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Autore: _justabibliophile_    17/06/2020    2 recensioni
«Ascoltami bene, prima di trarre le tue conclusioni affrettate. Ti propongo una sfida.»
«Ecco che ci risiamo.» borbottò lei, alzando gli occhi al cielo.
Una sfida con James Potter, che cosa assurda e inconcepibile: quale persona sana di mente sarebbe mai scesa a patti con il diavolo? Accettare una sfida proposta da Potter era sulla stessa lunghezza d'onda, per l'appunto.
«Non è una sfida qualunque, Evans. Tutto quello che devi fare è darmi prova dell'esistenza di qualcosa che proprio non sopporti di me. Solo questo.»
A dimostrazione del suo contegno e della serietà che sapeva esibire in ogni occasione della sua vita, Lily Evans scoppiò in una fragorosa risata.
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Potter, Lily Evans | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Domenica.

Il terzo Fuoco di Artificio con Innesco ad Acqua della serata era esploso a mezzanotte precisa, investendo tutti i Grifondoro stipati nella Sala Comune con decine di copiosi getti freddi. Non che contasse poi chissà quanto, a quel punto, essere totalmente zuppi di acqua: già da un'ora svariate bottiglie di Burrobirra erano infatti state rovesciate sopra le teste degli studenti febbricitanti, infradiciati fino al collo di sostanze liquide dalla dubbia provenienza, ma non c'era una singola persona a cui la cosa sembrasse pesare in maniera particolare.

La promessa di Sirius era stata mantenuta e lui - chiaramente dopo aver raggiunto le dieci ore di sonno previste dal regolamento, come aveva precisato James quel sabato pomeriggio - aveva provveduto al rifornimento di Firewhisky e di qualunque altra bevanda capace di annebbiare i sensi di quella mandria di Grifondoro, che appariva in quel momento esaltata come mai prima d'ora. Il bello, comunque, restava il fatto che nessuno di loro sembrava pensare ancora alla prima vittoria dell'anno della loro Casa, che teoricamente doveva essere il reale motivo per cui era stata organizzata quella festa.

O meglio, più che non pensarci, i nostri amati Grifondoro parevano averla totalmente dimenticata.

Certo, quando James era tornato in Sala Comune dopo la cena con una bandiera rossa e oro avvolta sulla schiena e aveva trovato ad attenderlo decine di striscioni che inneggiavano alla loro Casa, studenti di ogni età voltati verso di lui con un inconfondibile luccichio di ammirazione nello sguardo e una musica martellante che Caroline Steeval si era ostinata a far partire prima del previsto, non aveva potuto fare a meno di sorridere divertito e pensare che quello fosse senza ombra di dubbio il modo migliore per concludere una giornata innegabilmente perfetta.

Ebbene, quella festa era  cominciata come un apparente tributo alla squadra e al Capitano, ma si era presto irreparabilmente trasformata in un delirio con i fiocchi. Il problema non erano gli studenti dei primi anni, che armati di audacia Grifondoro - e approfittando naturalmente del fatto che i ragazzi più grandi non fossero nel pieno controllo delle loro volontà - si erano imbucati là dove erano stati banditi categoricamente, raggirando senza troppa difficoltà Oliver Wilson nei panni di un imbarazzantissimo bodyguard. Il problema non erano i cuscini sparsi per la stanza, gli adolescenti febbricitanti che urlavano e ballavano e ancora urlavano, o la Sala Comune che era diventata un'accozzaglia confusionaria e disordinata di persone e bicchieri più o meno riempiti fino all'orlo.

Il problema non era nemmeno Jacob Finnigan, che seguitava con le sue manie di protagonismo e che dunque, dopo il terzo o quarto bicchiere di Vino Elfico proveniente direttamente dalle cantine di casa Longbottom, si era di nuovo convinto che quella fosse una festa in suo onore e nessuno, in quella stanza, si era ancora preso la briga di dirgli che non c'era anima viva che stesse ascoltando il suo ennesimo, noiosissimo discorso di ringraziamento.

Anima viva forse no, ecco, ma Nick-Quasi-Senza-Testa aveva attraversato qualche minuto prima la parete della Torre Grifondoro per avvertire gli studenti del quasi cedimento degli incantesimi insonorizzanti, e adesso ascoltava il soliloquio ricco di pathos del giovane Finnigan con una commozione decisamente molto rara per chi, un cuore, teoricamente non lo possedeva più.

Il problema, come dicevamo, era di tutt'altra natura: aveva capelli biondi, occhi scuri e dardeggianti resi lucidi dall'alcool bevuto e, naturalmente, rispondeva al nome di Alice Prewett.

«E quindi in sostanza non vi siete baciati.»

Un'intera serata a fare quel resoconto preteso dalla sua migliore amica, ed ecco che Lily doveva ritrovarsi a sopportare Alice mentre, grazie alla partecipazione del suo solito dono della sintesi, minimizzava ancora una volta il racconto di un intero pomeriggio passato in compagnia di James Potter.

Sbuffò e alzò gli occhi al cielo, perché la ragazza seduta sul divano accanto a lei aveva bevuto decisamente troppo e, arrivati a quel punto della situazione, bisognava procedere con calma e non fare mosse troppo azzardate.

«E quindi, in sostanza, no.» disse tranquillamente, svuotando del tutto il contenuto del suo bicchiere e pensando che, per sopportare la sua migliore amica, fosse necessario ingerire quello stesso Firewhisky almeno in quantità triplicate.

«Ma perché,» riprese Alice, cercando di scandire bene ogni parola e riuscendo a dir poco penosamente nel suo intento. «perché no?»

«Non pensavo che il tuo secondo nome fosse delicatezza, Ali.» commentò sarcasticamente Frank, allontanando così Lily dall'obbligo di rispondere a quella domanda evidentemente scomoda.

Non che, comunque, lei sarebbe stata capace di darle una spiegazione esaustiva e soddisfacente.

Quel pomeriggio era andato tutto molto bene, dannatamente bene, tanto che le ore trascorse in compagnia di James erano praticamente volate via in un battito di ciglia e possa Merlino in persona tagliare la lingua a chiunque osi dire che quella era stata una semplice uscita tra amici. Loro due non erano amici, non lo erano mai stati e di certo non lo sarebbero diventati da quel giorno, dopo tutti gli sguardi maledettamente intensi che si erano scambiati l'un l'altra e, soprattutto, dopo quelle svariate volte in cui si erano ritrovati a essere nettamente più vicini del normale.

Ma allora, cosa diamine era andato storto?

«Infatti non lo è, tesoro. Il mio secondo nome è Cecily, come mia nonna. Te l'ho detto un sacco di volte, ricordi? Proprio un sacco di volte.» biascicò Alice con un sorriso, trovando evidentemente l'espressione "un sacco di volte" piuttosto spassosa, considerando che continuava a ripeterla tra sé e sé intervallandola a qualche risata.

Niente, assolutamente niente era andato storto. Ma c'era qualcosa, una stranissima sensazione, che aveva indotto Lily a credere che in tutta quella giornata mancasse ancora un dettaglio. E la domanda della sua migliore amica non aveva fatto che aumentare quel presentimento, convincendola del fatto che un normalissimo e assolutamente lecito bacio non potesse che essere l'epilogo di quel pomeriggio che chiunque si sarebbe aspettato.

Un bacio. A James Potter.

