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Autore: paige95    19/06/2020    6 recensioni
La guerra in Afghanistan è il filo rosso che lega il destino di due uomini e due famiglie, due mondi distanti che non sanno di essere molto vicini tra loro.
Nell'estate del 2018, in pieno conflitto, il tenente comandante dei Navy SEALs Christian Richardson e l'inviato speciale del Los Angeles Times Samuel Clark verranno chiamati al fronte, lasciandosi alle spalle vissuti, affetti e i vasti territori californiani.
[Questa storia partecipa al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo" indetto da BessieB sul forum di EFP]
Genere: Angst, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Destino'
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Sogni sfumati
 



 
Los Angeles, 25 agosto 2018
 
 
Era il 25 agosto. Quel dannato 25 agosto che aveva un sapore diverso da come Margaret se lo era immaginato. Da brava stupida quale era, i suoi passi l’avevano condotta nell’ultimo luogo che avrebbe dovuto frequentare quella mattina: la Cattedrale di Nostra Signora degli Angeli. Una sensazione soave l’aveva condotta davanti alla scalinata necessaria da percorrere per raggiungere l’ingresso. Le mancava il fiato, nonostante la sua andatura fosse pacata. Le mancava più di tutto la sensazione di essere giunta fin lì per un motivo; si sentiva solo una vagabonda con l’anima in pena. Il pensiero di aprire la porta e trovare lui sotto l’altare le sfiorò la mente. Diamine, era il loro giorno, uno dei pochi che le aveva chiesto di dedicarle; solo uno, due al massimo, non gli aveva chiesto la Luna, lei aveva rinunciato persino alla luna di miele a beneficio della redazione. Di cos’altro avrebbe potuto privarla? Le era rimasto solo un solitario all’anulare che a quell’ora avrebbe dovuto essere accompagnato da un simbolo d’amore e fedeltà, non più soltanto da una promessa.
I sogni di Margaret si infransero al suolo ancora una volta; la certezza che la chiesa fosse vuota davvero la colse in pieno petto, soltanto la solitudine dei suoi passi rimbombava tra le mura di quella costruzione moderna, non c’erano le voci di amici e parenti ad inondarla. Rivolse un saluto automatico al Signore di quella Casa; fin da bambina il segno di croce accompagnava le sue visite in luogo di preghiera; stavolta però non vi era sentimento, non vi era più la fede che l’aveva guidata nel corso della sua giovane età. Era facile accusare il cielo per le scelte degli uomini – Lui non si sarebbe potuto difendere; lei lo stava facendo, perché il suo cuore stava urlando uno strazio che non era in grado di riversare in fiumi di lacrime, dalle ciglia non cadeva nemmeno una goccia di sale.
Non varcò la navata centrale, quel gesto era prerogativa delle spose e lei non la era. Si accomodò su una delle ultime panche in fondo e attese un sollievo che non arrivò; era logico che non arrivasse. Margaret era una donna troppo concreta per credere in una istantanea intercessione divina a suo favore. Non riuscì a pronunciare nemmeno l’incipit di una preghiera. Iniziava a sperare che nessuno l’avesse vista entrare e cedere all’assenza della loro cerimonia mancata.
Le campane colmarono il vuoto e il silenzio dell’anima, le undici in punto risuonarono all’esterno e all’interno della chiesa, investirono l’udito e il cuore della ragazza. I rintocchi portavano con sé un solo e unico nome, un solo evento che Padre Ralph non aveva sostituito con altre celebrazioni per rispetto ai due giovani; il tempo riservato alle loro nozze era rimasto vacante, sospeso, come la loro relazione. Samuel le aveva raccomandato puntualità in quella giornata dedicata a loro, le aveva chiesto espressamente di non farlo aspettare. Lei c’era, ma lui dov’era?
