Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: paige95    28/07/2020    5 recensioni
La guerra in Afghanistan è il filo rosso che lega il destino di due uomini e due famiglie, due mondi distanti che non sanno di essere molto vicini tra loro.
Nell'estate del 2018, in pieno conflitto, il tenente comandante dei Navy SEALs Christian Richardson e l'inviato speciale del Los Angeles Times Samuel Clark verranno chiamati al fronte, lasciandosi alle spalle vissuti, affetti e i vasti territori californiani.
[Questa storia partecipa al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo" indetto da BessieB sul forum di EFP]
Genere: Angst, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Destino'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nel covo del nemico





 
            Per le vie sterrate di Kabul – 5 settembre 2018
 
Dopo il duplice attentato avvenuto nei pressi di Kabul, Christian e Gwendoline non avevano ancora trovato l'occasione opportuna per varcare via terra le porte della capitale. Era stato assegnato ai due soldati un turno di ronda; percorsero, usando come mezzo di trasporto la jeep militare, le strade dissestate dal conflitto armato, pervasi da violenti sobbalzi ad ogni metro che guadagnavano. Per la popolazione afghana, ricostruire era un'utopia, vivevano in una sorta di castello di carte che crollava ad ogni flebile folata di vento; il catrame gettato per asfaltare, dopo l'ennesimo colpo inferto nel cuore di Kabul, era costantemente corroso, ribaltato dall'impeto della guerra. L'ufficiale e la recluta procedevano nel deserto circondato da rudimentali abitazioni; era una distesa di sabbia imbevuta di vento di scirocco e di respiri trattenuti e ansiosi della povera gente - priva di averi e svuotata nello spirito.
I forestieri respiravano l'aria rovente contaminata dal tritolo e condividevano con i nativi l'incombere di una minaccia imminente.
Nel cuore di Christian non vi era più serenità da diverso tempo. I medici, che esercitavano la loro professione come volontari in uno dei tanti ospedali da campo posti al servizio della popolazione bisognosa, lo avevano alleggerito del peso della fasciatura e dei punti di sutura, lasciando solo una vistosa cicatrice sul petto che lui avrebbe dovuto giustificare agli occhi di Katherine, senza angustiarla più del necessario con racconti cupi; il braccio sinistro era ancora indolenzito, in Afghanistan, specie per un soldato in missione, non veniva contemplata alcuna riabilitazione. I muscoli di Christian venivano distesi grazie alla guida; il movimento del volante sarebbe stato un ottimo esercizio motorio, se non fosse stato per il clima che aleggiava intorno a loro. Gwendoline sembrava pensierosa; non degnava uno sguardo alla strada che si estendeva davanti a loro, era concentrata sugli occhi che incrociava di sfuggita sul bordo degli stretti viottoli che non possedevano nemmeno un nome, erano luoghi fantasma per il resto del mondo. Il volto di donne e bambini scorreva nella mente del soldato Ward; giurò che una piccola tra le braccia del papà le avesse accennato un sorriso e un saluto con la manina, o forse era soltanto il sole ad infonderle allucinazioni. Alla recluta stringeva l’anima realizzare quanto migliaia di creature innocenti stessero soffrendo nelle mani dei loro carnefici.
«Gwen»
La coscienza della ragazza era proiettata altrove, sulle catapecchie in cui quei pargoli crescevano, sul loro vestiario. L’Occidente era il paradiso in confronto, l’Afghanistan invece l’inferno sulla Terra e lei si trovava in una sorta di purgatorio, un limbo trapunto di impotenza e sofferenza. Il tono pacato e comprensivo del tenente era risultato ovattato, lontano; la giovane stava affogando i suoi sensi nel dolore dell'anima.
«Gwen»
Fu impossibile per la recluta non ridestarsi dal torpore, Christian le aveva sfiorato le falangi infondendole calore umano.
«Mi scusi, signore, mi sono distratta. Mi stava parlando?»
