Nda: in questo
capitolo è presente uno spoiler riguardo il libro prequel Ballata
dell’usignolo e del serpente. Sono stata combattuta fino alla fine sul
mantenerlo od eliminarlo, ma alla fine ho lasciato perdere ed ho tenuto la
bozza originale, così com’è uscita fuori. Mi scuso sin da ora per essere una
così insopportabile spoileratrice seriale.
In the
still of the night
12.
-
Nel settantacinquesimo anniversario, affinché i ribelli ricordino che anche
il più forte tra loro non può prevalere sulla potenza di Capitol City, i
tributi maschio e femmina saranno scelti tra i vincitori ancora in vita.
Questo
è il contenuto della busta. Questo è ciò che ha detto il presidente. Le sue parole
mi rimbombano nel cervello come se avessi la sua voce fissa nelle orecchie
mentre fuggo, mentre corro.
Corro,
senza sapere dove andare di preciso. Senza alcuna meta.
La
sola cosa di cui sono pienamente consapevole è che, di qui a tre mesi, sarò di
nuovo nell’arena.
Sono
scappata via sotto lo sguardo confuso di Prim e quello scioccato di mia madre,
che si premeva una mano sulla bocca nel tentativo di trattenersi dall’urlare.
Sono scappata via per non vedere l’orrore che certamente si rifletterà nei loro
occhi e che ha già invaso i miei. Sono scappata via per non vederle soffrire.
Non voglio vederle soffrire ancora, e ancora una volta a causa mia.
Quanto
dolore può sopportare un essere umano? Quanto dolore può sopportare prima di
scoppiare? Prima di cedere?
Cado
in mezzo alla ghiaia, ma mi rialzo in fretta e furia e riprendo la mia folle
corsa. Dove posso andare? La prima risposta che mi viene in mente è il bosco,
ma con la recinzione elettrificata attiva è fuori discussione. Anche se
gettarsi contro quella recinzione metterebbe fine a un sacco di questioni, allo
stato attuale delle cose…
Rallento
la mia corsa quando sono giunta alle ultime e spettrali case che, ancora vuote,
delimitano il Villaggio dei Vincitori. Scelgo proprio l’ultima come riparo
provvisorio. Sto già scendendo le scale che portano al seminterrato quando
sento le prime voci che urlano il mio nome, che mi cercano.
Crollo
a terra, sulla dura e fredda pietra, e do libero sfogo alle mie lacrime.
Piango, urlo, mi lamento con la fronte posata sulle pietre gelate che
costituiscono il pavimento del seminterrato. Copro le orecchie con le mani per
non sentire le voci e le mie stesse urla. Fa freddo, qui, senza nient’altro che
la camicia e il cardigan leggero che ho addosso. Ben presto mi trasformo in un
blocco di pietra, come il pavimento che sento premere contro il corpo, ma non
mi muovo, non faccio nulla per cercare di scaldarmi.
Scuoto
piano la testa, tossendo per i singhiozzi che non mi lasciano respirare bene
come desidero fare.
Le
Edizioni della Memoria fanno schifo.
È
orribile scoprire che esistono, è orribile conoscere il modo in cui si sono
svolte le precedenti. Ma niente, niente batte quella che sta per prendere vita.
È orribile sapere che hai affrontato e sfidato la morte per tornare a casa vivo,
solo per poter offrire a Capitol City la possibilità di riportarti nel luogo
che diventerà la tua tomba. In maniera definitiva, stavolta.
Perché
stavolta sarà così: morirò nell’arena. Morirò nel tentativo di salvarmi la
vita. Nessuno mi farà uscire viva da lì, quest’anno. Morirò. È quello che
vogliono fare: uccidermi. Non c’è via di scampo.
