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Autore: Smaug The Great    15/07/2020    8 recensioni
|INTERATTIVA| The Umbrella Academy AU|ISCRIZIONI APERTE FINO AL 8/12
L'Umbrella Academy è stata, per cinque gloriosi anni, la squadra anti-crimine del mondo magico: un gruppo di bambini prodigio, baciati dal destino e dotati di abilità magiche fuori dall'ordinario, messi al servizio della giustizia da un padre celeberrimo. Padre adottivo, in realtà. Perché i nove ragazzini dell'Umbrella Academy sono nati nello stesso momento ma in posti differenti e sono, soprattutto, frutto di una profezia centenaria che ne decantava la lotta contro il male magico. E per cinque anni, dai dodici fino al diploma a Hogwarts, è stato così.
Poi i bambini sono cresciuti e l'Accademia si è disgregata, crollata dall'interno per le più svariate ragioni. A distanza di otto anni, si riunisce per il funerale dell'uomo più celebre ed enigmatico del Mondo Magico. Octavius Cleremont è morto, solo e in una stanza di ospedale, delirando su nemici invisibili che volevano la sua testa.
E ora, mentre i suoi figli si ritrovano dopo anni e si incastrano nel puzzle della sua morte, i nemici brindano sulla sua tomba e tornano a complottare nell'ombra.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo IV
Mezze verità
 

 
“«Abbi caro chi cerca la verità
ma sta’ in guardia da coloro che la trovano»”
Voltaire
 
 




 12 giugno 2011, Rosewood (UK), Umbrella Academy 
«Padre, volevi vedermi?» 
La figura alta e ben piazzata di Rigel, che a sedici anni sembrava averne almeno tre in più, si stagliava sulla porta, i capelli tirati indietro e la giacca verde infilata di fretta, una spalla scoperta e la cerniera chiusa solo a metà. A giudicare dalla pelle scolorita e dalle profonde ombre nere sotto gli occhi, doveva aver avuto difficoltà a dormire. Octavius pensò, squadrandolo con occhio critico, che si stava lasciando andare.
Quella mattina aveva trovato in casa, di ritorno da un viaggio di lavoro, una situazione a dir poco bizzarra e nel pomeriggio aveva interrogato tutti i suoi figli circa gli avvenimenti della notte precedente. Tutti meno Rigel. Quanto a lui, nessuno ne sapeva nulla. Anche meglio. Nessuno voleva saperne nulla. Tutti i ragazzi concordavano nel pensare che, certe volte, Numero Uno era meglio lasciarlo stare.
«Numero Otto mi ha spiegato cos'è successo nella scorsa missione» disse, sollevando lo sguardo dalla lettera che stava scrivendo al capo del Dipartimento Auror.,
Rigel incassò la testa nelle spalle e gli puntò addosso un paio d'occhi grigi e lucidi «Padre, io… non volevo che accadesse. Non so cosa mi sia preso, lo giuro»
Octavius non si fece impressionare «Ripetimi con calma cos'è accaduto, Numero Uno. Io sono dalla tua parte, no?» 
Lui annuì e si schiarì la voce tremante «Siamo usciti ieri notte per intervenire in una rapina alla Gringott. C'erano ostaggi, morti e gli Auror stavano facendo un pessimo lavoro. Erano più di quanti pensassi» restò in silenzio per qualche secondo «e quando Numero Otto è stata attaccata, io...» cercò a lungo le parole giuste, abiti bianchi e su misura per un concetto informe e nerissimo «ho perso la testa» 
«Hai avuto uno dei tuoi black out?» indagò Octavius, intingendo appena la penna nel calamaio. 
Numero Uno scosse la testa «Sapevo quello che stavo facendo, ma non lo sapevo» 
Octavius riprese a osservarlo, ora con estrema curiosità, come se d'avanti gli stesse un animale esotico in cattività e non suo figlio in preda a una crisi morale «Puoi dirlo, sai? Non mi spavento mica» 
«Ho...» gli occhi di Rigel erano grandi e spaventati «io ho ucciso un uomo» 
«Ecco, iniziavo a pensare che il gatto ti avesse mangiato la lingua. Ma permettimi di dissentire, ciò che tu hai fatto è stato proteggere tua sorella» lo corresse suo padre.
«Ma questo non cambia niente» mormorò Rigel «Se solo... se avessi avuto la mano più leggera...» 
«Numero Otto sarebbe morta» replicò prontamente Octavius «Numero Uno, alla gente come noi, agli uomini di potere, non è permesso guardarsi indietro. Noi non abbiamo il lusso di filosofeggiare sui "ma" e sui "forse". Capisco i tuoi dubbi» assicurò «e tuttavia non tollero che tu ti metta in discussione» il suo tono si fece severo «Hai quasi sedici anni, non sei più un bambino. Io sono orgoglioso dell'uomo che stai diventando, ma voglio che lo sia anche tu. A volte la violenza è l'unica risposta possibile. Non rifiutare questa verità. Abbracciala e vivi in pace con te stesso» 
Octavius abbandonò la sua postazione dietro la scrivania. Conosceva i suoi soldati. E tuttavia, non si sentiva in vena di rischiare. Non in un momento delicato come quello. Più crescevano, più aumentavano le possibilità che lo disertassero. Questo non poteva permetterlo. Erano situazioni del genere –quando il delicato equilibrio mentale dei suoi ragazzi rischiava di spezzarsi– che determinavano l'allentamento o la stretta della sua presa sulle loro coscienze. Ad Octavius era bastata un'occhiata al suo primogenito per capire che, se quella sera si fosse giocato bene le proprie carte, non avrebbe mai più dovuto temere che Rigel lo tradisse. 
Lo aveva raggiunto in poche falcate, invitandolo ad alzarsi, e gli aveva poggiato una mano sulla spalla nella presa morbida che significava conforto e sicurezza «Gli altri hanno paura ed è bene che ti temano e rispettino, è bene che tremino al pensiero di cosa puoi fare. Ma io e te siamo un'altra cosa» c'era una curva soffice, nel tono della sua voce, a smussare gli spigoli taglienti della coscienza di Rigel «Tu sei mio figlio, la mia eredità su questa terra. Niente potrà mai cambiarlo. E, d’altronde, nessun mostro è degno di tale nome, se amato anche da una sola persona» 
Rigel guardava suo padre come se tutto il suo universo iniziasse e finisse con lui. 
«Sarà il tuo marchio di fabbrica» declamò Octavius, come se fosse una scelta del destino e non sua «La giustizia in fondo dev'essere inflessibile. E tu come lei. Non c’è più motivo di trattenersi, ora che tutti hanno visto chi sei davvero. Da oggi sarai a tutti gli effetti il mio Numero Uno il mio secondo in comando» 
Rigel annuì di nuovo, gli angoli della bocca sollevati nell'ombra di un sorriso, e si concesse qualche altro istante per riscaldarsi di tutto l'affetto e la fiducia che sentiva provenire da Octavius.
Seppe, nelle ossa, che non c'era nessun altro al mondo di cui si fidasse così. Ciecamente. Senza dubbi. Senza discussioni. Senza starci a pensare troppo. Era un assassino, certo, ma importava davvero? Octavius era fiero di ciò che stava diventando e forse, nel profondo della sua anima, nutriva per lui anche una briciola di amore. Forse: l'ipotesi miserabile di un affetto fantomatico. A Rigel bastava. 
Come per paura che suo padre indovinasse il suo flusso di pensieri, si ritrasse e fece per andarsene. 
«Un'ultima cosa, ragazzo» lo fermò Octavius quando era ormai sulla porta «Esmeralda mi ha parlato di uno spettro in giardino»
«Non è uno spettro» la voce di Rigel era ormai alta e sicura «Ieri sera mi seguiva, ma mi ha obbedito quando le ho detto di lasciarmi in pace. È un’ombra familiare, come di qualcuno che ho già visto e non riesco a riconoscere. Non so come spiegarlo» 
«Un'ombra, dici?» Octavius assunse un'espressione meditabonda «Domala. Sarà il primo soldato del tuo esercito» 
Rigel annuì ed uscì dallo studio di suo padre. 
Mentre scendeva le scale, diretto verso il giardino, non lo sfiorò neanche l'idea di raggiungere i suoi fratelli in palestra e spiegare loro la situazione.  Aveva un'ombra a cui dare la caccia e, in ogni caso, non avrebbero capito. 
La crepa che lo separava da loro era all'improvviso un burrone. 
 
