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Autore: DGrey    17/06/2020    0 recensioni
Era sempre una pessima giornata il 13 Aprile.
La giornata più brutta per Luna Lovegood.
Il giorno in cui tutto le crollò addosso e la sua via cambiò per sempre...
«Mamma, Chi è Ben?»
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Luna Lovegood, Neville Paciock, Nuovo personaggio, Ron Weasley | Coppie: Luna/Neville, Luna/Rolf
Note: Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Scusate il ritardo stratosferico nella consegna dell'ultimo capitolo. Ci sono stati alcuni impegni ed eventi che mi hanno portato lontano dalla scrittura in generale e da Harry Potter in particolare.

Nel caso qualcuno se lo stia chiedendo, si, tra questi eventi ci sono Anche le parole non molto felici della Rowling sulle persone transessuali. Si parla di un argomento a cui tengo molto, cosa che mi ha portato ad allontanarmi per un po' dal pensiero di quella donna e da tutte le cose a lei legate.

Non intendo allontanarmi per sempre dalla saga, anche perché parliamo pur sempre della mia adolescenza, però ho bisogno di un po' di tempo in più per separare l'artista dall'opera. Intanto finisco di postare questa storia, perché mi sembra giusto finire quello che ho iniziato (La storia era già finita, dovevo solo pubblicarla), poi vediamo come vanno le cose.

Grazie in anticipo per la vostra attenzione.

 

 

 

 

«Chiedermi scusa? E per cosa?» Luna rimase incerta alle parole improvvise di Ron.

«Per l’ultima volta che sei venuta, sai.» rispose lui «Non avevamo capito… che Dawn avesse quella capacità, quindi…»

Lo sguardo della donna si rabbuiò.

«Capisco. Non è colpa vostra.»

Luna aveva passato anni a cercare di non pensarci, ad andare avanti. Era diventata magizoologa, aveva sposato un uomo che amava e che la amava e aveva avuto con lui due splendidi bambini. Eppure, il passato ancora la inseguiva. Non riusciva a lasciarselo alle spalle, come molto più facilmente faceva quando era giovane. Forse era la vecchiaia, forse le foto di Ben, forse l’imprevedibilità degli eventi.

«Senti…» Sembrava che Ron stesse facendo fatica a dire quello che pensava realmente. «C’è il direttore della casa-famiglia… dove abbiamo trovato Dawn… lui… è anche uno psico…psicoterapeuta. Credo si dica così, si.»

«Cosa fa precisamente uno psico… coso…»

«Non l’ho capito bene neanche io, in realtà. So che riguarda… il cervello, o una cosa del genere. Però so che se gli parli… ti può dare una mano…  a superare… sai…»

Luna lo guardò in modo severo. Voleva aiutarla? O cosa?

«Insomma dovrei raccontare i fatti miei a uno sconosciuto?»

«Si. Cioè no. Cioè… a quanto ho capito alcuni babbani studiano per aiutare le persone a superare i traumi… almeno credo… a dir la verità non so nemmeno io Cosa studino, però per molte persone funziona. Il dottor Saunders poi ha vissuto tra i babbani molto a lungo, però conosce anche la magia, quindi…»

«Ci devo pensare…»

«Quello che volevo dirti è… che se hai bisogno di aiuto…»

«Ho capito… grazie.»

«Se posso esserti utile in qualche modo, io…»

«Ti voleva molto bene, sai?»

«Si, lo so.»

«Non ho parlato molto di lui… ai ragazzi… e a Rolf.»

«Forse dovresti. Intendo dire, penso che ti aiuterebbe parlarne di più. Non fa bene tenersi dentro una roba del genere.»

«Si. Forse sì»

«E penso che a loro faccia piacere conoscere una persona che per te è così importa...»

«Grazie Ron.»

«Per cosa?»

«Tutto.»

 

«E quello cos’è?»

A sorpresa, quando tornò a casa, Rolf vide Luna nel soggiorno, con la bacchetta in mano, a trafficare con quella che sembrava una bacinella di metallo.

«Un pensatoio. Non vedi?» Rispose Luna con nonchalance.

«E… quanto ci è costato?»

Luna lo guardò, insicura di cosa rispondere.