La ragazza teneva lo sguardo rivolto all’inginocchiatoio della panca; aveva percepito la presenza di qualcuno dallo scricchiolio del legno al suo fianco, ma l’uomo in questione non violò subito la bolla di silenzio e di dolore in cui Margaret si era rifugiata. Non le servì incrociare il viso del suo parroco per essere certa che fosse lui.
«Sa, dopo la cerimonia e il ristorante avevamo pensato di festeggiare a Santa Monica[1]. Ero riuscita a strappargli un giro sulla ruota panoramica, solo lui ed io. Per lui era poco, per me era tutto. È sempre impegnato, ogni minuto accanto a lui è un regalo»
Si faceva forza in ricordi che le sembravano ormai lontani anni luce, ma in realtà li stava solo confondendo con i chilometri che li separavano da una settimana. Il sacerdote la ascoltava, anche se le confidenze che le stava rivolgendo erano molto intime, anzi, ragione in più, richiedevano un’attenzione più delicata; anche tolto l’abito talare la comprensione restava la sua più grande dote. Non ricevendo ancora alcuna risposta dal suo interlocutore, Margaret alzò gli occhi su Padre Ralph; il viso smunto dell’uomo era frutto dei suoi anni – venti in più di mezzo secolo –, i suoi occhi verdi erano velati dall’empatia che provava nei confronti della ragazza. L’aveva vista crescere nel corso degli anni, aveva accolto i suoi turbamenti farsi sempre più grandi accanto al crescere dell’età e dopo una serie di Sacramenti – come la catechesi comandava –, era pronto ad indossare la stola per unirla in matrimonio con quel giovane.
«Non mi rincuora anche lei, dicendomi di stare tranquilla perché lui tornerà?»
«No, cara. Solo il Signore lo sa. Affidiamoci alla provvidenza»
Si era voltato con aria pacifica verso il crocifisso posto in fondo alla navata; dalla prospettiva di Margaret, sembrava un uomo arreso alla vita e il divino era l’unico l’aggancio per la sua anima. La indispose; il suo promesso stava rischiando la vita e lei avrebbe dovuto affidarsi alla provvidenza e attendere. Solo? Lei avrebbe rivoltato il mondo come un calzino per riportarlo da lei, se le fosse stato concesso agire.
«Certo, la provvidenza. La stessa che lo ha condotto laggiù a rischiare come un soldato? Lui non è un soldato, Padre Ralph! Perché Lui non gli ha fatto sorgere nel cuore il desiderio di restare qui e sposarmi?»
«C’è un motivo che ora noi non conosciamo»
«Certo, sì. Non mi fido più. Non credo, non ho più fede in Lui. Sa cosa le dico? Non ho più voglia di affidarmi a Lui, non mi fa sentire la sua presenza. Penso che, se mai Samuel dovesse tornare, vorrò solo la celebrazione civile»
Padre Ralph era dispiaciuto per quelle parole, la sua fedele stava vivendo una chiara crisi, un conflitto con il Dio a cui era sempre stata devota. Il parroco non ricordava che la giovane avesse mai vissuto un amore così lontano e sofferto; stava trattenendo il suo dolore, lo riversava in rabbia, ciò con il tempo non le avrebbe potuto fare bene. Margaret sbraitava in chiesa, non era da lei violare la pace di quel luogo, aveva da sempre varcato quella soglia con devoto rispetto; si rivolgeva verso il crocifisso con spregio. Avrebbe voluto rinsavirla, tirare fuori dalla tasca della veste il Vangelo di Giovanni, leggerle l’episodio di San Tommaso, parlarle dell’incredulità dell’apostolo prima che si fosse accertato davvero della presenza di Gesù, ma a cosa sarebbe servito? La mente della ragazza era infiammata dalla collera contro il destino, non era disponibile al raziocinio e nemmeno al sentimento, un pensiero pacato e un sentimento sano. L’uomo le sfiorò la mano, invitandola a seguirlo.