 
 
 
 
00:12, 22 Dicembre 2020, Londra (UK), Umbrella Academy 
«Sì, conosco le persone che ci hanno attaccato»  
Erano entrambi seduti per terra, Rigel appoggiato allo scheletro legnoso del letto e Alexis difronte a lui a gambe incrociate. L'emorragia sembrava essersi fermata e il respiro di Numero Uno si era fatto più regolare. 
«Fanno parte di un'antichissima congrega di sicari magici, al servizio degli uomini più influenti del nostro mondo» stava spiegando Rigel, la voce e lo sguardo bassi «So che alla base c'è un codice che seguono alla lettera, un manuale medievale del giusto e dello sbagliato. Credono nella superiorità del sangue magico e supportarono Grindelwald» 
«Fammi indovinare» Alexis inarcò le sopracciglia «Octavius è riuscito a farli arrabbiare» 
«Ha attirato la sua attenzione» l'espressione sul volto di Rigel si fece ancora più cupa «Dopo che te ne sei andato, l'Umbrella Academy si è... evoluta. Eravamo maggiorenni, era giunto il tempo di dare all'accademia un posto nel mondo. Nel giro di un'estate è cambiato tutto. Abbiamo iniziato a promuovere certe cause» gli scappò una risata bassa e amareggiata «A qualcuno non è piaciuto. Dopo l'estate del diploma, papà iniziò a ricevere minacce di morte. Lo disse soltanto a me. Lui non voleva dare agli altri ragioni per andarsene» 
«E tu naturalmente non ti sei sottratto» commentò Numero Nove, impassibile. 
«Ero il suo secondo in comando» replicò l'altro «Si fidava ciecamente di me. Più di un anno dopo siamo riusciti a trovare qualcosa. A oriente. Bisognava mandare qualcuno a indagare. Papà propose Ezra, ma io non mi fidavo» ammise, con una smorfia irritata a incurvargli le labbra «Sapevo che non si sarebbe separato da Levi per la nostra famiglia. Artemis ce l'avrebbero rimandata indietro a pezzi ed Esmeralda era troppo impulsiva. Avevamo diciotto anni» meditò «Nessuno di noi era pronto per ciò che stava per succedere» 
«Se tu non potevi allontanarti, Ezra si rifiutava e le ragazze non ne erano in grado, allora rimaneva...» Alexis aggrottò la fronte «Caesar?» 
«Era l'opzione migliore» sentenziò Rigel «Numero Tre non amava l'accademia ed poteva difendersi da solo. La missione...» per qualche momento le parole gli si congelarono in bocca «sarebbe dovuta durare un paio di anni al massimo, io pensavo che» ancora una volta, la voce di Rigel si incrinò pericolosamente «sarebbe tornato per le vacanze. Ma ci furono delle complicazioni. Caesar partì in autunno, un paio di giorni dopo il nostro diciannovesimo compleanno. L'ho rivisto per la prima volta ieri pomeriggio» 
Numero Nove sentì lo stomaco annodarsi. Lui, di tutto questo dramma familiare, non aveva mai saputo nulla. Gli venne in mente che se non fosse stato troppo impegnato a dimenticare il mondo magico, se avesse risposto a una di tutte le lettere che Numero Tre gli aveva inviato nel corso degli anni, ora non cadrebbe dalle nuvole. «Che genere di complicazioni?» 
«Tante» rispose Rigel «Il primo anno, speravamo di farlo rientrare per Natale. Ma gli aguzzini di nostro padre tornarono a farsi sentire e Numero Tre rimase in Cina. Quella stessa primavera ci fu un incidente. Era il duemilasedici, vent'anni appena compiuti» si concesse un sospiro profondo «Numero Due rischiò di morire, ma nostro padre riuscì a salvarlo. Dopodiché Hillevi andò via dall'accademia e Numero Due la seguì» 
«E Octavius?» indagò Alexis. Già se lo immaginava suo padre, impassibile nel suo completo formale e nei suoi occhi scuri, troppo impegnato nella gestione del suo impero affaristico per dare importanza alla partenza di altri due figli. 
«Andò avanti» rispose seccamente Rigel «Se si fosse fermato a rimuginare, non sapremmo molte cose. Per esempio che si tratta dell'Ordine dei Cavalieri di Vetro, che chiamano il loro capo Generale, che» Numero Uno serrò le labbra in una linea sottile, come a cercare di far mente lo cale «le loro maschere sono scudi. Li rendono a molti incantesimi mentali. È fondamentale tenerlo a mente quando li combatti» 
«Quindi ho ragione» fece Alexis «Li hai già affrontati» 
«Sì, ma di quelli di stanotte ne conosco solo uno. Lo Zar è stato il primo a tentare di uccidere nostro padre» Rigel si schiarì la voce. «Nell'inverno del duemilasedici, io e papà tornavamo da una conferenza del Winzengamot. Ci hanno attaccati lo Zar e una donna. Non è una bella storia» 
«Se avessi voluto una bella storia, l'avrei chiesta ad Artemis» Alexis gli rivolse uno sguardo spazientito «Voglio la verità» 
«Va bene, la verità» ripeté Numero Uno, più a se stesso che a suo fratello «Quella sera è cambiato tutto. l'Ordine divenne una minaccia concreta. Lo Zar e la Medusa erano lì per ucciderci, senza minacce e mezzi termini. Io credevo di essere all'altezza di entrambi. Per me era un gioco» con le dita della mano destra prese a seguire i contorni delle rune tatuate sul polso sinistro «Per nostro padre no. Quando mi accorsi della situazione, agii in fretta. Loro combattevano con armi bianche incantate, lui aveva dei pugnali e lei una spada, ma non avevo ancora idea di come funzionassero. Al tempo avevo al mio seguito solo tre ombre; tennero fermo lo Zar mentre mi pensavo alla Medusa. Papà era stato ferito, lei gli aveva spezzato un paio di costole ed era sul punto di fare di più e io ero... io ero spaventato. E furioso» alzò gli occhi dal polso fino a quelli di Alexis «Riuscii a disarmarla prima che potesse ferirmi. Lo Zar era ancora nella stretta delle ombre. Avevo vinto. Nell'estasi del momento pensai che dovevo lanciare un messaggio, qualcosa che lasciasse il segno. Mi venne in mente il mito di Perseo e Medusa» Rigel scoppiò in una risata roca e vuota «Lei si distrasse solo un attimo per guardare il suo compagno. Non ho mai capito perché. Si voltò verso di lui con tutto il corpo. Forse voleva... forse voleva raggiungerlo. Fu la sua condanna. Ne approfittai per lanciarle un immobulus, impugnai la sua spada e le tagliai la testa. Poi mi smaterializzai con papà fuori dalla porta di casa. Quella notte» aggiunse «tornarono da me quattro ombre e una di loro aveva in mano la testa di Medusa. Papà ne fu deliziato. Disse che era il pegno della mia lealtà e fece in modo che potesse rimanere appesa in sala trofei fino alla fine del mondo, ma io non so se considerarlo un trofeo, sai? Da quella notte, Artemis non mi guarda più negli occhi e ancora non riesco a capire se sia per disgusto o per paura. Allora» il suo sguardo cercò quello di Alexis, il mento alto ma le labbra pressate in una linea sottile «ti piace la verità?» 
Numero Nove si concesse qualche momento per studiare attentamente suo fratello. Il suo corpo parlava chiaro. Le spalle dritte, gli occhi alzati e la postura rilassata non indicavano alcun segno di vergogna o rimpianto. Anche nel raccontare quella storia così macabra, Rigel traspirava una certa aura che era difficile da definire. Chiamarla "apatia" sarebbe stato riduttivo, eppure sembrava esattamente quello. Non c'era altro modo di spiegare la totale assenza di sentimento nella vicenda che aveva appena narrato, la freddezza contemplativa con cui ne aveva descritto i dettagli più agghiaccianti, il suo perenne sguardo annoiato. Tuttavia, sentiva che c'era di più. In quello strato di gelo, ci si poteva scavare fino a trovare acqua. E Alexis –nella magnanimità della sua immensa empatia, o forse solo attenzione ai particolari– non poté fare a meno di pensare che Rigel doveva aver rivissuto quella sera nei suoi ricordi per anni, che doveva aver avuto davvero tanto tempo per vergognarsi e rimpiangere e maledire, che quel tono assente e quell'atteggiamento apatico erano solo l'ultimo stadio di un percorso sicuramente più lungo e tortuoso di quanto a suo fratello andasse di ammettere. 
Fatte queste considerazioni, si decise a rispondere «Sono stato io a chiederla. Direi che, a prescindere dalla generale idea di bello e brutto, è mio dovere farmela piacere» 
Rigel sembrò contento della risposta. O, perlomeno, non ne sembrò scontento. 
Da lì il racconto procedette più speditamente. Con il tempo i contatti con l'Ordine si erano fatti più frequenti e, soprattutto dopo la dipartita contemporanea di Artemis ed Esmeralda, la situazione era degenerata. Quando, a metà estate di quell'anno, Cleremont Senior si era ammalato, non avevano avuto dubbi. Rigel aveva lasciato suo padre alla cura dei medimagi del San Mungo e si era imbarcato nell'estenuante ricerca di una cura. 
«Non riesco a capire» lo interruppe Alexis, a metà racconto «Se Octavius è morto, come mi sembra che volessero da tempo, perché attaccare di nuovo? Questa casa è stata vuota per anni, perché ora che si ripopola?» 
«Perché nostro padre è chiaramente il primo tassello di un mosaico che loro vogliono far crollare, no?» gli occhi di Rigel si fecero spiritati, il suo tono delirante «Sapevo che sarebbero tornati» attese qualche istante «ma non credevo così presto. Non per cercare dei documenti. A cosa servono, poi, i documenti? Ascoltami, Alexis» lo sguardo febbricitante di Rigel si appoggiò sulla figura di suo fratello «Il loro obiettivo è l'Umbrella Academy. Non nostro padre. Non dei documenti. Tutti noi. Io, te, i nostri fratelli, tutto ciò che è stato Umbrella Academy. Finché uno solo di noi respira ancora, non si fermeranno. Vi ho portati qui» la sua voce si ridusse a un sussurro «perché vi avrebbero dato la caccia. Uno per uno» 
«E perché dovrebbero prendersela con noi?» Alexis aggrottò la fronte, confuso «Non facciamo più parte dell'Umbrella Academy» 
«Te l'ho detto» rispose l'altro in un tono stizzito «Finché avete il suo cognome e ricordate il suo addestramento, siete nell'accademia. Questa è la verità, Numero Nove. Siete tutti in bilico tra questo mondo e l'altro» 
«Stupendo» nella voce di Alexis si fece forte una vena di acidità, il corpo in tensione e la mente in feroce movimento «E quand'è che progetti di dirlo agli altri?» 
«Chi deve sapere, già sa» lo liquidò Rigel «Io e Caesar ci occuperemo di tutta questa storia, ma non voglio coinvolgere nessun altro. Li terrò qui per la sepoltura di papà e per il periodo natalizio. Per gli inizi di gennaio dovrei aver sistemato tutto» 
Le labbra di Numero Nove si piegarono in un sorriso sghembo, una gioia che neanche raggiungeva i suoi occhi e si spegneva nelle sopracciglia inarcate «Conti di fare il lavoro che non hai portato a termine negli scorsi otto anni in tre settimane?» 
Rigel appoggiò la testa al materasso dietro di lui, una mano a stringere le lenzuola e gli occhi chiusi, lunghe ciglia distese sulla pelle. «Questa volta è diverso. L’Umbrella Academy è un’istituzione morente, con già tutti e due i piedi nella fossa. Ciò che è stato non sarà mai più. E se per vendicare mio padre dovrò raggiungerlo dall’altra parte, così sia» per un attimo, sembrò in pace con se stesso «Prima, però, farò sorgere gli Inferi» 
 