«Io… Ho pensato che… Ben debba essere ricordato… in qualche modo…»

Lui, a sentire queste parole, cambiò atteggiamento, sorridendo.

«Hai già messo qualcosa?»

«Solo un ricordo… a dir la verità. Poi ne metterò anche altri. Stavo pensando di dirlo anche a Neville, Papà, Augusta, Ron… magari possono contribuire.»

«Va bene. Allora ti lascio…»

«Ti va di vedere?»

A quella domanda, l’uomo fissò la moglie con stupore.

«Io… Posso?»

«Si.»

Luna sembrava convinta. Rolf si avvicinò incerto al pensatoio…

 

In una sera come le altre, Ben era sdraiato su un lettino del San Mungo. Ormai non riusciva più a tenersi in piedi. Da giorni, i genitori erano accanto a lui. In quel momento, Luna stava leggendo un libro a voce alta.

Ron entrò nella stanza, trafelato. Sorrise a trentadue denti.

«E’ in salute… tre chili e cento…»

«Sono contento per voi, Ron!» rispose Neville, sorridendo a sua volta.

Fu un momento felice per tutti loro. Ben cominciò ad agitarsi nel letto.

«Possiamo andare a vederla? Mamma? Papà? Possiamo?»

Neville guardò Luna, non sapendo come avrebbe reagito a quella richiesta. Dopo qualche secondo di incertezza, la vide sorridere.

«Va bene, andiamo.»

Nessuno di loro credette di avere mai visto Ben più felice di così.

Della nebbia ricoprì la scena. Forse il ricordo era sfumato. Rolf rimase concentrato, aspettando che si diradasse…

La maggior parte dei maghi non aveva idea del perché il direttore del San Mungo, giusto l’anno prima, avesse sentito il bisogno di inaugurare un reparto di ostetricia, maternità e cura neonatale al piano sotterraneo, e ancora non erano molte le streghe che usufruivano di tale servizio, preferendolo al parto casalingo. Nonostante questo, nel corridoio vi era comunque un via vai di persone abbastanza consistente.

In braccio alla madre, Ben guardava attraverso il vetro con lo stupore tipico di un bambino. Tra i neonati dietro di esso, aveva immediatamente riconosciuto la figlia di Ron, una bimba che si era dimostrata subito molto attiva, con un ciuffo di capelli rossi sulla testa.

«Come si chiama?» Chiese il bambino, girandosi verso lo zio.

«L’abbiamo chiamata Rose.» Spiegò lui, con un certo orgoglio.

«E’ proprio un bel nome, zio.»

«Modestamente, l’ho scelto io.»

Ben iniziò a strofinarsi gli occhi. Sembrava assonnato. Aveva senso, la giornata per lui era stata particolarmente faticosa e ormai era passata la mezzanotte.

«Zio?»

«Che c’è Piccoletto?»

La domanda fatta da Ben allo zio sfumò dietro un rumore statico, risultando impossibile da comprendere.

«Eh, ma questa cosa la sanno solo in pochi...» Rispose Ron, sforzandosi di sorridere «In compenso, quei pochi dicono sempre sia una gran figata...»

«Forte! Ti ricordi la promessa, vero Zio?»

Ron si fece improvvisamente serio. Probabilmente, aveva capito.

«Ovvio. Per chi mi hai preso?»

«Meno male…»

Il bambino poggiò la testa sulla spalla della madre, chiudendo gli occhi. Nel tentativo di accarezzargli la testa, Ron fece per sbaglio scivolare la sua mano prima sulla guancia e poi sulla spalla.

«Dovresti essere a dormire già da un pezzo. Fai bei sogni, piccoletto.»

«Il Porridge. Voglio mangiare il Porridge...»

Luna lasciò che si addormentasse, accarezzandogli leggermente la schiena. Ron e Neville si guardarono negli occhi, versando una lacrima a vicenda.

Ancora Nebbia. Delle urla. Voci confuse. Un pianto disperato.

«Luna… ti prego.»