Il capitano stava guidando, ma aveva notato l’espressione assente del suo sottoposto; si limitò a sorriderle e a rassicurarla sul fatto che non si fosse persa qualcosa di importante. Il loro tragitto venne ostacolato più volte dai pedoni; Christian non inserì quasi mai la quarta, tra i trenta e i quaranta chilometri orari era la velocità migliore, consentiva loro di perlustrare con attenzione la zona circostante. Erano entrati nel vivo delle attività orientali; quando la rara quiete regnava, la popolazione si dilettava in ogni sorta di attività commerciale, i banchi del mercato erano dietro qualsiasi angolo. Il vociare acuto e grave della gente tornò ad inondare l’udito di Gwendoline; la ragazza si era soffermata sui dettagli, i peggiori che caratterizzassero quel mondo, ma aveva perso di vista il complesso, la vita che scorreva ancora nelle loro vene e nelle arterie stradali che sezionavano la città.
Stavano cercando di concludere il loro giro e rientrare alla base militare; avevano impiegato il doppio del tempo, a causa della folla e del conseguente passo lento della jeep. Superato il confine settentrionale, davanti a loro si palesò il silenzio; il vociare della folla si era diradato, salvo ostacoli imprevisti, Christian poté accelerare e auspicare di tornare alla base prima del tramonto.
«Capitano, fermo!»
Gwen posò un palmo sul volante, intimando il superiore di aspettare a procedere. Christian non indugiò, frenò bruscamente riponendo in lei la massima fiducia.
«La sente anche lei?»
«È il mercato, ma ci stiamo allontanando»
«No. Ci stiamo avvicinando»
La ragazza riacquistò concentrazione e affinò l’udito; aveva compreso la direzione da cui provenissero gemiti e urla di dolore, era un grido di aiuto femminile che la recluta non riuscì ad ignorare. Gwendoline aprì lo sportello e lasciò che la voce la guidasse; i suoi passi vennero subito ricalcati e sovrastati dagli anfibi del tenente. Il soldato Ward raggiunse in anticipo il luogo; un muro grezzo – come d’altronde lo era ogni edificio appartenente alle famiglie più povere – fungeva da supporto per una giovane donna in evidente stato di gravidanza; era sofferente, qualche livido solcava il viso abbronzato e si lamentava per le doglie del parto; il velo che abitualmente le copriva il capo ricadeva sulle spalle, era segno della violenza che aveva subìto e del dolore che stava patendo. La recluta si inginocchiò al suo fianco per poterla confortare, non era più sola, ma non sapeva come comunicarlo a lei, di sicuro non avrebbe compreso l'americano. Christian piegò le ginocchia e si avvicinò alle due donne. Quella sofferente non aveva la forza di temere i due sconosciuti, se avessero voluto avrebbero potuto finirla in qualunque momento, ma in un barlume di lucidità capì che non era nelle loro intenzioni infierire su di lei.
«Gwen, non arriveremo in tempo in ospedale. Dovrai aiutarla tu»
«Come scusi? Capitano, l’unico ad avere figli qui è lei»
«Sì, ma non ho avuto modo di assistere al parto di mia moglie ed anche se fosse, sei senz'altro la più indicata tra noi due»
La ragazza non riusciva a capire come potesse essere in grado di aiutare una donna in quello stato, non aveva le basi, non aveva gli strumenti. Ricordò il medico che aveva salvato la vita ad una madre in un atto di puro eroismo, Karim - non era certa fosse quello il suo nome - era riuscito a mani nude, ma lei non era pratica di quella professione, non aveva le conoscenze per ovviare all’assenza di mezzi consoni e sterili, in primis un antidolorifico che la potesse calmare e alleviare il patimento fisico. Non rimasero soli a lungo, alcuni passi felpati diventarono sempre più nitidi e concitati; un giovane correva nella loro direzione, gridava spaventato in afghano alla donna riversa a terra e tra le sue mani un kalashnikov brillava sotto la luce ramata del tramonto. Christian lo riconobbe dai lineamenti e quando gli fu abbastanza vicino, anche le iridi divennero particolarmente familiari.
«Tu sei il ragazzino che mi ha sparato. Non potrei confonderti con altri»
L’ultimo arrivato era madido di sudore, le sue forze stavano venendo meno, ma trovò la forza di puntare l’arma contro i due soldati, convinto che stessero tenendo la partoriente in ostaggio.
