7.
Raggiungere il sogno di
Astrea gli era ormai semplice come leggere un libro, o sfogliare un
giornale,
eppure quel giorno si ritrovò in un luogo diverso dal
solito, quasi avesse
sbagliato posto.
Guardandosi intorno
dubbioso, riconobbe le dolci colline verdeggianti, le strade inghiaiate
di
Hiroshima, la baia lucente e il porto con le navi alla fonda, eppure
qualcosa
non tornava.
Inoltre, più di ogni
altra cosa, mancava Astrea.
Lui era solito trovarla
nei pressi della collina con la quercia ove l’aveva
incontrata la prima volta,
eppure quel giorno non era lì.
Cominciando a
preoccuparsi – che le sue fantasie fossero maturate fino a
farla divenire essa
stessa una paziente del campo? – Alekos cominciò a
discendere in tutta fretta
la collina.
Nel farlo, passò accanto
a case divelte dall’esplosione, ai resti di giardini un tempo
perfetti, ma
nulla trovò se non una strana, insolita quiete. Le strade
erano vuote. Nessuno,
a parte lui, correva in esse.
Del popolo di Hiroshima
che, per lungo tempo, aveva assediato col suo pianto e il suo dolore
quei
luoghi metapsichici, non v’era più traccia.
Neppure i soldati che,
solitamente, pattugliavano la città alla ricerca di
superstiti, erano presenti.
Che mai era cambiato, nel sogno di Astrea? E lei dov’era?
L’ansia divenne panico,
a quel punto e, mettendo le ali ai piedi, il giovane si diresse a tutta
velocità verso la base militare dove, finalmente,
incrociò le prime due persone
di quella stramba giornata onirica.
Come la volta
precedente, i due soldati di vedetta si inchinarono a lui con il
consueto
saluto – oh, kami
– e Alekos, nel
passarvi accanto con passo più lento, si domandò
cosa vedessero in lui di tanto
strano da usare quell’epiteto.
Era mai possibile che,
in quella dimensione onirica, le emanazioni di Astrea potessero
scorgere la sua
discendenza divina? Davvero non lo sapeva, comunque prese per buona la
possibilità di entrare e, attento, si addentrò
nel campo.
Rallentando fino a
fermarsi quando raggiunse il centro del piazzale sgombro di persone o
materiale
militare, Alekos si chiese dove fossero finiti tutti. Sapeva
più che bene che,
all’epoca, i feriti erano stati acquartierati nella base
militare perciò…
dov’erano finiti?
A ben vedere, neppure i
due soldati al cancello, erano più presenti.
«Ma che
succede?!»
esclamò a quel punto Alekos prima di urlare a gran voce il
nome di Astrea.
Quest’ultima, come
un’apparizione ancestrale, emerse da un capannone in tutta la
sua sfolgorante
bellezza e Alekos, senza parole, ristette immobile in sua
contemplazione.
Aveva già potuto
scorgere la sua bellezza, così come la sua
divinità, ma quella mattina Astrea
appariva come mai gli era stato concesso di vedere finora. Era la dea
che era
stata un tempo, e il cui icore brillava sottopelle rendendola
splendente al
pari di una stella.
Allungando una mano
verso di lui, Astrea gli sorrise a mo’ di benvenuto e
mormorò: «Sono lieta tu
sia venuto. Lascia che ti mostri una cosa.»
Lui assentì muto, rapito
dal fulgore dei suoi poteri così come dalla sua rinnovata
salubrità. Era un
piacere, finalmente, vederla in salute! Ma perché questo
cambiamento?
A sorpresa, quando
Alekos strinse nella propria la mano della dea, ella tornò a
essere donna e non
più divinità, ma non per questo perse fascino o
grazia.
Camminandole al fianco
senza comprendere cosa, nel breve decorrere di una notte, fosse
cambiato tanto
in lei, Alekos ne apprezzò il bel viso eburneo e sano, gli
abiti nuovamente in
ordine e la lunga chioma bionda sparsa al vento.
