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Autore: Mirae    24/08/2020    0 recensioni
«È vero... è tutto vero», erano state le sue parole prima di andarsene e lasciarlo in quel luogo da solo, ma solo quando si era specchiato e si era visto nel frammento del vetro aveva compreso: era tornato il mostro di sempre.
Non l’aveva trovata nell’attico e quando era giunto in centrale, lei non c’era e lui aveva perso tempo a cercare di recuperare le piume insanguinate che la signorina Lopez aveva raccolto sul luogo della sparatoria, dove lui aveva ucciso Caino e provocato la morte dei suoi complici. E poi... poi aveva perso altro tempo prezioso andando a piagnucolare da Linda, sperando in qualche suo utile consiglio: dopotutto, non era solo la sua terapista, ma era anche amica di Chloe.
Era stata tutta colpa della sua indecisione se lei era fuggita a Roma, dove aveva incontrato quel ciarlatano di padre Kinley. Era stata tutta colpa sua se Charlie era stato rapito da un’orda di demoni disobbedienti e ora Amenadiel e Linda l’avrebbero odiato per l’eternità. Sì, era tutta colpa sua e per questo meritava di sedere su quel trono.
-EPILOGO ALTERNATIVO-
Genere: Sovrannaturale, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ira

 

«Buongiorno, parlo col detective Espinoza? Sono Jane Valdez: mi aveva detto di contattarla se avevo delle novità. Ecco, è tornata la figlia di Rebecca Lapp, da sola».

«È strano», mormorò Daniel, chiudendo la comunicazione, «come può una bambina girare da sola, di notte, in una città come Los Angeles?»

«Vostra figlia c’è riuscita», obiettò Lucifer, riferendosi ai due episodi in cui la bambina era uscita di soppiatto da casa della madre per raggiungerlo al Lux.

«Ma la figlia di Rebecca è più piccola», convenne Chloe, battendo ritmicamente l’indice contro la bocca.

«Questo significa che il nostro ofiologo pederasta abita in zona», decretò Lucifer.

«Mmm... non credo: questo tipo di “commmercio” è piuttosto esoso e quello non è un quartiere benestante», riflettè Chloe.

«A meno che l’acquirente non abbia scelto un posto lontano dalla sua abitazione: c’è un piccolo parco lì vicino», copnsiderò Dan.

«Quando devi incontrare un informatore, ti porti dietro Nagini?» Lo beffeggiò Lucifer.

Questo era troppo! Daniel si parò davanti a Lucifer con le mani sui fianchi e sebbene l’altro lo superasse in altezza di una ventina di centimetri, non si fece problemi ad alzare lo sguardo verso di lui: «Sai che c’è? C’è che con le tue battute mi hai stufato: non fai altro che prendere in giro le idee delle altre persone, ma in quanto a proporre qualcosa di concreto, nada».

«Daniel, caro, ti devo forse ricordare con chi stai parlando?» Nonostante Lucifer aveva arcuato all’indietro la schiena, alzando le mani quasi in segno di resa, il tono mellifluo della sua voce e il ghigno che avevano assunto le sue labbra, rendevano chiara la minaccia insita nella domanda.

«Sei il Diavolo: e allora? Fino a prova contraria, sei tu che sei nel mio mondo», gli rispose il poliziotto, per nulla turbato, ma continuando a guardarlo fisso negli occhi. Quando, dietro insistenza di Chloe, Lucifer gli aveva mostrato il proprio lato oscuro, logicamente si era spaventato, anche se aveva cercato di non darlo a vedere. Del resto, insomma, nonostante fosse un credente, non aveva mai dato troppo peso alle storie sull’Aldilà, quindi, per lui, semplice umano, trovarsi davvero in presenza del Divino, era stato qualcosa a cui non aveva saputo dare subito un nome, ma si era aiutato a superare lo shock iniziale concentrandosi sul carattere umano di Lucifer. Anche adesso, mentre lo affrontava era abbastanza tranquillo, se si sorvolava sulla rabbia che stava provando: dopotutto, in tutti quegli anni, Lucifer non aveva mai alzato un dito contro di lui, nemmeno quando ne avrebbe avuto tutte le ragioni, limitandosi al massimo a chiamarlo “Detective Stronzo” e a lanciargli frecciatine. Di sicuro, non gli avrebbe torto un capello ora, per un banale litigio, non davanti a Chloe, per lo meno. Ed era anche sicuro che, se avesse dovuto morire di lì a poco per un incidente o una sparatoria, difficilmente sarebbe finito all’Inferno, dove qualche demone avrebbe potuto torturarlo per ordine di Lucifer: in fin dei conti, dopo il casino con Malcom, aveva fatto di tutto per rimediare, per cui era sicuro che, se continuava su quella linea, se non proprio in Paradiso, sarebbe finito in Purgatorio, anche quello luogo in cui Lucifer non era ammesso.