«Vieni, voglio mostrarti una cosa»
Margaret indugiò, ma lui non l’aveva attesa, si era avviato con risolutezza verso la porticina che fungeva da limite tra la navata laterale e la canonica. La ragazza attraversò lateralmente la chiesa, sfiorò il fonte battesimale alla sua destra e a sinistra la statua di Santa Maria degli Angeli a cui era stata devota fin da piccola; incrociò gli occhi in vetroresina della Madonna, implorò pietà per il suo futuro; fu una supplica silenziosa, nessuno la sentì, sul suo viso non trasparì l’ombra della preghiera. Padre Ralph l’aveva attesa, porgendole un timido sorriso, non desiderava infrangere i pensieri della giovane.
Solo quando Margaret tornò a concentrarsi sull’uomo, i due poterono proseguire il percorso. Il parroco la condusse attraverso la sagrestia; c’era una nebbia densa, un fumo intenso e ancora rinvigorito stava inondando l’ambiente chiuso; un forte odore di incenso e solennità investì i sensi di entrambi. L’uomo si premurò di spalancare subito la finestra, mortificato si ricordò di aver dimenticato i carboncini dentro il turibolo[2]; l’aroma era piacevole, ma il vapore pizzicava gli occhi e la gola. Padre Ralph recuperò il contenitore con l’incenso carbonizzato e ormai diventato cenere, lo svuotò in un piccolo lavabo e fece scorrere l’acqua dal miscelatore; gli venne spontaneo qualche colpo di tosse.
«Padre, voleva mostrarmi che sta perdendo colpi?»
Margaret non era dell’umore per ostentare senso dell’umorismo, ma era abbastanza in confidenza con lui per mostrarsi divertita davanti ad un suo errore. L’uomo ricambiò con un sorriso, le passò accanto e riprese la strada.
«No, piccola. Vieni»
Avrebbe potuto definirla una figlioccia, non era stato suo padrino al battesimo, solo perché egli stesso l’aveva battezzata ventiquattro anni prima; le voleva davvero bene, se non come un padre per una figlia, almeno come uno zio per la nipotina. Per questa ragione aveva deciso di rivelarle il suo passato, dimostrarle che non era l’unica fidanzata che attendeva il suo uomo di ritorno dalla guerra; tante donne avevano vissuto mesi di angoscia e una flebile speranza nel cuore che lei faticava più di altre a riscoprire.
Quando giunsero nei pressi di una stanza che aveva la porta già socchiusa, Margaret si affacciò appena dopo di lui. Padre Ralph l’aveva condotta nella sua stanza e si era avviato verso l’armadio dove riponeva il suo guardaroba; si era inginocchiato e si era concentrato nella ricerca concitata di qualcosa sul fondo. La ragazza si sentì fuori luogo, le sembrava di violare la privacy di quell’uomo per il quale nutriva rispetto e la giusta distanza.
«Margaret, accomodati sul letto, arrivo subito»
La giovane era rimasta a disagio accanto allo stipite della porta; con quel piccolo incentivo cordiale aveva azzardato un passo all’interno della camera ed infine aveva accettato l’invito; era comunque rimasta perplessa sul motivo della sua presenza nella stanza privata del sacerdote, frequentata solo da lui e dalla perpetua che si occupava dell’ordine. Il parroco rovistò per qualche minuto tra i suoi effetti personali, fino a che non trovò soddisfatto una reliquia della sua gioventù; le porse una foto dai colori sbiaditi di altri tempi, risalente ad un periodo in cui la macchina fotografica non era abbastanza moderna per ricalcare le tonalità accese della realtà. Margaret la affermò incuriosita, dimenticandosi del luogo in cui si trovassero. Mentre l’uomo si accomodava accanto a lei, concedendole il tempo di esaminare l’istantanea, la ragazza perse lo sguardo tra le due figure rappresentate. Erano due giovani sorridenti, stretti l’uno tra le braccia dell’altra. I colori seppia del rullino antico sfumavano la stoffa porpora con cui era stato cucito il vestito sobrio della ragazza rendendolo rosa scuro; i capelli chiari della donna erano raccolti in una lunga treccia accostata ad un seno poco prosperoso; tra le sue dita stringeva le mani del giovane posate con intimità sul ventre, il quale a sua volta la avvolgeva alle spalle in un dolce abbraccio. Qualcosa non andava in quella foto; infondeva una grande tenerezza, specie la gioia con cui lui la proteggeva contro il petto e posava il mento sulla spalla di lei, ma era un ricordo lontano, malinconico; Margaret ne ebbe la certezza quando incontrò gli occhi velati di Padre Ralph – gli stessi che solcavano il viso del giovane uomo –, il quale con un sorriso commosso la invitava a voltare la foto e a leggere il retro; lei lo fece con un sussurro.