«Un sacco di volte, sì.» le diede corda Frank, lanciando alla rossa uno sguardo a metà tra il rassegnato e lo sconcertato.

Ma Lily non lo intercettò con particolare partecipazione, troppo impegnata com'era a tracannare un altro bicchiere di Firewhisky e a sentire quel familiare bruciore lasciare una scia lungo la sua gola e fino allo stomaco. Magari sarebbe bastato quello a farle dimenticare gli occhi di Potter, quel sorriso che mai come quel giorno aveva colpito il suo petto con la forza di mille pugni, o ancora quel serio dolore fisico che aveva provato ogni volta che lui le si era avvicinato, magari con una scusa banale e ai limiti della credibilità, salvo poi allontanarsi impercettibilmente come se temesse di aver fatto una mossa troppo azzardata.

Ma non bastava, non bastava niente di tutto ciò, perché quella sensazione di vuoto abissale continuava ad aleggiare dentro di lei e Lily non aveva la minima idea di come fare per scacciarla. Non finché James continuava a fissarla dall'altro lato della Sala Comune, con un mezzo sorriso che avrebbe voluto far sparire lei stessa a suon di morsi.

«Ascolta Ali, non pensi che forse dovresti...»

«Io non devo fare niente, Lily, se non farti smettere di divagare. Sono ancora lucidissima, se non te ne fossi accorta.» "Più o meno", avrebbe voluto risponderle la rossa, considerando che era da qualche minuto buono che la sua migliore amica seguitava ad aspirare del fumo invisibile da quella che evidentemente credeva essere una sigaretta, ma che non era altro che la sua stessa bacchetta. «Forza, rispondi alla mia domanda.»

«Non lo so Alice, cosa posso dirti?» sbuffò, sfregandosi la fronte con una mano. In verità poteva dire qualunque cosa, più o meno di senso compiuto: dubitava fermamente che il mattino dopo la ragazza seduta alla sua destra si sarebbe ricordata qualcosa. «Evidentemente non è successo nulla perché non doveva succedere nulla. È stata un'uscita tra amici senza alcun secondo fine, tutto qui.»

Al diavolo il secondo fine, persino Lily Non-Uscirò-Mai-Con-Potter Evans si era resa conto di bramare qualcosa di più in un modo quasi doloroso, tanto che ammetterlo a se stessa era diventata un'impresa dannatamente difficile. La parte peggiore, comunque, restava il fatto che quel bacio mancato era stato frutto delle circostanze, non del suo stesso volere.

Insomma, lei era sempre stata quel classico tipo di persona che, quando sa di volere una cosa, non esita a correre a prendersela. Ferma, lucida, determinata nelle sue convinzioni: sapeva che tra lei e Potter si era creata una strana chimica e non osava credere di essere stata lei a immaginare tutto, che il vortice di emozioni che aveva percepito intorno a loro in maniera quasi palpabile restava confinato nella sua sola sfera emotiva. No, era impossibile e James non sarebbe mai stato capace di mentire così bene.

«Non doveva succedere nulla? Dai Lily, non prendermi in giro.» replicò prontamente Alice, ridendo di gusto come se la sua amica le avesse appena raccontato la barzelletta del secolo.

Godric, quanto avrebbe voluto ridere insieme a lei.

E invece eccola lì, costretta a reprimere quel senso di mancanza che provava non appena ripensava al momento in cui lei e James erano usciti dai Tre Manici di Scopa, cominciando a percorrere la strada che li portava dritti fino a Hogwarts e percependo che l'atmosfera intorno a loro era drasticamente mutata. E poi si erano fermati, avevano smesso all'improvviso di ridere e scherzare e si erano guardati negli occhi, più vicini di quanto non fossero mai stati in quei sette anni, mentre quell'impulso di colmare una volta per tutte quei pochi passi che li separavano si era insinuato in entrambi e...

E poi, tutto ad un tratto era stata catapultata nuovamente con i piedi per terra in quel mondo reale popolato dagli amici di James, che lo avevano raggiunto tutti trafelati domandandogli quali e quanti alcolici preferisse per la festa di quella sera. Se fosse stato possibile ferire con la sola forza delle pupille, Oliver Wilson sarebbe stato Schiantato contro il tronco più vicino nello spazio di un secondo da un piuttosto arrabbiato James Potter, che si era limitato a liquidarli in qualche minuto e a chiedere scusa a Lily con una semplice occhiata mortificata.

Ma andava bene, la magia intorno a loro si era dissolta nel nulla ma poteva succedere, non c'era nessuno contro cui puntare il dito e sicuramente si sarebbe ricreata una seconda occasione simile alla precedente. E così avevano ripreso a camminare, non senza incontrare lungo il cammino all'incirca tutti i loro colleghi Prefetti e Capiscuola che, chissà per quale dannatissimo motivo, avevano deciso proprio in quegli istanti di fermarsi a conversare come se ne dipendesse della loro stessa vita. E chi erano loro per scacciarli in maniera eccessivamente maleducata?

La situazione era cominciata a non essere più sostenibile nel momento in cui, dopo essere riusciti ad arrivare quasi fino al portone d'ingresso in totale solitudine e dopo che James aveva accennato una battuta sulla loro totale mancanza di privacy - «Dobbiamo scusarli, forse siamo davvero noi due l'attrazione del giorno» - era comparso all'improvviso Peter Minus, correndo verso il suo amico e dicendogli che era indispensabile andare a prelevare Remus dall'Infermeria, siccome Black era impegnato in una complessa trattativa con gli Elfi Domestici delle Cucine affinché tenessero la bocca cucita a ogni eventuale domanda scomoda da parte della McGranitt circa un inusuale viavai di cibo e bevande verso la Torre di Grifondoro.

Ed ecco che di nuovo James aveva sospirato sonoramente, lanciandole un'occhiata davvero avvilita, tanto che Lily si era sentita in dovere di abbozzare un lieve sorriso, dicendogli di muoversi e di salutare Remus anche da parte sua. Così addio per sempre a quella tanto agognata intimità.

A cena non si erano seduti vicini, ma questo non aveva impedito loro di continuare a lanciarsi sguardi particolarmente significativi e a scambiarsi mezzi sorrisi che Alice, complice la sua ancora momentanea sobrietà, non aveva mancato di notare e di commentare con il suo solito, proverbiale trasporto. Ma, ancora una volta, zero possibilità di stare da soli una volta per tutte e di concludere quella giornata come Merlino comandava.

«Non mi pare di avere la faccia di una che ti sta prendendo in giro.»

«No, ma hai la faccia di una persona molto, molto delusa.» asserì ancora Alice, con un sorriso sornione che non si addiceva per niente a quel contesto.

Lily si limitò a giocherellare con il suo bicchiere per qualche secondo, per poi scattare all'improvviso e voltarsi nuovamente verso la sua amica.

«Io non mi aspettavo assolutamente nulla, se è questo che stai insinuando.» mentì, ostentando una certa convinzione e sperando di poterla infondere anche nei suoi interlocutori. A giudicare dall'altezza spropositata raggiunta dal sopracciglio inarcato di Frank, non doveva esserci riuscita un granché bene.

«È da tutta la sera che vi mangiate con gli occhi.»

«Smettila Alice, non stiamo...»

La frase di Lily le morì sulle labbra, perché per avvalorare la sua tesi si era voltata verso il punto in cui sapeva di trovare James - non diciamo sciocchezze, non lo aveva assolutamente fissato per tutta la sera - e, neanche a dirlo, aveva trovato ad attenderla due occhi nocciola particolarmente attenti, che sembravano aver seguito con meticolosità ogni suo singolo movimento.