 
 
 
1:53, 22 Dicembre 2020, Londra (UK), The Ned 
A casa. Finalmente.  
Nasheeta si concesse di trarre un profondo sospiro di sollievo, nonostante fosse consapevole che la sua bella camera d’hotel –gentilmente condivisa con Apollo– era ben lontana dal poter essere definita in tal modo. Casa sua, in realtà, era molto lontana. Giù a Sud, presso i deserti e le Piramidi, in un borghetto nell'entroterra di cui stava lentamente perdendo le memorie, c’era quella che Nasheeta aveva chiamato casa per decadi. Erano passati soltanto un paio d’anni dall'ultima volta che era stata lì, eppure già le scivolavano via dalla mente i dettagli più blandi. Qual era il nome della signora che viveva nella casetta di fronte alla sua, quella che preferiva le piante grasse alle persone? E il commerciante che ci provava sempre con lei vendeva spezie asiatiche o pesce importato? Chi era stato l’ultimo sindaco? Di che parlava quella macabra leggenda locale che le piaceva tanto? 
Da quando era nell'Ordine, aveva dovuto rinunciare a certe cose. La quotidianità era, per Nasheeta Ayed, l’eco lontana di un mondo dimenticato. E in certi momenti –quando la stanchezza le intorpidiva le membra e le offuscava la mente– provava nei suoi confronti un angoscioso moto di nostalgia. 
«Sfinge!» la raggiunse la voce calda e divertita di Apollo «Sapevo di trovarti accasciata sul letto a rivivere ogni brutto momento della tua vita. Direi che ormai non puoi più sorprendermi» 
Nasheeta si diede il tempo di alzarsi a metà, facendo leva sui gomiti per poter guardare in faccia il suo collega. Staccare gli occhi dal soffitto le sembrò un’impresa titanica. Apollo, invece, pareva del tutto estraneo ai suoi dilemmi. A giudicare dai capelli umidi e dall'accappatoio, doveva essere appena uscito dalla doccia o, molto più probabilmente, dalla vasca da bagno. Per un momento, lo odiò profondamente. Perché mentre lei aveva passato tutta la scorsa ora gettata su un letto a guardare il soffitto con un’aria da miserabile che avrebbe fatto invidia a Jean Valjean, Fantine e tutti les amis de l’ABC messi insieme, Apollo si era concesso una nottata libera da stress e pensieri molesti e ora le sbatteva in faccia la sua serenità mentale in ogni gesto. Chiaramente non gli bastava essere a posto con la sua coscienza. Eh no. Apollo aveva l’impellente bisogno di mettere ogni volta in scena uno spettacolo per comunicare anche il più blando dei suoi sentimenti. 
«Ti è piaciuto il bagno?» gli chiese, in un tono insolitamente acre. 
«Da morire» il sorriso da Stregatto sul volto di Apollo si fece più ampio «Ho acceso un paio di candele profumate alla vaniglia e alla lavanda, mi sono fatto una maschera rinfrescante alla menta e ho usato quello strano sapone che sapeva di peonie. Amo la vita negli hotel di lusso» dopodiché, trasse un sospiro di pura contentezza che fece prudere le mani alla sua amica e si schiarì la voce. 
«Vedo che sei in forma, allora» commentò lei. 
«Mi pare proprio di sì» approvò Apollo «Ma tu, a essere onesti, mi sembri uno schifo. Posso fare qualcosa per renderti felice, Nasheeta cara?» 
«Gideon!» lo riprese la Sfinge, con un’aria oltraggiata «Sai che non dovremmo chiamarci per nome. L’Ordine non approva» 
«L’Ordine non approva tante cose, Nash» replicò lui «Eppure questo non mi ha mai fermato. Oltretutto, chi vuoi che ci senta qui?» 
«Dovremmo comunque essere cauti» continuò lei «Sai bene che al Generale non piace che i Cavalieri stringano rapporti e si conoscano. Ne va della sicurezza della nostra identità privata» 
«Stai proprio diventando pesante» replicò Gideon «Secondo me passi un po’ troppo tempo con lo Zar» 
«Ma cosa dici?» Nasheeta arrossì fino alle punte delle orecchie e distolse lo sguardo «In ogni caso, dubito che dopo stasera avrà granché voglia di starmi attorno» 
Apollo si diresse verso il suo armadio con il volto corrucciato «E perché mai?» 
«Perché questa missione è stata un disastro!» rispose lei, alzandosi definitivamente «E magari se mi fossi impegnata di più, se fossi rimasta al primo piano e avessi messo fuori gioco qualcun altro…» 
«Sciocchezze» la liquidò Apollo, che ora rovistava, indaffaratissimo, tra la sua biancheria «Tentare un approccio con Numero Tre sarebbe stato troppo pericoloso per te e, anche se avessi messo KO qualcun altro, questo non avrebbe impedito la riunione finale di Numero Uno e Numero Tre, né avrebbe aiutato la Kitsune a capire che quei documenti non erano quelli giusti» 
«Lo so» ammise la Sfinge «ma se io-» 
«Nasheeta» la interruppe Gideon, con fare autoritario «Smettila di addossarti colpe che non sono tue. Questa missione era destinata a essere un fallimento, non ti pare? Eppure, tu sei riuscita a liberarti di due dei Cleremont peggiori. Hai idea di quale casino ci sarebbe stato se Numero Quattro fosse stata giù con noi? E, anche senza di lei, a Numero Due sarebbero serviti un paio di minuti per metterci alle spalle, se associato a Numero Tre o Numero Uno. Tu sei stata fantastica» si voltò verso di lei con aria pensierosa «Non lasciare che gli altri ti convincano del contrario» 
A questo, la Sfinge non seppe proprio cosa rispondere. Gideon aveva ragione. La sua tendenza a vivere nella Civiltà della Colpa e il suo ruolo di novellina del gruppo formavano un mix che portava solo disastro. Quando aveva intrapreso quella missione, era ben consapevole che le sue azioni sarebbero state esaminate al telescopio e che ogni suo errore sarebbe stato ingigantito e imbruttito proprio perché era alle prime armi. D’altra parte, però, aveva pensato che con una squadra come quella che il Generale aveva messo insieme, sarebbe stato pressappoco impossibile commettere errori. 
«Grazie» mormorò, infine «per tutto» 
Gideon le rivolse un sorriso che, sotto la luce artificiale del lampadario babbano, le sembrò quasi affezionato. Nasheeta lo osservò gettare a terra l’accappatoio in un paio di movimenti fluidi e indossare i capi che aveva scrupolosamente pescato dall'armadio. Niente di troppo elaborato, chiariamoci; jeans attillati, un maglione bianco a collo alto e scarpe basse. La Sfinge, che da parte sua stava già pensando al suo pigiama di flanella, gli scoccò un’occhiata stranita: «Dove vuoi andare a quest’ora della notte?» 
«Rilassati, Nash» replicò lui, senza neanche voltarsi «Non sono neanche le due, la notte è ancora giovane. E, comunque, faresti meglio a parlare al plurale; non esiste che tu rimanga qui a lagnarti della tua vita mentre io sono fuori a divertirmi» 
«A divertirti dove?» Nasheeta inarcò le sopracciglia «È troppo tardi per andare a cena fuori e dubito che i parchi siano aperti» 
«Il tuo concetto di divertimento mi deprime» Gideon trasse un profondo sospiro e piegò le labbra in una smorfia insoddisfatta «Hai passato davvero troppo tempo con lo Zar, ma conto di rimediare. Ora fammi il favore di metterti qualcosa di socialmente accettabile e poi usciamo» 
«Non lo so, Apollo» 
«Sì che lo sai, Sfinge» ribatté immediatamente il ragazzo «Stanotte ti inizierò allo splendido mondo dei pub babbani di Londra e tu dimenticherai per un po’ tutti i tuoi problemi. Lo sai» la sua voce si fece più quieta, il tono più morbido, mentre le si avvicinava ancora e ancora, fino a starle proprio d’avanti, il volto inclinato verso il basso per guardarla meglio negli occhi «che non posso sopportare di vederti infelice» 
Nasheeta non riuscì a impedirsi di sorridere. «E va bene» concesse «Stanotte ci diamo ai pub» 
Apollo le prese il viso tra le mani e le scoccò un bacio sulla fronte «Ti prometto che non te ne pentirai» 
 