Una giovane donna dai capelli biondo sporco piangeva il figlio, ancora tra le braccia della madre. Il compagno era davanti a lei, cercava di convincerla, in qualche modo, ma lei sembrava decisa a volerlo tenere con sé per sempre…

«Luna… lascialo andare…»

La sua voce era dolce, ma non era sufficiente. Luna era sotto shock, quasi inconsapevole di ciò che stesse facendo e sul perché si trovasse in quel posto. Dopotutto, era ora di tornare a casa. Con Neville. Con Ben. A Casa.

Ma non erano a Casa, erano ancora al San Mungo. Diverse persone la circondavano, aspettandosi qualcosa che lei non poteva fare.

Non poteva, semplicemente non poteva…

«Luna…»

Finalmente riuscì a guardare meglio Neville: Anche lui era in lacrime, con la voce spezzata, nonostante ciò, stava cercando di essere forte per entrambi. Le fece un cenno di assenso. Entrambi volsero il loro sguardo sul figlio: Ben, nella morte, sembrava sereno. Forse il suo ultimo sogno era tra i più belli che avesse avuto.

Finalmente, Luna lasciò andare il corpicino, cedendolo con delicatezza a Neville, il quale indugiò qualche secondo, dandogli un ultimo bacio sulla fronte, prima che un infermiere lo portasse via…

 

Rolf alzò finalmente la testa, rendendosi conto di stare piangendo anche lui, sconvolto dall’esperienza appena avuta. Luna, che gli era rimasta accanto, sorrise malinconica.

«Mi rendo conto di avere dei ricordi un po’ distorti dell’accaduto.» Disse lei con amarezza «E’ come se una parte di me non voglia ricordare com’è andata esattamente. Però ricordo che il 13 Aprile, l’una del mattino, credo...»

Rolf rimase a bocca aperta, non avendo la forza di dire altro.

«Io e Neville non abbiamo retto molto senza di lui… neanche un anno dopo ci siamo lasciati. Ce ne siamo andati entrambi da quella casa. Non ce la facevamo a rimanere lì. Siamo stati cattivi l’uno con l’altro. Io pensavo che a lui non importasse, lui pensava che negassi la realtà dei fatti. Il che era vero, in realtà. Non ho mai voluto ammettere la sua morte. Pensavo che prima o poi lo avrei rivisto uscire dalla sua camera correndomi in braccio…»

«Da quel che ho visto…» disse Rolf timidamente «… sembrava un bambino stupendo.»

«Lo era…» Confermò Luna con voce pacifica «Era dolce, intelligente, un po’ capriccioso a dire il vero. Dovevamo controllare quanto mangiava, perché tendeva ad esagerare. Mi ha sempre chiesto un cucciolo, ma tra una cosa e l’altra non ho mai avuto modo di…»

Si interruppe. Il marito prese la parola.

«Non ne parli quasi mai…»

«Vorrei farlo più spesso.»

«Sarò sempre felice di ascoltare.»

 

Al risveglio, i gemelli si stranirono nello scoprire che il giorno del Porridge sembrava essere arrivato in anticipo, ma non si fecero tante domande, in verità.

Come al solito, la loro questione di vitale importanza era un’altra.

«Qual è la parola di oggi, Mamma?» Chiese Lysander affascinato. Luna sorrise a trentadue denti.

«Ben.» Rispose semplicemente.

«Ben?» Ribattè Lorcan «E chi è Ben?»

«Vostro fratello.»

 

«Quindi tu sei Ben?»

«Qui sopra c’è scritto Benjamin.»

«Direi che Ben è molto meglio.»

«Sono d’accordo.»

«Sai che ci siamo chiesti a lungo chi fossi?»

«Sei anche figlio del professor Longbottom.»

«Questo sì che è curioso.»

«Eh, già…»

Luna lasciò che i suoi figli parlassero alla tomba silenziosa come se fosse una vecchia conoscenza, mentre il vento soffiava leggero. Nonostante fosse inverno, la giornata sembrava primaverile, come se anche il tempo sapesse che quella era un’occasione importante.

«Verremo qui qualche volta, vero Mamma?»

«Certo, naturalmente.»

Solo quando sentì le braccia dei figli circondargli il fianco, Luna si rese conto di stare piangendo di nuovo.

Questa volta, si prese il diritto di piangere con serenità.

 

Benjamin Longbottom

Che la tua risata possa illuminare il cielo

   
 
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