Nello spazio di tempo in cui i loro sguardi si incrociarono, il mondo intorno a loro sembrò svanire un'ennesima volta e Lily si trovò a domandarsi come fosse possibile, come potesse bastare una sola occhiata per far diventare tutto ciò che li circondava così etereo e inconsistente. 
Lui stava ancora parlando con i suoi compagni di squadra ma accennò comunque un sorriso nella sua direzione, che lei ricambiò senza nemmeno rendersene conto, per poi distogliere lo sguardo e maledirsi mentalmente per l'ennesima, piccola vittoria regalata ad Alice.

Quando si voltò di nuovo alla sua destra, tuttavia, fece appena in tempo a intercettare l'occhiolino complice di Frank e subito dopo le labbra della sua amica furono catturate da quelle del ragazzo, che impedì in questo modo ad Alice di pronunciare qualche commento di troppo e di rinfacciarle così il suo aver avuto ragione. "Sia lodato Frank Longbottom", pensò Lily alzandosi dal divano, "unico essere umano che conosce il segreto per zittire Alice Prewett una volta per tutte."

«Tu sei troppo sobria.»

Ma certo, si scappa da un posto potenzialmente pericoloso e ci si imbatte nell'ennesimo ostacolo subito dopo. L'emisfero del cervello di Lily che continuava a ricordarle il suo essere Caposcuola aveva ormai alzato bandiera bianca, arrendendosi di fronte all'evidenza che l'obiettivo di quella festa, per qualche oscuro motivo, sembrava proprio essere quello di farla uscire pazza.

«Sono a posto così, davvero.» rispose precipitosamente, provando a circumnavigare William Steeval e a raggiungere un angolo un po' più isolato della Sala Comune.

«Un Caposcuola troppo sobrio non è mai una cosa positiva.» asserì di nuovo il ragazzo e, chissà perché, l'insistenza dei Grifondoro sembrava quasi triplicare quando nelle loro vene scorreva anche una buona dose di alcool. «Dai Evans, prendi qui!»

William le gettò malamente tra le mani un ennesimo bicchiere dal dubbio contenuto, ma non è che Lily fosse poi così curiosa di scoprire che cosa si celasse al suo interno: tremava al solo pensiero di far finire qualcos'altro dritto dritto nel suo stomaco, senza contare che quell'odore pungente che le pizzicava le narici non aveva assolutamente niente di invitante. Ma che diavolo, avevano corretto anche l'acqua o cosa?

Alzò repentinamente lo sguardo e si preparò a restituire il bicchiere a Steeval senza troppe cerimonie, ma i suoi occhi si posarono sul nulla più totale e fu con un sospiro sconfortato che si accorse che il ragazzo si era appena volatilizzato dalla parte opposta della Sala Comune.

«Maledizione.» borbottò tra sé e sé, guardandosi forsennatamente intorno alla ricerca di qualcuno di non particolarmente lucido a cui rifilare quel dannato bicchiere.

«Quante storie per un po' di Firewhisky di troppo.»

Come il più bel fulmine che squarcia e illumina un cielo nero come la pece, Remus piombò al suo fianco con un sorriso sorprendentemente furbo. Fu un istante e poi il bicchiere non era più tra le mani di Lily bensì tra quelle del ragazzo, che con fare da esperto e senza troppi preamboli ne versò il contenuto in uno dei vasi posati sulle mensole là vicino. Neanche a dirlo, la pianta si contorse su se stessa e appassì all'improvviso, facendo svanire quel bel verde sgargiante e sostituendolo con un tristissimo marroncino.

«Remus! Sei senza cuore.» commentò Lily sarcasticamente, fissandolo con la bocca socchiusa e ostentando un'aria piuttosto commossa.

«Frank le darà una pozione rigenerante e in poco tempo si riprenderà.» constatò lui, lanciando al vaso un'occhiata altrettanto affranta.

«Lo credi davvero?»

Remus annuì con fare tecnico, come se stesse comunicando il referto medico di un paziente in fin di vita.

«È la quarta pianta che faccio fuori in questo modo.»

«Far Evanescere il liquido era troppo complesso, non è così?» domandò retoricamente Lily, inarcando un sopracciglio e fissandolo con un mezzo sorriso.

«Troppo complesso e certamente meno divertente.» Remus ghignò furbescamente, scrollando le spalle. «E poi, ora come ora non sarei nemmeno così tranquillo a lasciarti in mano una bacchetta. Sicura di aver rifiutato proprio tutti i bicchieri di Firewhisky che ti hanno offerto?»

Il buon vecchio Remus Lupin aveva praticamente appena insinuato che Lily Evans - stimata Caposcuola, pregevole Prefetto per due anni di fila ed encomiabile studentessa - fosse dignitosamente brilla: la cosa, naturalmente, non poteva essere affatto accettabile. Per questo la rossa si ritrovò a dargli una spallata amichevole, suscitando la risata dell'amico e non riuscendo a reprimere a sua volta un sorriso divertito.

«Parlando di cose serie e non della mia presunta lucidità...» cominciò, appoggiando la schiena al tavolo più vicino. «Stai bene?»

Remus si rabbuiò visibilmente, distogliendo lo sguardo per un secondo ma ostentando un sorriso tirato subito dopo.

«Adesso sì, per fortuna. Non immagini quanti studenti abbia colpito questa maledetta influenza.»

C'era qualcosa nel modo in cui parlava, nel modo in cui sembrava voler chiudere in fretta quell'argomento, che fece supporre Lily che fargli domande sul suo stato fisico non fosse quel prototipo di conversazione capace di metterlo a suo agio. E non importava se la pelle di Remus era particolarmente pallida, se ogni suo movimento sembrava costargli una fatica disumana e se la stanchezza nel suo sguardo faceva pensare a qualcosa di più grave di una semplice influenza autunnale: fu quasi involontario per lei sorridergli con dolcezza, quasi volesse fare il possibile per tranquillizzarlo e cancellargli dalla faccia quell'espressione così maledettamente terrorizzata.

«Jacob Finnigan primo fra tutti. Sai, penso che lo scorso pomeriggio non fosse pienamente guarito e abbia contagiato così mezza Sala Comune.»

***

Il grosso pendolo che sovrastava il camino segnava ormai la mezzanotte passata, mentre un paio di occhi nocciola continuavano a vagare per la stanza alla ricerca di una precisissima chioma scarlatta. Sembrava ossessionato e se ne rendeva perfettamente conto, ma la voglia di scorgerla tra quel marasma di gente, di scoprire quegli occhi verdi già fissi su di lui e di bearsi di quel sorriso così sfacciatamente delicato era più forte di qualsiasi altro impulso.

«Prongs?»

La voce di Peter lo riscosse per l'ennesima volta, mentre James si rese conto di non aver seguito un accidenti dell'appassionato discorso del suo amico. Di nuovo.

«Sì Pete, ci sono.» si scusò in fretta, passandosi distrattamente una mano tra i capelli. «Ero solo sovrappensiero.»

«Lo sei da tutto il giorno.»

Quello era Peter che lo sfotteva e James era piuttosto convinto che quella non fosse una cosa accettabile in nessun universo conosciuto.