Ora, stava di nuovo
bene… ma sarebbe rimasta lì in ogni caso?
Perché, tornata dea, non si era
liberata di quella gabbia?
Lei allora gli sorrise,
stordendolo non poco e facendogli perdere di vista le mille domande
che, la sua
nuova forma, gli aveva fatto nascere dentro. Con tono contrito, quindi,
la dea
ammise: «Ho pensato alle tue parole fin da quando te ne sei
andato, la sera
addietro. Avevi ragione nel dire che non ho fatto nulla per coloro che
avevo
preso nel mio cuore. Mi sono limitata a rivivere le loro
pene… ma che altro ho
fatto, per loro?»
«Non era mia intenzione
offenderti» ci tenne a dire Alekos, ma lei scosse il capo,
stringendo
maggiormente la mano che li univa.
«Lo so e, se ti sono
apparsa fredda, me ne spiace. Ero solo colpita
dall’ovvietà delle tue parole.
Mi sono soffermata a pensare al dolore, ma non ho fatto nulla per
estirparlo e,
per una dea quale io sono, è uno scorno non da
poco» replicò la dea con un
piccolo risolino di scherno verso se stessa.
Nell’aprire la porta del
capannone da cui era precedentemente uscita, Astrea sorrise nel notare
il
completo stupore che balenò sul volto di Alekos e,
orgogliosa, aggiunse: «Se volevo
affrancarmi dal mio status di vittima, dovevo agire e,
poiché io sono la
signora di questi luoghi – avendoli creati io stessa
–, ho dovuto cominciare da
loro.»
Dinanzi agli occhi
increduli di Alekos centinaia, se non migliaia di persone si trovavano
distese
su pagliericci di fortuna, assistite dalle ancelle della dea nel loro
processo
di guarigione.
Preoccupato suo malgrado
da quell’imprevista piega degli eventi, Alekos temette che
Astrea avesse preso fin troppo sul serio
le sue parole così,
timoroso, mormorò: «Tu sai, vero, che
loro…»
«… non sono
reali? Che
in realtà sono morti, e altri sono rimasti
sfigurati?» terminò per lui la dea,
annuendo. «Certo. Non temere che io possa essere impazzita,
anche se posso
capire la tua confusione e i tuoi ovvi dubbi. Le mie ancelle e io
curiamo loro
perché loro fanno parte
del mondo che
io ho creato per punire me stessa. So bene di non poter fare nulla per
coloro
che morirono in quei giorni di fuoco, ma dovevo pur cominciare a fare
qualcosa.»
«Quindi, tu
vuoi…? Vuoi
uscire?» domandò a quel punto lui, stringendo
entrambe le mani della dea, quasi
temette di precipitare, di risvegliarsi da un sogno che non poteva
credere come
reale.
Lei assentì con un
sorriso e, arrossendo suo malgrado, ammise: «Ho peccato di
presunzione e
superbia, pensando di poter risolvere qualcosa, comportandomi
così. Invece, ho
fatto vivere nell’ansia per decenni i miei genitori, ho
obbligato Esculapio a
tenermi continuamente sott’occhio e ho ingiuriato a male
parole… beh, i tuoi
fratelli e tuo padre!»
Ciò detto, emise una
breve risatina nel rendersi conto di quel particolare e Alekos, ridendo
con
lei, asserì: «Dovrai farmi un elenco dei fratelli
che hai ingiuriato, visto che
ne ho moltissimi... e, tra poco, avrò anche una nuova
sorellina.»
«Davvero?»
esalò
sorpresa Astrea prima di aggiungere: «Sarò lieta
di conoscerla, se me lo
consentirai.»
Prima di lanciarsi in
commenti di cui avrebbe potuto pentirsi, Alekos si limitò a
domandare: «Prima
dobbiamo guarire tutti, vero?»
«Sì. Quando
anche
l’ultimo umano di questo mio mondo sarà guarito,
io sarò libera» annuì la dea
con vigore.
Alekos non riuscì a
credere alle proprie orecchie. Libera.
