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Autore: alessandroago_94    13/07/2020    15 recensioni
Alex è un giovane uomo pieno di dubbi e di voglia di mettere in carreggiata la propria vita, che spesso gli appare senza senso. È infatti vittima di un’ossessione, quella riguardante una persona idealizzata, o forse un suo stesso personaggio inventato; il fantomatico G.
Alla ricerca costante di questa persona si aggiunge una ricerca interiore, quella riguardante sé stesso.
Nel frattempo, dall’altra parte del mondo, l’agente James Barley, prossimo al pensionamento, si ritrova immischiato in una vicenda quasi assurda. Immerso in una società dell’orrore dove regnano bugie e disonestà, e dove sono solo i soldi a fare la differenza tra gli esseri umani, indagherà a riguardo di una clinica privata in cui si effettuano strani e proibiti esperimenti.
Le due vicende si intrecciano, anche se non si incontrano mai definitivamente. Possibile che anche questo racconto sia tutta una grande bugia? Un Limbo, appunto. Un Limbo dei Bugiardi. Un luogo immaginario in cui regnano solo le maschere.
Genere: Azione, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo dodici

CAPITOLO DODICI

 

 

 

 

 

 

 

 

“Einstein sbagliò quando disse; Dio non gioca a dadi.

La considerazione dei buchi neri suggerisce

infatti non solo che Dio gioca a dadi,

ma che a volte ci confonde

gettandoli dove non li si può vedere”.

 

“E’ quando le aspettative sono ridotte a zero

che si apprezza veramente ciò che si ha”.

Stephen Hawking.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il plico contiene anche un’audiocassetta.

L’inserisco nell’apposito lettore nonostante sia notte fonda e mi tremino le mani.

Ancora forse non ho compreso quel che è accaduto, o almeno così è finché non iniziano a sciogliersi diversi dialoghi registrati.

La voce di Morrow, forte e chiara come quando l’ho ascoltata qualche ora fa, risuona con vigore in tutta la stanza.

“Ora, onorevole senatore, è consapevole che le sue parole stanno venendo registrate e che tutto quello che sa verrà distrutto assieme a lei?”

Il mio cuore torna a battere ancora più forte. Una serie di frasi si susseguono confuse, è come se la registrazione sia stata modificata, appunto preparata per essere ascoltata una volta sola, chissà da chi, e poi cancellata.

“Fatemi uscire da qui” implora la voce di un anziano. Presumo si tratti di quella del senatore.

“Lei è malato e decidiamo noi la cura. O parla su chi ha cantato a riguardo degli scopi della nostra clinica, oppure affronterà la terapia che abbiamo previsto per lei”.

L’anziano grida e geme, poi la registrazione torna a manifestare alcuni disturbi, prima di riprendere con chiarezza. Solo che adesso l’interrogato singhiozza in modo disperato e il carnefice, il dottor Morrow, infierisce con altre domande della serie; chi ha parlato? Perché lei voleva denunciarci pubblicamente? Perché ha voluto complicare tutto?

La sequenza si conclude con un grido strozzato e una promessa di morte.

Sono sconvolto. Che si tratti davvero di Stradford? Non ho mai sentito la sua voce, ma quella di Morrow è facilmente riconoscibile in tutta la sua freddezza.

In ogni caso, in quel lager accadono cose terribili.

Sfogliando il plico, trovo alcune frasi evidenziate, che riportano alcune indagini svolte da agenti privati o sotto copertura, che dichiarano attività illecite attorno alla struttura.

Qualcosa non torna, quelle persone mi hanno mentito appieno. Ora però conosco la fonte di ogni male.

Le domande che mi frullano in testa sono tantissime, un’infinità; così tante che resto fino al mattino a camminare avanti e indietro in soggiorno, solo, a riflettere.

 

Ciò che più mi tormenta riguarda il fatto che non sia mai emerso niente. Agli occhi della Legge e dello Stato, St. Mary è una clinica esemplare. Eppure tanti altri prima di me hanno indagato, scoperto, scritto e raccolto.

Ho tra le mani una miniera d’oro, senza nemmeno essermela meritata. Quella ragazza come faceva a esserne in possesso? Che sia riuscita a sottrarla dall’ufficio di Morrow, data la sua libertà di movimento all’interno della struttura? Tante, troppe cose non tornano.

L’unica cosa certa è che adesso ho tra le mani tutto ciò che mi serve per far scattare una denuncia e far chiudere quel luogo terribile.

