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Autore: Deruchette    03/08/2020    4 recensioni
[La storia segue lo svolgersi degli eventi dall'epilogo di "Hunger Games" all'epilogo di "Mockingjay"]
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Katniss e Peeta, gli Innamorati Sventurati del Distretto 12, i vincitori della 74esima edizione degli Hunger Games.
La loro storia è sotto gli occhi di tutti ma solo in pochi sanno che, in realtà, si tratta solo di finzione. La mossa strategica che li ha portati via dall'arena è costretta a continuare anche adesso che il sipario inizia a calare sull'ultima edizione dei giochi.
E se ad un certo punto la finzione si trasformasse in realtà?
Cosa succederebbe se gli Innamorati Sventurati fossero realmente innamorati?
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Dal capitolo 6:
"È evidente, chiaro come il sole, che è tutto cambiato. Che il ragazzo che all’inizio di quest'avventura consideravo un semplice amico, un alleato, adesso è diventato qualcos’altro. Per settimane mi sono chiesta se non fosse sbagliato nei suoi confronti recitare la parte della brava fidanzatina conoscendo la reale portata dei suoi sentimenti, sapendo che io non provavo la stessa cosa. Non sarebbe tutto più semplice se ti amassi?, la domanda che ronzava costantemente nella mia testa.
Ora lo so. Non solo è più semplice, più normale. È diventato anche necessario. Necessario come l’aria che respiro."
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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In The Still Of The Night - 12

Nda: in questo capitolo è presente uno spoiler riguardo il libro prequel Ballata dell’usignolo e del serpente. Sono stata combattuta fino alla fine sul mantenerlo od eliminarlo, ma alla fine ho lasciato perdere ed ho tenuto la bozza originale, così com’è uscita fuori. Mi scuso sin da ora per essere una così insopportabile spoileratrice seriale.

 

 

 

 

 

In the still of the night

 

 

 

 

12.

 

- Nel settantacinquesimo anniversario, affinché i ribelli ricordino che anche il più forte tra loro non può prevalere sulla potenza di Capitol City, i tributi maschio e femmina saranno scelti tra i vincitori ancora in vita.
Questo è il contenuto della busta. Questo è ciò che ha detto il presidente. Le sue parole mi rimbombano nel cervello come se avessi la sua voce fissa nelle orecchie mentre fuggo, mentre corro.
Corro, senza sapere dove andare di preciso. Senza alcuna meta.
La sola cosa di cui sono pienamente consapevole è che, di qui a tre mesi, sarò di nuovo nell’arena.
Sono scappata via sotto lo sguardo confuso di Prim e quello scioccato di mia madre, che si premeva una mano sulla bocca nel tentativo di trattenersi dall’urlare. Sono scappata via per non vedere l’orrore che certamente si rifletterà nei loro occhi e che ha già invaso i miei. Sono scappata via per non vederle soffrire. Non voglio vederle soffrire ancora, e ancora una volta a causa mia.
Quanto dolore può sopportare un essere umano? Quanto dolore può sopportare prima di scoppiare? Prima di cedere?
Cado in mezzo alla ghiaia, ma mi rialzo in fretta e furia e riprendo la mia folle corsa. Dove posso andare? La prima risposta che mi viene in mente è il bosco, ma con la recinzione elettrificata attiva è fuori discussione. Anche se gettarsi contro quella recinzione metterebbe fine a un sacco di questioni, allo stato attuale delle cose…
Rallento la mia corsa quando sono giunta alle ultime e spettrali case che, ancora vuote, delimitano il Villaggio dei Vincitori. Scelgo proprio l’ultima come riparo provvisorio. Sto già scendendo le scale che portano al seminterrato quando sento le prime voci che urlano il mio nome, che mi cercano.
Crollo a terra, sulla dura e fredda pietra, e do libero sfogo alle mie lacrime. Piango, urlo, mi lamento con la fronte posata sulle pietre gelate che costituiscono il pavimento del seminterrato. Copro le orecchie con le mani per non sentire le voci e le mie stesse urla. Fa freddo, qui, senza nient’altro che la camicia e il cardigan leggero che ho addosso. Ben presto mi trasformo in un blocco di pietra, come il pavimento che sento premere contro il corpo, ma non mi muovo, non faccio nulla per cercare di scaldarmi.
Scuoto piano la testa, tossendo per i singhiozzi che non mi lasciano respirare bene come desidero fare.