«Los Angeles, 2 gennaio 1968»
«Anche io ho preso parte ad una guerra e all’epoca avevo una fidanzata. Abbiamo scattato quella foto appena prima che io partissi per il Vietnam[3]. Eravamo felici, perché non avevo ancora ricevuto la notizia dell’arruolamento»
La ragazza si perse nelle iridi smeraldine del padre spirituale; erano passati tanti anni, ma gli occhi dell’uomo attempato erano ancora vispi, d’altronde come i suoi sensi; era stupita, non era al corrente del passato del parroco, forse era tra i pochi privilegiati a cui aveva deciso di rivelarlo, riesumando ricordi sofferti.
«Avevo vent’anni, Margaret, e più di un sogno nel cassetto. Desideravo laurearmi, avevo giurato a me stesso di farlo dopo la coscrizione obbligatoria, e anche di sposarmi con quella bella fanciulla. Il 16 marzo del ’68 però è cambiato tutto. Ero al fronte da quasi due mesi, quando il tenente …»
Le parole gli morirono in un sospiro. Margaret raccolse la sua mano e la strinse; doveva essere un ricordo doloroso, un ago che pungeva la sua anima e che lo teneva in scacco da almeno mezzo secolo. Il conforto della ragazza gli infuse il coraggio di parlare di un increscioso fatto che aveva vissuto sulla pelle.
«… quando il tenente Collins[4] ci ordinò di sparare sui civili disarmati, di torturarli e … Non uccisi nessuno per puro caso, l’equipaggio di un elicottero statunitense risparmiò la mia anima e mi fermò appena in tempo»
Alla giovane pizzicavano gli occhi, era stato un ricordo conciso, ma particolarmente intenso, soprattutto perché lei conosceva ciò a cui lui si stava riferendo.
«Padre. Sta parlando del Massacro di My Lai? Sono morti donne e bambini»
«Lo so. Avevo davanti ai miei occhi i loro corpi»
Margaret intuì il motivo per il quale avesse deciso di seguire la vocazione clericale, cercava il modo di espiare le sue colpe; comprendeva l’aiuto del cielo che spesso usciva dalle sue labbra, dal cielo erano giunti coloro che avevano bloccato la sua mano e la volta celeste continuava ad accompagnarlo nel suo presente o almeno così a lui piaceva credere.
«Mi sta dicendo che quando Samuel tornerà, vorrà prendere i voti?»
«Ma certo che no, ti sto solo dicendo che gli orrori della guerra mi hanno dato più fede. E che ti capisco, un amore lontano fa male»
Fu una di quelle rare volte in cui dietro gli abiti da sacerdote Margaret intravide l’uomo, con tutti i rimpianti, gli amori mancati e gli affetti perduti.
«L’ha più rivista?»