Astrea aveva davvero
detto quella parola, e lo aveva fatto con il sorriso sulle labbra,
conscia di
ciò che lui aveva voluto dirle e di quello che lei aveva
fatto, sbagliando.
Aveva compreso
l’inutilità della propria reclusione, accettando
il peso del proprio errore e
ponendo le basi per rimediare al dolore che aveva causato a coloro che
l’amavano.
Afferratala per la vita,
ebbro di gioia, la sollevò all’improvviso per
farle fare un mezzo giro in aria
– facendola scoppiare a ridere per la sorpresa –
finché, dopo averla riportata
a terra, non le disse: «Io ti aiuterò.
Sempre.»
Ciò detto, le diede un
bacio pieno di promesse sulle labbra, cui seguì una corsa
frettolosa – o fuga?
– verso i pazienti ricoverati nel capannone.
Astrea lo lasciò andare,
troppo stordita da quel bacio per poter fare alcunché e,
mentre osservava
Alekos piegarsi su un ferito per medicarlo coi suoi poteri benefici, un
lento
sorriso speranzoso le sgorgò sul volto.
***
Sapeva di essere stato
un emerito idiota ad averla baciata a quel modo, senza alcun preavviso
– senza
neppure chiederglielo! – ma gli era venuto spontaneo. E, se
c’era una cosa che
aveva imparato da quel folle di Dioniso, era che la
spontaneità era bella e, a
volte, necessaria.
Inoltre, anche suo padre
gli aveva detto di non tentennare, in merito ai suoi sentimenti. Si
sarebbe
scusato in seguito, con Astrea, nel caso in cui lei si fosse ritenuta
offesa da
quel bacio ma, in quel momento, era contento di averglielo dato.
La sorpresa di vederla
nuovamente in sé, unita al fatto di aver finalmente udito
quella parola – libera
– sgorgare dalle sue labbra, lo
aveva inebriato come un vino pregiato bevuto in un sol sorso.
Baciarla aveva avuto lo
stesso effetto. Era tuttora ebbro di euforia, pur se erano passate
ormai ore da
quel suo colpo di testa, e con Astrea non si erano più
parlati a causa del gran
daffare che avevano avuto da portare a termine.
Risollevandosi quando
anche l’ultimo dei suoi pazienti svanì da sotto le
sue mani, completamente
risanato dagli effetti della bomba, Alekos si guardò
intorno, e solo per
trovare accanto a sé una delle ancelle di Astrea.
La giovane – mera
emanazione della mente della dea – gli si inchinò
ossequiosa, mormorando subito
dopo: «La mia signora vi attende a Nagasaki.»
«Ti ringrazio»
disse
Alekos, concentrandosi sulla scintilla vitale di Astrea per trovarla
nel dedalo
di input di cui era composto il suo subconscio.
In un attimo fu quindi
da lei, in piedi lungo la scalinata del tempio buddista di Reisenji,
con il
sole volto a ovest e che tingeva di rosso fuoco le bianche mura della
costruzione.
Lì,
all’imbocco del
tempio, vide infine Astrea, splendente al pari dell’astro che
le stava
arrossando le gote e apparentemente paga, fiera di essere giunta ove
ora si
trovava.
Il lungo peplum
che indossava ondeggiava lieve al
passaggio della brezza serale e, mentre Alekos annullava la distanza
che li
separava, Astrea iniziò a dire: «Vinta
giace la bontà, e la vergine
Astrea, ultima degli dei, lascia la Terra madida di sangue…
così cantò di me Ovidio nelle Metamorfosi,
e io fui così sciocca da
dargli ragione.»
Alekos
la raggiunse, prese tra le sue le
mani protese di Astrea, che aggiunse: «Avrei dovuto lottare
per la bontà, non
cedere al sangue che mi ero vista grondare sulle mani. Tu mi hai fatto
capire
che, da un errore anche grave, ci si può risollevare e si
può puntare a
migliorare se stessi per non commettere più lo stesso
inciampo. Forse
inciamperò ancora, ma ancora mi rialzerò, grazie
a te.»
