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Autore: Saeko_san    21/06/2020    2 recensioni
E' passato diverso tempo dalla conclusione di Bleach, ma ci sono attimi e concetti che difficilmente Tite Kubo ci ha fatto dimenticare. In questa raccolta di one-shot, la storia di Bleach verrà ripercorsa sotto diversi punti di vista, per poi arrivare ad un'unica, grande conclusione: "siete lupi, siamo lupi. E i lupi non ululano mai da soli".
| 16 os first published on EFP between 2012 and 2014 |
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gin Ichimaru, Jaggerjack Grimmjow, Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Urahara Kisuke
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Vol. 10:
THE UNDEAD
Come una tigre che non calpesta un fiore

 
 
Sono furente.
Anzi, no.
Sono incazzato nero, il che è diverso.
 
Eppure rido. Rido forte, in continuazione.
Rido della prossima battaglia, rido del prossimo nemico, mi diverte l’idea di spargere altro sangue; mi diverte l’idea che, grazie a questa mia rabbia, il sangue possa uscire meglio a fiotti dalle ferite mie e dei miei avversari, rendendo la battaglia ancor più fulgida.
 
Il mio profondo rancore non nasce dalle mie ferite, ma ne è la causa.
 
Non ricordo esattamente quando ho cominciato a provare rancore, rabbia, furia.
Ma ricordo perfettamente il momento in cui ho cominciato a divertirmi nello spargere sangue, nel tagliare carne, nello spezzare ossa; sono sempre in perpetua ricerca di qualcuno che eguagli l’unica persona alla quale vorrei assomigliare.
Il mio grande e profondo sentimento, l’unico che mi è rimasto, guida le mie azioni.
Non ho altro, nella mia vita, se non lo scopo di misurarmi con qualcuno che sia forte come me, con qualcuno che sia in grado di sopportare le mie energie, qualcuno che, anche una volta rimossa la benda che porto sull’occhio, sia in grado di sostenere il mio reiatsu a testa alta, senza esserne piegato.
 
Vado avanti senza tregua, mieto vittime come se fossero docili agnellini, porto in giro la mia anima come un non-morto.
Già, non ricordo nemmeno il momento della mia morte.
Però devo esser morto arrabbiato, per conservare un così antico e violento moto dell’anima.
Forse sono arrabbiato perché non ho mai ricevuto amore?
No, ma che stronzate dico; non m’interessa l’amore, non mi ha mai interessato e mai m’interesserà.
 
Forse sono accecato dalla sete di sangue perché sono stato maltrattato?
 
No, ma che imbecille; ti pare che qualcuno mi abbia maltrattato? Voglio dire, vorrei conoscere il malato che avrebbe osato farlo, semmai fosse sopravvissuto.
Ma che poi, che diavolo penso? Mi fa male la testa così ed è da stupidi andarsi a cacciare in questi sconcertanti sentimentalismi, quando non c’è niente di meglio che passare a fil di spada chiunque possieda un minimo di forza eguagliabile alla mia.
 
Ogni volta che rinunciamo al nostro orgoglio,
ci avviciniamo di un passo alla bestia.
Ogni volta che soffochiamo il nostro cuore,
ci allontaniamo di un passo dalla bestia[1].
 
-Ken-chan, mi raccomando, non trattare troppo male Testa Pelata, altrimenti dopo non puoi più giocarci-.
 
La voce candida di quella ragazzina dai capelli rosa mi ricorda qualcosa: una sensazione pura e limpida, che mi riempie d’orgoglio.
E, per orgoglio, non sono in grado d’ammettere il motivo per il quale l’ho presa con me.
Non riesco a dirlo nemmeno in faccia a me stesso.
 
-Yachiru, smettila di chiamarmi “Testa Pelata” davanti al Capitano!-.
 
E’ come un fiore che non posso calpestare, tanto è semplice e candido.
 
-Ikkaku, smettila di arrabbiarti, è solo una bambina-.
 
-Fai silenzio, Yumichika. Devo dimostrare che combatterò sempre volentieri con il Capitano!-.
 
Perché non lo uccisi, quando ne ebbi l’occasione?
Perché non feci fuori anche quel suo compagno, che tutto sembra, fuorché un membro dell’Undicesima Compagnia?
Non so rispondermi bene, eppure credo che sia per lo stesso motivo per cui mi sono caricato in spalla quella piccola  creatura, trovata in un mare di sangue, quel giorno assolato in quell'ombroso distretto; quel giorno in cui quell’esserino non ha avuto paura di me, che all’epoca non avevo ancora un nome e nemmeno lei ne possedeva uno; quel giorno in cui ho deciso di darle il nome dell’unica persona che abbia mai veramente stimato nella mia vita.
Non ho ammazzato quei due perché hanno saputo trovare in me una ragione per combattere e la battaglia è la cosa più importante, che soverchia qualsiasi altra motivazione di vita.
 
Sono arrabbiato.
Sono furente.
Covo dentro di me un rancore senza limiti.
L’orgoglio della mia forza oscura la mia vista, rendendomi debole d’animo,
uccidendo chiunque mi si pari di fronte.
Eppure, in questa grande marea di morte e disperazione, sono in grado anch’io di trovare una luce pura e inspiegabile.
Posso valermi anch’io dell’appellativo di "compagno", dato che ho una spada che si rifiuta persino di dirmi come si chiama e che rimane muta ad ogni mia infima richiesta; ho persino dimenticato di prendermene cura.
 