«Dopo averla lasciata no, ma non ho mai smesso di pensare a lei. Non avrei potuto però amarla dopo quello che stavo per fare e che in coscienza ho fatto. Non era giusto condividere con lei quella macchia sul cuore»
«Padre, aveva solo vent’anni. Si è flagellato per una vita intera»
«Niente di simile, Margaret. Ero convinto della mia scelta e non mi pento. La rifarei»
Non convinse la ragazza; era un uomo vittima del passato che aveva solo ripiegato sulla sua carriera ecclesiastica, nella quale però aveva riversato tutto il suo buon cuore. Le intenzioni di Margaret erano quelle di conversare con lui, lasciare che sfogasse i tormenti che serbava nel cuore, forse non era più abituato a confidarsi, si trovava più spesso nella posizione opposta. Il cellulare della giovane mandò in frantumi i buoni propositi; le squillò nella tasca e prima ancora di conoscere il nome di colui o di colei che la stava cercando, si era già apprestata a congedarsi restituendogli la foto.
«Padre Ralph, mi scusi»
«Non ti preoccupare»
Le sorrise quasi lieto, parlare a lungo del suo passato non era tra i suoi passatempi preferiti.
 
 
 
 
Ospedale da campo – Kabul, 26 agosto 2018 (ora locale)
 
 
La piccola, figlia della vittima che avevano soccorso subito dopo l’attentato, si era addormentata tra le braccia di Samuel, riponendo in lui piena fiducia; nessuno aveva rivendicato la bambina, la madre doveva prendersi cura di lei da sola. Il giornalista si era accomodato su un masso posto davanti all’ospedale da campo e attendeva impaziente notizie da Karim.
La sera era scesa sulla città; l’angolo nel quale si erano appartati era uno dei pochi sprazzi di umanità sotto il cielo stellato, eppure dentro i capannoni militari abitavano solo sofferenza, morte e lacrime. L’aria era umida, a dispetto della cappa di calore che aveva attanagliato le ore di sole; così Samuel aveva recuperato dai suoi bagagli, lasciati nel villaggio, la sua giacca e l’aveva avvolta intorno alle spalle della piccola, affinché riposasse serenamente; finché avesse dormito, la preoccupazione per la madre non sarebbe scorsa sulle sue guance. Ad essere più teso infatti era il ragazzo per le sorti della donna e di Christian; entrambi necessitavano di essere operati, ma il tenente, nonostante l’abbondante emorragia, non aveva mai perso lucidità e aveva impiegato le sue ultime forze per dare la precedenza alla donna; aveva quindi atteso il suo turno, non si stava occupando Karim di lui, ma in quanto medico avrebbe potuto ricevere notizie sulle sue condizioni.
Samuel attendeva in ansia; stringeva la bambina tra le sue braccia, era accomodata sulle sue gambe e la testa era posata sul suo petto; sentiva il suo calore, il respiro caldo della piccola filtrava oltre la sua kurta; era lei ad infondere sollievo a lui e non il contrario. Si ritrovò ad accarezzarla con dolcezza, togliendo con il pollice la polvere dal viso ambrato della bambina. Mentre compiva quei gesti la mente e i sensi del ragazzo erano altrove; sentiva ancora nelle narici l’asfissiante odore di cemento collassato e le grida di disperazione che la piccola afghana aveva sfogato appena sotto il suo orecchio alla vista dello stato in cui la madre era riversa. Lui e Karim erano corsi in soccorso del soldato Ward, da quel momento in poi lo scenario desolante post attentato era passato in secondo piano; ora però la sua mente vi si era soffermata, le immagini si erano arrogate il diritto prepotente di insinuarsi nella memoria, quella a lungo termine, quella indelebile e che non avrebbe più cancellato. Cercò di recuperare una sorta di oblio mentale, ma nulla, era tutto inutile; era martellante il grido di morte di un popolo martoriato, gente che soffriva in silenzio, con dignità, come se quello fosse l’unico destino a cui potessero aspirare. Deglutì l’angoscia che cresceva in gola ogni volta che si scopriva impotente.
Il respiro della bambina si era trasformato in un sussulto, si era aggrappata ai vestiti di Samuel stringendo la stoffa in un delicato pugno, con le poche forze che erano rimaste ad una creatura indifesa. Il palmo del ragazzo era ancora posato sulla sua guancia e si inumidì al tocco di lacrime innocenti. Samuel posò le labbra tra i suoi capelli, scuri come la notte che stava scendendo e sussurrò.