«E
io ti aiuterò» mormorò lui, portando
le mani di lei sul proprio torace.
Astrea
allora sorrise nel sentire il
battito feroce del cuore di Alekos, la sua forza, la sua
umanità e la sua
divinità e, nel poggiare le labbra su quelle sorprese di
lui, mormorò: «Lo
speravo.»
Quando
le loro due bocche si unirono, una
luce sfolgorante li avvolse, accecando completamente Alekos che, colto
di
sorpresa, si coprì il volto per proteggersi, lasciando
così andare le mani di
Astrea.
L’attimo
seguente, la luce svanì e con
essa la dea e, sotto gli occhi sconcertati di Alekos, il mondo
imperfetto che
fino a quel momento li aveva circondati, cominciò a
sgretolarsi sotto i suoi
piedi.
«Certo
che non conosce mezze misure!»
sbottò lui, concentrandosi per scappare da quel mondo
onirico per non venirne
schiacciato.
***
Esculapio dovette
poggiarsi alla scrivania del proprio studio per non cadere a terra e,
sorpreso
quanto confuso, si domandò cosa stesse scuotendo in modo
così totale Ras
Alhague.
Quando, però,
percepì
nettamente l’energia di Astrea espandersi come
un’onda tutt’attorno a lui,
corse fuori dallo studio per comprendere cosa stesse succedendo alla
sua
paziente più difficile. Per produrre un simile concentrato
di potere, Astrea
doveva essere…
Bloccandosi a metà di un
passo, Esculapio esalò sgomento: «E’ mai
possibile?»
Non concedendosi altro
tempo per rimuginare sui propri dubbi, Esculapio riprese la corsa per
raggiunse
in fretta il corridoio ove si trovava la stanza di Astrea.
Lì, pieno di sorpresa,
vide sgorgare da sotto la porta un’intensa lama di luce e,
preso dall’euforia,
aprì la porta nella speranza di vedere nuovamente Astrea viva dopo tanti decenni di inutili
viaggi nel suo subconscio.
Quel che però gli si
parò innanzi lo bloccò a metà di un
passo e, scoppiando a ridere per l’immensa
sorpresa e la gioia, esalò: «Questa poi!»
Piegato in ginocchio
accanto al letto di Astrea, Alekos stava baciando una ridesta
divinità che,
possessiva, teneva una mano sul collo del giovane perché non
interrompesse il
contatto con lei.
La risata di Esculapio,
però, mandò in frantumi il momento romantico e,
pian piano, la luce creata
dalla dea scemò fino a scomparire del tutto, lasciando al
suo posto solo due
giovani assai imbarazzati.
Ridendo pieno di soddisfazione,
Esculapio si avvicinò alla coppia e disse: «Se
avessi saputo che sarebbe
bastato inscenare La Bella Addormentata nel Bosco, avremmo risolto
molti anni
fa il tuo problema.»
«Prima, doveva nascere
Alekos» sottolineò Astrea, scoppiando a ridere
assieme al proprio medico.
Avvicinandosi quindi al
letto mentre Alekos si discostava un poco per poter farlo passare,
Esculapio
sorrise alla sua paziente e mormorò: «Scherzi a
parte, come ti senti?»
Astrea si lasciò
controllare senza protestare e, docile sotto le mani attente del
medico, disse:
«Mi sento viva. Era da un bel po’ che non
assaporavo questa sensazione.»
«E serviva questo bel
ragazzo, eh, per fartelo capire?» ammiccò
Esculapio, strizzando l’occhio ad
Alekos, che ridacchiò imbarazzato.
«A quanto pare,
sì»
annuì lei, sollevandosi in piedi grazie all’aiuto
del dio della medicina.
«C’è
ancora una cosa da
fare, però» intervenne Alekos, sorprendendo
entrambi.
«Cos’altro
dovresti
fare? Lei è qui, sta bene e…»
tentennò Esculapio.