È
impossibile che l’Edizione della Memoria estratta stasera sia la stessa che è
stata decisa con largo anticipo decine di anni fa. È impossibile: sarebbe una
coincidenza innaturale, altrimenti, e perfetta. No, quella di quest’anno è
stata costruita a tavolino con il solo scopo di punire me, e tutti i Distretti
che hanno osato provare a ribellarsi. È una lezione che Panem vuole dare a
tutti noi, insorti e non insorti. Perché cosa c’è di peggio nel vedere le
persone che si amano da anni, alcuni dei quali che sono diventati dei veri e
propri beniamini per il pubblico, ammazzarsi a vicenda? Non è come vedere degli
adolescenti sconosciuti: non hai un vero e proprio interesse per loro,
dopotutto, non sai chi sono veramente. È dopo che li conosci veramente. È
dopo che li hai amati per anni, è dopo esserti affezionato che capisci
la reale portata di quest’orrore.
Dovrò
uccidere le persone che ho visto sempre in televisione per salvarmi la vita? Ho
un conato di vomito alla sola idea. È orribile anche solo pensarci.
Immagino
che il matrimonio dovrà essere annullato. Ovvio che sarà annullato. Come posso
sposarmi alla fine dell’estate, se per la fine dell’estate mi troverò già
sottoterra da un bel pezzo? Oh, che stupida che sono stata! Perdere il sonno,
la fame, la ragione, ed essere in preda al terrore, per un matrimonio che non
si farà mai… a cosa è servito tutto questo? Preoccuparsi per un matrimonio che
lo stesso presidente Snow voleva organizzare e che, adesso capisco, sapeva già
che non ci sarebbe mai stato! Al suo posto, mi stava preparando un regalo di
nozze che mi avrebbe fatta impazzire!
E
non è proprio questo quello che ha ottenuto? Sto impazzendo, se non lo sono già
diventata.
Una
risata isterica mi esce dalle labbra. In confronto all’arena, affrontare un
matrimonio è una bazzecola. È davvero una sciocchezza. Mi sposerei una, dieci,
cento volte, se questo servisse a salvare la mia vita e quella di mio marito!
Marito…
Peeta.
Lui
è costretto a venire nell’arena con me. No, le cose non stanno realmente così…
io sono l’unica che è costretta ad andarci, perché sono l’unica
vincitrice donna ancora in vita. Anni fa, più di cinquant’anni fa, c’è stata
un’altra vincitrice, ma non si è più saputo nulla di lei da quando ha vinto. È
come scomparsa nel nulla.1 Io sono l’unica ragazza vincitrice che il
Distretto 12 ha da offrire come tributo. Sono l’unica che non ha possibilità di
scelta. Il mio viaggio per Capitol City è già prenotato, e so già che sarà un
viaggio senza soste, e senza ritorno. L’unico ritorno che otterrò avverrà
all’interno di una cassa di legno.
Per
i maschi è diverso. Ce ne sono due tra cui scegliere: Peeta e Haymitch. Chi dei
due verrà estratto come mio compagno per questi giochi? Immagino che lo saprò
il giorno della mietitura. No, mi sto sbagliando ancora: immagino che lo saprò
prima. Molto prima. Sono sicura che decideranno insieme chi dei due andrà
nell’arena. Insieme…
-
No – la mia voce esce in un lamento. Perché ho appena capito quello che accadrà
se non faccio nulla per fermarli. Perché se il nome che uscirà nella mietitura
sarà quello di Haymitch, Peeta si offrirà volontario al suo posto. Lo farà per
seguire la mia stessa sorte. Lo farà per seguire me.
Lo
farà per morire con me nell’arena.
-
No… - ansimo, alzandomi in piedi. Non posso permettergli di compiere una simile
sciocchezza. Non posso permettergli di morire per me. Non può farlo.
Rifaccio
il percorso a ritroso, ma è più difficile con le membra intorpidite che mi
ritrovo. Salgo le scale, esco dalla casa, torno all’aria fredda e buia della
notte. – Peeta – bisbiglio il suo nome, che viene scandito dagli intervalli del
mio respiro. – Peeta…
Quando
sono a metà della piazzetta del Villaggio, lo vedo. Chi altri può essere se non
lui? Cammina, si guarda intorno, capisco che sta cercando me. Comincio a
correre per raggiungerlo, lo chiamo con la poca voce che mi ritrovo, anche se
non mi sente. Le lacrime continuano a scendere, non si sono mai fermate da
quando sono uscita di casa.
