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Autore: Mary P_Stark    22/06/2020    2 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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7.

 

 

 

Raggiungere il sogno di Astrea gli era ormai semplice come leggere un libro, o sfogliare un giornale, eppure quel giorno si ritrovò in un luogo diverso dal solito, quasi avesse sbagliato posto.

Guardandosi intorno dubbioso, riconobbe le dolci colline verdeggianti, le strade inghiaiate di Hiroshima, la baia lucente e il porto con le navi alla fonda, eppure qualcosa non tornava.

Inoltre, più di ogni altra cosa, mancava Astrea.

Lui era solito trovarla nei pressi della collina con la quercia ove l’aveva incontrata la prima volta, eppure quel giorno non era lì.

Cominciando a preoccuparsi – che le sue fantasie fossero maturate fino a farla divenire essa stessa una paziente del campo? – Alekos cominciò a discendere in tutta fretta la collina.

Nel farlo, passò accanto a case divelte dall’esplosione, ai resti di giardini un tempo perfetti, ma nulla trovò se non una strana, insolita quiete. Le strade erano vuote. Nessuno, a parte lui, correva in esse.

Del popolo di Hiroshima che, per lungo tempo, aveva assediato col suo pianto e il suo dolore quei luoghi metapsichici, non v’era più traccia.

Neppure i soldati che, solitamente, pattugliavano la città alla ricerca di superstiti, erano presenti. Che mai era cambiato, nel sogno di Astrea? E lei dov’era?

L’ansia divenne panico, a quel punto e, mettendo le ali ai piedi, il giovane si diresse a tutta velocità verso la base militare dove, finalmente, incrociò le prime due persone di quella stramba giornata onirica.

Come la volta precedente, i due soldati di vedetta si inchinarono a lui con il consueto saluto – oh, kami – e Alekos, nel passarvi accanto con passo più lento, si domandò cosa vedessero in lui di tanto strano da usare quell’epiteto.

Era mai possibile che, in quella dimensione onirica, le emanazioni di Astrea potessero scorgere la sua discendenza divina? Davvero non lo sapeva, comunque prese per buona la possibilità di entrare e, attento, si addentrò nel campo.

Rallentando fino a fermarsi quando raggiunse il centro del piazzale sgombro di persone o materiale militare, Alekos si chiese dove fossero finiti tutti. Sapeva più che bene che, all’epoca, i feriti erano stati acquartierati nella base militare perciò… dov’erano finiti?

A ben vedere, neppure i due soldati al cancello, erano più presenti.

«Ma che succede?!» esclamò a quel punto Alekos prima di urlare a gran voce il nome di Astrea.

Quest’ultima, come un’apparizione ancestrale, emerse da un capannone in tutta la sua sfolgorante bellezza e Alekos, senza parole, ristette immobile in sua contemplazione.

Aveva già potuto scorgere la sua bellezza, così come la sua divinità, ma quella mattina Astrea appariva come mai gli era stato concesso di vedere finora. Era la dea che era stata un tempo, e il cui icore brillava sottopelle rendendola splendente al pari di una stella.

Allungando una mano verso di lui, Astrea gli sorrise a mo’ di benvenuto e mormorò: «Sono lieta tu sia venuto. Lascia che ti mostri una cosa.»

Lui assentì muto, rapito dal fulgore dei suoi poteri così come dalla sua rinnovata salubrità. Era un piacere, finalmente, vederla in salute! Ma perché questo cambiamento?

A sorpresa, quando Alekos strinse nella propria la mano della dea, ella tornò a essere donna e non più divinità, ma non per questo perse fascino o grazia.

Camminandole al fianco senza comprendere cosa, nel breve decorrere di una notte, fosse cambiato tanto in lei, Alekos ne apprezzò il bel viso eburneo e sano, gli abiti nuovamente in ordine e la lunga chioma bionda sparsa al vento.

Ora, stava di nuovo bene… ma sarebbe rimasta lì in ogni caso? Perché, tornata dea, non si era liberata di quella gabbia?

Lei allora gli sorrise, stordendolo non poco e facendogli perdere di vista le mille domande che, la sua nuova forma, gli aveva fatto nascere dentro. Con tono contrito, quindi, la dea ammise: «Ho pensato alle tue parole fin da quando te ne sei andato, la sera addietro. Avevi ragione nel dire che non ho fatto nulla per coloro che avevo preso nel mio cuore. Mi sono limitata a rivivere le loro pene… ma che altro ho fatto, per loro?»