«Se hai intenzione di prendermi in giro anche tu come Sirius, sappi che le persone che passeranno la notte fluttuando fuori dalla finestra saranno due.» lo avvertì, puntandogli il dito contro e bevendo tutto d'un sorso il contenuto del suo bicchiere.

Peter ridacchiò e scosse la testa, pensando che la sua audacia gli permetteva  di fare qualche battuta innocentissima sull'imbarazzante cotta del suo amico, ma non era di certo sufficiente a indurlo a tirare ancora di più la corda. Chi invece era un maestro nel tirare la corda, neanche a dirlo, si palesò accanto ai due proprio in quell'esatto frangente.

«Di che parlano i miei migliori amici senza il magnifico sottoscritto?» urlò Sirius, zigzagando tra gli studenti che ballavano intorno a loro e lasciandosi cadere esattamente addosso a James.

«Parliamo male di te, Padfoot.» replicò lui, scollandoselo di dosso con ben poca grazia per constatare da vicino le sue momentanee condizioni fisiche e psicologiche.

Merlino, che cosa si poteva aggiungere? I capelli corvini spiaccicati sulla fronte per il sudore, la cravatta rossa e oro annodata intorno alla testa e gli occhi chiari resi lucidi dall'euforia parlavano per lui.

«Tu sei un pessimo amico, James. Sai invece chi è l'amico migliore del mondo?»

Quella era una domanda retorica e il giovane Potter lo sapeva più che bene, considerando che Sirius era il Re delle domande retoriche e adorava con tutto se stesso darsi delle risposte in totale autonomia. Per questo, in nome dell'affetto smisurato che provava per lui, scacciò l'impulso di rispondergli "Peter" per il solo gusto di dargli fastidio e si limitò invece a scuotere la testa, lasciando che continuasse.

«No, non lo so. Chi è?»

Godric, eccome se era James l'amico migliore del mondo.

«Ma naturalmente me medesimo.» rispose prontamente Sirius, sorridendo sornione e aggrappandosi ancora alla spalla di James. «Chi altri avrebbe contrattato con Nick-Quasi-Senza-Testa solo per farti un favore?»

Fare un favore al suo migliore amico dopo che quel pomeriggio gli aveva praticamente impedito di baciare la ragazza dietro alla quale moriva da sette anni a quella parte gli sembrava davvero il minimo, ma c'era ancora qualcosa in quel ragionamento che lo rendeva comunque piuttosto scettico. Fortunatamente, ci pensò Peter a precederlo e a dare voce alle sue perplessità.

«Cosa c'entra Nick? È...un fantasma.»

«Cento punti a te per la perspicacia, Wormtail.» disse Sirius, dandogli una pacca sulla spalla e ostentando quel sarcasmo abituale che non lo abbandonava nemmeno da brillo. «Ovvio che è un fantasma, ma non per questo bisogna sottovalutarlo.»

«Che diamine hai combinato questa volta?» sospirò James lasciandosi cadere sul divano, seguito poco dopo dagli altri due.

«Ho solo deciso di sfruttare le doti recitative del buon vecchio Nick per darti una mano. Sai, con Evans e tutto il resto.»

Sirius Black stava delirando, non c'era altra spiegazione. Perché James si stava sforzando davvero come non mai per cercare quel filo logico che potesse unire Evans, Nick-Quasi-Senza-Testa e la possibilità di dargli una mano, ma nemmeno impegnandosi sarebbe mai riuscito a dare un senso a quell'ammasso confuso di informazioni snocciolato da Sirius. Sirius che, per l'appunto, sembrava aver alzato decisamente il gomito e dunque le sue parole non dovevano poi essere considerate particolarmente ragionevoli.

«Dimmi almeno che non scoppierà un casino come al solito.» disse quasi con rassegnazione, arrischiandosi a osservare l'espressione beata e soddisfatta del suo migliore amico.

«Non succederà nulla, Prongs, se tutti seguiranno il piano.» Ma quale dannato piano, maledizione? «Tu dovrai semplicemente fidarti di me e assecondare il tuo buonsenso.»

«Non ce l'ha.» stabilì Peter con una risata e, seppur controvoglia, James si trovò costretto a dargli ragione. Se Minus con quell'affermazione si riferisse al suo buonsenso o alla sua effettiva predisposizione a fidarsi di Sirius, poco cambiava.

Il giovane Black che gli faceva la paternale era forse la cosa più strana che avesse mai visto nei suoi quasi diciott'anni di vita, a maggior ragione se il suo straparlare non sembrava avere nessunissimo senso compiuto. Ma andava bene così, l'importante era assecondarlo e sperare che la finisse al più presto con quella solfa assurda.

«Questo lo so bene, motivo per cui me ne sono occupato io. Contrattare con un fantasma è più facile del previsto, sapete?» Naturalmente non lo sapevano, perché nessuno al Castello aveva mai osato stringere patti con chi aveva una consistenza eterea ed evanescente. Nessuno a parte Sirius Black, ancora una volta. «In cambio si è solo fatto promettere che saremmo andati alla sua festa di Complemorte.»

«Ma io non voglio andarci.» borbottò James con aria stizzita, mentre Peter annuiva per dargli manforte. «Ne abbiamo già parlato tempo fa, ricordi? Quei fantasmi sono strani, macabri e trasmettono un'angoscia assurda.»

«E poi sono morti.» sottolineò ancora Peter, come se i suoi amici avessero dimenticato il punto saliente della questione.

«Non fate i capricci, una promessa è una promessa. Non possiamo tirarci indietro proprio ora.»

«Non ho intenzione di assecondarti e rispettare gli accordi che stringi con la gente quando sei ubriaco.»

«Come se l'avessi fatto nel mio interesse, ma per favore.»

James e Sirius avevano giusto appena sfoderato i loro bronci offesi da tanto-so-di-avere-ragione-io e il giovane Minus stava davvero sudando freddo nel tentativo di scervellarsi per risolvere l'imminente, ridicola discussione che sarebbe potuta scoppiare, quando per l'appunto ci pensò il nostro amato Nick-Quasi-Senza-Testa a far cessare il tutto. Grazie alle sue spiccati doti recitative, naturalmente.

«Via, evacuare, forza! Prodi cavalieri e compagni Grifondoro, ritirata!»

L'urlo sconclusionato del fantasma che aveva appena attraversato la parete della Torre non era chiaramente una cosa preparata a tavolino, ma fu comunque capace di creare un certo effetto scenico e di sovrastare la musica martellante che riecheggiava tra le pareti. Oliver Wilson riuscì addirittura ad abbassare appena il volume, giusto per sentire meglio i deliri dell'anima in pena - letteralmente parlando - che sembrava in quell'istante davvero sconvolta.

«Cosa state aspettando? Tutti al riparo, arriva!» ululò ancora, volteggiando vicino al candelabro e allegando al tutto una pregevole espressione angosciata.

Gli studenti avevano iniziato a lanciargli delle occhiate perplesse - tutti tranne Sirius Black, che veniva bellamente ignorato mentre batteva le mani e si accasciava sul tappeto in preda alle risate - e lo stesso James, avvicinatosi a Nick per capire cosa diamine avesse quella sera, pareva in quel momento particolarmente turbato.

Fu Mary MacDonald, in piedi su un tavolino e ancora intenta a ballare, a dare voce una volta per tutte al dubbio amletico che attanagliava il cento per cento dei nostri amati - nonché poco sagaci - Grifondoro.

«Ma chi, sir Nicholas? Chi arriva?»