Non saluto nemmeno la mia famiglia, me ne vado di casa all’alba e inizio a girare a vuoto per la grande città, solo con il mio plico di testimonianze schiaccianti, senza saper bene cosa fare. Consegnerei tutto all’istante a Ramsey, ma allora perché quell’invito alla cautela? Forse dovrei leggere tutto quello che è scritto, poiché finora solo qualche riga è stata visionata dai miei affaticati occhi.

La mia lunga esperienza lavorativa, seppur banale, mi ha insegnato che nulla è scontato o troppo facile, temo che ci sia sotto l’inghippo.

Allora, alla fine, decido di procedere con i piedi di piombo; prima offrirò a Ramsey ciò che ho avuto modo di ascoltare e quel poco che ho letto, che tanto può bastare per cominciare a far indagare più seriamente sul caso, che sta per essere archiviato.

Mi reco subito con puntualità nel suo ufficio, consapevole che quello che doveva essere un resoconto negativo sta per trasformarsi in una svolta repentina, ritenuta impossibile solo il giorno prima.

 

Mostro a Ramsey l’audiocassetta e lo invito ad ascoltare.

All’inizio mi osserva senza dire nulla, imperturbabile, forse non sa cosa aspettarsi, ma non appena sente le voci e le prime disperate battute…

“Da dove proviene questa roba?”

“L’ho trovata. Sono prove” replico.

“Cazzate” mormora lui, e per la prima volta lo vedo scosso.

“Cazzate” ripete ancora “questa…” e sventola l’audiocassetta, dopo averla estratta dalla vecchia radio, “… chissà cosa è. Non c’entra niente. Mi dica, le ha dato di volta il cervello?”

Al cospetto della sua cattiveria gratuita, gli allungo alcune testimonianze contenute nel plico, tra quelle raccolte da chi prima di me aveva ficcanasato nella vicenda. Lui dà una rapida occhiata e sbianca.

“Forse è meglio riparlarne, Barley” riesce a dire, soltanto. Con le mani tremanti, appoggia i fogli sulla sua scrivania.

“Se mi concede un mandato, vado subito a far chiarezza presso la clinica…” provo a mostrarmi fermo, eppure Ramsey si dimostra autoritario.

“Vada a casa e riposi, per ora. Le farò sapere presto qualcosa, e mi raccomando, nessuna iniziativa personale” e mi indica la porta.

Perplesso, faccio come mi è stato detto.

Mentre abbandono l’ufficio, mi rimbalza nella mente il viso tirato del mio superiore, per nulla stupito, ma anzi, spaventato e incredulo. Ho fatto centro? Ma no, se l’avessi fatto mi avrebbe permesso di intervenire immediatamente.

Allora… un terribile dubbio inizia ad aleggiare nella mia mente. Perché mi manda a casa a riposare e mi farà sapere? Perché quell’attacco di rabbia dopo l’aver ascoltato l’audiocassetta? Perché ha voluto trattenere tutto lui?

 

Esco dal commissariato e un’auto famigliare accosta e si abbassa il finestrino. Dietro gli occhiali scuri, da sole, non fatico a riconoscere la signorina Stradford.

“Salga a bordo, si sbrighi” ordina.

Lo sportello si apre.

Sto per ribattere, vorrei ricordarle che indosso una divisa, stupida viziata, però mi trattengo. Sono troppo confuso per non accettare e non salire in quella macchina.

“Le è piaciuta la sorpresa?”

La sua domanda mi coglie proprio mentre sto per intimarle di smetterla di venirmi a cercare.

“Quale?”

“I fascicoli che le sono giunti tra le mani”.

Avrei dovuto sospettare che ci fosse lei dietro all’allettante evento.

“Signorina, deve smettere di interferire…”.

“Ma le mie interferenze sono ciò che non farà insabbiare di nuovo il caso! Quella clinica è un posto malato dove tutto è gestito da loschi traffici e da politici corrotti! Agente, mi dica che ha letto durante tutta questa notte” quasi grida.

Scuoto negativamente la testa, con vergogna.

“Deve leggere, leggere tutto e al più presto”.

“Signorina, sta giocando un gioco pericoloso, lo sa?”

Non voglio farle la paternale, ma inizio sinceramente a preoccuparmi, più per me stesso che per lei. Lei è ricca, può tutto. Io non sono nessuno, sono quasi povero e non ho amici che possano aiutarmi in una situazione spinosa. Non posso commettere passi falsi di nessun genere.

“Non mi importa come sto giocando. È della vita di mio padre e di altre persone che si sta parlando, e per questo voglio giustizia; deve ascoltarmi, agente”.

“Deve ascoltare anche me, se vuole che andiamo d’accordo”.

Stradford inchioda l’auto e mi fa cenno di scendere, sorridendo serafica.