Dal canto suo, Lucifer era quasi stupito per il coraggio dimostrato dall’amico: l’unico che finora non si era spaventato aveva cercato di ucciderlo! Certo, Dan lo conosceva da anni, ma anche Chloe lo conosceva da molto e sicuramente meglio di Dan, eppure lo aveva quasi rispedito all’altro mondo! Nemmeno padre Frank aveva mostrato di temerlo, a essere sinceri, ma lui era un uomo di fede e quindi non contava. Mentre era immerso in questi pensieri, il suo cellulare squillò: «Ops, scusami», disse all’uomo che continuava a fronteggiarlo, alzando un dito indice, mentre infilò l’altra mano nel taschino interno della giacca, per prendere il telefonino.

«Dottoressa Linda», esclamò, voltandosi dall’altra parte,

Chloe, che stava per frapporsi ai due uomini, tirò un sospiro di sollievo. si rivolse quindi a Dan: «Fatti accompagnare dalla detective McEnroe e andate da Jane Valdez. Non preoccuparti, ci penso io a Lucifer. Ah, Dan, non c’è bisogno che ti chieda di far ricorso alla stessa complicità che usi con Trixie quando chiederai alla figlia di Rebecca com’è riuscita a fuggire, vero?» Gli strizzò l’occhio.

Dan non se lo fece ripetere una seconda volta e si affrettò a uscire dall’ufficio.

Quando Lucifer chiuse la comunicazione e si voltò, rimase a bocca aperta nel constatare di essere rimasto da solo con la letenati: «Dov’è andato il detective Stronzo?»

«A fare il suo lavoro, e non voglio che tu lo chiami in quel modo: mi sembrava di essere stata chiara a questo proprosito», gli rispose, con un tono di voce che non ammetteva repliche, mentre giocherellava con una matita.

«No, tu hai detto che non volevi lo chiamassi in quel modo davanti a tua figlia – vostra figlia – ma qui la progenie non c’è, quindi...»

«Quindi niente. O lo chiami Dan, oppure detective Espinoza. Punto», tagliò corto la donna, posando la matita.

«D’accordo», Lucifer alzò le mani davanti al petto. «Adesso, se me lo permetti, vado a raggiungere il detective Espinoza: siamo partner, dopotutto». Si diresse verso la porta, ma Chloe lo bloccò subito: «No, non te lo permetto, anche se siete partner».

Vedendolo sbigottito, con la bocca semiaperta, Chloe si affrettò a specificare che in fondo gli stava facendo un favore, dal momento che lui non amava i bambini; inoltre aveva capito che la telefonata di Linda doveva essere ugualmente urgente, quindi gli dava il permesso di raggiungere la cognata.

«Hai capito male», la contraddisse Lucifer, con le labbra serrate e quelle deliziose fossette che gli si formavano sempre ai lati della bocca, quando assumeva quella smorfia.

«Davvero?» Il tono di Chloe non era incredulo, ma sarcastico, tanto più che aveva leggermente piegato la testa di lato.

«Mh, mh», Lucifer si limitò ad asserire con un leggero movimento della testa.

«Oh, ok. Allora: che cosa voleva Linda?» Gli chiese, lo stesso sguardo che aveva quando giocava alla poliziotta con Trixie, ogni qualvolta la bambina ne combinava una delle sue.

«Solo sapere dov’è Amenadiel». Di nuovo, osservò Chloe, gli erano apparse le fossette.

«E dov’è Amenadiel?» Lo incalzò Chloe, visto che lui non si decideva a dire altro. Era estenuante dover tirargli fuori le parole con le tenaglie, tanto quanto sparava frasi senza senso.