«Non era mia intenzione offenderti» ci tenne a dire Alekos, ma lei scosse il capo, stringendo maggiormente la mano che li univa.

«Lo so e, se ti sono apparsa fredda, me ne spiace. Ero solo colpita dall’ovvietà delle tue parole. Mi sono soffermata a pensare al dolore, ma non ho fatto nulla per estirparlo e, per una dea quale io sono, è uno scorno non da poco» replicò la dea con un piccolo risolino di scherno verso se stessa.

Nell’aprire la porta del capannone da cui era precedentemente uscita, Astrea sorrise nel notare il completo stupore che balenò sul volto di Alekos e, orgogliosa, aggiunse: «Se volevo affrancarmi dal mio status di vittima, dovevo agire e, poiché io sono la signora di questi luoghi – avendoli creati io stessa –, ho dovuto cominciare da loro.»

Dinanzi agli occhi increduli di Alekos centinaia, se non migliaia di persone si trovavano distese su pagliericci di fortuna, assistite dalle ancelle della dea nel loro processo di guarigione.

Preoccupato suo malgrado da quell’imprevista piega degli eventi, Alekos temette che Astrea avesse preso fin troppo sul serio le sue parole così, timoroso, mormorò: «Tu sai, vero, che loro…»

«… non sono reali? Che in realtà sono morti, e altri sono rimasti sfigurati?» terminò per lui la dea, annuendo. «Certo. Non temere che io possa essere impazzita, anche se posso capire la tua confusione e i tuoi ovvi dubbi. Le mie ancelle e io curiamo loro perché loro fanno parte del mondo che io ho creato per punire me stessa. So bene di non poter fare nulla per coloro che morirono in quei giorni di fuoco, ma dovevo pur cominciare a fare qualcosa.»

«Quindi, tu vuoi…? Vuoi uscire?» domandò a quel punto lui, stringendo entrambe le mani della dea, quasi temette di precipitare, di risvegliarsi da un sogno che non poteva credere come reale.

Lei assentì con un sorriso e, arrossendo suo malgrado, ammise: «Ho peccato di presunzione e superbia, pensando di poter risolvere qualcosa, comportandomi così. Invece, ho fatto vivere nell’ansia per decenni i miei genitori, ho obbligato Esculapio a tenermi continuamente sott’occhio e ho ingiuriato a male parole… beh, i tuoi fratelli e tuo padre!»

Ciò detto, emise una breve risatina nel rendersi conto di quel particolare e Alekos, ridendo con lei, asserì: «Dovrai farmi un elenco dei fratelli che hai ingiuriato, visto che ne ho moltissimi... e, tra poco, avrò anche una nuova sorellina.»

«Davvero?» esalò sorpresa Astrea prima di aggiungere: «Sarò lieta di conoscerla, se me lo consentirai.»

Prima di lanciarsi in commenti di cui avrebbe potuto pentirsi, Alekos si limitò a domandare: «Prima dobbiamo guarire tutti, vero?»

«Sì. Quando anche l’ultimo umano di questo mio mondo sarà guarito, io sarò libera» annuì la dea con vigore.

Alekos non riuscì a credere alle proprie orecchie. Libera.

Astrea aveva davvero detto quella parola, e lo aveva fatto con il sorriso sulle labbra, conscia di ciò che lui aveva voluto dirle e di quello che lei aveva fatto, sbagliando.

Aveva compreso l’inutilità della propria reclusione, accettando il peso del proprio errore e ponendo le basi per rimediare al dolore che aveva causato a coloro che l’amavano.

Afferratala per la vita, ebbro di gioia, la sollevò all’improvviso per farle fare un mezzo giro in aria – facendola scoppiare a ridere per la sorpresa – finché, dopo averla riportata a terra, non le disse: «Io ti aiuterò. Sempre.»

Ciò detto, le diede un bacio pieno di promesse sulle labbra, cui seguì una corsa frettolosa – o fuga? – verso i pazienti ricoverati nel capannone.

Astrea lo lasciò andare, troppo stordita da quel bacio per poter fare alcunché e, mentre osservava Alekos piegarsi su un ferito per medicarlo coi suoi poteri benefici, un lento sorriso speranzoso le sgorgò sul volto.