«Va tutto bene, stai tranquilla»
Desiderava che su di lei scendesse un fascio di luce, proteggerla dalle tenebre era diventato suo compito da quando la stringeva a sé. Fu sufficiente il tono della voce, profondo e avvolgente, per ispirarle protezione. Le lasciò un bacio tra i capelli, impolverati come il resto del suo povero corpo, impuri come i sogni della sua anima.
«La tua promessa sposa deve essere orgogliosa di te»
Karim li aveva raggiunti con un sorriso stanco in volto e si era accomodato sul bordo dello stesso masso per non disturbare il sonno dalla bambina.
«Non ho alcun merito, hai soccorso tu sua madre»
«Intendevo per come ti stai prendendo cura della piccola»
Il crepuscolo era particolarmente tenebroso, ma il medico colse sul viso dell’amico chiazze informi di colore scarlatto.
«Sai, Samuel, non credo sia un caso la tua presenza. Non so quanto sinceramente tu sia lieto di trovarti nel mezzo di un conflitto a fuoco, ma io sono davvero contento che tu sia qui»
Poco dopo aver proferito quelle parole sincere, si era abbandonato alle lacrime nascondendo il volto tra le mani; non temeva di mostrarsi debole, ma solo di esserlo per le persone che necessitavano di un aiuto concreto e tempestivo.
Era solo questione di tempo, prima che il coraggioso medico di Herat cedesse il passo alla stanchezza; aveva subìto troppo nel corso degli anni, troppi inverni e troppe estati a considerare la morte come unica compagna di viaggio; era sfinito, i suoi nervi erano sfiniti, aveva perso il ricordo della pace, aveva perso il ricordo dell’amore, la loro vita si era interrotta quel 7 ottobre 2001, su tutto ciò che era successo prima era calato il buio, il sipario, la guerra aveva oscurato la felicità, la spensieratezza e il futuro. Era un giovane nel fiore degli anni, quando la prima bomba era caduta, aveva sogni, progetti, aveva in mente di sposarsi, creare una famiglia, ma a modo suo, lontano dalle rigide regole islamiche. La guerra gli aveva strappato la vita sognata, gli aveva lasciato nel cuore solo macerie, vite spezzate, amori senza futuro e il macigno sull’anima di chi non riusciva a salvare; le vite appese a un filo nel quale si imbatteva potevano essere più o meno recuperabili, ma lui si prodigava di strapparle alla morte e faceva troppo male non riuscirci.
«Karim»
Samuel aveva allungato una mano sulla sua spalla, lo accarezzava con il pollice, avrebbe voluto anche abbracciarlo, ma gli era impedito dalla presenza della piccola. Il medico stava temendo per la vita dei feriti che erano stati ricoverati d’urgenza; era comprensibile uno sfogo, ma era anche un cattivo presagio da parte sua.
«Karim, dimmi che stanno bene»
«Non si sveglia, Samuel. Sua madre non si sveglia. Credevo di non aver lesionato alcun organo vitale. Io …»
«Karim, ehi. Non lo hai fatto. Se dovesse essere successo, è stata la bomba, prima che tu ci mettessi le mani. Hai capito?»
L’americano non capiva, non c’era sensazione peggiore per un medico di dover lavorare senza la strumentazione necessaria; Karim aveva potuto contare solo sulle sue mani, nulla di più; c’era la possibilità che non fossero adeguatamente attrezzati nemmeno in quel misero ospedale da campo.
«Samuel, siamo in Afghanistan, in pieno conflitto. Manca ogni cosa qui. Viviamo tra stenti, malattie e bombardamenti. Possiamo fare affidamento solo su noi stessi. Se falliamo anche noi che dovremmo aiutare la nostra gente, mi spieghi quale speranza ci rimane?»