-
Katniss! – urla nel venirmi incontro. Mi afferra al volo, posa le mani sul mio
viso. – Ascoltami, ho parlato con Haymitch. Sarò io a venire nell’arena con te…
-
NO! – stavolta, nell’urlare, riesco a far uscire tutta la voce che mi rimane. –
Non puoi farlo! Tu devi vivere, Peeta!
-
No, verrò con te. Lo abbiamo fatto l’anno scorso e lo rifacciamo anche quest’anno,
insieme…
-
NO! – i miei pugni lo colpiscono al petto, sulle spalle, su ogni punto
del suo corpo che riesco a raggiungere. Lo colpisco anche al viso, e lui si
lascia picchiare, si lascia graffiare, e non cerca in alcun modo di fermare il
mio sfogo. – Morirai se vieni con me! Morirai… moriremo entrambi…
Non
ho la forza di oppormi, di convincerlo ad ascoltarmi. Non ho più forze, ormai.
Mi accascio su me stessa, piangendo. Piango per me, per la mia morte imminente,
piango per Peeta che ha scelto di suicidarsi per me, piango per questo mondo
infame che non ci permette di vivere una vita normale. Nella nebbia che mi
avvolge, trovo il corpo di Peeta e mi ci aggrappo con la poca forza che ancora
ho a disposizione. Piango, sapendo che questi sono gli ultimi mesi che mi
rimangono per stare insieme a lui.
-
La porto da me, starà con me finché non si calma – dice Peeta a qualcuno. Le
sue braccia mi stringono mentre una terza mi accarezza i capelli. La
riconoscerei tra milioni di altre: la sua mano, le sue mani, e quelle di Peeta.
Le mani delle persone che amo, e che sto per lasciare per sempre.
-
Va bene – mormora mia madre, concedendo a Peeta il permesso di farmi stare da
lui.
Quasi
di peso, mi fa alzare da terra e, con un braccio a circondarmi le spalle, mi
porta a casa sua. Non vedo nulla tra le lacrime che mi accecano gli occhi e la
luce improvvisa che mi destabilizza, dopo tutto quel buio. Un calore improvviso
mi fa rabbrividire di riflesso. Capisco di essere nel salone, davanti al caminetto
acceso. Un leggero peso e altro calore mi dicono che Peeta ha posato una
coperta sulle mie spalle rigide.
-
Dove sei stata? Sei gelata! Ti ho cercata dappertutto – dice, e per la prima
volta nella sua voce sento della rabbia, del nervosismo. Me lo merito. Sono
felice che si stia arrabbiando per me.
Lo
osservo in silenzio, senza dire nulla del mio breve nascondiglio e del perché
ci sono andata. Può arrivarci benissimo da solo, dopotutto: quello che provo io
lo sta provando anche lui. Anche Haymitch sarà arrabbiato e sconvolto dalla
notizia… ma se Peeta ha già preso accordi riguardo l’offrirsi volontario al suo
posto, dovrebbe stare più tranquillo. È in una botte di ferro.
-
Perché sei andato da Haymitch? – bisbiglio, stringendomi nella coperta. –
Perché l’hai fatto, Peeta?
-
Perché così, in due, possiamo provare a salvarti la vita – esclama, e comincia
a strofinare energicamente le mani sulle mie braccia nel tentativo di
infondermi più calore. – Sei un pezzo di ghiaccio. Ti preparo qualcosa di
caldo…
-
No! – gli afferro un braccio prima che possa andare via. – Non voglio qualcosa
di caldo.
-
Che cosa vuoi?
Alzo
gli occhi, e finalmente osservo i suoi. Sono rossi, e lucidi. Come quella notte
sul treno, quando si è svegliato a causa dell’incubo e mi ha rivelato cos’è che
lo terrorizza tutte le notti. Il pensiero di me nella tomba: è questo a terrorizzarlo.