***

Sapeva di essere stato un emerito idiota ad averla baciata a quel modo, senza alcun preavviso – senza neppure chiederglielo! – ma gli era venuto spontaneo. E, se c’era una cosa che aveva imparato da quel folle di Dioniso, era che la spontaneità era bella e, a volte, necessaria.

Inoltre, anche suo padre gli aveva detto di non tentennare, in merito ai suoi sentimenti. Si sarebbe scusato in seguito, con Astrea, nel caso in cui lei si fosse ritenuta offesa da quel bacio ma, in quel momento, era contento di averglielo dato.

La sorpresa di vederla nuovamente in sé, unita al fatto di aver finalmente udito quella parola – libera – sgorgare dalle sue labbra, lo aveva inebriato come un vino pregiato bevuto in un sol sorso.

Baciarla aveva avuto lo stesso effetto. Era tuttora ebbro di euforia, pur se erano passate ormai ore da quel suo colpo di testa, e con Astrea non si erano più parlati a causa del gran daffare che avevano avuto da portare a termine.

Risollevandosi quando anche l’ultimo dei suoi pazienti svanì da sotto le sue mani, completamente risanato dagli effetti della bomba, Alekos si guardò intorno, e solo per trovare accanto a sé una delle ancelle di Astrea.

La giovane – mera emanazione della mente della dea – gli si inchinò ossequiosa, mormorando subito dopo: «La mia signora vi attende a Nagasaki.»

«Ti ringrazio» disse Alekos, concentrandosi sulla scintilla vitale di Astrea per trovarla nel dedalo di input di cui era composto il suo subconscio.

In un attimo fu quindi da lei, in piedi lungo la scalinata del tempio buddista di Reisenji, con il sole volto a ovest e che tingeva di rosso fuoco le bianche mura della costruzione.

Lì, all’imbocco del tempio, vide infine Astrea, splendente al pari dell’astro che le stava arrossando le gote e apparentemente paga, fiera di essere giunta ove ora si trovava.

Il lungo peplum che indossava ondeggiava lieve al passaggio della brezza serale e, mentre Alekos annullava la distanza che li separava, Astrea iniziò a dire: «Vinta giace la bontà, e la vergine Astrea, ultima degli dei, lascia la Terra madida di sangue… così cantò di me Ovidio nelle Metamorfosi, e io fui così sciocca da dargli ragione.»

Alekos la raggiunse, prese tra le sue le mani protese di Astrea, che aggiunse: «Avrei dovuto lottare per la bontà, non cedere al sangue che mi ero vista grondare sulle mani. Tu mi hai fatto capire che, da un errore anche grave, ci si può risollevare e si può puntare a migliorare se stessi per non commettere più lo stesso inciampo. Forse inciamperò ancora, ma ancora mi rialzerò, grazie a te.»

«E io ti aiuterò» mormorò lui, portando le mani di lei sul proprio torace.

Astrea allora sorrise nel sentire il battito feroce del cuore di Alekos, la sua forza, la sua umanità e la sua divinità e, nel poggiare le labbra su quelle sorprese di lui, mormorò: «Lo speravo.»

Quando le loro due bocche si unirono, una luce sfolgorante li avvolse, accecando completamente Alekos che, colto di sorpresa, si coprì il volto per proteggersi, lasciando così andare le mani di Astrea.

L’attimo seguente, la luce svanì e con essa la dea e, sotto gli occhi sconcertati di Alekos, il mondo imperfetto che fino a quel momento li aveva circondati, cominciò a sgretolarsi sotto i suoi piedi.

«Certo che non conosce mezze misure!» sbottò lui, concentrandosi per scappare da quel mondo onirico per non venirne schiacciato.

***

Esculapio dovette poggiarsi alla scrivania del proprio studio per non cadere a terra e, sorpreso quanto confuso, si domandò cosa stesse scuotendo in modo così totale Ras Alhague.

Quando, però, percepì nettamente l’energia di Astrea espandersi come un’onda tutt’attorno a lui, corse fuori dallo studio per comprendere cosa stesse succedendo alla sua paziente più difficile. Per produrre un simile concentrato di potere, Astrea doveva essere…

Bloccandosi a metà di un passo, Esculapio esalò sgomento: «E’ mai possibile?»