«Non credo tu voglia saperlo davvero. Ora, se vuoi scusarmi...», si affrettò a raggiungere l’uscio, per evitare di scendere in particolari che sapeva la donna non avrebbe apprezzato.

«Lucifer, non dirmi che hai mandato Amenadiel all’Inferno», lo bloccò.

«Ehm... io...» Aveva la mano sulla maniglia, ma si girò a guardarla, senza, tuttavia, riuscire a formulare un pensiero di senso compiuto.

«Lucifer!»

 

§ § § § § § § § § §

 

Hellam era una piccola cittadina della contea di York, a ovest del fiume Susquehanna, un tempo territorio Susquehannock. La Statale 30 separava il piccolo centro abitato dalla foresta del Rocky Ridge Park, a sua volta divisa in due dalla Range Road. Proprio percorrendo questa strada, lasciandosi alle spalle il parco, si giungeva al Cancello Rosso, l’unico dei Sette Cancelli visibile di giorno. Per tenere lontani i turisti del macabro e i satanisti, l’amministazione comunale aveva diffuso la notizia che il cancello era una semplice struttura posta a chiusura di una proprietà privata. Secondo una leggenda locale, però, a costurirlo era stato un medico psicotico che con riti innominabili era riuscito a creare una sorta di portale infernale.

Stava piovendo a dirotto, quando Amenadiel giunse al Primo Cancello. Prima di oltrepassarlo, tirò un lungo sospiro, chiuse gli occhi e giunse le mani.

«Chi sei e che cosa vuoi?» Era un uomo anziano, alto quanto lui, con lunghi capelli bianchi e un sottile copricapo formato da varie piume che divideva la capigliatura in due metà identiche.

«Sono Amenadiel, il primo dei figli di Dio», si presentò, alzando il mento.

«Se sei davvero Amenadiel, dimmi che cosa ti porta su questo sentiero», gli ingiunse il Guardiano.

«Non è a te che devo rendere conto delle mie azioni, Tenskwatawa1», gli rispose l’angelo, senza nessuna particolare inflessione nella voce, mantenendo, però, la stessa rigida postura, con le braccia incrociate sul petto e le gambe leggermente divaricate.

Tenskwatawa non si scompose: «Aspetta qui. Vado a parlare con la mia Signora».

Amenadiel trasse un respiro profono e allungò le braccia lungo il corpo, stringendo e schiudendo più volte i pugni.

Quando Lucifer gli aveva chiesto di andare all’Inferno per sincerarsi che Kristiel stesse bene e che la loro madre non fosse tornata, Amenadiel avrebbe potuto, una volta dispiegate le ali, scendere direttamente negli Inferi, invece di volare dall’altra parte dell’America e affrontare lo stesso percorso delle anime dannate. La realtà era che non era pronto a tornare in quel posto: nei cinque anni in cui aveva cercato di sostituire Lucifer, aveva odiato ogni singolo secondo, ma non lo aiutava sapere che questa volta non sarebbe dovuto rimanere molto. Semplicemente, non era pronto ad affrontare la madre: che cosa le avrebbe detto? L’avrebbe abbracciata, oppure l’avrebbe distrutta per il male che aveva procurato a Linda?

Tenskwatawa lo strappò ai suoi pensieri: «La mia Signora accetta di vederti, ma dovrai lasciare un oggetto».

Ad Amenadiel non sfuggì la naturalezza con cui il Guardiano aveva usato il femminile: poteva questo significare che Kristiel – l’Angelo dell’Amore – si era così bene ambientata nel nuovo ambiente da essere riconosciuta come Regina degli Inferi da tutti i demoni? Certo, a quegli esseri non importava chi li governava, purché ci fosse qualcuno e che quel qualcuno fosse un angelo. Era un bene, oppure Lucifer aveva ragione a essere preoccupato? Soprattutto, si chiese ancora Amenadiel, Tenskwakawa, quando usava il termine “signora” si riferiva a Kristiel o alla Dea della Creazione? C’era solo un modo per scoprirlo: continuare il cammino, tanto più che era stato annunciato e non poteva più tornare indietro. Si chinò, dunque, a slacciarsi una scarpa: tanto, nel luogo dove stava andando non gli sarebbe servita.