È per evitare di vedermi morta che vuole tentare così disperatamente di
salvarmi? Vuole provarci nonostante questa Edizione della Memoria sia
programmata per fare l’esatto opposto? Spezzarmi, distruggermi… uccidermi.
Vuole tentare l’impossibile, e per raggiungere l’obiettivo impossibile finirà
col farsi ammazzare inutilmente.
Si
farà ammazzare, ed io morirò lo stesso.
E
allora sarà stato tutto vano.
-
Cosa c’è, Kat? Cosa c’è? – mormora, asciugando le mie lacrime. Ne vedo una che
sfugge al suo controllo e scivola dal suo occhio lungo la sua guancia.
È
il pensiero di me nella tomba che lo terrorizza. A me terrorizza la stessa
identica cosa. Una tomba su cui piangere, su cui sfogare il mio dolore. Se lui
muore ed io sopravvivo, che altro motivo ho di andare avanti? Cosa mi darà la
spinta per affrontare le ore, i giorni, gli anni vuoti che mi ritroverò
davanti?
Che
gusto c’è a vivere una vita vuota, se lui non è con me a condividerla?
-
Voglio te – ansimo, e un singhiozzo rompe le mie parole. – Voglio te, Peeta.
Voglio solo te…
Il
suo viso si avvicina al mio, le nostre fronti si incontrano. I nostri respiri
si confondono tra di loro. – Anche io voglio solo te.
Dopo,
non c’è altro da dire.
Dopo
ci sono solo i baci, le carezze, l’urgenza del sentirsi vivi ancora una volta.
Sentirsi vivi, prima di andare ad affrontare di nuovo la morte.
Dopo,
ci siamo solo noi che facciamo l’amore davanti al fuoco.
Ci
sono due cose di cui sono consapevole, al momento. La prima è il corpo di Peeta
che preme contro la mia schiena: un braccio mi tiene stretta a sé,
circondandomi il seno, la mano posata all’altezza del mio cuore. L’altro è
steso sul pavimento e mi fa da cuscino. La seconda cosa invece è il fuoco che
arde nel camino. Il fuoco e Peeta; non mi importa di nient’altro.
Non
ci siamo più mossi da quando abbiamo finito di fare l’amore… o meglio, io non
mi sono mossa. Quando le legna nel camino hanno cominciato a consumarsi, Peeta
si è alzato e ne ha aggiunte delle altre, poi ha fatto il giro della casa: ha
spento le luci, ha chiuso a chiave la porta d’ingresso, ha controllato che
tutto fosse in ordine. Non ha tralasciato nulla prima di tornare da me. Si è
sdraiato alle mie spalle, ha steso la coperta sopra i nostri corpi nudi, e non
ci siamo più spostati da allora.
Perché
dovremmo farlo? Non verrà nessuno a cercarci. Non stanotte, almeno.
Non
sono mai stata così consapevole del corpo di Peeta come ora. Mi sembra di
sentirlo davvero per la prima volta. Il suo calore mi brucia la schiena, e le
sue gambe sono intrecciate alle mie, a rimarcare il fatto che nessuno dei due
ha intenzione di muoversi da lì. Persino la protesi è calda; è fatta di un
materiale studiato apposta per assorbire il calore corporeo. Se non fosse così
innaturalmente rigida, penserei che sia la sua gamba reale: una gamba fatta di
carne, sangue e ossa.
Peeta
è senza alcun dubbio quello uscito più ammaccato dagli Hunger Games; al
confronto, il mio orecchio sordo era stata una barzelletta. E adesso vogliono
rimandarlo nell’arena, per colpa mia. Devo assolutamente parlare con Haymitch,
dobbiamo trovare il modo di salvarlo. Me lo deve, in fondo. L’anno scorso non
ha deciso che era lui il più debole da sacrificare? Non ha puntato tutto su di
me? E Peeta, agendo nel modo in cui ha agito, non ha dato il suo contributo per
salvare la mia vita? Quest’anno dobbiamo fare l’esatto contrario: dobbiamo
sacrificarci per il suo bene, per il bene di Peeta. Lo dobbiamo tenere fuori da
quell’inferno.