Non concedendosi altro tempo per rimuginare sui propri dubbi, Esculapio riprese la corsa per raggiunse in fretta il corridoio ove si trovava la stanza di Astrea.

Lì, pieno di sorpresa, vide sgorgare da sotto la porta un’intensa lama di luce e, preso dall’euforia, aprì la porta nella speranza di vedere nuovamente Astrea viva dopo tanti decenni di inutili viaggi nel suo subconscio.

Quel che però gli si parò innanzi lo bloccò a metà di un passo e, scoppiando a ridere per l’immensa sorpresa e la gioia, esalò: «Questa poi!»

Piegato in ginocchio accanto al letto di Astrea, Alekos stava baciando una ridesta divinità che, possessiva, teneva una mano sul collo del giovane perché non interrompesse il contatto con lei.

La risata di Esculapio, però, mandò in frantumi il momento romantico e, pian piano, la luce creata dalla dea scemò fino a scomparire del tutto, lasciando al suo posto solo due giovani assai imbarazzati.

Ridendo pieno di soddisfazione, Esculapio si avvicinò alla coppia e disse: «Se avessi saputo che sarebbe bastato inscenare La Bella Addormentata nel Bosco, avremmo risolto molti anni fa il tuo problema.»

«Prima, doveva nascere Alekos» sottolineò Astrea, scoppiando a ridere assieme al proprio medico.

Avvicinandosi quindi al letto mentre Alekos si discostava un poco per poter farlo passare, Esculapio sorrise alla sua paziente e mormorò: «Scherzi a parte, come ti senti?»

Astrea si lasciò controllare senza protestare e, docile sotto le mani attente del medico, disse: «Mi sento viva. Era da un bel po’ che non assaporavo questa sensazione.»

«E serviva questo bel ragazzo, eh, per fartelo capire?» ammiccò Esculapio, strizzando l’occhio ad Alekos, che ridacchiò imbarazzato.

«A quanto pare, sì» annuì lei, sollevandosi in piedi grazie all’aiuto del dio della medicina.

«C’è ancora una cosa da fare, però» intervenne Alekos, sorprendendo entrambi.

«Cos’altro dovresti fare? Lei è qui, sta bene e…» tentennò Esculapio.

Sorridendo comprensivo ad Astrea dopo aver tranquillizzato con lo sguardo il teso dio della medicina, lui disse: «Deve piangere i tuoi morti.»

Astrea annuì a quelle parole piene di verità, prese tra le sue le mani del giovane che aveva saputo liberarla e, osservando un turbato Esculapio, asserì: «Alekos ha ragione. Se non compissi l’ultimo passo, potrei ricadere vittima dei miei stessi errori. Devo apporre l’ultima pietra del mio nuovo tempio.»

Ciò detto, svanirono entrambi da Ras Alhague ed Esculapio, con un gran sospiro, borbottò: «E ora chi glielo spiega, a Eos, che sua figlia è sparita di nuovo

***

L’onda energetica prodotta dall’implosione del mondo onirico di Astrea aveva riverberato nei regni celesti di ogni pantheon, e questo richiamò a Ras Alhague una speranzosa Eos quanto un fiducioso Astreo.

Esculapio dovette però smorzare in parte la loro gioia. Con dovizia di particolari, spiegò loro cosa fosse successo, quando la sua bolla onirica era esplosa, ma anche i motivi della momentanea assenza della figlia.

Sbrigativa, quindi, Eos fece per trasmutare, già pronta a raggiungere la figlia ma Esculapio, afferrandola gentilmente a un braccio, scosse il capo e replicò: «Non credo sia il caso di disturbarli proprio ora. Hanno compiuto questo viaggio insieme, e debbono terminarlo assieme. Inoltre, credo debbano dirsi anche altro…»

«In che senso?!» sbottò Eos, irritandosi immediatamente e scacciando in malo modo la mano del dio della medicina.

Astreo sospirò, scosse il capo e borbottò: «E poi ti domandi perché non sto più con te, e anche Orione ti ha dato il benservito dopo che vi eravate ritrovati? Se non ti dai una calmata, Eos, farai scappare tutti gli uomini della tua vita, e non solo loro… anche Astrea potrebbe decidere di darsi nuovamente alla macchia, se tu darai di matto così tutte le volte!»

Eos lo frizzò con uno sguardo glaciale, già pronta a ribattere alle sue accuse, quando questa svenne a sorpresa tra le braccia di un sorpreso Astreo.