«Lasciate libera mia sorella»
Il capitano non avrebbe accettato altri colpi di testa da parte sua; era comprensivo verso un giovane vittima della sua stessa cultura, ma non abbastanza da lasciarsi sparare senza reagire. Si alzò e con veemenza gli strappò l’arma dalle mani; era talmente infuriato che il ragazzo non riuscì nemmeno ad anticipare le mosse di Christian, si ritrovò le sue mani addosso, stava stringendo la kurta all’altezza del petto e quasi lo sollevava da terra.
«Adesso basta»
«Capitano!»
Gwendoline provò a placare la tensione, il clima che si era creato non avrebbe aiutato la donna durante il parto; la recluta stava pensando a come poterla soccorrere nel migliore dei modi, si limitò per il momento ad asciugarle la fronte con un fazzoletto pulito che custodiva nella tasca della sua divisa, l’ombra del suo corpo la riparava in parte dal sole debole, ormai prossimo a nascondersi dietro l’orizzonte.
«Parla. Perché tua sorella si trova qui e ha il volto tumefatto?»
Christian continuò a tenere ben salda la presa su di lui; non aveva necessità di sentire dalla loro voce che fossero talebani, lo sapeva già. Nonostante il ragazzino avesse una posizione di inferiorità e svantaggio al cospetto degli americani, abbassò le difese, non avrebbe potuto vincere da solo né contro loro né contro gli aguzzini di sua sorella.
«È accusata di adulterio. Il marito ha la facoltà di porre fine alla sua vita e ha deciso di seguire la Legge»
«Di chi è il bambino?»
Il ragazzo tacque, lasciando intendere che le accuse erano fondate. Il capitano era certo si fossero cacciati in un guaio più grande di loro; dichiarare guerra ai talebani era loro abitudine, ma contrastare la Sharia equivaleva alla pena di morte. Christian allentò la presa su di lui, aveva ancora il kalashnikov nel palmo della mano sinistra, si accorse in quel momento di avvertire qualche fastidio all’altezza della scapola; era pensieroso, la decisione da prendere non era semplice, alle sue spalle una donna era in procinto di partorire e fuggiva da gente senza scrupoli che voleva uccidere lei e il nascituro. Fu questione di un secondo, un’ombra lunga alle spalle del giovane talebano li raggiunge e puntò un’arma contro di loro; il capitano non riuscì a capire su chi fosse rivolto il mirino, pensò a proteggere il giovane, riafferrandolo con forza e spostandolo velocemente alla sua destra appena dietro di lui; puntò il kalashnikov contro l’uomo e sparò con la sola mano sinistra. Il rimbalzo del proiettile fece tutt’altro che bene alla spalla convalescente; fece scivolare l’arma dalle dita, lasciò che rovinasse a terra e realizzò cosa fosse successo.
«Capitano Richardson, si sente bene?»
La voce del sottoposto lo raggiunse. No, non stava bene. Aveva paura di scoprire cosa avesse appena combinato; l’uomo giaceva a terra inerme, non si muoveva e Christian pensò al peggio.
«È il marito di Nazaha. Non è riuscito lui, ma non sarà il solo a volere la sua morte»
Il ragazzino sembrava sollevato, l’americano aveva salvato loro la vita, senza il suo intervento sarebbero entrambi morti. Il tenente era dolorante, si era sforzato, stringeva il braccio con il palmo destro nell’illusione di alleviare il fastidio; ignorò la preoccupazione di Gwendoline, ma non la considerazione del giovane, gli premeva però un po’ di più accertarsi di non aver commesso un omicidio. Si avvicinò al talebano, quello che avrebbe dovuto essere il nemico giurato nella corsa alla liberazione di quelle terre, eppure non riusciva nemmeno a concepire di aver spezzato la sua vita. Si accertò che avesse polso e tirò un sospiro di sollievo, quando avvertì una flebile presenza di vita. Non era spietato come loro, non desiderava che la sua missione e le sue mani si macchiassero di sangue, era lì per salvare non per uccidere.
«Ragazzo»
Aveva chiamato il giovane da lontano, aveva impiegato un tono di voce elevato per farsi sentire, ma non perentorio; grazie al timbro più accondiscendente si era avvicinato al capitano, aveva conquistato in parte la sua fiducia.
«Come ti chiami?»
