a cacciare da quando Peeta viene con me. Ho deciso di tenerli da parte per suo padre, così almeno per una volta non mi sentirò in colpa per tutti i pacchetti pieni di pane, torte e biscotti che ci manda a casa. Siamo sommerse di cibo, senza contare quello che Peeta prepara durante la giornata e che divide sempre tra noi e Haymitch.
- Ha proprietà cicatrizzanti, ma la mamma la sua più che altro per curare il mal di stomaco. Può essere utile anche per i dolori mestruali e per le infiammazioni.
- Capito – prende un appunto sul suo blocco e poi torna a guardare lo stelo pieno di fiori che ha raccolto. – Sei sicura di non voler continuare con questo talento? Sei davvero brava – mi dice per l’ennesima volta.
Questa storia di trovare un “talento nascosto” a tutti i costi comincia ad essere insopportabile.
- Sicurissima – rispondo per l’ennesima volta. – E poi non potrei farlo nemmeno volendo. Effie dice che devo fare qualcosa di nuovo.
- Ah, se lo ha detto Effie, allora…
Ridacchio. Effie sa essere davvero petulante quando si impegna, e di solito non ce ne mette mai troppo. Peeta, poi, è fortunato perché ha già il suo talento da mostrare, e quindi deve solo sorbirsi le domande di Effie su come sta procedendo il suo lavoro. Io, invece, devo fare tutto dall’inizio.
- Mi ha mandato una lista con una serie di attività che potrei imparare a fare – ammetto. Raccolgo un altro fiore e me lo passo tra le dita. Tolgo qualche petalo.
- Che tipo di attività?
- Cucinare, suonare il flauto, sistemare fiori… - Peeta ride e indica le mie mani, che hanno strappato tutti i petali al fiore. Direi che posso già depennare quella parte dalla lista. – Potrei darmi al giardinaggio.
- Oh sì, hai un talento eccellente per queste cose! – esclama, sistemandosi a sedere a terra accanto a me. – Se invece vuoi davvero dedicarti alla cucina, posso darti una mano. Cucineremo insieme.
- Come una coppia di sposi? – chiedo ridendo, ma serro subito le labbra quando mi rendo conto di ciò che è appena uscito fuori da esse.
Non che ci sia qualcosa di male, è una semplice battuta buttata nel discorso come tante altre… ma con tutto quello che sta succedendo tra di noi non so se può essere considerata come tale.
Ho finalmente smesso di lottare con me stessa ed ho accettato i sentimenti che, quasi senza accorgermene, hanno preso posto dentro di me. Ho finalmente capito che Peeta non mi è affatto indifferente e la cosa, da quanto ho potuto osservare, gli ha fatto un sacco piacere.
Dalla mia confessione – avvenuta il giorno in cui c’è stato il bacio tra me e Gale – non siamo più tornati sul discorso; è abbastanza discreto in questo e, forse, lo ha fatto perché sa che io con i sentimenti, ma anche con le parole in generale, non sono brava quanto lui. Quel poco che sono riuscita a cavare fuori sembra essergli stato sufficiente.
Ma per quanto ancora lo sarà?
Ecco perché mi spavento ogni volta che aleggia attorno a noi lo spettro di un nostro possibile coinvolgimento ad un “passo successivo”.
- Sì, come una coppia di sposi – risponde Peeta. Il suo tono di voce è normale, e questo in qualche modo mi tranquillizza. – Ci pensi mai al matrimonio?
Come volevasi dimostrare.
- Perché me lo chiedi? – domando, cercando di mostrarmi indifferente all’argomento.
Lui scrolla le spalle. – Non c’è un motivo preciso. Semplice curiosità, immagino.
Curiosità. Raccolgo diversi fiori di achillea e comincio ad intrecciarli tra di loro, sovrappensiero. Non c’è nulla di male ad essere curiosi, in fondo.
- Vorresti sposarti? Un giorno, intendo – la mia è una domanda troppo scontata, perché so già a grandi linee l’opinione che Peeta ha del matrimonio.
Annuisce, infatti. – Ho sempre pensato che un giorno lo avrei fatto. Sì, insomma, che avrei avuto una moglie e dei figli. Le solite scemenze che escono fuori quando si pensa al futuro.