Le Edizioni della Memoria fanno schifo.
È orribile scoprire che esistono, è orribile conoscere il modo in cui si sono svolte le precedenti. Ma niente, niente batte quella che sta per prendere vita. È orribile sapere che hai affrontato e sfidato la morte per tornare a casa vivo, solo per poter offrire a Capitol City la possibilità di riportarti nel luogo che diventerà la tua tomba. In maniera definitiva, stavolta.
Perché stavolta sarà così: morirò nell’arena. Morirò nel tentativo di salvarmi la vita. Nessuno mi farà uscire viva da lì, quest’anno. Morirò. È quello che vogliono fare: uccidermi. Non c’è via di scampo.
È impossibile che l’Edizione della Memoria estratta stasera sia la stessa che è stata decisa con largo anticipo decine di anni fa. È impossibile: sarebbe una coincidenza innaturale, altrimenti, e perfetta. No, quella di quest’anno è stata costruita a tavolino con il solo scopo di punire me, e tutti i Distretti che hanno osato provare a ribellarsi. È una lezione che Panem vuole dare a tutti noi, insorti e non insorti. Perché cosa c’è di peggio nel vedere le persone che si amano da anni, alcuni dei quali che sono diventati dei veri e propri beniamini per il pubblico, ammazzarsi a vicenda? Non è come vedere degli adolescenti sconosciuti: non hai un vero e proprio interesse per loro, dopotutto, non sai chi sono veramente. È dopo che li conosci veramente. È dopo che li hai amati per anni, è dopo esserti affezionato che capisci la reale portata di quest’orrore.
Dovrò uccidere le persone che ho visto sempre in televisione per salvarmi la vita? Ho un conato di vomito alla sola idea. È orribile anche solo pensarci.
Immagino che il matrimonio dovrà essere annullato. Ovvio che sarà annullato. Come posso sposarmi alla fine dell’estate, se per la fine dell’estate mi troverò già sottoterra da un bel pezzo? Oh, che stupida che sono stata! Perdere il sonno, la fame, la ragione, ed essere in preda al terrore, per un matrimonio che non si farà mai… a cosa è servito tutto questo? Preoccuparsi per un matrimonio che lo stesso presidente Snow voleva organizzare e che, adesso capisco, sapeva già che non ci sarebbe mai stato! Al suo posto, mi stava preparando un regalo di nozze che mi avrebbe fatta impazzire!
E non è proprio questo quello che ha ottenuto? Sto impazzendo, se non lo sono già diventata.
Una risata isterica mi esce dalle labbra. In confronto all’arena, affrontare un matrimonio è una bazzecola. È davvero una sciocchezza. Mi sposerei una, dieci, cento volte, se questo servisse a salvare la mia vita e quella di mio marito! Marito…
Peeta.
Lui è costretto a venire nell’arena con me. No, le cose non stanno realmente così… io sono l’unica che è costretta ad andarci, perché sono l’unica vincitrice donna ancora in vita. Anni fa, più di cinquant’anni fa, c’è stata un’altra vincitrice, ma non si è più saputo nulla di lei da quando ha vinto. È come scomparsa nel nulla.1 Io sono l’unica ragazza vincitrice che il Distretto 12 ha da offrire come tributo. Sono l’unica che non ha possibilità di scelta. Il mio viaggio per Capitol City è già prenotato, e so già che sarà un viaggio senza soste, e senza ritorno. L’unico ritorno che otterrò avverrà all’interno di una cassa di legno.
Per i maschi è diverso. Ce ne sono due tra cui scegliere: Peeta e Haymitch. Chi dei due verrà estratto come mio compagno per questi giochi? Immagino che lo saprò il giorno della mietitura. No, mi sto sbagliando ancora: immagino che lo saprò prima. Molto prima. Sono sicura che decideranno insieme chi dei due andrà nell’arena. Insieme…
- No – la mia voce esce in un lamento. Perché ho appena capito quello che accadrà se non faccio nulla per fermarli. Perché se il nome che uscirà nella mietitura sarà quello di Haymitch, Peeta si offrirà volontario al suo posto. Lo farà per seguire la mia stessa sorte. Lo farà per seguire me.
Lo farà per morire con me nell’arena.
- No… - ansimo, alzandomi in piedi. Non posso permettergli di compiere una simile sciocchezza. Non posso permettergli di morire per me. Non può farlo.
Rifaccio il percorso a ritroso, ma è più difficile con le membra intorpidite che mi ritrovo. Salgo le scale, esco dalla casa, torno all’aria fredda e buia della notte. – Peeta – bisbiglio il suo nome, che viene scandito dagli intervalli del mio respiro. – Peeta…
Quando sono a metà della piazzetta del Villaggio, lo vedo. Chi altri può essere se non lui? Cammina, si guarda intorno, capisco che sta cercando me. Comincio a correre per raggiungerlo, lo chiamo con la poca voce che mi ritrovo, anche se non mi sente. Le lacrime continuano a scendere, non si sono mai fermate da quando sono uscita di casa.