Sorridendo comprensivo ad
Astrea dopo aver tranquillizzato con lo sguardo il teso dio della
medicina, lui
disse: «Deve piangere i tuoi morti.»
Astrea annuì a quelle
parole piene di verità, prese tra le sue le mani del giovane
che aveva saputo
liberarla e, osservando un turbato Esculapio, asserì:
«Alekos ha ragione. Se
non compissi l’ultimo passo, potrei ricadere vittima dei miei
stessi errori. Devo apporre
l’ultima pietra del mio
nuovo tempio.»
Ciò detto, svanirono
entrambi da Ras Alhague ed Esculapio, con un gran sospiro,
borbottò: «E ora chi
glielo spiega, a Eos, che sua figlia è sparita di nuovo?»
***
L’onda energetica
prodotta dall’implosione del mondo onirico di Astrea aveva
riverberato nei
regni celesti di ogni pantheon, e questo richiamò a Ras
Alhague una speranzosa
Eos quanto un fiducioso Astreo.
Esculapio dovette però
smorzare in parte la loro gioia. Con dovizia di particolari,
spiegò loro cosa
fosse successo, quando la sua bolla onirica era esplosa, ma anche i
motivi
della momentanea assenza della figlia.
Sbrigativa, quindi, Eos
fece per trasmutare, già pronta a raggiungere la figlia ma
Esculapio,
afferrandola gentilmente a un braccio, scosse il capo e
replicò: «Non credo sia
il caso di disturbarli proprio ora.
Hanno compiuto questo viaggio insieme, e debbono terminarlo assieme.
Inoltre,
credo debbano dirsi anche altro…»
«In che
senso?!» sbottò
Eos, irritandosi immediatamente e scacciando in malo modo la mano del
dio della
medicina.
Astreo sospirò, scosse
il capo e borbottò: «E poi ti domandi
perché non sto più con te, e anche Orione
ti ha dato il benservito dopo che vi eravate ritrovati? Se non ti dai
una
calmata, Eos, farai scappare tutti gli uomini della tua vita, e non
solo loro…
anche Astrea potrebbe decidere di darsi nuovamente alla macchia, se tu
darai di
matto così tutte le volte!»
Eos lo frizzò con uno
sguardo glaciale, già pronta a ribattere alle sue accuse,
quando questa svenne
a sorpresa tra le braccia di un sorpreso Astreo.
Subito sgomento, il
titano scoppiò in una gaia risata quando vide una siringa
ipodermica comparire nella
mano destra di Esculapio. Evidentemente, il dio-medico doveva aver
previsto le
proteste della dea, e si era premunito di qualcosa che potesse
bloccarla.
Spiacente, Esculapio disse:
«Dormirà qualche ora, così
lascerà il tempo ad Astrea e Alekos di terminare
ciò
che stanno facendo. Non potevo davvero permetterle di raggiungerli, mi
spiace.»
«Dovrai sorbirti una
reprimenda coi fiocchi, al suo risveglio» gli
ricordò Astreo.
«Non ricorderà
nulla» lo
rassicurò Esculapio, indicando poi ad Astreo dove distendere
l’ora innocua Eos.
«Quanto al resto, credo che Astrea sarà finalmente
felice, adesso, e anche il
suo carattere riottoso troverà requie… per un
po’.»
«Dovrò
abituarmi a
rivedere spesso quel giovanotto, allora?» ironizzò
Astreo.
«Credo di
sì.»
***
L’aria frizzante di
quella
tiepida mattina le ricordava molto quella di settantasette anni
addietro,
quando il suo incubo a occhi aperti aveva avuto inizio.
Istintivamente, Astrea
sollevò
gli occhi verso il cielo terso e vide le scie di diversi aerei tingere
quell’azzurro apparentemente innocuo. Ma nessuno, quella
mattina, avrebbe
sganciato la bomba.
Per la prima volta da
quella tragica mattina, non avrebbe udito quel tuono mortifero, non
avrebbe
sentito il fuoco sulla pelle, non avrebbe ascoltato le grida di terrore
delle
genti.