No, Peeta, non sono scemenze, penso. È il massimo che la vita può offrire ad una persona. Se non fossi così risoluta sulle mie certezze, probabilmente le penserei anche io. Nello stesso e identico modo.
- Io non ho mai pensato di sposarmi – ammetto. I fiori tra le mie mani hanno assunto la forma di una coroncina di fiori, simile a quella che le spose del Distretto indossano alle loro nozze. La disfo in fretta.
- Mai? – scuoto la testa. – E di avere figli?
- Neanche. E non credo di cambiare idea su questo – lo guardo in viso. – Non dopo quello che ho… che abbiamo affrontato. Non dopo quello che abbiamo visto.
Gli Hunger Games. I giochi sono il motivo principale per cui non metterò mai al mondo dei bambini innocenti, la cui unica colpa è quella di essere nati in un Distretto e non nella capitale.
- Non vuoi avere bambini?
- Essere un vincitore non ti esclude, Peeta. I miei figli potrebbero essere sorteggiati alla mietitura… non lo sopporterei.
Ci sono già stati casi in cui i vincitori delle edizioni passate hanno dovuto vedere i loro figli subire la stessa sorte toccata a loro in precedenza, e la maggior parte delle volte li hanno visti morire. La stragrande maggioranza dei genitori ha visto i propri figli morire in diretta televisiva senza poter fare nulla per loro. Sono rimasti inermi davanti ad uno schermo con davanti solamente la prospettiva di dar loro l’ultimo addio una volta tornati a casa, chiusi dentro bare di legno.
Con che coraggio e con quale ostinazione costringono un genitore a sopravvivere al proprio figlio?
- Non è una decisione da prendere alla leggera – ammette Peeta dopo un lungo momento di silenzio.
- Per niente – mormoro, le dita che percorrono le venature di una foglia. Lo guardo ancora una volta. – Ma tu li vorresti lo stesso, vero?
- Immagino di sì. Probabilmente farei una lista dei pro e dei contro e finirei con l’ignorare quest’ultima.
Ridacchio, scuotendo la testa. – Alcune convinzioni sono dure da abbandonare.
- Eh già, lo sono eccome – Peeta alza lo sguardo, osservando la coltre di rami e foglie che nasconde il cielo. – Che ore sono?
- Dovrebbe essere quasi ora di pranzo.
- Allora cominciamo ad andare. Ieri sera ho preparato una torta salata che devi assolutamente assaggiare.
Già, certe abitudini sono dure a morire.
Mi alzo in piedi e tolgo con le mani le poche tracce di terra ed erba rimaste sui miei pantaloni. Peeta invece è ancora seduto e sembra avere qualche problema a rialzarsi. – Hai bisogno di una mano?
- Credo di sì. La gamba non sembra voler collaborare.
- Non è l’ultimo modello all’avanguardia? Fossi in te li chiamerei per protes-
Non riesco a finire la frase perché Peeta ha afferrato la mano che gli ho offerto e, opponendo resistenza, mi ha tirata verso il suo corpo. Nel giro di un secondo mi ritrovo sdraiata su di lui, che ride sguaiatamente… come farebbe una persona il cui intento è andato a buon fine.
- Lo hai fatto apposta! – esclamo, picchiandolo sulle spalle.
- Ehi, vacci piano! – continua a ridere ed io lo seguo a ruota, contagiata dal suo buonumore. Almeno questa caduta ha un lato positivo: ha scacciato del tutto l’amarezza che il nostro discorso di poco fa aveva scatenato.
Peeta raccoglie una ciocca che è sfuggita dalla mia treccia e la fa passare dietro al mio orecchio; lo fa lentamente, il suo è un gesto naturale che io faccio praticamente tutti i giorni e che è vecchio come il mondo. Le due dita percorrono il tragitto dall’orecchio alla guancia, fermandosi sulle mie labbra con uno sfioramento che percepisco appena.
Per una volta sono io a prendere l’iniziativa e faccio incontrare le nostre labbra. Questo è diverso dagli altri: non è un bacio di cortesia, non è un bacio di circostanza, non è un bacio finto. Non è un bacio per le telecamere. È quel genere di bacio che te ne fa desiderare subito degli altri, che non ti fa respirare, che ti tiene sulle spine.
È quel genere di sensazione che ho provato solo una volta prima d’ora, e risale a quel giorno nella grotta, durante gli Hunger Games.
Peeta ha risposto al mio bacio con talmente tanta foga che mi fa rotolare sul terreno, ribaltando le nostre posizioni. Adesso sono sdraiata sulla schiena e lui è sopra di me, con una delle sue gambe stretta tra le mie.
- N-non dovevamo tornare a casa? – balbetto a corto di fiato.
- Possiamo restare un altro po' – mi risponde, tornando a baciarmi.
Ed eccola di nuovo, la stessa sensazione. Mordo piano il suo labbro inferiore mentre afferro le sue spalle, desiderosa di approfondire questo bacio. Ho le farfalle nello stomaco.