- Katniss! – urla nel venirmi incontro. Mi afferra al volo, posa le mani sul mio viso. – Ascoltami, ho parlato con Haymitch. Sarò io a venire nell’arena con te…
- NO! – stavolta, nell’urlare, riesco a far uscire tutta la voce che mi rimane. – Non puoi farlo! Tu devi vivere, Peeta!
- No, verrò con te. Lo abbiamo fatto l’anno scorso e lo rifacciamo anche quest’anno, insieme…
- NO! – i miei pugni lo colpiscono al petto, sulle spalle, su ogni punto del suo corpo che riesco a raggiungere. Lo colpisco anche al viso, e lui si lascia picchiare, si lascia graffiare, e non cerca in alcun modo di fermare il mio sfogo. – Morirai se vieni con me! Morirai… moriremo entrambi…
Non ho la forza di oppormi, di convincerlo ad ascoltarmi. Non ho più forze, ormai. Mi accascio su me stessa, piangendo. Piango per me, per la mia morte imminente, piango per Peeta che ha scelto di suicidarsi per me, piango per questo mondo infame che non ci permette di vivere una vita normale. Nella nebbia che mi avvolge, trovo il corpo di Peeta e mi ci aggrappo con la poca forza che ancora ho a disposizione. Piango, sapendo che questi sono gli ultimi mesi che mi rimangono per stare insieme a lui.
- La porto da me, starà con me finché non si calma – dice Peeta a qualcuno. Le sue braccia mi stringono mentre una terza mi accarezza i capelli. La riconoscerei tra milioni di altre: la sua mano, le sue mani, e quelle di Peeta. Le mani delle persone che amo, e che sto per lasciare per sempre.
- Va bene – mormora mia madre, concedendo a Peeta il permesso di farmi stare da lui.
Quasi di peso, mi fa alzare da terra e, con un braccio a circondarmi le spalle, mi porta a casa sua. Non vedo nulla tra le lacrime che mi accecano gli occhi e la luce improvvisa che mi destabilizza, dopo tutto quel buio. Un calore improvviso mi fa rabbrividire di riflesso. Capisco di essere nel salone, davanti al caminetto acceso. Un leggero peso e altro calore mi dicono che Peeta ha posato una coperta sulle mie spalle rigide.
- Dove sei stata? Sei gelata! Ti ho cercata dappertutto – dice, e per la prima volta nella sua voce sento della rabbia, del nervosismo. Me lo merito. Sono felice che si stia arrabbiando per me.
Lo osservo in silenzio, senza dire nulla del mio breve nascondiglio e del perché ci sono andata. Può arrivarci benissimo da solo, dopotutto: quello che provo io lo sta provando anche lui. Anche Haymitch sarà arrabbiato e sconvolto dalla notizia… ma se Peeta ha già preso accordi riguardo l’offrirsi volontario al suo posto, dovrebbe stare più tranquillo. È in una botte di ferro.
- Perché sei andato da Haymitch? – bisbiglio, stringendomi nella coperta. – Perché l’hai fatto, Peeta?
- Perché così, in due, possiamo provare a salvarti la vita – esclama, e comincia a strofinare energicamente le mani sulle mie braccia nel tentativo di infondermi più calore. – Sei un pezzo di ghiaccio. Ti preparo qualcosa di caldo…
- No! – gli afferro un braccio prima che possa andare via. – Non voglio qualcosa di caldo.
- Che cosa vuoi?
Alzo gli occhi, e finalmente osservo i suoi. Sono rossi, e lucidi. Come quella notte sul treno, quando si è svegliato a causa dell’incubo e mi ha rivelato cos’è che lo terrorizza tutte le notti. Il pensiero di me nella tomba: è questo a terrorizzarlo. È per evitare di vedermi morta che vuole tentare così disperatamente di salvarmi? Vuole provarci nonostante questa Edizione della Memoria sia programmata per fare l’esatto opposto? Spezzarmi, distruggermi… uccidermi. Vuole tentare l’impossibile, e per raggiungere l’obiettivo impossibile finirà col farsi ammazzare inutilmente.
Si farà ammazzare, ed io morirò lo stesso.
E allora sarà stato tutto vano.
- Cosa c’è, Kat? Cosa c’è? – mormora, asciugando le mie lacrime. Ne vedo una che sfugge al suo controllo e scivola dal suo occhio lungo la sua guancia.
È il pensiero di me nella tomba che lo terrorizza. A me terrorizza la stessa identica cosa. Una tomba su cui piangere, su cui sfogare il mio dolore. Se lui muore ed io sopravvivo, che altro motivo ho di andare avanti? Cosa mi darà la spinta per affrontare le ore, i giorni, gli anni vuoti che mi ritroverò davanti?
Che gusto c’è a vivere una vita vuota, se lui non è con me a condividerla?
- Voglio te – ansimo, e un singhiozzo rompe le mie parole. – Voglio te, Peeta. Voglio solo te…
Il suo viso si avvicina al mio, le nostre fronti si incontrano. I nostri respiri si confondono tra di loro. – Anche io voglio solo te.
Dopo, non c’è altro da dire.
Dopo ci sono solo i baci, le carezze, l’urgenza del sentirsi vivi ancora una volta. Sentirsi vivi, prima di andare ad affrontare di nuovo la morte.
Dopo, ci siamo solo noi che facciamo l’amore davanti al fuoco.