 
 
 
00:17, 22 Dicembre 2020, Londra (UK), Umbrella Academy 
«Bene» Rigel si raddrizzò dalla sua posizione precaria sul pavimento «Ora puoi ricucirmi» 
Alexis, a gambe incrociate difronte a lui, ebbe il buon senso di apparire confuso «Come, prego?» 
«La ferita» rispose Numero Uno «può essere guarita solo con la medicina babbana» 
«Questo spiega perché hai evitato Esmeralda» 
«Di solito ci pensa Bizzie, però» esitò per qualche momento «lei non è qui. Ma tu sì. Quindi fammi il favore di prendere ago e filo dal secondo cassetto del comodino e di cucirmi» 
«Non lo potrebbe fare una delle tue magiche ombre?» insistette suo fratello. Ora, Alexis Cleremont non era mai stato un amante delle antiche arti manuali babbane, soprattutto considerando che aveva soddisfatto con un colpo di bacchetta gran parte delle piccole necessità quotidiane della sua vita. E, diciamocelo, se si era rifiutato di ricucire un calzino, non c'era neanche una chance che ora, alla veneranda età di venticinque anni, si mettesse a ricucire persone. 
«Nel caso in cui non te ne sia accorto» replicò Rigel «le mie ombre non hanno le mani delicate» 
Alexis assunse un'espressione pericolosamente simile a un broncio «E cosa ti fa pensare che io abbia le mani delicate?» 
«Prendilo come un complimento e non farti pregare» lo liquidò l'altro, alzando gli occhi al cielo «Ago e filo, secondo cassetto del comodino. Ti dico io cosa fare» 
Numero Nove si alzò di malavoglia dal pavimento e ne approfittò per darsi un'occhiata intorno. La camera di Rigel era simile alla sua: stessa grandezza, stessa mobilia in legno scuro, stesso marmo nero sul pavimento, stessa ampia finestra e specchio intarsiato nell'angolo. C'era una sola differenza. Il carattere. Quando era andato via di casa, Alexis aveva portato tutti i suoi effetti personali, lasciando la sua camera da letto spoglia. Non che prima fosse diversa. C'era sempre stata, a bloccarlo dal rendere suo lo spazio che gli era concesso, la paura che Octavius invadesse la sua privacy e vedesse –e disapprovasse– ciò che amava. Rigel non doveva aver conosciuto quel timore. 
Quella stanza diceva più di suo fratello di tutti i suoi ricordi. Gli scaffali della piccola libreria traboccavano di volumi. Sulla scrivania c'erano una dozzina di libri aperti, tra spartiti musicali e alfabeti sconosciuti. Un'intera parete, sulla spalla del letto, era ricoperta di foto magiche. Rigel e Caesar che sfrecciano sulle loro nimbus, i colori contrastanti delle loro Case hogwartsiane in primo piano. Rigel e Artemis che danzano nella sala da ballo dell'accademia, lei in un ampio abito da principessa e lui in smoking, l'uno perso negli occhi dell'altra. Rigel con i capelli corti e un broncio infantile a serrargli le labbra. Rigel, Esmeralda, Caesar e Oliver sorridenti sotto l'insegna di TacoJoe. Rigel che stringe la mano a un uomo dai tratti orientali e un vistoso turbante in testa. Rigel con il braccio affondato in una brocca di biscotti, Esmeralda che gli intreccia i capelli. Rigel nell'ultimo modello, nero e attillato, dell'uniforme dell'Umbrella Academy, accanto a Octavius. Rigel sul porticato di casa, tutto impegnato a pizzicare le corde di una chitarra. E poi Rigel che ride con Caesar, Rigel che legge il giornale, Rigel che duella, Rigel composto ed elegante accanto a uomini in smoking, Rigel che si lascia baciare sulla guancia da Levi, Rigel che prende il sole in giardino con Oliver, Rigel e Artemis con corone di fiori in testa. Rigel. Rigel. Rigel. Rigel. Un mosaico della vita di suo fratello. Un ritratto che Alexis quasi non riconosceva e che mal si sovrapponeva alla sua personale visione. 
«Stai aspettando che muoia dissanguato?» 
Numero Nove si avviò verso il comodino. «Accidenti» commentò, in un sarcasmo passivo «Hai scoperto il mio piano malvagio» 
«Secondo cassetto» lo ignorò Rigel «non confonderti» 
«Perché?» Alexis neanche si sforzò di trattenere una risata «Cosa c’è nel primo, il tuo diario segreto?» 
 Suo fratello si limitò a guardarlo male.
Quando, ago e filo in mano, Numero Nove tornò a sedersi di fronte a lui, si rese conto di non avere idea di cosa fare. Rigel era già steso sul letto e lo guardava con aspettativa. Quell'intera situazione, invece, riportava Alexis ai giorni dell'infanzia, al Protocollo 21. Alla tenera età di dodici anni, i bambini-soldato di Monsieur Cleremont venivano addestrati a reagire alla possibile "caduta in missione", un modo elegante per il concetto terribile di morte, di un compagno. 
Raccapricciante, a dir poco. Perlomeno, però, il Protocollo 21 non comprendeva la cucitura.  
I primi punti furono un disastro. Tra il fiume di imprecazioni che Rigel neanche si sforzava di trattenere e l’evidente nervosismo di Alexis, non poteva accadere altrimenti. Solo a metà dell’impresa, dopo un paio di consigli a denti stretti e il miracolo di una presa più stabile, l’operazione migliorò e si diresse verso la chiusura totale della ferita. 
«Quando lo faceva Bizzie era un po’ più preciso» meditò Rigel, mentre entrambi contemplavano il lavoro finito, per poi aggiungere: «Ma non morirò dissanguato o di infezioni e questo è un traguardo, visto che era la tua prima volta» 
«E da oggi ci impegneremo affinché sia anche l’ultima» lo interruppe Alexis, con un’ironia un po’ affilata «Quanto alle infezioni, vedremo domani mattina» 
«Certo» ripeté «Vedremo domani mattina. Numero Nove,» soggiunse, un angolo di bocca alzato e una strana luce negli occhi «papà sarebbe fiero di come ti sei comportato» 
«Ed ecco che mi hai appena rovinato la serata» ad Alexis sfuggì una risata amareggiata «Andiamo, non fare quella faccia» commentò «Sai che avevamo un rapporto complicato, mentre tu… tu sei sempre stato il suo fedele soldatino di piombo» Numero Nove gli rivolse un’occhiata obliqua e indecifrabile «Proprio non capisco perché tu sia rimasto» 
«Lui era tutta la mia famiglia» fu la risposta infinitamente triste e orgogliosa e quieta «L’avrei seguito anche all'inferno» 
«Ancora non te ne accorgi, Rigel?» questa volta non c’era alcuna derisione negli occhi verdi di Alexis «È esattamente quello che hai fatto» 
Detto ciò, si alzò in piedi e, mormorato un «buonanotte», uscì dalla camera.
Solo allora, Rigel poté chiudere gli occhi e scivolare in un sonno nero quanto la realtà. 
 