«Rashid»
«Rashid, ascolta. Quest’uomo è ancora vivo, voglio che chiami aiuto per soccorrerlo. Noi non siamo assassini. So che non lo sei»
Christian aveva battuto l’indice contro il petto del giovane talebano con atteggiamento paterno, aveva puntato i suoi occhi chiari in quelli scuri di Rashid; era convinto fosse nato e cresciuto nella famiglia sbagliata, ma il suo cuore era pronto alla redenzione.
«Io e la mia collega ci occupiamo di tua sorella. Nazaha deve partorire, altrimenti rischia la vita insieme al bambino. Mi hai detto che altri vogliono punirla, li fermo e guadagno tempo»
Rashid era sconvolto, un americano li stava aiutando, non era ciò che sapeva sui militari occidentali, altrimenti in passato non avrebbe mai nutrito il desiderio di ucciderlo a sangue freddo, subito dopo l'attentato che aveva strappato la vita a decine di persone innocenti - ma per lui la loro morte era necessaria; all'epoca - che equivaleva ad una manciata di giorni prima - non aveva considerato che quell'uomo potesse essere un salvatore; non lo aveva pensato per il semplice fatto che lui e la sua famiglia non salvavano, loro pensavano solo ad eliminare in nome di ideali superiori a chiunque o a qualunque cosa abitasse sulla Terra.
«Cosa mi garantisce di potermi fidare di te?»
Christian rifletté qualche istante, poi prese l’unica decisione giusta e sbagliata nel medesimo tempo; sciolse il nodo della cordoncina che portava gelosamente al collo, era geloso persino di quel nodo perché era stato stretto da Katherine. Porse un piccolo bacio sull’oro della sua fede, passò il pollice sul metallo liscio in segno di arrivederci e riannodò la corda al collo del ragazzo.
«Ti lascio in custodia il bene materiale più prezioso che io abbia, è il mio anello nuziale. Conservalo, quando ci rivedremo me lo restituirai. Questo in cambio della vita di tua sorella. Gwendoline, la mia collega, non ha mai aiutato una donna a partorire ma è in gamba, se la caveranno»
Rashid rimase scioccato da quel gesto, doveva tenere molto alla moglie se aveva così cura del simbolo della loro unione e attribuiva ad esso un valore così grande.
«Sono pericolosi, sono armati fino ai denti»
«Immagino, sì, ma tranquillo, sono armato anch’io»
Recuperò la sua Sig Sauer dalla fondina, Rashid la conosceva bene, lo aveva disarmato da quella pistola in occasione del loro primo incontro. Christian non aveva nemmeno contemplato la possibilità di servirsi del kalashnikov del ragazzo, lo aveva lasciato di proposito a Rashid se avessero avuto la necessità di difendersi, nel caso lui avesse fallito.
«Capitano, mi dispiace di averti ferito»
«Non preoccuparti, è tutto passato»
Non era vero, portava ancora sulla pelle i segni dell'agguato, ma non gli serbava rancore, voleva solo aiutarlo. Gwendoline stava calmando Nazaha, la stava invitando a respirare in modo regolare, qualche film che toccava il tema la stava guidando in quelle operazioni di primo soccorso; la recluta gettò un’occhiata in direzione del superiore, sapeva di non poterlo fermare, raccolse il sorriso orgoglioso di Christian e tra le labbra la ragazza gli comunicò prudenza. Faccia attenzione.

 
◦•●◉✿✿◉●•◦
 
Christian non avrebbe mai immaginato che per lui il momento dello scontro diretto sarebbe giunto così presto. Si era accertato che la sua arma fosse carica e che fosse emotivamente pronto ad uccidere in caso di necessità, ma era certo non lo sarebbe mai stato. Era solo ad affrontare il nemico. Solo davanti alla possibilità di non farcela. Non ricordava di aver mai vissuto una simile situazione in passato e ciò lo spaventava; non era più accompagnato dal simbolo dell’amore che lo legava alla sua famiglia, ma il pensiero, prima di ripercorrere a ritroso le strade solcate da Rashid, volò alle sue donne. Fu l’ultimo e il solo pensiero, l’unica distrazione che si concesse, doveva mantenere alta la concentrazione. Si premurò di impugnare la pistola nella mano destra per essere certo di caricare il colpo con più forza e precisione in caso di necessità.