 

Ci sono due cose di cui sono consapevole, al momento. La prima è il corpo di Peeta che preme contro la mia schiena: un braccio mi tiene stretta a sé, circondandomi il seno, la mano posata all’altezza del mio cuore. L’altro è steso sul pavimento e mi fa da cuscino. La seconda cosa invece è il fuoco che arde nel camino. Il fuoco e Peeta; non mi importa di nient’altro.
Non ci siamo più mossi da quando abbiamo finito di fare l’amore… o meglio, io non mi sono mossa. Quando le legna nel camino hanno cominciato a consumarsi, Peeta si è alzato e ne ha aggiunte delle altre, poi ha fatto il giro della casa: ha spento le luci, ha chiuso a chiave la porta d’ingresso, ha controllato che tutto fosse in ordine. Non ha tralasciato nulla prima di tornare da me. Si è sdraiato alle mie spalle, ha steso la coperta sopra i nostri corpi nudi, e non ci siamo più spostati da allora.
Perché dovremmo farlo? Non verrà nessuno a cercarci. Non stanotte, almeno.
Non sono mai stata così consapevole del corpo di Peeta come ora. Mi sembra di sentirlo davvero per la prima volta. Il suo calore mi brucia la schiena, e le sue gambe sono intrecciate alle mie, a rimarcare il fatto che nessuno dei due ha intenzione di muoversi da lì. Persino la protesi è calda; è fatta di un materiale studiato apposta per assorbire il calore corporeo. Se non fosse così innaturalmente rigida, penserei che sia la sua gamba reale: una gamba fatta di carne, sangue e ossa.
Peeta è senza alcun dubbio quello uscito più ammaccato dagli Hunger Games; al confronto, il mio orecchio sordo era stata una barzelletta. E adesso vogliono rimandarlo nell’arena, per colpa mia. Devo assolutamente parlare con Haymitch, dobbiamo trovare il modo di salvarlo. Me lo deve, in fondo. L’anno scorso non ha deciso che era lui il più debole da sacrificare? Non ha puntato tutto su di me? E Peeta, agendo nel modo in cui ha agito, non ha dato il suo contributo per salvare la mia vita? Quest’anno dobbiamo fare l’esatto contrario: dobbiamo sacrificarci per il suo bene, per il bene di Peeta. Lo dobbiamo tenere fuori da quell’inferno.
- Domani chiederò ad Effie di inviarmi i vecchi nastri degli Hunger Games – dice Peeta, rompendo il silenzio.
A quanto pare, entrambi stiamo pensando a quello che accadrà tra pochi mesi. – Perché?
- Dobbiamo conoscere quelli che diventeranno i nostri rivali.
Chiudo gli occhi. Ogni volta che rimarca le sue intenzioni è come ricevere una pugnalata al cuore. Volto la testa verso di lui e lo guardo. – Peeta…
Invece di aggiungere qualcosa, mi bacia. Mi tiene la testa ferma contro la sua ed intensifica il bacio, saggia la mia bocca. – Ti amo – mormora sulle mie labbra. – Dovevo dirtelo, prima che fosse troppo tardi.