-
Domani chiederò ad Effie di inviarmi i vecchi nastri degli Hunger Games – dice
Peeta, rompendo il silenzio.
A
quanto pare, entrambi stiamo pensando a quello che accadrà tra pochi mesi. –
Perché?
-
Dobbiamo conoscere quelli che diventeranno i nostri rivali.
Chiudo
gli occhi. Ogni volta che rimarca le sue intenzioni è come ricevere una
pugnalata al cuore. Volto la testa verso di lui e lo guardo. – Peeta…
Invece
di aggiungere qualcosa, mi bacia. Mi tiene la testa ferma contro la sua ed
intensifica il bacio, saggia la mia bocca. – Ti amo – mormora sulle mie
labbra. – Dovevo dirtelo, prima che fosse troppo tardi.
Mi
ama.
Sapevo che mi amava, e sentirlo dalla sua bocca è solo la conferma di quel che
sospettavo già da mesi. Peeta non ha mai tenuto segreti i suoi sentimenti per
me, è solo che non li ha mai confessati. Non ha mai provato, nemmeno una volta,
ad esporsi come ha fatto adesso. Non l’ha fatto neanche durante la proposta di
matrimonio: non ha mai accennato all’amore, non ha mai detto “ti amo”.
Questa
è la prima volta che lo fa.
Ed
io, lo amo?
Si
aspetta una risposta da parte mia?
-
Peeta- inizio, ma lui non mi fa continuare la frase. Mi zittisce con un
sussurro e preme un dito contro le mie labbra.
-
Non serve che lo dici anche tu, Kat. Va bene così. Volevo farlo per me, adesso
che ne ho ancora la possibilità.
-
Avrai tutte le possibilità che vuoi, Peeta, perché non andrai da nessuna parte
– mormoro.
-
È già deciso, Katniss. Verrò nell’arena insieme a te.
-
No, invece! Dirò ad Haymitch di offrirsi volontario se esce il tuo nome alla
mietitura. Non lascerò che tu muoia per me.
-
E lascerai che sia Haymitch a morire?
-
No, sarò io la sola a morire. Voi vivete, io muoio. Punto.
Il
suo viso si rabbuia. - Sai che non te lo lascerò mai fare.
-
Dovrai, invece, altrimenti ti ucciderò io stessa prima della mietitura! –
esclamo.
-
Mi ucciderai, davvero? – sussurra, e nel giro di un secondo ribalta le nostre
posizioni.
Mi
ritrovo schiacciata sul parquet, con tutto il suo peso a gravare sul mio corpo.
Peeta afferra le mie mani e mi fa alzare le braccia verso l’alto, mette a
tacere la mia bocca con un bacio rude, premendo e mordendo il mio labbro
superiore. Quando le nostre intimità entrano in contatto, un brivido percorre
il mio corpo. Gemo contro le sue labbra. Odio il potere che ha su di me, odio
la reazione che riesce a scatenare grazie ad un solo, flebile contatto. Smette
di baciarmi ed approfondisce il contatto dei nostri bacini, e una nuova ondata
di piacere mi fa inarcare la schiena e sospirare ad alta voce.
-
Come puoi uccidermi quando mi basta farti questo per farti sciogliere? – mi
rimbecca, alitando sulle mie labbra socchiuse. – Sei creta nelle mie mani, Kat,
guardati…
Rispondo
alla sua provocazione nello stesso modo: mordendogli le labbra. Preso alla
sprovvista, riesco a liberarmi quel tanto che mi basta per girare su me stessa.
Adesso lui è sdraiato sulla schiena ed io gli sono seduta sulla pancia, e gli
riservo la stessa medicina che lui stava dando a me. Poso le mani sulle sue
spalle e cerco di tenerlo fermo mentre ondeggio con il mio bacino contro il
suo. Sento il suo membro reagire alla stimolazione, sento il suo corpo
irrigidirsi. Vedo i suoi occhi chiudersi per il piacere che gli sto dando.