È questo che si prova?

 

La prima cosa che notiamo non appena varchiamo il viale di accesso al Villaggio dei Vincitori è la figura di Haymitch, posizionata davanti al portone di casa sua. È trasandato come al solito, ma già il fatto che riesca a mettere il naso fuori casa è una gran cosa. Probabilmente si è appena svegliato.
- Ecco i piccioncini! – esclama quando siamo a portata d’orecchio. Da vicino il suo aspetto non migliora, anzi peggiora. Le occhiaie scure e il colorito pallido suggeriscono un dopo-sbornia coi fiocchi. – Fatto una bella passeggiata?
- Hai fame Haymitch? – gli chiede invece Peeta, eludendo le sue prese in giro. – Ho un po' di torta salata se la vuoi, te la vado a prendere. Aspettami qui – aggiunge, riservando a me le ultime parole prima di avviarsi verso casa sua.
- Ma guardatevi, non vi riconosco quasi più. Che cosa combinate tutto il giorno insieme? Non me la raccontate giusta, voi due.
- Non sono affari tuoi – lo guardo in cagnesco, e questo non impedisce alle mie guance di arrossire a causa delle sue allusioni. Quello che “combiniamo” io e Peeta non è di certo affar suo… e poi non facciamo niente di male!
La mia faccia deve divertirlo molto, perché non smette più di ridere. – Dolcezza, rilassati! E chi l’avrebbe mai detto? Un pezzo di ghiaccio come te che si scandalizza per un nonnulla. Neanche avessi detto che tu e il ragazzo scop-
- Haymitch! – urlo. Questo è troppo.
- Vedi? Non mi hai nemmeno fatto finire. A proposito: hai qualcosa sul collo, proprio… - Haymitch mi si avvicina e punta il dito sul lato destro del mio collo -…qui. Cos’è, un succhiotto per caso?
Sgrano gli occhi e la mia mano scatta subito a coprire la pelle scoperta. La mia reazione fa ridere Haymitch ancora più di prima, tanto che crolla a sedere sui gradini e comincia ad asciugare le lacrime che gli escono dagli occhi.
- Perché sta ridendo? – Peeta ci ha appena raggiunto e osserva la scena, non riuscendo a capire il motivo di tanta ilarità.
Glielo faccio capire io: è tutta colpa sua. – Che mi hai fatto al collo?
- Io? niente! Il tuo collo non ha niente! – esclama.
Haymitch mi sta ancora prendendo in giro.

 

 

 

 

 

 

 

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Ciao a tutti!
Breve capitolo di passaggio in cui i piccioncini… fanno i piccioncini. Nulla di che, in effetti, ma ogni tanto ci sta bene qualcosa di leggero :)
Al momento in cui scrivo le note sono in piena fase di elaborazione del capitolo 14: sono un bel pezzo avanti con la stesura e non pensavo assolutamente che sarei stata così veloce nella scrittura. E, dato il numero di capitoli che ho già pronti – sono solo da rivedere -, spero di riuscire a postare il prossimo in settimana. Incrociate le dita! Se non dovessi riuscirci, ci vediamo come al solito lunedì prossimo…
Grazie ancora per essere arrivati fin qui, e alla prossima!
D.

   
 
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