 
 
 
10:32, 22 Dicembre 2020, Londra (UK), Umbrella Academy 
«Ben svegliato!» 
Tony ebbe appena il tempo di aggrottare la fronte, prima che sua sorella gli rivolgesse un sorriso ancora più grande e luminoso di quello precedente. 
«Pancakes o biscotti zenzero e cioccolato?» 
Ora, Antoine era sveglio da meno di sette minuti. 
La scorsa notte aveva dormito bene. Da quella mattina, ragionevolmente, si era aspettato solo calma e tranquillità. Non appena sveglio, infatti, aveva deciso di scendere per una tazza di tè caldo e una passeggiata in giardino. Allontanarsi dall’Umbrella Academy era categorico. Forse un po’ di tempo nel centro della Londra babbana, lontano dagli sguardi indiscreti della comunità magica, lo avrebbe aiutato a superare –o perlomeno dimenticare– la sera precedente. Un bel piano, insomma. Inutile dire che non si era neanche avvicinato alla sua realizzazione. Antoine aveva fatto appena in tempo a mettere due passi in cucina che era stato travolto da quell'insolito uragano di capelli cinerei e grandi occhi turchesi che era sua sorella Artemis. Nel suo abitino svasato bianco anni ‘50 –che proprio faceva a pugni con i pochi gradi dell’ambiente esterno– e tacchi alti, aveva un’aria splendidamente domestica e, suo malgrado, Tony non riuscì a odiarla. Quante mattine, quando erano piccoli, Numero Sette l’aveva accolto in cucina con quello stesso sorriso? 
«Che ne dici se iniziamo da una tazza di tè?» propose, con la voce roca e impastata di sonno di chi si è appena svegliato. 
«Tè, ma certo» approvò Artemis. 
Tony la osservò muoversi ai fornelli con una grazia che la faceva sembrare una veela o la fata di una qualche fiaba babbana, agitare la bacchetta in un movimento leggiadro per mettere l’acqua sul fuoco e poi voltarsi verso di lui nello svolazzare sempre più irritante e grazioso del suo vestito. Sua sorella pareva la visione di una scorsa vita. Quasi aveva dimenticato quanto il mattino la mettesse di buon umore. O come le stesse bene l’apron celeste con i fiorellini bianchi. O il modo in cui la sua voce ricordava un cinguettio gentile. O tutto. Sì, probabilmente aveva dimenticato tutto. 
«Da quant'è che sei in piedi?» le domandò, con un sopracciglio alzato. 
«Ore» rispose lei in un sospiro melodrammatico «Ma sei arrivato giusto in tempo. Caesar dovrebbe rientrare a momenti dalla sua corsa mattutina, Esme ha promesso di scendere dopo la doccia e Oliver implora altri cinque minuti da almeno un’ora, ma Ezra lo butterà giù per le scale, se necessario» 
La situazione si faceva sempre più scomoda «Facciamo tutti colazione insieme?» 
«Ovvio» rispose Artemis. 
«Io in realtà avevo altri piani, sai?» azzardò, con fare vago «Quindi se per te va bene comunque, faccio colazione al volo e…» 
«Ma Tony!» 
Eh sì. Quello proprio l’aveva dimenticato. Quello sguardo da cane bastonato –tutto occhioni grandi e tristi e lunghe ciglia sfarfallanti e angoli abbassati delle labbra– se l’era proprio scordato. 
«È una colazione tutti insieme!» continuava Artemis «Non avrebbe senso se tu non ci fossi!» 
«Non ci saremmo tutti a prescindere» provò a ribattere lui «Non hai proprio menzionato Alexis, no?» 
«Alexis si è chiuso a chiave in camera» fu la risposta di Numero Sette «Per ora ho preferito dargli un po’ di privacy, ma nulla mi fermerà dal bussare finché non si alza» 
«E Rigel?» tentò ancora Tony «Minaccerai di molestie anche Rigel?» 
«Non essere sciocco» lo liquidò lei, versando un po’ di tè caldo in una tazza «Rigel non ha mai saputo resistere ai miei biscotti zenzero e cioccolato; scenderà. Vedi, Tony, in fondo non è cambiato poi molto dai tempi in accademia» concluse con un sorriso di miele, mentre gli si avvicinava «Vi ho ancora tutti in pugno» 
Numero Cinque accettò la tazza di malavoglia e mise su un’espressione ben poco felice, per uno che sta per partecipare a un’allegra colazione in famiglia. D’altra parte, come biasimarlo? Non era stupido. Sapeva che la colazione era un mezzo per un fine ben preciso. Come ogni cosa all’Umbrella Academy, tra l’altro. Quale fosse il fine in questione non gli era dato saperlo, ma era più che sicuro che l’avrebbe scoperto molto presto. 
Proprio in quel momento, faceva capolino dalla porta della cucina Numero Tre. Caesar alle dieci di mattina pareva appena uscito da un catalogo babbano di sport, con quello sguardo un po’ troppo felice e quella tuta firmata che lo facevano sembrare un personal trainer alle prese con clienti difficili. 
«Allora, dov’è il resto della brigata?» chiese, senza salutare nessuno «Che ci crediate o no, ho una fame da matti» 
«E quando mai…» fu il macabro commento di Tony che, difronte allo sguardo tradito di Numero Tre, si affrettò a correggersi: «Volevo dire, quale insolita occasione, fratello mio!» 
«Invece di perdere tempo, datemi una mano» li interruppe Artemis «Chase, va’ a svegliare gli altri. Oliver e Alexis stanno ancora dormendo, ma anche qualcun altro è in ritardo. Tony, tu invece mi aiuti a portare la colazione in sala da pranzo» 
«Sarò un lampo» promise Caesar con un sorriso, per poi fermarsi un attimo e rivolgerle un’espressione confusa «Quale sala da pranzo?» 
«Quella dell’ala est. A quest’ora ci sarà più sole» 
Senza chiedere ulteriori spiegazioni, Numero Tre sparì e Artemis colse l’occasione per deporre tra le braccia di suo fratello un vassoio di brownies, prendere tra le sue i pancakes e incantare il resto delle portate della colazione –un corteo pressappoco infinito di bicchieri, biscotti, piatti, posate, coppe di porridge, muffin salati e uova– perché la seguissero. Tony pensò che quella domesticità la vestiva bene. A quanto aveva capito la sera prima, gli scorsi cinque anni erano stati solitari per lei e non poté fare a meno di sentirsi un po’ in colpa. D’altra parte, sapere che anche quello era uno spettacolino lo innervosiva. 
«Allora» resistette fino al loro arrivo in sala da pranzo, prima di aprir bocca «fingerai di non avere doppi fini per un altro po’?» 
Il sorriso di Artemis vacillò per un attimo soltanto «Non so di cosa parli» 
«Invece sì» insistette Tony «E se devo recitare bene la mia parte, voglio sapere la fine della storia» 
«E va bene» cedette lei, iniziando a sistemare le varie portate sul tavolo «Ieri notte, quando tu eri già andato a dormire, Esmeralda mi ha detto che lei e Caesar volevano riferire subito a Rigel la loro decisione di tornare ufficialmente nell’Umbrella Academy. E tu sai com'è Numero Uno…» 
«No, non lo so» Tony, ormai libero dal suo carico di dolci, le rivolse uno sguardo severo «Dimmelo tu, Mr. Freud. Com'è Numero Uno?» 
«Beh, lo sai… lui è un tipo un po’ difficile quando si parla di rapporti interpersonali e affari di famiglia» 
«E quindi cosa?» la incalzò Numero Cinque «Avete deciso di corromperlo con il cibo? È questo il tuo piano geniale per… cosa, poi? Salvare Numero Uno dal suo auto-isolamento forzato? Proteggere il mondo esterno da quella catastrofe di Caesar?» 
«Sai che la situazione è più complicata» Artemis ancora si rifiutava di guardarlo negli occhi e preferiva sistemare tovaglioli e tazze di tè «Rigel ha vissuto in modo traumatico la fine dell’Umbrella Academy e potrebbe reagire male all'idea di due ritorni così improvvisi, quindi abbiamo pensato che una bella colazione in famiglia gli avrebbe ricordato i vecchi tempi e l’avrebbe reso più incline all’idea, capisci? E poi» concluse «Caesar approva» 
«E da quando l’approvazione di Caesar è una cosa positiva?» replicò Tony in un sarcasmo incredulo. 
Solo a quel punto, lei alzò lo sguardo dalla tavola per rivolgergli un’occhiataccia «Il piano è in porto. Sii carino e mangia tutto quello che ti metto nel piatto, okay?» 