-
Anche tu sei creta, Peeta. Non vedi l’ora di rifare l’amore con me – lo sfido,
scendendo sul suo viso. Gli lecco le labbra.
Lui,
senza pudore, afferra il mio sedere e lo stringe tra le mani. – Fare l’amore
con te sarebbe un bel modo in cui morire – ammette.
-
Non ti permetterò di morire in nessun modo, mai.
-
Allora abbiamo un bel problema, non ti pare?
Già,
lo abbiamo eccome. Lui farà di tutto per lasciarmi vivere, ed io farò di tutto
per lasciarlo vivere. È una situazione di stallo, la nostra: le nostre mosse
andranno a scontrarsi per raggiungere l’obiettivo finale, ma senza ottenerlo
veramente. Andremo ad ottenere l’esatto opposto. Ci uccideremo a vicenda.
Mi
abbandono sul suo petto, demoralizzata. Non lo guardo, volto il viso in modo da
fissare il legno del parquet e i piedi del divano, a poca distanza da noi.
Peeta mi abbraccia, mi bacia i capelli, e non dice nulla.
Comincio
a mordermi le unghie, e l’occhio mi cade sul fiore che, da mesi, porto al dito.
L’anello che mi ha regalato Peeta. Avevo completamente dimenticato la sua
presenza. Adesso che non vale più nulla, che il matrimonio non si farà più, ha
smesso di pesare. Resto ad osservare le gemme che brillano davanti ai miei
occhi grazie alla soffusa luce del fuoco.
Non
è vero che non vale più nulla: per me avrà sempre un significato importante. È
l’anello che mi ha regalato Peeta, è l’anello con cui ha chiesto la mia mano. È
l’anello con cui vorrei essere sepolta nella tomba. Non voglio più separarmi da
quest’oggetto. È il segno del suo amore, la prova tangibile del legame che ci
tiene insieme. Voglio che anche nell’oltretomba sappiano che ho avuto la
fortuna di essere stata amata così tanto da un uomo al punto da volermi
sposare. Quest’uomo mi ha amata, e mi ama, così tanto da volermi come compagna
per la vita.
Voglio…
-
Katniss?
Mi
sono rimessa in piedi, ho iniziato a correre. Non sento davvero la voce di
Peeta che chiama il mio nome. Corro dritta in cucina, incurante di essere nuda
come il giorno in cui sono venuta al mondo. Al buio, comincio a frugare nei
cassetti, negli stipiti e nelle mensole, alla ricerca dell’unica cosa che, so,
non mancherebbe mai nella casa di un fornaio.
Quando
torno, Peeta è seduto davanti al fuoco. – Non che non mi piaccia vederti
correre nuda per casa, ma… - osserva quello che la mia mano stringe. – Pane
alle noci? Ti preparo qualcos’altro, se hai fame.
È
pane alle noci? Al buio non ho fatto caso a quel che ho preso. Andrà bene lo
stesso. – Non ho fame – dico, sedendomi accanto a lui. Gli porgo la fetta di
pane. – Aiutami a tostarla.
Peeta
fa per prenderla, e si ferma quando intuisce le mie intenzioni. Punta gli occhi
azzurri nei miei, la bocca socchiusa in un’espressione di sorpresa. – Ne sei
sicura?
-
Non voglio che ci tolgano anche questo.
Lo
osservo mentre prepara la brace, mentre sistema il pane sui carboni. Nel giro
di un paio di minuti, la fetta è tostata su entrambi i lati. Sono le semplici
mosse che abbiamo sempre fatto per preparare da mangiare, ma che non abbiamo
mai fatto se le consideriamo nell’ottica che qui, nel Distretto 12, chiamiamo
“cerimonia della tostatura”. È la prima cosa che gli sposi novelli compiono
quando arrivano nella loro nuova casa: accendono il fuoco, tostano il pane,
condividono una fetta tra di loro e i pochi ospiti che hanno assistito al rito.