“Quando si sarà chiarito le idee e avrà capito che le conviene stare dalla mia parte, allora mi chiederà in ginocchio di offrirle altro aiuto. Nel frattempo, la lascio per un po’ a bollire nel suo brodo amaro”.

Apro lo sportello e con risolutezza abbandono l’automobile, nella speranza che nessun conoscente ci abbia visto assieme.

Mentre richiudo lo sportello con forza, un biglietto riesce a uscire comunque dall’abitacolo e a volteggiare sul marciapiede.

“Chiami questo numero, appena tutto le sarà più chiaro. È una linea protetta…” e l’auto sguscia via nell’anonimo traffico cittadino.

Per un istante penso che non lo devo fare, ma poi mi chino a raccogliere il numero di telefono scritto a penna e a ficcarmelo con forza nella tasca della divisa. Mi preparo anche a una bella camminatina, per tornare in commissariato.

Inizio a detestare sempre più il mio lavoro, mentre la mia mente è sempre più confusa.

 

Abbiamo la convinzione di poter vivere in eterno. Siamo così tanto sbagliati da non accorgerci che il tempo è un inganno, e che ci sta prendendo in giro fin dal giorno in cui siamo nati, e così sarà finché moriremo.

Non sappiamo dosarlo né gestirlo; mi sono accorto di non saperlo nemmeno fermare. O, per lo meno, si può fermare tramite foto, ritratto o quant’altro, ma resta pur sempre una rappresentazione effimera di una realtà ormai irreparabilmente mutata.

Mi viene da piangere a pensare com’era prima e com’è ora. Mi mancano i nonni, mi mancano tante persone. Il tempo non me le restituirà più.

Scorre per tutti, scorre per tutto.

Eppure… c’è chi afferma che, in prossimità di un buco nero, esso si dilati. L’unico punto nell’Universo infinito in cui ciò accade. E se vieni attratto da quel nulla, per un po’ tutto si ferma.

Vorrei finire in un buco nero e lasciare che le mie molecole si squaglino man mano, lentamente, nel tempo dilatato. Vedere la mia fine al rallentatore, oppure restare sospeso per qualche istante in una realtà che mi dà la sensazione di non cambiare, ma che invece cambia, solo che ciò accade in maniera differente.

Allora anche il concetto di tempo è relativo? Forse sì, ma per noi umani di questo pianeta resta un qualcosa d’inafferrabile. Le nostre vite sono solo un rapido guizzo di materia, tutto finisce prima ancora di realizzarlo.

Basti pensare agli anni, come volano; sembra ieri che era il mio compleanno, invece sono già passati dodici mesi esatti. Non siamo niente se non una breve parentesi immersa in un Universo infinito e in costante espansione.

Allora perché non dormiamo sonni tranquilli, la notte? Tanto moriremo tutti, prima o poi. Tanto le nostre lotte non hanno senso, in questo Universo infinito.

Cosa contiamo, noi, in realtà? Non siamo nemmeno un granello di sabbia, in questo cosmo. Così come le nostre stupide storie, che siano d’odio, d’amore o semplicemente di carne e sesso… non conta nulla.

Mettiamoci le anime in pace e prepariamoci alla fine. Amen.

 

L’unico Figlio di Dio è disceso sulla Terra per arginare questi fragili figlioletti e salvarli dal Peccato Originale tramite il Suo Sacrificio. E, pensiamo, chi al giorno d’oggi morirebbe per un amico, anche se è il migliore che abbiamo? Nessuno. Figuriamoci per salvare l’Umanità.

Sia lodato il Bene, poiché esso è l’unico sentimento che sa andare oltre il concetto di tempo.

 

Io sono solo un corpo e nella mia carnalità non conosco risposte. Per trovarne alcune, mi affido all’animo.

Che sta succedendo nella mia monotona vita, ora che alcuni personaggi stanno prendendo il sopravvento? Mi sembro un libro ancora da scrivere.

Solo il prossimo capitolo, come se fosse il futuro, saprà dare risposte… e chissà che non riesca a rincontrare di nuovo G, il fantomatico G, l’uomo che ho elevato sopra a ogni altro umano. Che ho idealizzato, forse. Ma che razza di persona è G?

Io me l’immagino come la perfezione, ma lo è davvero? Certo, ciascuno di noi ha i suoi difetti e i suoi lati oscuri, per carità, ma mi piacerebbe trovare un pilastro, un esempio per la mia vita futura. E questo soggetto mi è parso fin da subito il più alla mano, così diverso da me e così capace di riuscire, nella vita quotidiana.

Per ora mi limito a pensarlo continuamente, a inseguirlo con lo sguardo se lo vedo in lontananza, eppure spero così tanto che mi capiti appresso di nuovo…

   
 
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