CAPITOLO DODICI
“Einstein sbagliò
quando disse; Dio non gioca a dadi.
La considerazione dei
buchi neri suggerisce
infatti non solo che Dio
gioca a dadi,
ma che a volte ci
confonde
gettandoli dove non li
si può vedere”.
“E’ quando le
aspettative sono ridotte a zero
che si apprezza
veramente ciò che si ha”.
Stephen Hawking.
Il plico contiene anche
un’audiocassetta.
L’inserisco
nell’apposito lettore nonostante sia notte fonda e mi tremino le mani.
Ancora forse non ho
compreso quel che è accaduto, o almeno così è finché non iniziano a sciogliersi
diversi dialoghi registrati.
La voce di Morrow,
forte e chiara come quando l’ho ascoltata qualche ora fa, risuona con vigore in
tutta la stanza.
“Ora, onorevole
senatore, è consapevole che le sue parole stanno venendo registrate e che tutto
quello che sa verrà distrutto assieme a lei?”
Il mio cuore torna a
battere ancora più forte. Una serie di frasi si susseguono confuse, è come se
la registrazione sia stata modificata, appunto preparata per essere ascoltata
una volta sola, chissà da chi, e poi cancellata.
“Fatemi uscire da qui”
implora la voce di un anziano. Presumo si tratti di quella del senatore.
“Lei è malato e
decidiamo noi la cura. O parla su chi ha cantato a riguardo degli scopi della
nostra clinica, oppure affronterà la terapia che abbiamo previsto per lei”.
L’anziano grida e geme,
poi la registrazione torna a manifestare alcuni disturbi, prima di riprendere
con chiarezza. Solo che adesso l’interrogato singhiozza in modo disperato e il
carnefice, il dottor Morrow, infierisce con altre domande della serie; chi ha
parlato? Perché lei voleva denunciarci pubblicamente? Perché ha voluto
complicare tutto?
La sequenza si conclude
con un grido strozzato e una promessa di morte.
Sono sconvolto. Che si
tratti davvero di Stradford? Non ho mai sentito la sua voce, ma quella di
Morrow è facilmente riconoscibile in tutta la sua freddezza.
In ogni caso, in quel
lager accadono cose terribili.
Sfogliando il plico,
trovo alcune frasi evidenziate, che riportano alcune indagini svolte da agenti
privati o sotto copertura, che dichiarano attività illecite attorno alla
struttura.
Qualcosa non torna,
quelle persone mi hanno mentito appieno. Ora però conosco la fonte di ogni
male.
Le domande che mi
frullano in testa sono tantissime, un’infinità; così tante che resto fino al
mattino a camminare avanti e indietro in soggiorno, solo, a riflettere.
Ciò che più mi tormenta
riguarda il fatto che non sia mai emerso niente. Agli occhi della Legge e dello
Stato, St. Mary è una clinica esemplare. Eppure tanti altri prima di me hanno
indagato, scoperto, scritto e raccolto.
Ho tra le mani una
miniera d’oro, senza nemmeno essermela meritata. Quella ragazza come faceva a
esserne in possesso? Che sia riuscita a sottrarla dall’ufficio di Morrow, data
la sua libertà di movimento all’interno della struttura? Tante, troppe cose non
tornano.
L’unica cosa certa è
che adesso ho tra le mani tutto ciò che mi serve per far scattare una denuncia
e far chiudere quel luogo terribile.
Non saluto nemmeno la
mia famiglia, me ne vado di casa all’alba e inizio a girare a vuoto per la
grande città, solo con il mio plico di testimonianze schiaccianti, senza saper
bene cosa fare. Consegnerei tutto all’istante a Ramsey, ma allora perché
quell’invito alla cautela? Forse dovrei leggere tutto quello che è scritto,
poiché finora solo qualche riga è stata visionata dai miei affaticati occhi.
La mia lunga esperienza
lavorativa, seppur banale, mi ha insegnato che nulla è scontato o troppo
facile, temo che ci sia sotto l’inghippo.
Allora, alla fine,
decido di procedere con i piedi di piombo; prima offrirò a Ramsey ciò che ho
avuto modo di ascoltare e quel poco che ho letto, che tanto può bastare per
cominciare a far indagare più seriamente sul caso, che sta per essere
archiviato.
Mi reco subito con
puntualità nel suo ufficio, consapevole che quello che doveva essere un
resoconto negativo sta per trasformarsi in una svolta repentina, ritenuta
impossibile solo il giorno prima.