Il ragazzino conosceva i talebani molto meglio di quanto non facesse lui – Flores non riusciva a capirlo. Il tenente aveva imboccato una strada piuttosto isolata e al tramonto era avvolta per buona parte nell’oscurità; udì nitidi alcuni passi, stavano cercando la ragazza, doveva fermarli, non poteva consentire una carneficina. Non vi era altra scelta che usare se stesso come esca; cercò di intuire prima quante fossero le minacce, udiva solo due suole che procedevano ritmicamente verso Nord, la sua direzione. Se i suoi calcoli fossero stati corretti, sarebbe riuscito a mantenere un equilibrio tra le parti in un conflitto a fuoco, aveva un vantaggio, un nascondiglio di pietra grazie al quale ripararsi dai colpi.
Quell’uomo si stava avvicinando a lui e di conseguenza a Gwen e a Nazaha. Sbirciò con prudenza oltre il muro e lo intravide; lo accompagnava un kalashnikov. Doveva essere un cognato per la puerpera, desiderava vendicare l’onore macchiato del fratello, o un qualsiasi altro parente acquisito. Christian si stava scontrando con una realtà al limite del verosimile per un occidentale; non era certo di essere all’altezza per riuscire a dimostrare a quegli uomini che un tradimento, scaturito da un matrimonio combinato, non fosse abbastanza grave da prevedere una pena di morte. Non sarebbe stato abbastanza influente per dimostrare loro che un atteggiamento più morbido avrebbe portato beneficio ad entrambe le parti; un matrimonio celebrato per amore avrebbe portato con sé minori probabilità di un tradimento. Christian parlava con ragione ed esperienza. Era così folle da credere di poter mostrare solo a parole - senza inutile spargimento di sangue - una prospettiva diversa, ma in quel momento, in quell’angolo nascosto e sperduto, in un punto qualsiasi della periferia settentrionale di Kabul, lo avrebbero solo trivellato di colpi se avesse cercato di intessere un dialogo. Doveva sparare contro di lui e rivelare la sua posizione se voleva fermare i suoi passi. Seguì ogni possibile suggerimento di Gwendoline sull’arte di sparare; il suo bersaglio non era rappresentato dagli organi vitali, non desiderava procurargli una ferita mortale. Era certo che persino sua moglie in una situazione simile gli avrebbe suggerito di uccidere, pur di avere salva la vita. Un colpo mancò inesorabile l’obiettivo e subito il talebano rispose al fuoco, provocando a Christian una ferita superficiale al braccio, lo aveva sfiorato procurando un taglio alla sua divisa. Riprovò, stavolta con più convinzione, uscì allo scoperto e ad una distanza notevole per una calibro 9x21 riuscì a colpire un polpaccio dell’uomo. Era una semplice pistola contro un kalashnikov, ma Christian non smise di puntarla contro quell’uomo. Il capitano non era certo che i due potessero comunicare attraverso la stessa lingua, non dissero nulla, si minacciarono in silenzio, ma Christian, a differenza di quell’uomo, era in piedi, l’altro era collassato sulle ginocchia. Fissò negli occhi il talebano, se si aspettava che lui avrebbe premuto il grilletto, si sbagliava, il tenente non lo avrebbe fatto; sarebbe stato più verosimile tenerlo in quella posizione inerme e dare modo a Gwen di portare in salvo la neomamma e il bambino. Di certo l’uomo che Christian aveva davanti non si sarebbe posto lo stesso scrupolo. Ne ebbe la triste conferma quando gli occhi del talebano sorrisero e a seguire la bocca si inarcò in una inquietante curva sadica; estrasse dalla tasca dei suoi pantaloni una granata, lasciando intendere che non avrebbe avuto paura di usarla.
Il capitano Richardson aveva davanti a sé un kamikaze, eppure non tremò. Non poteva finire così la sua missione di guerra, con una semplice esplosione, aveva così tanti progetti per l’ospedale che doveva liberare da gente come l’uomo che lo stava minacciando; aveva un futuro davanti e aveva una famiglia con il quale condividerlo. Sparare sarebbe stata la soluzione migliore; riusciva a sentire la voce di Katherine nella sua coscienza che gli suggeriva di ucciderlo prima che quell’uomo gli strappasse l’anima dal corpo; tante volte sua moglie prima della partenza gli aveva raccomandato di tornare a casa ad ogni costo. Non riusciva a macchiare la sua coscienza, non era in grado di vivere nel rimorso, ne collezionava già troppo. Cedette ad una lacrima, in quella miscela densa di sale, ma soprattutto di ricordi, consegnò al destino la sua anima candida, libera da un omicidio consumato a sangue freddo.