Difronte a quel tono imperioso e quello sguardo inflessibile, Antoine si sentì di nuovo un ragazzino nell’Umbrella Academy, alla disperata ricerca di comprensione e riparo dal costante dramma familiare. Una sensazione, inutile anche dirlo, del tutto sgradita. Si decise, comunque, a non protestare e prese posto a tavola. 
Di lì a poco, arrivarono tutti. Per prima Hillevi, odiosamente allegra per la mattina. Poco dopo Ezra e Alexis, paradossalmente a proprio agio nel silenzio tra loro. Subito dopo Esmeralda e Oliver, entrambi più che pronti a fiondarsi sulla colazione e messi in riga da un’occhiata di Numero Sette. Infine, l’uno raggiante e l’altro tranquillo in un modo quasi spaventoso, arrivarono in sala Caesar e Rigel. Artemis rivolse loro un sorriso radioso e finalmente concesse agli altri di sedersi e iniziare a mangiare. 
Tony non mancò di notare che, nella decadente ironia familiare, tutti avevano preso i vecchi posti dei tempi dell’Umbrella Academy. Quasi tutti, in realtà. La fila di destra era completamente scalata. Gli ci volle un momento per capire cosa fosse successo. La sedia di Octavius –quella a capotavola, con lo schienale più alto e più intarsiato– era occupata. Da Rigel. Se quella fosse una mossa di potere o di insicurezza, non seppe dirlo. Eppure era ovvio, no? Sarebbe successo, prima o poi. Comunque, tra lo scalo della fila di destra e la prima sedia a sinistra del capotavola –che era appartenuta e ancora apparteneva a Bizzie– tristemente vuota, quella colazione in famiglia aveva tutti i presupposti per un disastro. 
«Dio» la voce di Esmeralda lo riportò alla situazione presente «Mi è mancata la colazione a tema internazionale» 
«Lo dici a me?» Caesar non aveva perso a riempirsi il piatto di qualunque cosa avesse attorno, talvolta sfruttando i suoi fratelli per avviare una catena di trasporto che attraversasse l’intero tavolo «Ho mangiato noodles, ravioli e creme di riso a tutti i pasti per gli scorsi sei anni della mia vita. È stato il ricordo di queste colazioni a mantenermi sano di mente» 
«Allora ha fatto un pessimo lavoro» commentò Alexis, nascondendo un mezzo sorriso nella sua tazza di tè. 
«Quoto» lo assecondò immediatamente Oliver «Avete notato che da quando è tornato ogni tanto fissa il vuoto con degli occhi da pazzo?» 
Hillevi si voltò subito verso di lui «Pensavo di essere l’unica ad essersene accorta» 
«In Siberia le donne lo trovano molto attraente» replicò Caesar «Che ci crediate o no» 
Esmeralda scoppiò a ridere «A me sembra una pessima scusa per la tua nascente psicosi, fratellino» 
«E va bene. È un complotto» Numero Tre si guardò attorno con un’espressione contrariata «Per ora annegherò la mia profonda delusione nei vostri confronti nel mio caffè macchiato, ma non dimenticherò» 
«E noi non ci aspettiamo che tu lo faccia» borbottò Alexis, memore di tutte le volte in cui Caesar aveva rinvangato eventi imbarazzanti della loro infanzia, spesso e volentieri d’avanti a un pubblico. 
«Parliamo di qualcos'altro!» propose Artemis, versandosi una generosa quantità di tè verde nella sua graziosa tazzina di porcellana «Per esempio, non sarebbe carino se ci fermassimo tutti per il periodo natalizio?» 
Pessima mossa. Sulla sala scese immediatamente un silenzio scomodo. Artemis vide, con la coda dell’occhio, Rigel irrigidirsi e rivolgerle un’occhiata circospetta, mentre Tony si sistemava, a disagio, sulla sedia ed Alexis si riempiva la bocca di nova e bacon nella speranza di non essere interpellato. Gli altri rimanevano zitti. Per un momento li odiò tutti. Poi si ricordò che era stata lei a parlare e che forse si aspettavano che perseguisse da sola nella sua crociata. 
«Voglio dire, non mi pare una brutta idea» continuò, a voce più alta e sicura «Soprattutto considerando quello che è successo la scorsa notte, la lettura del testamento di papà, Bizzie che ancora non si vede, penso che ci farebbe bene stare un po’ insieme e sciogliere tutti i nodi della nostra famiglia» 
«A me sembra una grande idea» approvò Caesar «In fondo questi giorni, se chiudiamo gli occhi e prendiamo un respiro profondo e fingiamo che ieri notte non abbiano cercato di ucciderci tutti, sono stati piacevoli. Insomma, io…» gli parve il momento adatto per giocarsi l’invincibile carta del senso di colpa «io non vi vedo da sei anni, qualcuno anche da più tempo, e mi renderebbe infinitamente triste trascorrere così poco tempo insieme, ora che possiamo» 
«Mi sembra assurdo anche dirlo» Oliver si passò una mano tra i capelli verdi «ma Caesar ha ragione. Quando ci capiterà di nuovo di stare tutti a casa? Potrebbe essere l’occasione giusta, dopo tutti questi anni» 
«Sapete che odio essere sentimentale» Esmeralda si portò una ciocca di ricci neri dietro l’orecchio e stese le labbra in una smorfia tesa «e che di solito non dico queste cose, però mi siete mancati. So che avete tutti delle nuove vite e che l’Umbrella Academy non tornerà mai quella che era prima, ma sarebbe davvero così atroce passare il periodo natalizio insieme? Poi ci separeremo e tornerete tutti ai vostri lavori e alle vostre vite, ovviamente» il suo sorriso si fece un po’ più dolce «Natale è sempre stato un periodo magico a Rosewood» 
«Vi ricordate il ballo di gala di Capodanno?» chiese Artemis, in quel suo caratteristico tono sognante. 
«Io mi ricordo soirèes di gala tutte le sere, in realtà» replicò Alexis «Ma solo dopo aver passato il pomeriggio a sgobbare in palestra» 
Numero Sette non parve neanche sentirlo «Era così bello sistemarsi e passare la serata a ballare il waltz e-» 
«Vedi di parlare per te» la interruppe Tony «Ci sono davvero poche cose in vita mia che ho odiato più del waltz» 
«Beh, sì» approvò Oliver «Diciamo che, se dovessimo restare, non lo faremmo per le serate di gala» 
«In effetti il waltz aveva i suoi pro e contro» Caesar si schiarì la voce «ma dovete ammettere che lo smoking mi stava una favola» 
Alexis scoppiò a ridere e gli rivolse uno sguardo scettico, tutto sopracciglia inarcate e occhi sottili «Dici così solo perché non ricordi come stava a me» 
«Vi ricordate quell'abito da principessa che papà mi regalò quando avevamo sedici anni?» domandò Artemis, a nessuno in particolare. 
«Ti stava benissimo» Hillevi, che fino ad allora si era tenuta dignitosamente in silenzio, non riuscì a trattenere un sorriso affettuoso «E dobbiamo ammettere che papà aveva buon gusto, quando si parlava delle sue serate di gala» 
«Io ricordo solo che Bizzie ci metteva una vita a sistemare i capelli di Rigel» si lagnò Oliver «e non faceva mai in tempo ad aiutarmi con la cravatta, quindi doveva pensarci Levi» 
«Non è colpa mia» borbottò Numero Uno «Papà diceva che erano troppo disordinati» 
«Beh, se te li fossi tagliati» suggerì Caesar, a mezza voce «avremmo evitato un sacco di problemi negli ultimi cinque anni dell’Umbrella Academy» 
Rigel, per tutta risposta, gli scoccò un’occhiata omicida. 
«In ogni caso, giacché siamo sull'argomento» Ezra si schiarì la voce «qualcuno sa dov'è Bizzie?» 
Tutti gli occhi tornarono su Numero Uno, che, da parte sua, ebbe la decenza di lasciar stare i biscotti allo zenzero e darsi un contegno. Sicuramente doveva essersi aspettato una domanda del genere, perché la sua risposta fu automatica e atona, come quella di un copione recitato male. «Al momento Bizzie è impegnata con una commissione che riguarda strettamente l’Umbrella Academy. Quindi, per quanto mi dispiaccia» aggiunse, con la faccia di uno che non è per niente dispiaciuto «sono questioni riservate» 
«Ma sta bene, vero?» insistette Levi, con aria apprensiva. 
Rigel sembrò quasi offeso da quell'insinuazione «Non manderei mai Bizzie in missione senza una scorta adeguata» 
«Quindi non sai se stia effettivamente bene» Ezra aggrottò la fronte. 
«E cosa diavolo intendi con “una scorta adeguata”?» continuò Alexis. 
«Intendo che non sono affari vostri» li liquidò Rigel «e che non dovete preoccuparvi. Se non fossi del tutto sicuro che nessuno possa anche toccarla, non starei qui a chiacchierare con voi» 