Colpito dalla gentilezza di quella domanda, il fantasma gonfiò ancora di più il petto e chiuse le palpebre, nascondendo così i suoi occhi trasparenti che trasudavano una certa pena. Poi, sospirando sonoramente e con tutto il suo fare teatrale, li aprì di scatto e si portò le mani ai capelli evanescenti.

«Lo giuro su ciò che ho di più prezioso al mondo, vale a dire il centimetro e mezzo di pelle che tiene ancora la mia testa attaccata al collo.» cominciò con aria solenne, portandosi una mano al petto. «La McGranitt è uscita poco fa dal suo ufficio. Sta arrivando qui.»

Panico.

Tutti gli studenti presero a urlare, correre da una parte all'altra della Sala Comune, sbattersi addosso, invocare il nome di Merlino invano e persino piangere dalla disperazione, mentre il putiferio di prima veniva sostituito da una confusione tutta nuova e, se possibile, persino peggiore della precedente. C'era qualcuno che gridava di mantenere la calma, qualcun altro che faceva Evanescere quanti più bicchieri e bottiglie possibili, Caroline Steeval che sembrava essere riuscita a rianimare alcuni studenti del quinto anno collassati sui divanetti, mentre il fratello Will rispediva svariati marmocchi in lacrime - «Si può sapere chi vi ha invitato?» - dritti nei loro dormitori.

Lily era riuscita fortunatamente a mantenersi vicina a Remus, ma nemmeno quello bastava come consolazione: adesso  che sentivano entrambi gravare sul loro petto il peso delle spille da Prefetto e da Caposcuola, dannati sensi di colpa.

«Porta tutti in dormitorio, fatti aiutare dagli altri Prefetti. Più gente riusciamo a rispedire in camera, meglio è.» ordinò la rossa con aria pragmatica, stupendo addirittura se stessa per quella padronanza di sé che sapeva sfoderare in una situazione così drammatica come quella che stava vivendo.

Perché sì, quello era per davvero un incubo: festino chiaramente non autorizzato, musica martellante a notte fonda, innocenti primini già indirizzati sulla via della perdizione e, come se non bastasse, minorenni ubriachi e febbricitanti.

«E tu cosa fai ancora qui? Vai di sopra!» provò a convincerla il giovane Lupin, cominciando ad allontanarsi e raccattando nel mentre due ragazze del terzo anno intente a cercare la bacchetta smarrita da una di loro.

«Devo restare.» sospirò Lily con rassegnazione, cercando anche lei di riordinare la Sala Comune alla bell'e meglio. «Dovrei essere la responsabile qui, ricordi?»

Merlino, quella era sul serio la sua fine e non le restava che abdicare per sempre, ne era certa. Caposcuola lei, ma per favore! Sapeva che sarebbe giunta presto la sfuriata della professoressa e sapeva anche che di lì a poco si sarebbe ritrovata al cospetto del Preside, intenta ad accampare qualche ridicola spiegazione. Da lì non si scappava, quello era il suo destino. Perlomeno, come magra consolazione avrebbe potuto chiedere a Silente dove reperire quella polvere di artigli di drago che, evidentemente, lui stesso doveva aver usato per sballarsi quando aveva affidato a lei e a Potter il ruolo di Capiscuola Grifondoro.

«Lo ricordo eccome, Lily.» asserì Remus, rivolgendole un sorriso sornione prima di immischiarsi tra la folla. «Ma ricordo anche che non sei la sola responsabile, qui.»

***

«Prongs, non osare muoverti da lì.»

Sirius si era definitivamente alzato dal tappeto e adesso sembrava del tutto intenzionato a scagliare degli Evanesco in ogni angolo della stanza, teoricamente per aiutare gli altri Grifondoro a camuffare la festa in corso, praticamente lanciando incantesimi alla cieca e facendo sparire divani, poltrone e, ad un certo punto persino la maglietta di Caroline Steeval.

«Ma che stai dicendo? Ovvio che mi muovo, non posso lasciarvi fare tutto da soli.» replicò James, facendo ricomparire tutti gli oggetti fatti Evanescere dal suo amico e lanciandogli un'occhiata eloquente, giusto per fargli comprendere la portata dei disastri che combinava.

«Intendo, quando la McGranitt arriverà, non muoverti da qui.» specificò Sirius, bloccandolo e posando entrambe le mani sulle spalle del ragazzo di fronte a lui. «Sei un Caposcuola, Prongs. Quindi, in nome di Godric, resta qui a prenderti le tue responsabilità.»

La Sala Comune si era praticamente svuotata e adesso solo i più grandi erano rimasti a dare ancora alla stanza un aspetto decente, ma gli occhi del giovane Black non avevano esitato a posarsi esattamente su una figura poco distante da loro che, per l'appunto, stava scendendo le scale del dormitorio femminile dopo avervi trascinato dentro Alice Prewett.

«Oh.» mormorò James, comprendendo all'istante che la parola "responsabilità" pronunciata da Sirius non si riferiva a nessunissima McGranitt quanto, piuttosto, al concludere nel modo giusto quella giornata trascorsa con Evans.

«Oh.» ripeté ironicamente Sirius, prendendolo in giro. «Fai la cosa giusta, per una buona volta.»

E quale dannato migliore amico sarebbe mai stato capace di mettere in scena un ipotetico arrivo della McGranitt, senza che lei effettivamente stesse arrivando, interrompendo una festa proprio sul più bello e mettendo in fuga tutti gli studenti, soltanto per consentirgli di passare del tempo da solo con Lily Evans?

«Sì.» riuscì appena a pronunciare James, il cervello che lavorava freneticamente dentro di lui, ancora piuttosto perplesso da tutta quella situazione assurda.

«E ricorda di comprare un bel regalo a Nick.» urlò un'ultima volta il giovane Black, rivolgendogli un sorriso furbo e trascinando poi Peter e Remus verso le scale del dormitorio maschile.

Mary MacDonald salutò un'ultima volta il suo ragazzo con un bacio appassionato - neanche stessero andando in guerra, maledizione - e poi entrambi sparirono, diretti verso le rispettive stanze. Meraviglioso, adesso erano davvero completamente soli.

Lily era in piedi accanto al buco del ritratto mentre James era esattamente al centro della Sala Comune, di fronte al camino, con gli occhi categoricamente fissi su di lei e le rotelle del suo cervello che quasi facevano rumore, tanto rapidamente sembravano muoversi per cercare qualcosa di sensato da dire. Poi lei sorrise scuotendo piano la testa e James seppe con certezza che, da quel momento, le parole sarebbero scivolate via dalle sue labbra davvero in automatico.

«Non pensavo che essere Caposcuola significasse salvare il culo a tutti i propri compagni.» rifletté a mezza voce, sedendosi sul tavolino davanti al fuoco.

«Purtroppo significa principalmente questo.» convenne lei con un sospiro, avvicinandosi a James e lasciandosi cadere sul divano di fronte a lui. «Ci sono anche dei lati positivi, comunque.»

«Del tipo? Ora come ora non mi viene in mente niente.»

«Abbiamo la precedenza sui Prefetti quando il bagno è occupato.» replicò Lily con un sorriso divertito.

«Direi che è un'ottima consolazione.» commentò lui con una risata, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e fissandola dritta negli occhi.

Un battito, un respiro. Un battito, un respiro. Quando la guardava, gli sembrava di prendere coscienza del fatto che il suo stesso corpo paresse rispondere automaticamente alla sua presenza, in un modo tanto involontario quanto destabilizzante al tempo stesso.