Tutto, in quella città
che tanto l’aveva colpita, sembrava non aver mai percepito la
potenza del fuoco
divino che si era abbattuto su di lei, quasi l’uomo avesse
operato una magia su
quella terra martoriata.
Avevano agito per
correggere il torto subito e, a distanza di così tanti
decenni, nulla sembrava
essere accaduto. Gli uomini avevano saputo rialzarsi anche da una
caduta così
rovinosa.
Quando, però, vide in
lontananza la sagoma a lei familiare del Genbaku
Dome, se ne stupì e, lanciata
un’occhiata dubbiosa ad Alekos, domandò:
«Perché è ancora in piedi?»
«E’ un monito
per tutte
le genti, affinché non accada mai più una cosa
simile» le spiegò lui
indicandole poi di imboccare l’Honkawa Bridge,
così da raggiungere la piccola
isola nel mezzo del fiume, ove si trovava il Parco del Monumento alla
Memoria.
Astrea si incamminò con
lui sempre tenendolo per mano, il caos della città che
ancora la turbava e la
rendeva sempre più consapevole di quanto si fosse persa, nel
corso degli anni.
Tutto le appariva così
diverso, così lontano dai propri ricordi, quasi alieno,
eppure sapeva di
trovarsi ancora su quella Terra per cui tanto aveva pregato e spasimato.
Si sarebbe riabituata,
comunque e, stavolta, lo avrebbe fatto con occhi più
consapevoli, anche grazie
all’aiuto di Alekos.
Raggiunto finalmente il
parco, il rumore delle auto andò scemando e, complice la
neve appena caduta
sulla città, l’ambiente si fece più
ovattato e tenue, quasi trascendente.
Il rumore dei loro passi
sul selciato perfettamente pulito si intervallava a quello delle auto
in
lontananza, o a quello più delicato degli uccelletti che si
involvano tra una
pianta e l’altra.
Tutto sembrava essere
stato concepito per portare pace a coloro i quali si fossero
avventurati in
quel piccolo boschetto, ricreato appositamente per dare degno riposo
alle
vittime dell’atomica.
Le linee minimaliste e
squadrate dei muriccioli si intervallavano ai curvilinei sentieri del
parco,
che conducevano tutti alla lunga vasca ricolma d’acqua
– ora ghiacciata –
culminante con il Cenotafio della Memoria.
Lì, sotto un imponente
arco di pietra grigia, Astrea scorse infine una Fiamma Eterna che, come
le
spiegò Alekos, era stata accesa per la prima volta nel 1964,
in memoria di
tutti i caduti.
Dinanzi alla fiamma,
grandi fioriere di pietra adornavano il luogo di preghiera
lì eretto e, appese
ad alcune di esse, collane di gru di carta accompagnavano le
invocazioni
silenziose di coloro che le avevano lasciate.
Astrea le fissò con
occhi ricolmi di lacrime e, non potendo evitarlo, si lasciò
cadere in ginocchio
e pianse.
Alekos le rimase
accanto, inginocchiandosi a sua volta e, finalmente, vide calde lacrime
sgorgare dagli occhi di colomba di Astrea. Una dopo l’altra,
quelle lacrime
andarono a cancellare le ferite accumulate dopo più di
settant’anni di
penitente castigo.
Una a una, tersero il
suo animo piagato e, attimo dopo attimo, le piaghe si rimarginarono
sotto gli
occhi sempre più sereni e fiduciosi di Alekos.
Astrea non si sarebbe
persa una seconda volta. Finalmente, era davvero
libera.
«La perfezione non
esiste, neppure per le divinità, e l’uomo ci
ricorda che, per quanto possiamo
essere potenti, neppure noi siamo in grado di controllare ogni
cosa» mormorò
Alekos, reclinando poi il viso per una muta preghiera.