Mostro a Ramsey
l’audiocassetta e lo invito ad ascoltare.
All’inizio mi osserva
senza dire nulla, imperturbabile, forse non sa cosa aspettarsi, ma non appena
sente le voci e le prime disperate battute…
“Da dove proviene
questa roba?”
“L’ho trovata. Sono
prove” replico.
“Cazzate” mormora lui,
e per la prima volta lo vedo scosso.
“Cazzate” ripete ancora
“questa…” e sventola l’audiocassetta, dopo averla estratta dalla vecchia radio,
“… chissà cosa è. Non c’entra niente. Mi dica, le ha dato di volta il
cervello?”
Al cospetto della sua
cattiveria gratuita, gli allungo alcune testimonianze contenute nel plico, tra
quelle raccolte da chi prima di me aveva ficcanasato nella vicenda. Lui dà una
rapida occhiata e sbianca.
“Forse è meglio
riparlarne, Barley” riesce a dire, soltanto. Con le mani tremanti, appoggia i
fogli sulla sua scrivania.
“Se mi concede un
mandato, vado subito a far chiarezza presso la clinica…” provo a mostrarmi
fermo, eppure Ramsey si dimostra autoritario.
“Vada a casa e riposi,
per ora. Le farò sapere presto qualcosa, e mi raccomando, nessuna iniziativa
personale” e mi indica la porta.
Perplesso, faccio come
mi è stato detto.
Mentre abbandono
l’ufficio, mi rimbalza nella mente il viso tirato del mio superiore, per nulla
stupito, ma anzi, spaventato e incredulo. Ho fatto centro? Ma no, se l’avessi
fatto mi avrebbe permesso di intervenire immediatamente.
Allora… un terribile
dubbio inizia ad aleggiare nella mia mente. Perché mi manda a casa a riposare e
mi farà sapere? Perché quell’attacco di rabbia dopo l’aver ascoltato
l’audiocassetta? Perché ha voluto trattenere tutto lui?
Esco dal commissariato
e un’auto famigliare accosta e si abbassa il finestrino. Dietro gli occhiali
scuri, da sole, non fatico a riconoscere la signorina Stradford.
“Salga a bordo, si
sbrighi” ordina.
Lo sportello si apre.
Sto per ribattere,
vorrei ricordarle che indosso una divisa, stupida viziata, però mi trattengo.
Sono troppo confuso per non accettare e non salire in quella macchina.
“Le è piaciuta la
sorpresa?”
La sua domanda mi
coglie proprio mentre sto per intimarle di smetterla di venirmi a cercare.
“Quale?”
“I fascicoli che le
sono giunti tra le mani”.
Avrei dovuto sospettare
che ci fosse lei dietro all’allettante evento.
“Signorina, deve
smettere di interferire…”.
“Ma le mie interferenze
sono ciò che non farà insabbiare di nuovo il caso! Quella clinica è un posto
malato dove tutto è gestito da loschi traffici e da politici corrotti! Agente,
mi dica che ha letto durante tutta questa notte” quasi grida.
Scuoto negativamente la
testa, con vergogna.
“Deve leggere, leggere
tutto e al più presto”.
“Signorina, sta
giocando un gioco pericoloso, lo sa?”
Non voglio farle la
paternale, ma inizio sinceramente a preoccuparmi, più per me stesso che per
lei. Lei è ricca, può tutto. Io non sono nessuno, sono quasi povero e non ho
amici che possano aiutarmi in una situazione spinosa. Non posso commettere
passi falsi di nessun genere.
“Non mi importa come
sto giocando. È della vita di mio padre e di altre persone che si sta parlando,
e per questo voglio giustizia; deve ascoltarmi, agente”.
“Deve ascoltare anche
me, se vuole che andiamo d’accordo”.
Stradford inchioda
l’auto e mi fa cenno di scendere, sorridendo serafica.
“Quando si sarà
chiarito le idee e avrà capito che le conviene stare dalla mia parte, allora mi
chiederà in ginocchio di offrirle altro aiuto. Nel frattempo, la lascio per un
po’ a bollire nel suo brodo amaro”.
Apro lo sportello e con
risolutezza abbandono l’automobile, nella speranza che nessun conoscente ci
abbia visto assieme.
Mentre richiudo lo
sportello con forza, un biglietto riesce a uscire comunque dall’abitacolo e a
volteggiare sul marciapiede.