Subito sgomento, il titano scoppiò in una gaia risata quando vide una siringa ipodermica comparire nella mano destra di Esculapio. Evidentemente, il dio-medico doveva aver previsto le proteste della dea, e si era premunito di qualcosa che potesse bloccarla.

Spiacente, Esculapio disse: «Dormirà qualche ora, così lascerà il tempo ad Astrea e Alekos di terminare ciò che stanno facendo. Non potevo davvero permetterle di raggiungerli, mi spiace.»

«Dovrai sorbirti una reprimenda coi fiocchi, al suo risveglio» gli ricordò Astreo.

«Non ricorderà nulla» lo rassicurò Esculapio, indicando poi ad Astreo dove distendere l’ora innocua Eos. «Quanto al resto, credo che Astrea sarà finalmente felice, adesso, e anche il suo carattere riottoso troverà requie… per un po’.»

«Dovrò abituarmi a rivedere spesso quel giovanotto, allora?» ironizzò Astreo.

«Credo di sì.»

***

L’aria frizzante di quella tiepida mattina le ricordava molto quella di settantasette anni addietro, quando il suo incubo a occhi aperti aveva avuto inizio.

Istintivamente, Astrea sollevò gli occhi verso il cielo terso e vide le scie di diversi aerei tingere quell’azzurro apparentemente innocuo. Ma nessuno, quella mattina, avrebbe sganciato la bomba.

Per la prima volta da quella tragica mattina, non avrebbe udito quel tuono mortifero, non avrebbe sentito il fuoco sulla pelle, non avrebbe ascoltato le grida di terrore delle genti.

Tutto, in quella città che tanto l’aveva colpita, sembrava non aver mai percepito la potenza del fuoco divino che si era abbattuto su di lei, quasi l’uomo avesse operato una magia su quella terra martoriata.

Avevano agito per correggere il torto subito e, a distanza di così tanti decenni, nulla sembrava essere accaduto. Gli uomini avevano saputo rialzarsi anche da una caduta così rovinosa.

Quando, però, vide in lontananza la sagoma a lei familiare del Genbaku Dome, se ne stupì e, lanciata un’occhiata dubbiosa ad Alekos, domandò: «Perché è ancora in piedi?»

«E’ un monito per tutte le genti, affinché non accada mai più una cosa simile» le spiegò lui indicandole poi di imboccare l’Honkawa Bridge, così da raggiungere la piccola isola nel mezzo del fiume, ove si trovava il Parco del Monumento alla Memoria.

Astrea si incamminò con lui sempre tenendolo per mano, il caos della città che ancora la turbava e la rendeva sempre più consapevole di quanto si fosse persa, nel corso degli anni.

Tutto le appariva così diverso, così lontano dai propri ricordi, quasi alieno, eppure sapeva di trovarsi ancora su quella Terra per cui tanto aveva pregato e spasimato.

Si sarebbe riabituata, comunque e, stavolta, lo avrebbe fatto con occhi più consapevoli, anche grazie all’aiuto di Alekos.

Raggiunto finalmente il parco, il rumore delle auto andò scemando e, complice la neve appena caduta sulla città, l’ambiente si fece più ovattato e tenue, quasi trascendente.

Il rumore dei loro passi sul selciato perfettamente pulito si intervallava a quello delle auto in lontananza, o a quello più delicato degli uccelletti che si involvano tra una pianta e l’altra.

Tutto sembrava essere stato concepito per portare pace a coloro i quali si fossero avventurati in quel piccolo boschetto, ricreato appositamente per dare degno riposo alle vittime dell’atomica.

Le linee minimaliste e squadrate dei muriccioli si intervallavano ai curvilinei sentieri del parco, che conducevano tutti alla lunga vasca ricolma d’acqua – ora ghiacciata – culminante con il Cenotafio della Memoria.

Lì, sotto un imponente arco di pietra grigia, Astrea scorse infine una Fiamma Eterna che, come le spiegò Alekos, era stata accesa per la prima volta nel 1964, in memoria di tutti i caduti.

Dinanzi alla fiamma, grandi fioriere di pietra adornavano il luogo di preghiera lì eretto e, appese ad alcune di esse, collane di gru di carta accompagnavano le invocazioni silenziose di coloro che le avevano lasciate.