Gli altri sembrarono in qualche modo soddisfatti di quella risposta e, per qualche momento, la situazione parve tornare normale, tra chi si versava da bere e chi si riempiva nuovamente il piatto. Artemis, per quei dodici secondi di gloria, pensò che si stesse venendo a creare l’atmosfera giusta per l’effettiva messa in atto del suo piano e che, tra i biscotti zenzero e cioccolato e una dose abbondante di caffè nero, Rigel sarebbe stato dell’umore adatto. 
Poi arrivò la domanda. 
«Giusto per intenderci, Numero Uno» ancora una volta, a parlare fu Ezra «hai intenzione di dirci chi erano i tizi che ieri hanno imbavagliato me e Levi, distrutto il salotto e quasi sterminato l’intera famiglia mentre tu facevi yoga nelle cripte?» 
Rigel parve pensarci per qualche secondo, mentre contemplava con aria pensierosa il brownie che aveva in mano, prima di guardare suo fratello dritto negli occhi, scoccare un «No» secco e tornare a mangiare. 
Esmeralda inarcò le sopracciglia «Come, prego?» 
«Mi sembra di essere stato chiaro» rispose con nonchalance Numero Uno «Non ve lo dirò» 
«Rigel» lo ammonì Caesar, con uno sguardo che non ammetteva repliche «Devi loro una spiegazione» 
«Tu sai?» esclamò Esmeralda, scandalizzata «E non me l’hai detto?» 
«È una situazione complicata» si giustificò Numero Tre «e comunque non spettava a me dirlo» 
«Rigel, so che deve essere difficile per te e che ti sembrerà assurdo vederci piombare tutti a casa e pretendere di essere messi al corrente di tutti gli affari dell’accademia» disse Hillevi, voce pacata e sguardo gentile «ma è giusto che noi sappiamo, almeno in parte, cosa sta succedendo» 
«Non c’è bisogno di dire tutta la storia o di rivelare ogni dettaglio» la appoggiò Oliver «ma sarebbe bello sapere se torneranno e cosa volevano da noi» 
«Sono nemici dell’Umbrella Academy» rispose Numero Uno «Ieri hanno fatto irruzione in casa per cercare dei documenti di nostro padre. Capisco che possa essere stato traumatico, per qualcuno di voi, e mi assumo tutta la responsabilità per non averli intercettati subito, ma…» esitò per qualche istante, in cerca delle parole adatte «hanno fallito su tutta la linea. I documenti sono ancora in mio possesso e voi siete tutti vivi e, comunque» aggiunse in fretta, d’avanti all'espressione allibita di Artemis e quella ben poco convinta di Tony «non c’è pericolo. Sono venuti qui perché savevano l’effetto sorpresa e, ora che sanno che io so, non torneranno.  Quindi se volete…» si schiarì la voce e abbassò lo sguardo «se volete rimanere, potete. Non vi accadrà nulla di male. Vi proteggerò io» 
«A me» Oliver gli rivolse un sorriso a trentadue denti «questo sembrava proprio un invito» 
«Direi che per ora può andare, la spiegazione» decretò Ezra, scrutando suo fratello con uno sguardo sospettoso «anche se devo ammettere che è più vaga di quanto sperassi» 
«Confidiamo che, quando la situazione si evolverà» aggiunse Levi, sorseggiando il suo tè nero con una grazia che faceva invidia alle buone maniere di Artemis «ci terrai informati» 
«Mi dispiace, per non posso dirvi altro» sentenziò Numero Uno «E comunque non ci sarà bisogno di ulteriori aggiornamenti. Me ne occuperò io» 
«Noi» lo corresse Caesar «Non ho intenzione di abbandonarti. Abbiamo iniziato questa cosa insieme e la finiremo insieme. Io e te, Rigel. Ce ne occuperemo noi» 
«Non posso chiederti questo» c'era una certa esitazione nel tono di Numero Uno «Sei stato anche troppo tempo nell’Umbrella Academy. Va’, vivi la tua vita fuori da queste mura e dimenticati di aver mai avuto una famiglia. Questo è ciò che hanno fatto gli altri ed è giusto che ne abbia il diritto anche tu» 
«Ho passato sei anni a fare avanti e indietro tra la Siberia e la Cina, Rigel» la voce di Caesar si fece d’un tratto pesante e triste «In tutto quel tempo, non ho mai pensato, neanche una volta, di andarmene. Era la mia missione. L’Umbrella Academy necessitava dei miei servigi. La mia famiglia aveva bisogno di me. Per tutto quel tempo, tu sei stato l’unico contatto che avessi con il mondo e il mio solo pensiero era quello di resistere e di impegnarmi affinché l’operazione finisse presto perché soltanto così sarei potuto tornare a casa. E ora mi stai dicendo che dovrei andarmene?» 
«Non ho detto questo» rispose Rigel, con una pazienza insolita «Dico solo che non devi sentirti obbligato a restare, per me o per qualsiasi altra ragione. Là fuori c’è un mondo di possibilità che-» 
«Che posso tranquillamente avere anche qui» lo interruppe Caesar «A meno che tu non decida di mettere un coprifuoco e di impedirmi di andare da Starbucks» 
«Star-cosa?» Numero Uno parve ancora più confuso di prima. 
«Come immaginavo» per tutta risposta, Caesar alzò gli occhi al cielo «Là fuori ci sono tante cose che amo. C’è la cucina cinese e la nuova scena hardcore punk e le macchine e le discoteche e i frappuccini al caramello e i lounge bar e le ragazze in bikini e– no, non fare quella faccia» si interruppe, difronte all'espressione per niente convinta di Numero Uno «si vede che non hai visto abbastanza ragazze in bikini. Ragazzi» aggiunse, rivolto agli altri «Appoggiatemi» 
Ezra scoccò un’occhiata a Levi e finse di bere il suo ormai inesistente caffè. Tony inarcò le sopracciglia e si risparmiò un commento acido un po’ per amor del quieto vivere e un po’ perché erano ancora a colazione: la giornata era appena iniziata e ci sarebbe stato tanto tempo per battute sarcastiche. 
«Non guardare me, Caesar» Alexis aveva addosso quel sorriso beffardo ed enigmatico –un angolo alzato delle labbra, occhi verdi e assottigliati dal divertimento, come a una battuta che capisse solo lui– che, a distanza di anni, continuava a vestirlo splendidamente «Nel caso in cui il freddo ti avesse danneggiato la memoria, io sono gay. Le ragazze in bikini non hanno potere su di me» 
«Oliver?» 
«Non lo so, Che» Oliver si accarezzò il mento con una mano, in quella che lui avrebbe definito un’espressione meditabonda «Mi conosci, io sono un tipo romantico» 
«Oliver!» la voce di Numero Tre si faceva man mano più esasperata. 
«E va bene!» si arrese Numero Sei «Le ragazze in bikini hanno il loro fascino, ma io non le metterei in competizione con i frappuccini» 
«In qualità di ragazza in bikini» si intromise Esmeralda, sfoggiando il suo sorriso più radioso «mi sento di dissentire. Noi ragazze in bikini siamo uno spettacolo» 
«Grazie» Caesar trasse un sospiro di sollievo «Stasera cambierò il mio testamento: tutti i miei coupon e le mie promozioni da Starbucks saranno tue alla mia morte. Ciò che però volevo dire prima» soggiunse, tornando a rivolgersi a Numero Uno, che lo guardava come se fosse un barbone delirante ai lati della strada «è che là fuori ci sono tante cose che amo e che, tuttavia, non mi saranno precluse se rimango qui con te. Ma se vado via, se ricomincio da capo e mi lascio l’Umbrella Academy alle spalle, so che dovrò rinunciare all'unica cosa di cui non posso fare a meno: la mia famiglia» 
Levi gli poggiò una mano sulla spalla e si risparmiò qualsiasi altra parola. 
Quello era un momento che non le apparteneva. E lo sapeva bene. Tutti lo sapevano. Nei vent’anni che aveva trascorso all’interno dell’Umbrella Academy, poteva contare sulle dita di una mano le volte in cui Caesar si era mostrato così vulnerabile e d’avanti a così tante persone. A dir la verità era anche piuttosto sorpresa del fatto che Rigel non avesse spostato la conversazione altrove. Inutile dirlo, neanche lui era un amante del sentimentalismo. Le sembrò di star assistendo a un evento epocale. E quello, in fondo, lo era. 
«Avrei voluto dirtelo appena sono arrivato» stava continuando Numero Tre «Ma non mi sembrava il momento adatto. E poi ho parlato con Esme e ho capito che era una decisione importante che meritava la sua dose di riflettori» 