Astrea annuì e, nel
tergersi le lacrime dal volto, disse: «Hanno saputo rialzarsi
dalla sconfitta e
dall’annientamento come io, invece, non sono stata in grado
di fare senza di
te. Hanno dimostrato di essere ben più potenti di un
dio.»
«Avevano dalla loro
l’incognita offerta dal tempo. Nessuno di loro poteva
perderne, e così si sono
rimboccati le maniche e sono andati avanti» chiosò
Alekos, offrendole una mano
per risollevarsi da terra quando la dea si sentì pronta per
farlo.
Annuendo, la dea si
elevò al pari del giovane e asserì:
«Io, invece, potevo disporre di tutto il
tempo del mondo ma, invece di sfruttarlo per riportare la
bontà e la gioia,
l’ho sfruttato per produrre dolore. Sono stata una ben misera
dea.»
Lui emise un risolino e,
con ironia, replicò: «Devo ricordarti che io, nei
miei momenti di onnipotenza
suprema, stavo per uccidere mio padre e tutti coloro che erano legati
all’oscurità? Volevo persino mettere sul trono
dell’Olimpo mia madre, e
trovarle un compagno che io ritenessi degno di tale nome!»
Astrea sorrise di quel
commento autoironico, ribattendo: «D’accordo, anche
tu non hai scherzato, lo
ammetto. E credo che tua madre ti avrebbe ucciso, prima di concederti
il dubbio
onore di trovarle un uomo.»
Lui assentì nel tornare
serio
e, dopo averle sistemato la sciarpa che indossava attorno al collo
– ottenendo
in risposta un dolce sorriso –ammise con tono fiacco:
«Ho avuto paura per tutto
il tempo, fin da quando Eris mi ha riportato alla vita. Temevo di
tornare a
sbagliare, di ricadere nei vecchi errori ma, quando ho saputo di te e
di ciò a
cui ti eri sottoposta volontariamente, ho capito di poterti aiutare e,
grazie a
te, avrei potuto aiutare anche me stesso a diventare una persona
migliore.»
«E ci sei riuscito? A
diventare una persona migliore?» gli domandò lei.
«Non lo so. Ma
lavorerò
ogni giorno per diventare ciò che io penso sia una persona
migliore. Il tempo
non mi manca» ammiccò lui arrischiandosi ad
abbracciarla.
Astrea ricambiò
l’abbraccio e poggiò il capo contro la sua spalla,
assaporando il suo calore,
la sua presenza, il tenero sentimento che sentiva nel suo cuore
nuovamente
riaperto alla vita.
Mai avrebbe pensato che
proprio lei, la vergine giustizia, avrebbe avuto bisogno di aprirsi
all’amore,
per capire, eppure era accaduto.
Alekos era stato l’unico
in grado di infrangere la barriera di puro dolore che aveva eretto
dinanzi e
tutt’attorno a sé, e lo aveva fatto mostrando
soltanto se stesso. Aveva messo
sul piatto della bilancia i suoi difetti, non ne aveva fatto mistero,
facendole
comprendere come chiunque di loro fosse fallibile, anche una creatura
votata
alla luce.
Sorridendo, infine
mormorò: «Dovrò chiedere scusa a
Eris… l’ho sempre giudicata male, fiera
com’ero del mio essere la Giustizia, ma ora capisco che anche
lei ha sempre
avuto un ruolo decisivo, perché ciò che
rappresentavo potesse compiersi. Anche
quando spingeva qualcuno verso l’abisso, altri venivano
spinti ad agire per il
bene. Tutto era interconnesso.»
Lui sorrise nello
sciogliere l’abbraccio dalla dea e, ammiccando,
chiosò: «Dubito che se ne farà
qualcosa, delle tue scuse. Non le ama molto. Ma, se la libererai da
Dioniso, ti
sarà eternamente grata.»
Scoppiando a ridere,
Astrea esalò: «Ma… proprio non vuole il
suo spasimante?»
Grattandosi pensieroso
una guancia, Alekos ammise: «Per la verità, credo
le piaccia essere tampinata
nel modo in cui sta facendo Dioniso, ma è troppo orgogliosa
per ammetterlo.