Astrea le fissò con occhi ricolmi di lacrime e, non potendo evitarlo, si lasciò cadere in ginocchio e pianse.

Alekos le rimase accanto, inginocchiandosi a sua volta e, finalmente, vide calde lacrime sgorgare dagli occhi di colomba di Astrea. Una dopo l’altra, quelle lacrime andarono a cancellare le ferite accumulate dopo più di settant’anni di penitente castigo.

Una a una, tersero il suo animo piagato e, attimo dopo attimo, le piaghe si rimarginarono sotto gli occhi sempre più sereni e fiduciosi di Alekos.

Astrea non si sarebbe persa una seconda volta. Finalmente, era davvero libera.

«La perfezione non esiste, neppure per le divinità, e l’uomo ci ricorda che, per quanto possiamo essere potenti, neppure noi siamo in grado di controllare ogni cosa» mormorò Alekos, reclinando poi il viso per una muta preghiera.

Astrea annuì e, nel tergersi le lacrime dal volto, disse: «Hanno saputo rialzarsi dalla sconfitta e dall’annientamento come io, invece, non sono stata in grado di fare senza di te. Hanno dimostrato di essere ben più potenti di un dio.»

«Avevano dalla loro l’incognita offerta dal tempo. Nessuno di loro poteva perderne, e così si sono rimboccati le maniche e sono andati avanti» chiosò Alekos, offrendole una mano per risollevarsi da terra quando la dea si sentì pronta per farlo.

Annuendo, la dea si elevò al pari del giovane e asserì: «Io, invece, potevo disporre di tutto il tempo del mondo ma, invece di sfruttarlo per riportare la bontà e la gioia, l’ho sfruttato per produrre dolore. Sono stata una ben misera dea.»

Lui emise un risolino e, con ironia, replicò: «Devo ricordarti che io, nei miei momenti di onnipotenza suprema, stavo per uccidere mio padre e tutti coloro che erano legati all’oscurità? Volevo persino mettere sul trono dell’Olimpo mia madre, e trovarle un compagno che io ritenessi degno di tale nome!»

Astrea sorrise di quel commento autoironico, ribattendo: «D’accordo, anche tu non hai scherzato, lo ammetto. E credo che tua madre ti avrebbe ucciso, prima di concederti il dubbio onore di trovarle un uomo.»

Lui assentì nel tornare serio e, dopo averle sistemato la sciarpa che indossava attorno al collo – ottenendo in risposta un dolce sorriso –ammise con tono fiacco: «Ho avuto paura per tutto il tempo, fin da quando Eris mi ha riportato alla vita. Temevo di tornare a sbagliare, di ricadere nei vecchi errori ma, quando ho saputo di te e di ciò a cui ti eri sottoposta volontariamente, ho capito di poterti aiutare e, grazie a te, avrei potuto aiutare anche me stesso a diventare una persona migliore.»

«E ci sei riuscito? A diventare una persona migliore?» gli domandò lei.

«Non lo so. Ma lavorerò ogni giorno per diventare ciò che io penso sia una persona migliore. Il tempo non mi manca» ammiccò lui arrischiandosi ad abbracciarla.

Astrea ricambiò l’abbraccio e poggiò il capo contro la sua spalla, assaporando il suo calore, la sua presenza, il tenero sentimento che sentiva nel suo cuore nuovamente riaperto alla vita.

Mai avrebbe pensato che proprio lei, la vergine giustizia, avrebbe avuto bisogno di aprirsi all’amore, per capire, eppure era accaduto.

Alekos era stato l’unico in grado di infrangere la barriera di puro dolore che aveva eretto dinanzi e tutt’attorno a sé, e lo aveva fatto mostrando soltanto se stesso. Aveva messo sul piatto della bilancia i suoi difetti, non ne aveva fatto mistero, facendole comprendere come chiunque di loro fosse fallibile, anche una creatura votata alla luce.

Sorridendo, infine mormorò: «Dovrò chiedere scusa a Eris… l’ho sempre giudicata male, fiera com’ero del mio essere la Giustizia, ma ora capisco che anche lei ha sempre avuto un ruolo decisivo, perché ciò che rappresentavo potesse compiersi. Anche quando spingeva qualcuno verso l’abisso, altri venivano spinti ad agire per il bene. Tutto era interconnesso.»