Rigel rivolse ad Esmeralda un’occhiata circospetta, ma non parlò. 
«È un’intenzione che ci accomuna» spiegò lei, nel tono cauto che si usa con i bambini e con gli animali diffidenti «Ho trascorso gli ultimi tre anni in giro per il mondo. Ho visto quello che volevo vedere, provato un nuovo stile di vita e cercato di inserirmi in una comunità che trovavo adatta alle mie esigenze. Ma sono arrivata alla stessa conclusione di Caesar. Te l’ho detto ieri ed ero seria a riguardo; voglio rimanere qui» 
«E io voglio ricordarti» la voce di Rigel era ancora più cauta della sua «che sei stata tu a scegliere di andartene. Nessuno ti ha obbligata» 
«Ma devi ammettere che era una situazione particolare» si intromise Artemis «e che nel suo caso si parla di una decisione un po’ influenzata» 
«Se n’è andata» ripeté Rigel «È l’unico dato che conta» 
«Sì, lo so» cercò di dire Numero Otto «ma-» 
«Perché dovrei volerti di nuovo in accademia?» la interruppe Rigel. 
«”Volerti”?» Hillevi non riuscì a trattenersi dal parlare, più confusa che mai «Da quando c’è bisogno della tua autorizzazione?» 
«Da quando nostro padre è stato ucciso e il controllo degli affari di famiglia è passato a me» rispose lui, più secco del solito «Vi siete già dimenticati chi è Numero Uno?» 
«Come se fosse possibile» commentò acidamente Ezra, impassibile difronte alle occhiatacce di suo fratello. 
«Siamo davvero tornati alla gerarchia dell’Umbrella Academy?» nella voce di Alexis si sentiva forte una nota di impazienza «Pensavo che a questo punto avessi capito che il mondo non è diviso in bianco e nero» 
«E a te cosa importa della nostra famiglia?» replicò Rigel, gelido «Conoscendoti, sei qui solo per il testamento» 
«Rigel, sii ragionevole» provò a fermarlo Caesar «E concentrati sulla questione principale» 
«“Conoscendoti”?» il tono di Numero Nove si fece pericolosamente sarcastico «Se pensi che io sia qui per la mia parte di eredità, allora non mi conosci poi così bene come credi» 
«Ragazzi, calmiamoci!» Hillevi prese un profondo sospiro esasperato «Esme non si è ancora spiegata e penso che dovrebbe avere almeno questo diritto» 
«Grazie, Levi» Esmeralda si sforzò di sorriderle, ma la sua era una gioia artificiale «Ciò che volevo dire è che mi prendo la completa responsabilità di quello che ho fatto cinque anni fa. È vero che mi trovavo in una situazione difficile e che avrebbe potuto essere risolta in altri modi, ma mi sono trovata con le spalle al muro e ho dovuto scegliere tra lealtà cieca e indipendenza. Non mi pento della scelta che ho preso» esitò per qualche secondo «Se fossi rimasta nell’Umbrella Academy, all'oscuro di quello che accadeva e del tutto impotente, me ne sarei pentita per sempre. Invece ho avuto il tempo di crescere e di capire cosa voglio dalla mia vita. Non ti biasimo se non ti fidi di me e se ti chiedi se sia giusto farmi tornare, ma voglio che tu sappia che questa che faccio ora è una scelta consapevole» 
«Andiamo, Rigel» insistette Caesar «Immagina come sarebbe se fossimo in tre all’accademia! Potremmo essere il trio brio, i tre moschettieri, i tre Cleremont! Nelle lettere» soggiunse in un tono più serio «mi dici delle cose» 
«Quelle lettere dovevano rimanere tra me e te, non è così?» Numero Uno serrò le labbra in una linea sottile di nervosismo. 
«Sì, lo so» rispose Numero Tre «ma rimarrei molto deluso se non prestassi fede a quello che mi dicevi. Esme merita una seconda chance. Come l’Umbrella Academy» 
«Se torni» Rigel si rivolse direttamente a Esmeralda, come se potesse capire, solo guardandola, se fosse degna dell’accademia «voglio essere sicuro che non te ne andrai mai più» 
«Certo che no» si affrettò ad assicurare Numero Otto «Non te ne parlerei, se non fossi sicura di questa decisione» 
«Caesar?» 
Numero Tre si schiarì la voce «Garantisco per lei» 
«Allora ci conviene darci una mossa» concluse in un sospiro, alzandosi da tavola «Abbiamo molto di cui parlare» 
Esmeralda e Caesar lo imitarono, scambiandosi un’occhiata complice, la prima prendendo un ultimo sorso di tè e il secondo portando con sé il vassoio -ormai quasi vuoto- di biscotti. Rigel, da parte sua, non sprecò altro fiato e si diresse verso una meta ignota, certo di essere seguito e, in qualche modo, sollevato dalla presenza dei suoi fratelli dietro di sé. 
Non appena se ne furono andati, Ezra si schiarì la voce e si alzò anche lui da tavola «Penso che per oggi abbia abbastanza vissuto abbastanza dramma familiare. Andrò a cercare un po’ di pace in giardino» 
«Vengo con te» Levi sistemò distrattamente la sua disordinata crocchia blu e ripose a posto la sua sedia «Avrei proprio bisogno di un po’ d’aria fresca» 
«Io invece ho bisogno di nicotina» esclamò Alexis, una volta che i due se ne furono andati. Stava già pescando dalla tasca dei jeans un pacchetto di sigarette, quando si accorse dello sguardo scandalizzato di Artemis e di quello divertito di Oliver «Avete ragione, si deve essere sempre aperti alle alternative…» disse, rivolgendo loro un sorriso tutto denti «quindi se qualcuno ha della tequila o del rum, sappiate che non mi dispiacerebbe un po’ di caffè corretto» 
«Non giudicherò le tue scelte di vita» replicò Artemis, chiaramente in imbarazzo «ma ti vorrei pregare di non fumare in casa. Non sopporto l’odore di quei veleni babbani e trovo ingiusto condannare noi persone sane al fumo passivo» 
Numero Nove, che aveva già una sigaretta tra le labbra, si limitò ad alzare le spalle e imboccare l’uscita della sala. 
Solo quando fu sparito anche lui, Oliver diede un’occhiata al tavolo semi-deserto e sospirò «E rimasero in tre» 
«Tre» ripeté Artemis, con un sorriso che prometteva disgrazie «Il numero perfetto per sparecchiare, non trovate?» 
Per qualche istante ci fu silenzio, poi Tony borbottò: «Dannazione». 
Insomma: colazione da Buckingham Palace, dramma familiare e fuga tattica. 
Classica mattina all’Umbrella Academy.
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autore
Okay, ammetto di star diventando prevedibile. Già vi immagino mentre mi deridete. Ma guarda te, dirai tu -lettore comune-, quel tontolone di Smaug ha il blocco dello scrittore una settimana e il computer rotto l’altra, e poi se ne esce con capitoli lunghi che a nessuno va di recensire!. Sì, lo so. Dovrei aggiornare più regolarmente. Lo dico ogni volta e ogni volta fallisco miseramente nei miei intenti. Fossi in voi farei una colletta per mandarmi dal terapista perché qualche problema ce l’ho di sicuro.
La cattiva notizia è che sono lento a imparare. Quella buona è che ho già pronto il prossimo capitolo e lo pubblicherò la prossima settimana! La verità è che mi sono fatto un esame di coscienza e ho capito che sono troppo vecchio per non riuscire a seguire una tabella di marcia nella scrittura, quindi speranzosamente vi trovate difronte a uno Smaug nuovo di zecca, con ottimi propositi e un buon approccio alla vita.
In tutto ciò, Gideon e Nasheeta si godono la gioia dei liberi assembramenti in discoteca in un mondo senza covid, la Kitsune e lo Zar si prendono una giornata di meritatissime ferie pagate e la vita in casa Cleremont diventa il terrificante incrocio tra una partita di Monopoly con i parenti e la terza stagione di Game of Thrones. Uno spasso, insomma, da scrivere e spero anche da leggere.
Sempre a proposito della scrittura -e giuro che dopo questa cosa non vi piago più- mi rendo conto di aver scritto un altro capitolo piuttosto lungo, ma vi giuro che ho cercato di limitarmi e di mantenere il mio standard di quattro scene con il maggior numero di personaggi possibile.
Detto ciò, mi auguro che vi stiate godendo quest’estate e vi prometto sullo Stige che ci sentiremo molto prossimamente :)
 
 
 
 
 
il vostro drago della montagna accanto
Smaug
   
 
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