«E adesso cosa ci inventiamo?» domandò Lily, lanciando un'occhiata al buco del ritratto come se temesse che potesse spalancarsi all'improvviso e portandosi le ginocchia al petto.

«Abbiamo ripulito praticamente tutto, non ci sono particolari prove a conferma di un ipotetico festino.» disse saggiamente James, guardandosi intorno e riflettendo sul fatto che la Sala Comune sembrasse per davvero essere tornata in condizioni normali. «Diremo che eravamo svegli io e te a giocare a Spara Schiocco.»

Lily gli lanciò uno sguardo decisamente eloquente, scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo.

«E tu dovresti davvero essere quello bravo con le scuse? Andiamo Potter, questa è talmente poco credibile che persino Rüf si insospettirebbe.»

«Cosa proponi allora, Evans?»

«Dire la verità. Perlomeno apprezzerà il nostro essere sinceri.»

James la guardò in silenzio per qualche secondo, la fronte aggrottata e l'aria più confusa del mondo, per poi riscuotersi in un frangente e scoppiare a ridere.

«Questa è da scartare a priori, di sicuro non diremo alla McGranitt che stavamo distruggendo mezza Sala Comune.»

«Non cambierà nulla comunque, ci toglierà lo stesso la spilla da Caposcuola senza pensarci due volte.» osservò Lily, mordicchiandosi il pollice con aria assorta.

«Ma io non voglio essere spodestato.» sillabò lui, passandosi una mano tra i capelli e lanciando un'occhiata malinconica alla spilla ancora appuntata sul suo petto. «Voglio dire, questa posizione da privilegiato cominciava a piacermi.»

«Non pensiamoci ora, va bene? Quando arriverà, improvviseremo.» stabilì Lily con estrema convinzione, sospirando e guardando ancora una volta il buco del ritratto perfettamente chiuso. «Domani falla pagare a chi può aver fatto una simile soffiata, per favore.»

James rise e continuò a guardarla, percependo ancora una volta quella specie di implosione montargli nel petto e facendo il possibile pur di ignorarla.

«Sarà fatto, Evans. Anche se devo ancora abituarmi a questa tua versione vendicativa completamente nuova.»

Lily lo fissò in silenzio per qualche secondo, ma nell'esatto istante in cui percepì delle precise parole premerle sulle labbra per uscire fuori, si sentì costretta a distogliere lo sguardo e a puntarlo su un punto casuale del tappeto.

«Quella che deve abituarsi a una versione del tutto nuova sono io, in verità.»

James si accorse quasi in automatico che qualcosa era cambiato nell'atteggiamento di Lily, forse il classico impercettibile rabbuiarsi di chi sa di essere nel torto, dunque fu quasi involontario per lui sporgersi in avanti e cercare il suo sguardo.

«Che intendi dire?» si sentì domandare, ancora una volta in un sussurro.

La ragazza sospirò sonoramente e si decise a posare gli occhi su di lui, mordendosi il labbro e pensando che, forse, il fatto di essere rimasti momentaneamente da soli non poteva che esserle d'aiuto. A breve sarebbe arrivata la McGranitt e avrebbe certamente portato con sé una ramanzina con i fiocchi - insieme alla disfatta definitiva di quella parvenza di dignità che ancora conservava intatta - pertanto la attraversò il pensiero che dare voce a quelle convinzioni che aveva maturato nell'ultima settimana fosse la scelta indubbiamente migliore da fare.

Era Lily Evans, per Godric, e se pensava una cosa l'avrebbe espressa ad alta voce senza nessunissima remora.

«È già domenica.» mormorò infatti, guardandolo dritto negli occhi e sentendo il rumore del suo cuore riecheggiarle nelle orecchie. «Il tempo della nostra sfida è ufficialmente scaduto.»

James sospirò di sollievo e si rilassò visibilmente, concedendosi addirittura un sorriso divertito.

«E io che pensavo volessi dirmi chissà cosa.» disse, cercando di trasmettere quella leggerezza che aveva nel tono di voce anche alla ragazza seduta davanti a lui. Ma non trovò altro che un muro apparentemente invalicabile, fatto di un paio di occhi verdi incredibilmente colpevoli e un'espressione maledettamente tesa. «Un attimo, c'è davvero qualcosa che vuoi dirmi.»

«Sì.» convenne lei, cercando di ignorare il fatto che James sembrasse saper intercettare davvero con una spaventosa precisione ogni suo tentennamento. «Ho ancora la mia ultima carta da giocare, no? Un'ultima possibilità per darti prova che esiste davvero qualcosa di te che proprio non sopporto.»

Lily si era calmata visibilmente a mano a mano che con le sue parole riempiva quel silenzio che si era creato intorno a loro, perché sapeva per certo che quella era precisamente la cosa giusta da fare e da lì non sarebbe mai tornata indietro. Merlino, non è che dovesse fare poi chissà cosa, ma diciamo che ammettere davanti a Potter di aver sempre sbagliato a giudicarlo era una delle fatiche più difficili a cui fosse mai stata sottoposta nella sua vita.

«Questo sì che mi interessa.» commentò sarcasticamente James, appoggiandosi di nuovo con i gomiti sulle gambe, senza però perdere il contatto visivo con lei. «Ingannare l'attesa che precede la nostra probabile dipartita con qualche insulto ai danni del sottoscritto è senza dubbio divertente.»

La ragazza alzò gli occhi al cielo sentendo la sua risata e gli diede un lieve pugno sulla spalla, sospirando sommessamente e percependo l'agitazione montarle nel petto.

«Prometti che non interromperai il mio discorso finché non avrò finito.»

«Un discorso? Addirittura?»

L'occhiataccia di Lily fu così esemplare che persino James si sentì in dovere di alzare le braccia in segno di resa.

«Potter...»

«Va bene, stavo scherzando, sto zitto. Da ora. Vai.»

Maledizione, ma come poteva piacerle un idiota colossale del genere?

Quel pensiero folgorò la sua mente con una rapidità e una violenza disarmanti, tanto che Lily sentì una dose davvero eccessiva di sangue fluirle verso le guance e ringraziò di cuore la penombra della Sala Comune, che almeno permetteva di camuffare in parte quella sua reazione così scioccamente frivola. Piacerle James Potter, ma per favore: quanto doveva essere sciocca e masochista per credere una cosa del genere?

«Una settimana fa avevo per davvero la presunzione di sapere tutto di te, Potter. Insomma, sai anche tu il detto "conosci il tuo nemico", no? Ecco, io credevo che questo valesse in primis con te, che sei sempre stato il mio nemico per eccellenza.» cominciò, cercando di mantenersi lucida e calma perlomeno nell'affrontare una conversazione simile. «Ad oggi, posso dire con certezza di non essermi mai sbagliata tanto.»

Fuori dalle finestre il vento notturno ululava con ferocia, ma il calore che li circondava - se fosse emanato dal camino o direttamente dai loro corpi, ancora oggi non si sa - annullava qualunque minima parvenza di freddo autunnale. C'erano loro, due puntini che si scrutavano senza paura, senza staccare gli occhi di uno da quelli dell'altra, e questo bastava.

«Pensi davvero di non conoscermi, Evans?»

«Non solo lo penso, ne sono pienamente convinta.»