Lui sorrise nello sciogliere l’abbraccio dalla dea e, ammiccando, chiosò: «Dubito che se ne farà qualcosa, delle tue scuse. Non le ama molto. Ma, se la libererai da Dioniso, ti sarà eternamente grata.»

Scoppiando a ridere, Astrea esalò: «Ma… proprio non vuole il suo spasimante?»

Grattandosi pensieroso una guancia, Alekos ammise: «Per la verità, credo le piaccia essere tampinata nel modo in cui sta facendo Dioniso, ma è troppo orgogliosa per ammetterlo. Inoltre, credo che sfuggirgli la diverta, esattamente come diverte Dioniso il rincorrerla.»

Astrea fece per commentare quando, di colpo, rise di se stessa e celiò: «Stavo per ridere della cosa, ma io dovrei davvero tacere, quanto a questo.»

«E perché?» volle sapere Alekos.

La dea, allora, levò i suoi dolci occhi fumosi su di lui e mormorò: «Io ho trovato l’amore sotto le bombe, e ho quasi mandato al Creatore colui che ha toccato il mio cuore, liberandomi dalla prigionia che mi ero imposta. Chi sono, dunque, per criticare il modo in cui Eris e Dioniso gestiscono la loro relazione?»

Alekos non disse nulla, limitandosi a chinare il capo per baciarla ed Eros, dal suo privilegiato punto di avvistamento, reclinò il binocolo con cui li aveva tenuti d’occhio fino a quel momento e si dichiarò soddisfatto del risultato.

Psiche, seduta accanto a lui sul terrazzino dell’appartamento che stavano temporaneamente utilizzando per il loro appostamento, domandò: «Era davvero il caso di venire a spiarli?»

«Con i loro precedenti? Era obbligatorio!» ironizzò Eros, offrendole un drink mentre, per sé, prendeva una fragola ricoperta di cioccolato da un cestino d’argento.

Per quell’appostamento ideato tra capo e collo, Eros non aveva comunque voluto rinunciare alle comodità perciò, dopo aver trovato un appartamento nella posizione ideale per spiarli, aveva creato quel piccolo buffet. Perché stare scomodi, quando si poteva evitarlo?

«Sono entrambi dei neofiti, nel campo dell’amore, e dovevo per forza tenerli d’occhio ancora un po’» dichiarò dopo qualche istante, sorseggiando del buon prosecco veneto.

Psiche allora gli sorrise divertita, si allungò per dargli un bacio al sapore di vodka e replicò: «Dillo, che ti piacciono i lieti fine.»

«Sono o non sono il dio dell’amore?»

La dea assentì con un risolino e, nell’afferrare il binocolo di Eros, lo puntò in direzione del parco per poi cercare la coppia appena formatasi.

Nel vederli avviarsi mano nella mano, le teste vicine mentre si guardavano vicendevolmente con occhi pieni di speranza, domandò: «Credi che dovremmo andare da loro?»

«Naah. Lasciamoli soli. Per qualche ora ancora, possiamo lasciarli stare, poi potremo cominciare a prenderli in giro» ammiccò Eros, facendola scoppiare a ridere.

«Non vedo l’ora» celiò Psiche prima di poggiare il binocolo, lanciare uno sguardo infuocato al suo uomo e mormorare: «Mentre aspettiamo che loro tubino un po’, potremmo inventarci qualcosa. Che dici?»

Eros non ci pensò sopra due volte. Con un balzo, si levò dallo sdraio su cui si era sistemato, prese tra le braccia una già eccitata Psiche e, nel chiudersi dentro la stanza da letto dell’appartamento, si chiese fuggevolmente quando sarebbero rientrati i padroni di casa.

Farsi beccare in atteggiamenti intimi da dei perfetti sconosciuti, poteva essere divertente.


 

 

 




N.d.A.: la frase di Ovidio citata da Astrea è stata la spinta per scrivere di lei e del mondo onirico da lei creato. E' stata anche la spinta giusta per creare il legame tra Astrea e Alekos. Spero che le mie scelte abbiano incontrato il vostro favore o che, per lo meno, vi abbiano fatto passare un po' di tempo in sano relax. Con il prossimo capitolo, giungeremo alla fine di questa lunghissima (almeno per i miei standard) storia ... sempre che a qualche divinità non venga in mente di farmi scrivere altro! A presto!

  
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