Scusa, amore, non posso.

 
◦•●◉✿✿◉●•◦
 
Il rumore di un’esplosione echeggiò tra la sabbia del deserto orientale. Il respiro di Gwendoline venne mozzato per un istante; era stato un boato promiscuo a loro, ma non li aveva coinvolti nel corpo, aveva sconvolto l’anima come se il cuore fosse stato attraversato da un tornado. Qualche lacrima scorse lungo le guance della recluta; era assurdo che, mentre una vita vedeva la luce del sole, un’altra venisse spezzata dalla cattiveria umana. Gwen cercò di riscoprire coraggio in quella partoriente, ormai al limite delle forze.
«N-Nazaha, più forte. Ci sei quasi, vedo il tuo bambino»
Rashid era al loro fianco e traduceva le parole incoraggianti del soldato. Non aveva mentito, vedeva la testa del piccolo o della piccola, non conosceva il sesso del nascituro; doveva assicurarsi che fosse in salute però, non poteva in alcun modo vanificare il sacrificio del suo superiore.
«Nazaha, un'ultima spinta»
Le strinse la mano per infonderle coraggio; la giovane mamma non ebbe bisogno della traduzione del fratello, le due donne si capirono al volo e subito dopo il pianto di un neonato coprì in parte il boato della bomba che non si era dissolto dalla mente di Gwen. Il soldato Ward non possedeva forbici per separare la mamma da quella che sembrava essere una bella bambina; posò delicatamente la piccola sul petto della ragazza.
«Rashid, aspettate i soccorritori. Penseranno a loro e a tuo cognato. Devo andare»
Gwendoline aveva i palmi insanguinati, ma non le importò. Imboccò senza indugiare e senza armi a portata di mano, la direzione verso cui in precedenza era scomparso Christian. Quell’uomo le aveva raccomandato varie volte di non essere impulsiva, mandò al diavolo le sue raccomandazioni, non avrebbe potuto seguirle se in gioco vi era la sua vita. Più la giovane si addentrava e più era colta alla sprovvista da un denso fumo; i suoi occhi impiegarono qualche minuto per abituarsi all’atmosfera cupa e opaca. Non smise di procedere, il tempo non era a suo favore, eppure era essenziale il tempismo in caso di pericolo mortale. Lo vide, o meglio, intravide un corpo riverso a terra che avrebbe potuto somigliare alla corporatura del Navy SEAL. Era svenuto, si gettò in ginocchio accanto a lui, piccoli tagli erano cosparsi lungo il suo corpo, gli avevano lacerato in minima parte anche il viso.
«Capitano, no, la prego. Tenente, mi sente?»
Non le rispondeva, lei non osava sfiorarlo, temeva di infliggergli nuove sofferenze fisiche.
«Christian. Ti prego, non lasciarci. Abbiamo bisogno di te»
Il dolore le ispirava l’informalità, lo invocava tra i denti e le lacrime, con un’unica speranza sul cuore. Notò attraverso le iridi nebulose qualcosa che si era conficcato nella tasca della divisa; estrasse una scheggia di pietra con facilità, non aveva raggiunto la pelle, aveva oltrepassato il risvolto della divisa, la stoffa, la tasca ed infine un foglio. Era il disegno di sua figlia, la carta spessa gli aveva salvato la vita, ma solo se infine si fosse svegliato.


 
Ciao ragazzi!
IO SONO UN MOSTRO, se lo state pensando sappiate che avete tutte le ragioni di questo mondo.
La prossima settimana con molte probabilità non avrò la disponibilità del PC per aggiornare, aggiornerò con un po' di ritardo, scusate in anticipo, soprattutto perché mi rendo conto della suspance che ho lasciato. Torno, questo è sicuro e un pochino (ma poco poco) spero di avervi infuso curiosità.
Grazie immensamente, ormai lo sapete, lo ripeto in ogni occasione, grazie al vostro supporto avete consentito a questa storiella di uscire dalla mia mente <3
Alla prossima!
Un abbraccio grande
-Vale
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: paige95