“Chiami questo numero,
appena tutto le sarà più chiaro. È una linea protetta…” e l’auto sguscia via
nell’anonimo traffico cittadino.
Per un istante penso che
non lo devo fare, ma poi mi chino a raccogliere il numero di telefono scritto a
penna e a ficcarmelo con forza nella tasca della divisa. Mi preparo anche a una
bella camminatina, per tornare in commissariato.
Inizio a detestare
sempre più il mio lavoro, mentre la mia mente è sempre più confusa.
Abbiamo la convinzione di poter vivere in eterno. Siamo così
tanto sbagliati da non accorgerci che il tempo è un inganno, e che ci sta
prendendo in giro fin dal giorno in cui siamo nati, e così sarà finché moriremo.
Non sappiamo dosarlo né gestirlo; mi sono accorto di non
saperlo nemmeno fermare. O, per lo meno, si può fermare tramite foto, ritratto
o quant’altro, ma resta pur sempre una rappresentazione effimera di una realtà
ormai irreparabilmente mutata.
Mi viene da piangere a pensare com’era prima e com’è ora. Mi
mancano i nonni, mi mancano tante persone. Il tempo non me le restituirà più.
Scorre per tutti, scorre per tutto.
Eppure… c’è chi afferma che, in prossimità di un buco nero,
esso si dilati. L’unico punto nell’Universo infinito in cui ciò accade. E se
vieni attratto da quel nulla, per un po’ tutto si ferma.
Vorrei finire in un buco nero e lasciare che le mie molecole
si squaglino man mano, lentamente, nel tempo dilatato. Vedere la mia fine al
rallentatore, oppure restare sospeso per qualche istante in una realtà che mi
dà la sensazione di non cambiare, ma che invece cambia, solo che ciò accade in
maniera differente.
Allora anche il concetto di tempo è relativo? Forse sì, ma
per noi umani di questo pianeta resta un qualcosa d’inafferrabile. Le nostre
vite sono solo un rapido guizzo di materia, tutto finisce prima ancora di
realizzarlo.
Basti pensare agli anni, come volano; sembra ieri che era il
mio compleanno, invece sono già passati dodici mesi esatti. Non siamo niente se
non una breve parentesi immersa in un Universo infinito e in costante
espansione.
Allora perché non dormiamo sonni tranquilli, la notte? Tanto
moriremo tutti, prima o poi. Tanto le nostre lotte non hanno senso, in questo
Universo infinito.
Cosa contiamo, noi, in realtà? Non siamo nemmeno un granello
di sabbia, in questo cosmo. Così come le nostre stupide storie, che siano
d’odio, d’amore o semplicemente di carne e sesso… non conta nulla.
Mettiamoci le anime in pace e prepariamoci alla fine. Amen.
L’unico Figlio di Dio è disceso sulla Terra per arginare
questi fragili figlioletti e salvarli dal Peccato Originale tramite il Suo
Sacrificio. E, pensiamo, chi al giorno d’oggi morirebbe per un amico, anche se
è il migliore che abbiamo? Nessuno. Figuriamoci per salvare l’Umanità.
Sia lodato il Bene, poiché esso è l’unico sentimento che sa
andare oltre il concetto di tempo.
Io sono solo un corpo e nella mia carnalità non conosco
risposte. Per trovarne alcune, mi affido all’animo.
Che sta succedendo nella mia monotona vita, ora che alcuni
personaggi stanno prendendo il sopravvento? Mi sembro un libro ancora da
scrivere.
Solo il prossimo capitolo, come se fosse il futuro, saprà
dare risposte… e chissà che non riesca a rincontrare di nuovo G, il fantomatico
G, l’uomo che ho elevato sopra a ogni altro umano. Che ho idealizzato, forse.
Ma che razza di persona è G?
Io me l’immagino come la perfezione, ma lo è davvero? Certo,
ciascuno di noi ha i suoi difetti e i suoi lati oscuri, per carità, ma mi
piacerebbe trovare un pilastro, un esempio per la mia vita futura. E questo
soggetto mi è parso fin da subito il più alla mano, così diverso da me e così
capace di riuscire, nella vita quotidiana.
Per ora mi limito a pensarlo continuamente, a inseguirlo con
lo sguardo se lo vedo in lontananza, eppure spero così tanto che mi capiti
appresso di nuovo…