Mi ama. Sapevo che mi amava, e sentirlo dalla sua bocca è solo la conferma di quel che sospettavo già da mesi. Peeta non ha mai tenuto segreti i suoi sentimenti per me, è solo che non li ha mai confessati. Non ha mai provato, nemmeno una volta, ad esporsi come ha fatto adesso. Non l’ha fatto neanche durante la proposta di matrimonio: non ha mai accennato all’amore, non ha mai detto “ti amo”.
Questa è la prima volta che lo fa.
Ed io, lo amo?
Si aspetta una risposta da parte mia?
- Peeta- inizio, ma lui non mi fa continuare la frase. Mi zittisce con un sussurro e preme un dito contro le mie labbra.
- Non serve che lo dici anche tu, Kat. Va bene così. Volevo farlo per me, adesso che ne ho ancora la possibilità.
- Avrai tutte le possibilità che vuoi, Peeta, perché non andrai da nessuna parte – mormoro.
- È già deciso, Katniss. Verrò nell’arena insieme a te.
- No, invece! Dirò ad Haymitch di offrirsi volontario se esce il tuo nome alla mietitura. Non lascerò che tu muoia per me.
- E lascerai che sia Haymitch a morire?
- No, sarò io la sola a morire. Voi vivete, io muoio. Punto.
Il suo viso si rabbuia. - Sai che non te lo lascerò mai fare.
- Dovrai, invece, altrimenti ti ucciderò io stessa prima della mietitura! – esclamo.
- Mi ucciderai, davvero? – sussurra, e nel giro di un secondo ribalta le nostre posizioni.
Mi ritrovo schiacciata sul parquet, con tutto il suo peso a gravare sul mio corpo. Peeta afferra le mie mani e mi fa alzare le braccia verso l’alto, mette a tacere la mia bocca con un bacio rude, premendo e mordendo il mio labbro superiore. Quando le nostre intimità entrano in contatto, un brivido percorre il mio corpo. Gemo contro le sue labbra. Odio il potere che ha su di me, odio la reazione che riesce a scatenare grazie ad un solo, flebile contatto. Smette di baciarmi ed approfondisce il contatto dei nostri bacini, e una nuova ondata di piacere mi fa inarcare la schiena e sospirare ad alta voce.
- Come puoi uccidermi quando mi basta farti questo per farti sciogliere? – mi rimbecca, alitando sulle mie labbra socchiuse. – Sei creta nelle mie mani, Kat, guardati…
Rispondo alla sua provocazione nello stesso modo: mordendogli le labbra. Preso alla sprovvista, riesco a liberarmi quel tanto che mi basta per girare su me stessa. Adesso lui è sdraiato sulla schiena ed io gli sono seduta sulla pancia, e gli riservo la stessa medicina che lui stava dando a me. Poso le mani sulle sue spalle e cerco di tenerlo fermo mentre ondeggio con il mio bacino contro il suo. Sento il suo membro reagire alla stimolazione, sento il suo corpo irrigidirsi. Vedo i suoi occhi chiudersi per il piacere che gli sto dando.
- Anche tu sei creta, Peeta. Non vedi l’ora di rifare l’amore con me – lo sfido, scendendo sul suo viso. Gli lecco le labbra.
Lui, senza pudore, afferra il mio sedere e lo stringe tra le mani. – Fare l’amore con te sarebbe un bel modo in cui morire – ammette.
- Non ti permetterò di morire in nessun modo, mai.
- Allora abbiamo un bel problema, non ti pare?
Già, lo abbiamo eccome. Lui farà di tutto per lasciarmi vivere, ed io farò di tutto per lasciarlo vivere. È una situazione di stallo, la nostra: le nostre mosse andranno a scontrarsi per raggiungere l’obiettivo finale, ma senza ottenerlo veramente. Andremo ad ottenere l’esatto opposto. Ci uccideremo a vicenda.
Mi abbandono sul suo petto, demoralizzata. Non lo guardo, volto il viso in modo da fissare il legno del parquet e i piedi del divano, a poca distanza da noi. Peeta mi abbraccia, mi bacia i capelli, e non dice nulla.
Comincio a mordermi le unghie, e l’occhio mi cade sul fiore che, da mesi, porto al dito. L’anello che mi ha regalato Peeta. Avevo completamente dimenticato la sua presenza. Adesso che non vale più nulla, che il matrimonio non si farà più, ha smesso di pesare. Resto ad osservare le gemme che brillano davanti ai miei occhi grazie alla soffusa luce del fuoco.
Non è vero che non vale più nulla: per me avrà sempre un significato importante. È l’anello che mi ha regalato Peeta, è l’anello con cui ha chiesto la mia mano. È l’anello con cui vorrei essere sepolta nella tomba. Non voglio più separarmi da quest’oggetto. È il segno del suo amore, la prova tangibile del legame che ci tiene insieme. Voglio che anche nell’oltretomba sappiano che ho avuto la fortuna di essere stata amata così tanto da un uomo al punto da volermi sposare. Quest’uomo mi ha amata, e mi ama, così tanto da volermi come compagna per la vita.