Ed era vero, non ne era mai stata più sicura di quella notte. A distanza di una settimana, qualunque cosa nel loro rapporto era precipitata e mutata alla velocità della luce. Ogni volta che aveva provato a rimproverare qualcosa a Potter, lui aveva smentito cautamente tutte le sue insinuazioni e le aveva definitivamente aperto gli occhi, facendole realizzare quanto quei difetti di cui lo aveva sempre tacciato - le cose che teoricamente più avrebbe dovuto odiare di lui, per l'appunto - non avessero fatto altro che mettere in luce i suoi lati più belli e più buoni.

E si sentiva male, si sentiva maledettamente male per averlo giudicato in quel modo così affrettato per tutti quegli anni, partendo sempre con il piede di guerra e senza dargli la minima possibilità di mostrarsi per la persona che era davvero. Ma adesso, guardandolo senza paura dritto negli occhi e scontrandosi con la sua espressione concentrata e così intenta a sondare i suoi stessi pensieri, comprese che mai come in quel momento si sarebbe mostrata sincera al suo cospetto.

«Continua.» la esortò James con dolcezza, senza staccare gli occhi dai suoi. «Ho già infranto la promessa interrompendoti una volta.»

Lily non se lo fece ripetere due volte e non esitò a ricominciare a parlare, sebbene lo sguardo del ragazzo di fronte a lei la stesse facendo sentire terribilmente fragile, in una maniera quasi spaventosa. Stava scoprendo il fianco davanti a lui, ma ne era consapevole e sapeva che, arrivata a quel punto, non sarebbe potuta tornare indietro neanche volendo.

«Lo sai, sette anni di tormenti, continui assilli e scherzi più o meno seri non si dimenticano tanto facilmente. Potrei anche ricordare tutte le volte che mi sono chiusa nella mia stanza a piangere per colpa tua, ma non credo sia saggio farlo adesso.»

Raccontava come un fiume in piena impossibile da arginare ma, sebbene le sue parole sembrassero così fredde e taglienti, il suo tono continuava a essere basso e profondamente dolce. James avrebbe voluto aprire la bocca e interromperla, urlare quel "mi dispiace" che forse, un po' per arroganza e un po' per il suo essere infantile, in passato non era mai riuscito a dire ad alta voce. Ma rimase comunque in silenzio, perché aveva promesso.

«Quando mi hai proposto questa sfida, ero davvero convinta di avere la vittoria in pugno. Quale miglior modo per trionfare su James Potter, avendo sotto il naso le risposte perfette che tu stesso cercavi, le prove concrete del mio odio smisurato per te? Bene, oggi lo so con certezza: nessuna di esse era concreta e tutte, nessuna esclusa, si sono sgretolate irreparabilmente sotto il mio sguardo.»

James aveva ascoltato in silenzio fino a quell'istante, rapito dalle sue parole e dalla convinzione che riusciva a trasmettere semplicemente parlando, ma c'era comunque qualcosa nel modo forsennato in cui Lily gesticolava e nell'agitazione che trasudava dai suoi occhi che lo convinse a inserirsi nel discorso.

«Forse non avrei mai dovuto proporti questo stupido gioco.»

Stupida lo era stata per davvero, quella sfida, a maggior ragione se aveva contribuito a ridurre Lily in quello stato: sembrava internamente distrutta da una guerra che aveva luogo solo e solamente nel suo corpo e James, di quel suo stato d'animo, non poteva fare a meno di sentirsi maledettamente colpevole.

«Ma certo che avresti dovuto.» ribatté lei, cambiando posizione e arrivando a pochi centimetri dal suo volto. Lo guardava dritto negli occhi, ogni precedente traccia di tentennamento sparita. «Davvero non lo capisci?»

«Capire cosa?» quasi urlò James e il cuore che rimbombava nel petto era per davvero il suo, così martellante un po' per l'assurdità di quella situazione e un po' per il fatto di averla così vicina.

«Che oggi, dopo un'intera settimana in cui mi hai fatto totalmente ricredere sulla tua persona, avrei potuto e voluto baciarti mille volte.»

Era forse la frase più imbarazzante e meno studiata che avesse mai pronunciato in tutta la sua vita, ma proprio per questo era probabilmente la più sincera. E non importava se le sue guance si erano adesso tinte di un rosso acceso, se le mani le tremavano insistentemente e se il suo sussurro si era abbassato ancora in maniera sostanziale: lei continuava a sostenere il suo sguardo con fierezza, i volti a poca distanza l'uno dall'altro e la mente completamente annebbiata, spoglia.

James aveva gli occhi sgranati al di là delle lenti dei suoi occhiali e stampata sul volto un'espressione sinceramente e profondamente stralunata, perché Evans non poteva aver detto sul serio quella frase, o la sua stabilità mentale avrebbe potuto certamente risentirne.

«Evans, ma cosa...»

«È solo grazie a questo, grazie a questa sfida, se sono arrivata a una conclusione. Ho sbagliato i miei calcoli, sono stata cieca e ho avuto troppi pregiudizi per quasi sette anni, così la secchiata di acqua gelida è arrivata tutta in una sola settimana. Ed è una tortura doverlo ammettere, ma devo farlo e, soprattutto, devo farlo davanti a te.» Fece una piccola pausa, in cui ne approfittò per deglutire e incanalare nei polmoni tutta quell'aria che sembrava mancarle. Poi, aiutata anche dal silenzio concentrato di James, riprese più convinta di prima. «Sei una bella persona, Potter. Dietro quella facciata che ho sempre considerato arrogante, insolente e presuntuosa, si nasconde in verità una persona sinceramente bella.»

Il ragazzo si concesse quello che poteva sembrare un minuscolo sorriso, ma nemmeno lui era così certo di come il suo corpo stesse rispondendo alle parole di Evans. Non aveva più controllo su niente: sulle sue emozioni, sul battito furioso del suo cuore, su quell'agitazione che, ormai, aveva cominciato a provare ogni volta che si trovava al suo cospetto.

Seguiva quasi a fatica le sue parole e di questo si sarebbe volentieri dato dell'idiota, ma riusciva comunque a registrarle tutte ed era certo che, sebbene per la prima volta nella sua vita si fosse trovato a corto di frasi, avrebbe sognato ininterrottamente il discorso di Lily per quell'intera notte.

«Sono stati sufficienti sette giorni, Potter, per far sì che tutto quello che non ho mai visto in sette anni mi si rivelasse tutto all'improvviso.»

Ora per davvero erano talmente vicini da sfiorarsi e questo pensiero folgorò le menti di entrambi nello stesso frangente. Uno troppo impegnato a trattenere il respiro e l'altra a farsi coraggio, comunque, non sembrarono dare troppo peso a quel dettaglio. 
Tutto intorno a loro sembrava essersi dissolto ancora una volta: a stento ricordavano di essere in Sala Comune e il pensiero di un'ipotetica sfuriata della loro Capocasa era lontano e irraggiungibile. Non importava niente, non importava più nient'altro.

«Per questo ti dico che la settima e ultima cosa che odio di te, James Potter, è il fatto che non ti odio per niente. E nemmeno impegnandomi, nemmeno volendolo per davvero con tutta me stessa, riuscirei a trovare qualcosa che possa dimostrare il contrario.»

Nessuno fu mai in grado di chiarire che cosa accadde in quei secondi successivi e, paradossalmente, neanche James e Lily in futuro sarebbero stati in grado di dare una spiegazione coerente a quell'inaspettato e rapido capovolgimento della situazione.