«Il fallimento è umano, tu non hai alcuna colpa»
«No, Samuel, no. Tu pensi come un occidentale. Sei un occidentale e non puoi capire cosa stiamo passando. Migliaia di bambini restano orfani, altrettanti vengono reclutati. I bambini muoiono, restano mutilati. Questa bambina non ha futuro. Tu non puoi capire»
Aveva abbassato lo sguardo sconfitto, la voce flebile si era persa nel fiato corto esaurito dalla sofferenza e dalla rabbia.
«Karim, aiutami a capire, allora. Voglio capire, voglio aiutarvi. Come posso fare?»
Il medico sorrise sarcastico tra le lacrime.
«Per i vostri tremila morti, ne stiamo sotterrando migliaia qui. Anzi, ma cosa dico, non ricevono nemmeno una degna sepoltura. Ti sembra giusto? Maryam e Hassan non hanno nemmeno una tomba su cui piangere la madre. Non capite che più voi li attaccate, più loro ci ammazzano»
Karim aveva tolto Samuel dall’oneroso compito di dovergli rispondere, lo aveva lasciato nuovamente solo in compagnia della piccola. Aveva ragione, la violenza non si vinceva con la violenza. Aveva dannatamente ragione ed ora, giunto fin lì, era entrato anche lui nello stesso vortice di impotenza dei civili locali.
Recuperò il cellulare dalla tasca dei pantaloni; la percentuale di batteria stava scendendo, non aveva ancora trovato né il modo né il tempo di domandare in ambasciata un po’ di elettricità. Compose il numero della fidanzata, si sentiva schiacciato e solo la sua voce avrebbe potuto offrirgli una boccata d’aria fresca nei polmoni.
«Samuel! Amore, come stai?»
Una lacrima si staccò davvero dalle ciglia del ragazzo, ma aveva un sapore diverso; i colori erano tornati ad accendersi intorno a lui, aveva la percezione di essere meno coinvolto, più altrove.
«Margaret, ti prego, dimmi qualcosa di bello. Qualsiasi cosa»
La giovane dall’altra parte della cornetta aveva indugiato, aveva avvertito la voce del fidanzato sofferente, ma a soffrire sembrava solo l’anima e non il corpo, così decise di assecondarlo.
«Sono davanti alla Cattedrale di Nostra Signora degli Angeli. Sto immaginando il nostro matrimonio. Tu aspetti sotto l’altare ed io ti faccio un piccolo scherzo arrivando in ritardo. Dopo la cerimonia, facciamo insieme un giro panoramico di Los Angeles sulla ruota di Santa Monica»
Non era vero, non era riuscita a pensare al futuro e nemmeno in quel momento fu facile. Anzi, più pensava a quel sogno lontano e più la gola le bruciava, le lacrime fremevano di scorrere incassate nella laringe.
«Ti amo, Maggy»
«Ti amo anche io»
Il segnale acustico del cellulare comunicò che il tempo a loro disposizione stava esaurendo, la batteria li stava abbandonando.
«Si sta scaricando il tuo telefono»
«Lo so. Un’ultima cosa. Grazie di esistere, Margaret»
Non ricevette alcuna risposta, il cellulare si era spento all’improvviso. Era certo però che l’avesse sentito, aveva avvertito il leggero sbuffo di un sorriso dall’altra parte del mondo, in cui aveva la fortuna di vivere.
 
~
 
Christian avvertiva solo un dolore lancinante alla spalla e lo sferragliamento degli strumenti chirurgici sopra di lui. Si era imposto che operassero prima una donna con una ferita che sembrava essere messa molto peggio della sua ed ora era al limite della sopportazione. Avrebbe gradito una dose massiccia di cloroformio, ma temeva di non svegliarsi più e lui doveva in ogni caso riaprire gli occhi.