Inoltre, credo che sfuggirgli la diverta, esattamente come diverte
Dioniso il
rincorrerla.»
Astrea fece per
commentare quando, di colpo, rise di se stessa e celiò:
«Stavo per ridere della
cosa, ma io dovrei davvero tacere, quanto a questo.»
«E
perché?» volle sapere
Alekos.
La dea, allora, levò i
suoi dolci occhi fumosi su di lui e mormorò: «Io
ho trovato l’amore sotto le
bombe, e ho quasi mandato al Creatore colui che ha toccato il mio
cuore, liberandomi
dalla prigionia che mi ero imposta. Chi sono, dunque, per criticare il
modo in
cui Eris e Dioniso gestiscono la loro relazione?»
Alekos non disse nulla,
limitandosi a chinare il capo per baciarla ed Eros, dal suo
privilegiato punto
di avvistamento, reclinò il binocolo con cui li aveva tenuti
d’occhio fino a
quel momento e si dichiarò soddisfatto del risultato.
Psiche, seduta accanto a
lui sul terrazzino dell’appartamento che stavano
temporaneamente utilizzando
per il loro appostamento, domandò: «Era davvero il
caso di venire a spiarli?»
«Con i loro precedenti?
Era obbligatorio!»
ironizzò Eros,
offrendole un drink mentre, per sé, prendeva una fragola
ricoperta di
cioccolato da un cestino d’argento.
Per quell’appostamento
ideato tra capo e collo, Eros non aveva comunque voluto rinunciare alle
comodità perciò, dopo aver trovato un
appartamento nella posizione ideale per
spiarli, aveva creato quel piccolo buffet. Perché stare
scomodi, quando si
poteva evitarlo?
«Sono entrambi dei
neofiti, nel campo dell’amore, e dovevo per
forza tenerli d’occhio ancora un
po’» dichiarò dopo qualche istante,
sorseggiando del buon prosecco veneto.
Psiche allora gli
sorrise divertita, si allungò per dargli un bacio al sapore
di vodka e replicò:
«Dillo, che ti piacciono i lieti fine.»
«Sono o non sono il dio
dell’amore?»
La dea assentì con un
risolino e, nell’afferrare il binocolo di Eros, lo
puntò in direzione del parco
per poi cercare la coppia appena formatasi.
Nel vederli avviarsi
mano nella mano, le teste vicine mentre si guardavano vicendevolmente
con occhi
pieni di speranza, domandò: «Credi che dovremmo
andare da loro?»
«Naah. Lasciamoli soli.
Per qualche ora ancora, possiamo lasciarli stare, poi potremo
cominciare a prenderli
in giro» ammiccò Eros, facendola scoppiare a
ridere.
«Non vedo
l’ora» celiò
Psiche prima di poggiare il binocolo, lanciare uno sguardo infuocato al
suo
uomo e mormorare: «Mentre aspettiamo che loro tubino un
po’, potremmo
inventarci qualcosa. Che dici?»
Eros non ci pensò sopra
due volte. Con un balzo, si levò dallo sdraio su cui si era
sistemato, prese
tra le braccia una già eccitata Psiche e, nel chiudersi
dentro la stanza da
letto dell’appartamento, si chiese fuggevolmente quando
sarebbero rientrati i
padroni di casa.
Farsi beccare in
atteggiamenti intimi da dei perfetti sconosciuti, poteva essere
divertente.
N.d.A.: la frase di Ovidio citata da Astrea è stata la spinta per scrivere di lei e del mondo onirico da lei creato. E' stata anche la spinta giusta per creare il legame tra Astrea e Alekos. Spero che le mie scelte abbiano incontrato il vostro favore o che, per lo meno, vi abbiano fatto passare un po' di tempo in sano relax. Con il prossimo capitolo, giungeremo alla fine di questa lunghissima (almeno per i miei standard) storia ... sempre che a qualche divinità non venga in mente di farmi scrivere altro! A presto!