Quel che è certo, tuttavia, è che non appena lei finì di pronunciare la sua ultima parola, si ritrovò con le labbra premute su quelle di James mentre il nodo che aveva in gola si districava alla velocità della luce. Era strano saggiare quella morbidezza, conoscere finalmente quel sapore che per tutto quel tempo era rimasto qualcosa di sconosciuto e irraggiungibile, ma era tutto un insieme di sensazioni che si confondeva e si aggrovigliava nel petto di entrambi e che, come era logico, sembrava cancellare qualunque parvenza di lucidità.

Non era solo poterle mordere le labbra, assaggiarla ed esaudire quel sogno che lo aveva accompagnato per tutto quel tempo. Era ben altro. Era aggrapparsi con tutte le sue forze a ciò che di più concreto aveva intorno, per la sola necessità di restare con i piedi per terra e realizzare che stava succedendo davvero e che, quella volta, non si sarebbe svegliato tra le sue coperte con un macigno al posto del petto e una terribile sensazione di vuoto al pensiero che si fosse trattato solo di una visione onirica.

Adesso le mani che si intrecciavano con urgenza dietro il suo collo erano quelle di Lily Evans, le ciglia brune che sentiva solleticargli le guance erano sempre le sue e il profumo che sembrava avvolgerlo e ipnotizzarlo era ancora il suo. Quel profumo, che cosa assurda: gli pareva di aver scoperto un luogo del tutto nuovo, ma al tempo stesso di esserci già stato centinaia di volte. Un po' come se fosse tornato a casa.

Era tutto quello baciare Lily Evans: sentire che ogni cosa si susseguiva con una naturalezza disarmante, come se il suo corpo fosse stato creato per rispondere al suo tocco e non era niente che si potesse insegnare o imparare in nessunissima scuola. 
Sette anni, sette giorni, non faceva più differenza ormai: il tempo forse non era sempre stato dalla loro parte, certo, ma c'era comunque quella consapevolezza che, qualunque cosa fosse successa in seguito, ciascuno dei due avrebbe portato i segni dell'altro sulla propria pelle. E andava bene così.

***

«E così sono questi i Caposcuola che ci meritiamo.»

Era mattino presto, il classico preludio di giornata che segue una festa devastante e in cui tutti, nessuno escluso, sembrano essere appena usciti sani e salvi da un'incredibile apocalisse. La Sala Comune era ancora solo parzialmente illuminata dalle fioche luci delle torce, mentre il Sole sarebbe sorto di lì a poco al di là delle alte finestre appannate dal freddo autunnale.

«Padfoot, ti avevo detto di non scendere.»

Neanche a dirlo, la McGranitt non era assolutamente arrivata e quelle di sir Nicholas si erano rivelate davvero delle doti recitative non indifferenti, che sicuramente i Malandrini non avrebbero esitato a sfruttare anche in futuro. Nessuno studente, comunque, era sceso nuovamente in Sala Comune a causa della troppa paura di consegnarsi praticamente di spontanea volontà al nemico, dunque quella festa si era davvero conclusa nella maniera più frettolosa e satura di panico possibile.

«Ascolta Moony, risparmia i tuoi rimproveri. Lo so che eri proprio tu il più curioso di tutti.»

Ma i due impeccabili Capiscuola Grifondoro non avevano assolutamente pensato di tornare nelle proprie stanze ed erano invece rimasti tutta la notte lì, seduti sul divano di fronte al camino, senza sentire il bisogno di altro che non fosse parlare sottovoce e scambiarsi qualche bacio, ormai senza alcuna forma di imbarazzo ma con la semplice urgenza di assaporare quel gusto di cui sembravano non riuscire ad avere mai abbastanza.

«Sono buffi.»

Forse lo erano davvero, seduti in quel modo. James aveva un braccio intorno alle spalle di Lily e la testa di lei era appoggiata nell'incavo del suo collo, in una posizione certamente scomoda che, una volta svegli, li avrebbe forse lasciati con qualche muscolo intorpidito. Ogni minimo dolore era ancora sopportabile, comunque: avrebbe fatto certamente più male se non ci fosse stato.

«La prossima volta gradirei che la mia migliore amica mi avvisasse quando decide di passare la notte fuori.»

Se i due avessero per caso aperto gli occhi, si sarebbero trovati di fronte uno spettacolo non indifferente: una schiera di cinque persone in piedi davanti a loro, intenti a scrutarli e a scandagliare con un'inquietante precisione il modo in cui dormivano.

«Non ti saresti comunque ricordata niente, tesoro. Eri completamente andata.»

«Guarda che ero lucidissima, Frank.»

James mosse piano la testa e tutti trattennero il respiro, aspettandosi forse che si svegliasse e li cogliesse tutti sulla scena del delitto. Ma lui si voltò soltanto alla sua destra, affondando ancora di più nella chioma incandescente di Lily, senza però spostarsi in maniera sostanziale dalla sua precedente posizione.

«Smettiamola di fissarli, mi sento in imbarazzo.»

«Sono loro che devono sentirsi in imbarazzo, Remus. Se domani Lily non mi racconta niente...»

«Cosa ti deve raccontare, Ali? Si sono baciati, questo è quanto.»

«Non minimizzare in questo modo, ci sono in mezzo un sacco di dettagli che esigo sapere con precisione.»

Remus fece un passo verso il buco del ritratto, sperando invano che una forza sconosciuta potesse attirare anche tutti gli altri nella sua stessa direzione. Solo Peter si degnò di lanciargli un'occhiata perplessa, salvo poi tornare a guardare James con l'attenzione e la meticolosità che si riserva a una Mandragola da accudire.

«Quando si sveglieranno e vi troveranno tutti a fissarli, io me ne starò lì a guardarvi mentre verrete bombardati di Schiantesimi.» osservò saggiamente il giovane Lupin, tenendosi a debita distanza e incrociando le braccia al petto.

Nessuno rispose al suo commento, ma qualcosa nell'espressione di Sirius mutò. Si fece più attento nell'osservare il volto rilassato e sereno di colui che era praticamente suo fratello, perché era vero che aveva dormito insieme a lui un sacco di volte, ma mai come quel mattino lo aveva visto così disteso e in pace con il mondo.

Si sentì tranquillo anche lui per la prima volta dopo quelli che erano parsi mesi interi, tanto che si lasciò scappare un impercettibile sorriso sollevato e divertito al tempo stesso. Lui aveva assistito praticamente a ogni fase dell'ossessione di James, provandole tutte per distoglierlo da quella rossa che lo tormentava giorno e notte - a volte diceva persino il suo nome nel sonno, patetico - e prendendolo in giro ogni volta che ne aveva la possibilità, con il solo obiettivo di farlo reagire.

Ma inconsciamente lo sapeva anche lui, che non c'era assolutamente nessuna cura per quella malattia che tormentava il suo Prongs. Lei, in fondo, era entrambe le cose: veleno e antidoto, rimedio e patologia. E Sirius lo sapeva bene, che adesso che Evans aveva aperto un minuscolo spiraglio per lasciar entrare James nella sua vita, anche quest'ultimo sarebbe diventato lo stesso per lei senza troppa difficoltà.

Poco importava, comunque: se era davvero quello l'effetto che Lily Evans faceva al suo migliore amico, l'avrebbe sul serio accolta in famiglia a braccia aperte.

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Nox

 

   
 
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