-Capitano, cosa sta aspettando? Io sono pronto all’attacco-.
 
Sorride, davanti a me.
Sapevo che stavo pensando troppo.
Sorrido anch’io.
 
S’aprano le danze di affettamenti e coltellate, finalmente!
 
***

-Bankai-.
 
Tutto si riempie di nero e di rosso, come il sangue che trasuda dalla lama della sua spada; sembra l’inizio di un incubo, di quelli dai quali è difficile svegliarsi.
 
-Minazuki-.
 
Lei mi dice che il divertimento finisce qui, lei che ha nascosto la sua vera natura per decenni, per secoli, smettendo di essere Yachiru, smettendo di essere Kenpachi, solo per tornare ad essere Retsu.
Rido come non ho mai riso prima, perché so che la sua affermazione è ridicola: come può essere cessato il divertimento, se lei ha rilasciato il bankai?
Mi sento forte quando incrociamo le lame, talmente tanto da sentirmi sciogliere; non è come poco prima, in tutte quelle innumerevoli volte in cui ho perso conoscenza durante il combattimento che abbiamo iniziato. È tutto diverso, sembriamo due scheletri di un tempo passato, venuti a decidere ora chi sia il migliore; la mia vista si annebbia, e vedo davvero il volto avversario privo di pelle, carne e cartilagine, solo un teschio bianco con dei lunghissimi capelli neri che incrocia la katana con la mia, quando persino il mio braccio ha perso i muscoli, ha preso il sangue e sostiene l’elsa con la sola forza delle ossa.
Mi sento improvvisamente forte di nuovo e mi rendo conto di aver dormito fino ad ora, riproducendo questo scambio tra noi nei miei sogni, senza ricordarne i dettagli, pensando che facesse parte di un universo senza nome.
Ma ora ho capito che tutto questo non è altro che ciò a cui ho sempre anelato in questi secoli passati a cercare qualcuno che mi eguagliasse: grazie, perché mi hai dimostrato che tutto questo è battaglia.
 
Senti, tu te ne eri accorta?
A me piace combattere.
Mi piace così tanto che non posso farci niente.
 
Sì, me ne ero accorta.
Hai imparato a contenere te stesso,
 per godere del combattimento in eterno.
Io ho imparato a guarire me stessa,
per godere del combattimento in eterno.
C’è soltanto un Kenpachi in ogni epoca,
questa è la regola.
 
La tua spada mi trafigge nello stesso punto in cui lo fece anni e anni fa, il mio sguardo si addolcisce e io mi sento felice,
perché sto morendo consapevole di aver portato a termine il mio compito.
Sei tornato quello di una volta,
sento il tuo reiatsu forte come dovrebbe essere.
Non trattenerlo mai più.
 
Addio, unico uomo al mondo
che mi abbia mai procurato piacere.
 
-Magnifico, Zaraki Kenpachi. Con questo, è finita-.
 
Con queste parole sento che lascia andare la spada, mentre i suoi occhi cerulei mi guardano con felicità e orgoglio, come mai hanno fatto prima d’ora. Estraggo la spada dal suo sterno e la lascio andare, conficcandola nel terreno.
Non mi interessa una spada, se l’unica persona con la quale abbia mai potuto incrociarla muore.
Le chiedo di non morire, mentre osservo il sangue rappreso sulle sue labbra, la scuoto, la sostengo, ma Retsu Unohana è morta.
Grido con tutto me stesso, perché so che non la incontrerò più, non ci sarà più nessuno che ammirerò quanto ho ammirato lei.
Sento il suo reiatsu che man mano si abbassa, il sangue del suo bankai che svanisce, mentre lascio andare il suo corpo a terra.
 
Una voce mi raggiunge, chiamando il mio nome, dicendomi che finalmente riesco a sentirlo. Scorgo un’ultima volta il sorriso sul volto del Capitano della Quarta Compagnia, per poi voltarmi verso la mia zanpakuto.
 
Non è finita.
 
***
 
La battaglia è tutto[2]





 
 

[1] Tite Kubo, Bleach vol. 13, THE UNDEAD, Kenpachi Zaraki
[2] Tite Kubo, Bleach vol. 59, THE BATTLE, Retsu Unohana



















Note di Saeko:
eccomi qui, sono riuscita a sistemare anche questa one-shot, nonostante abbia rischiato di non riuscirci per oggi. Perché, vi chiederete voi? Perché quando ho cominciato a leggere ciò che ho scritto ben sette anni fa in merito a Zaraki (questa one-shot, originariamente una flash, è stata pubblicata per la prima volta il 14/01/2013 su Efp), mi sono resa conto di quanto risultasse OOC rispetto a quanto rivelatoci da Kubo sul suo passato e su quello di Retsu Unohana, la prima vera Kenpachi; mi era presa un po' a male al pensiero di doverlo cambiare tutto, quando sono riuscita ad arrivare al compromesso di dare una sistemata alla flash e aggiungere la parte del combattimento con Unohana, ma non so se sia uscito fuori come volevo. Sono ancora molto indecisa, ecco.
Spero che almeno per voi abbia senso.
Per oggi mi eclisso, tornerò certamente venerdì, perciò buon inizio settimana <3

Saeko's out!
  
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