Voglio…
- Katniss?
Mi sono rimessa in piedi, ho iniziato a correre. Non sento davvero la voce di Peeta che chiama il mio nome. Corro dritta in cucina, incurante di essere nuda come il giorno in cui sono venuta al mondo. Al buio, comincio a frugare nei cassetti, negli stipiti e nelle mensole, alla ricerca dell’unica cosa che, so, non mancherebbe mai nella casa di un fornaio.
Quando torno, Peeta è seduto davanti al fuoco. – Non che non mi piaccia vederti correre nuda per casa, ma… - osserva quello che la mia mano stringe. – Pane alle noci? Ti preparo qualcos’altro, se hai fame.
È pane alle noci? Al buio non ho fatto caso a quel che ho preso. Andrà bene lo stesso. – Non ho fame – dico, sedendomi accanto a lui. Gli porgo la fetta di pane. – Aiutami a tostarla.
Peeta fa per prenderla, e si ferma quando intuisce le mie intenzioni. Punta gli occhi azzurri nei miei, la bocca socchiusa in un’espressione di sorpresa. – Ne sei sicura?
- Non voglio che ci tolgano anche questo.
Lo osservo mentre prepara la brace, mentre sistema il pane sui carboni. Nel giro di un paio di minuti, la fetta è tostata su entrambi i lati. Sono le semplici mosse che abbiamo sempre fatto per preparare da mangiare, ma che non abbiamo mai fatto se le consideriamo nell’ottica che qui, nel Distretto 12, chiamiamo “cerimonia della tostatura”. È la prima cosa che gli sposi novelli compiono quando arrivano nella loro nuova casa: accendono il fuoco, tostano il pane, condividono una fetta tra di loro e i pochi ospiti che hanno assistito al rito.
Noi siamo da soli, così condivideremo il pane solo con noi stessi. Non è un vero matrimonio, il nostro, e non sostituirà mai i documenti legali e la sfarzosa cerimonia che ci avrebbe visti protagonisti a fine agosto. Ma, come dicono tutti quanti, qui al 12 non ci si sente realmente sposati fino a che il pane non è tostato. Sono i piccoli gesti, non le grandi mosse, a fare davvero la differenza.
Ed io, irrazionale quale sono, non sopporto l’idea di non avere la possibilità di diventare sua moglie. Due ore fa non volevo il matrimonio in grande, e adesso voglio legarmi a Peeta per la vita. Irrazionale.
- Ricordi la sera in cui mi hai fatto la proposta? – chiedo a Peeta nell’esatto istante in cui prende il pane tostato. – Mi hai detto che un giorno avresti tostato il pane insieme a me.
Annuisce. – Lo ricordo, sì – ridacchia. Mi guarda, e mi porge il pane.
Ho assistito alla cerimonia della tostatura diverse volte, e tutte le volte si sono compiuti gli stessi, identici gesti. Lo sposo porge il pane alla sposa, che afferra la fetta dal lato opposto a quello del suo innamorato. Insieme, fanno forza verso il basso fino a che il pane non si spezza in due metà.
È quello che facciamo noi adesso. Il pane si rompe con uno sonoro ‘crac’, ed in un istante siamo sposati.
Senza testimoni, senza abiti da cerimonia, senza rinfreschi, decorazioni, invitati… ci siamo soltanto noi due, davanti al fuoco. E dentro di me sento che è così, che sarebbe dovuto andare sin dal principio. A che servono nozze sfarzose e favolose se quello che conta davvero, alla fine, è condividere insieme una fetta di pane?
Io e Peeta ci guardiamo in preda all’ilarità per quel che abbiamo appena fatto. Ci siamo sposati da soli, illegalmente, e per giunta senza niente addosso! Effie potrebbe svenire al solo pensiero di assistere ad un matrimonio fuori dagli schemi come il nostro.
Ma non è il momento di pensare ad Effie.
Prendo un pezzetto di mollica dalla parte di Peeta e lo mastico, assaporando le scaglie di noci e nocciole che vi sono mischiate. Peeta fa lo stesso, e poi mi tira verso di lui. Caccio un urlo indignato e divertito mentre mi siedo sulle sue cosce.
- Posso baciare la sposa? – chiede speranzoso.
È a me che si sta rivolgendo: sono la sua sposa.
Circondo il suo collo con le braccia, sfioro appena il mio naso contro il suo, poi soddisfo la sua richiesta. Lo bacio.
Bacio mio marito.