Noi
siamo da soli, così condivideremo il pane solo con noi stessi. Non è un vero
matrimonio, il nostro, e non sostituirà mai i documenti legali e la sfarzosa
cerimonia che ci avrebbe visti protagonisti a fine agosto. Ma, come dicono
tutti quanti, qui al 12 non ci si sente realmente sposati fino a che il pane
non è tostato. Sono i piccoli gesti, non le grandi mosse, a fare davvero la
differenza.
Ed
io, irrazionale quale sono, non sopporto l’idea di non avere la possibilità di
diventare sua moglie. Due ore fa non volevo il matrimonio in grande, e adesso
voglio legarmi a Peeta per la vita. Irrazionale.
-
Ricordi la sera in cui mi hai fatto la proposta? – chiedo a Peeta nell’esatto
istante in cui prende il pane tostato. – Mi hai detto che un giorno avresti
tostato il pane insieme a me.
Annuisce.
– Lo ricordo, sì – ridacchia. Mi guarda, e mi porge il pane.
Ho
assistito alla cerimonia della tostatura diverse volte, e tutte le volte si
sono compiuti gli stessi, identici gesti. Lo sposo porge il pane alla sposa,
che afferra la fetta dal lato opposto a quello del suo innamorato. Insieme,
fanno forza verso il basso fino a che il pane non si spezza in due metà.
È
quello che facciamo noi adesso. Il pane si rompe con uno sonoro ‘crac’, ed in
un istante siamo sposati.
Senza
testimoni, senza abiti da cerimonia, senza rinfreschi, decorazioni, invitati…
ci siamo soltanto noi due, davanti al fuoco. E dentro di me sento che è così,
che sarebbe dovuto andare sin dal principio. A che servono nozze sfarzose e
favolose se quello che conta davvero, alla fine, è condividere insieme una
fetta di pane?
Io
e Peeta ci guardiamo in preda all’ilarità per quel che abbiamo appena fatto. Ci
siamo sposati da soli, illegalmente, e per giunta senza niente addosso! Effie
potrebbe svenire al solo pensiero di assistere ad un matrimonio fuori dagli
schemi come il nostro.
Ma
non è il momento di pensare ad Effie.
Prendo
un pezzetto di mollica dalla parte di Peeta e lo mastico, assaporando le
scaglie di noci e nocciole che vi sono mischiate. Peeta fa lo stesso, e poi mi
tira verso di lui. Caccio un urlo indignato e divertito mentre mi siedo sulle
sue cosce.
-
Posso baciare la sposa? – chiede speranzoso.
È
a me che si sta rivolgendo: sono la sua sposa.
Circondo
il suo collo con le braccia, sfioro appena il mio naso contro il suo, poi
soddisfo la sua richiesta. Lo bacio.
Bacio
mio marito.
__________________________
1Questo è lo spoiler a cui mi
riferivo sopra. Anche nella trilogia Katniss accenna all’esistenza di un altro
vincitore del 12 oltre ad Haymitch, ma io ho senza alcun dubbio fatto di peggio.
Credo di avervi spoilerato l’intero libro. Sono imperdonabile. Sono tremenda
con gli spoiler. Una volta ho spoilerato la morte di Jon Snow a una ragazza che
era ancora ferma alla seconda stagione di GOT. Ecco… altro spoiler.
Bene, bene, bene.
Non potevo ripercorrere
Catching Fire senza metterci in mezzo il what if? per eccellenza:
le nozze di Peeta e Katniss. Ma quanto sono carini?
Per farmi
perdonare dall’orrenda dose di spoiler di cui sparlavo sopra, vi lascio di
seguito una piccolissima anticipazione del prossimo capitolo. Come al solito vi
ringrazio e vi do appuntamento a lunedì prossimo :*
La
corda mi cade dalle mani. Trattengo il respiro. Un macigno sembra essersi
appena posato sul mio cuore. È come ricevere un pugno in pieno viso. Tutto nel
giro di un istante. Meno male che sono rimasta da sola nello studio: come
giustificare questa mia reazione? Devo, inoltre, avere una faccia orribile.
La
mia mente corre veloce, a ritroso, cerca di riportare a galla gli eventi
passati.
Cosa pensate che
sia accaduto?