La sua vista era offuscata dal dolore, dal sudore e dalla debolezza, perciò intravedeva appena al suo fianco un uomo vestito di bianco che si prodigava di aprire la divisa e scoprire la ferita. Gli era parso di aver urlato, la stoffa impregnata di sangue si era attaccata alla carne viva. Era molto più vicino allo svenimento di quanto non lo fosse la volontà a tenerlo sveglio.
«Capitano Richardson, mi sente?»
Parlare era impossibile, muovere i muscoli era uno sforzo e gli avrebbe causato nuove sofferenze fisiche. Riuscì soltanto ad affermare con la testa, ma non riusciva a stimare ancora per quanto tempo sarebbe riuscito ad udire i rumori intorno a sé.
«Capitano, dobbiamo addormentarla, non può sopportare un’operazione simile da sveglio»
Christian negò. Avrebbe voluto dire a quel medico che aveva una famiglia, che non poteva morire, che doveva svegliarsi, che non aveva dato un ultimo saluto a Katherine e Alisia prima di un’operazione delicata.
«Signore, abbiamo ancora del sonnifero, non lo neghi»
Il suo cuore aveva accelerato all’improvviso, provocando una tachicardia, era sicuro che quei battiti avessero incisi sopra i nomi di sua figlia e di sua moglie.
«Per favore … non posso morire»
Aveva afferrato con un gesto flebile un lembo di stoffa del camice bianco; lo sconosciuto gli aveva stretto la mano con più fermezza e dolcezza. Christian dopo un ultimo forte colpo al cuore aveva avvertito il suo petto svuotarsi e il fiato abbandonarlo; solo la mente diede un ultimo segnale di vita.

Alisia, perdonami.


 
Ciao ragazzi!
Dopo la rassicurazione nello scorso capitolo, spero che questo abbia riequilibrato l’angst, visto che la strada sarà ugualmente tortuosa ^^”.
Non lo commento perché rischierei di rovinare la suspance, quindi preferisco soffermarmi su un’altra questione e portare alla vostra attenzione le foto di Chris e Kathe. Per Kathe, chiedo scusa per le scritte sulla foto (è un copyright); per Chris invece, ringrazio ancora una volta  
Amily Ross per le modifiche agli occhi e che altro dire, io di questa foto mi sono innamorata **. Spero di non aver rovinato l’immagine che avevate creato di loro.
Vi ringrazio di cuore per il supporto che mi date in ogni forma, un ringraziamento speciale a coloro che mi lasciano un loro parere che mi infonde tantissima motivazione <3
Alla prossima!
Un abbraccio grande
-Vale

                                  
 

[1] Ciò che rende famosa questa località è il celebre luna park sul molo, con la sua caratteristica ruota panoramica. Santa Monica è anche un centro cittadino affascinante, molto vivace, con vari locali, negozi e artisti di strada, nonché un bell’affaccio sul mare, rendendola una delle spiagge più famose di Los Angeles.
[2] Il turibolo (detto anche incensiere) è il vaso, spesso in metallo, dove viene bruciato incenso in grani o altre essenze profumate e penetranti durante una funzione religiosa.
[3] La guerra del Vietnam, nota nella storiografia vietnamita come guerra di resistenza contro gli Stati Uniti o anche come guerra statunitense, fu un conflitto armato combattuto in Vietnam fra il 1º novembre 1955 e il 30 aprile 1975. Il conflitto si svolse prevalentemente nel territorio del Vietnam del Sud e vide contrapposte le forze insurrezionali filocomuniste – sorte in opposizione al governo autoritario filostatunitense costituitosi nel Vietnam del Sud – e le forze governative della cosiddetta Repubblica del Vietnam – creata dopo la conferenza di Ginevra del 1954.
[4] Il riferimento è al Massacro di My Lai, un massacro di 504 civili inermi e disarmati per mano di militari statunitensi (l’ordine fu dato da un ufficiale americano, accusato in seguito per crimini di guerra, ma non sapendo se sia ancora in vita ho preferito sostituire il nome originale con uno di mia fantasia).
   
 
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