 

 

 

 

 

 

__________________________
1Questo è lo spoiler a cui mi riferivo sopra. Anche nella trilogia Katniss accenna all’esistenza di un altro vincitore del 12 oltre ad Haymitch, ma io ho senza alcun dubbio fatto di peggio. Credo di avervi spoilerato l’intero libro. Sono imperdonabile. Sono tremenda con gli spoiler. Una volta ho spoilerato la morte di Jon Snow a una ragazza che era ancora ferma alla seconda stagione di GOT. Ecco… altro spoiler.


Bene, bene, bene.
Non potevo ripercorrere Catching Fire senza metterci in mezzo il what if? per eccellenza: le nozze di Peeta e Katniss. Ma quanto sono carini?
Per farmi perdonare dall’orrenda dose di spoiler di cui sparlavo sopra, vi lascio di seguito una piccolissima anticipazione del prossimo capitolo. Come al solito vi ringrazio e vi do appuntamento a lunedì prossimo :*

 

La corda mi cade dalle mani. Trattengo il respiro. Un macigno sembra essersi appena posato sul mio cuore. È come ricevere un pugno in pieno viso. Tutto nel giro di un istante. Meno male che sono rimasta da sola nello studio: come giustificare questa mia reazione? Devo, inoltre, avere una faccia orribile.
La mia mente corre veloce, a ritroso, cerca di riportare a galla gli eventi passati.

 

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