Il vecchio susqueannock camminava lesto, a dispetto dell’età dimostrata, seguito da Amenadiel, il quale, invece, avanzava leggermente claudicante, a causa di una calzatura mancante. Il calzino, però, impediva che le sterpaglie a terra gli ferissero il piede.

Il bosco al di là della Prima Soglia pareva immune al temporale che si stava abbattendo su quell’angolo della contea, e sciami di api volavano attorno ad Amenadiel: anime appena trapassate in attesa della punzione2.

Man mano che si avvicinavano al Secondo Cancello, le voci nella testa di Amenadiel parevano farsi più insistenti. L’angelo scrollò il capo, continuando a seguire il vecchio: lui non aveva niente di cui pentirsi, lui era lì solo come visitatore – vivo – e non avrebbe corso il pericolo di rimanere imprigionato in quel luogo, per cui, non doveva mostrarsi impaurito.

«Aspetta qui, vado a parlare con la mia Signora», gli ingiunse, lasciandolo solo.

Non lo avrebbe aspettato senza fare nulla, permettendo a quelle voci di insinuarsi nella sua mente, così si chinò e si slacciò l’altra scarpa.

Quando il Guardiano tornò, dandogli il permesso di varcare anche quella soglia a patto di lasciare un altro oggetto, lui gli mostrò la scarpa sorridendo.

Tenskwatawa non mosse ciglio, ma si limitò a continuare a fargli da guida.

«Allora», Amenadiel provò a tacitare le voci tentando di conversare col vecchio, «non capita tutti i giorni scortare un angelo all’inferno».

Ricordava quella notte. Si era allontanato dal villaggio con una ragazza promessa a un altro. Aveva notato strani movimenti nel bosco, ma era troppo preso dal desiderio carnale perché potesse prestare la dovuta attenzione e poi, per quale motivo avrebbe dovuto tornare indietro? Probabilmente, non sarebbe mai riuscito ad arrivare in tempo per dare l’allarme giacché i soldati inglesi l’avrebbero scoperto e sicuramente ucciso. No, si disse, mentre cercava di rintanarsi con la ragazza dietro alcuni arbusti, meglio continuare a restare nascosti, lontano dalle grida della sua gente. La ragazza cercò di opporsi, ma lui la convinse a restare acquattata, a non fare pazzie, tanto ormai era troppo tardi per aiutare la loro gente. Il mattino dopo, quando raggiunsero la tribù, trovarono solo ruderi fumanti: erano gli unici sopravvissuti. Quando morì, anni dopo, la sua anima si trovò al cospetto di un essere gigantesco, dalla pelle rossa e con le costole che quasi uscivano dal petto, due enormi ali chirottere sulla schiena: «Tenskwatawa, che cosa vuoi da me? Oh, certo, troppo vile ti sei dimostrato da vivo perché mio Padre ti potesse accogliere nella Città d’Argento, non è vero? E tuttavia, troppo vile perfino per essere accolto qui... Oh, ecco, ho trovato: poiché tu hai permesso lo sterminio della tua gente, tacendo, ora accoglierai le anime al posto mio, senza possibilità di parlare con loro».

Era stata quella la condanna comminatagli da Lucifer, ma in quel momento lui stava accompagnando un angelo, non un’anima dannata, per cui, in teoria, non avrebbe eluso alcuna legge se avesse risposto ad Amenadiel: «Fare domande non rientra nelle mie mansioni», si limitò, però, a dire con voce monocorde.

«Giusto», convenne Amenadiel. «Per questo Lucifer ha scelto te, unico umano, come Guardiano della Soglia».

Nel frattempo, erano giunti al Terzo Cancello, per cui, di nuovo, gli ingiunse di attenderlo.

Lasciato un calzino, Amenadiel e la sua guida oltrepassarono anche quell’ostacolo. L’aria era sempre più torbida e scura, i lamenti sempre più forti, ma Amenadiel riusciva a distinguere lo scrosciare di una cascata: era vicina o era il suo udito angelico che sovrastava i dannati? Ciononostante, nessun rivolo di acqua scorreva in quel lembo di terra desolata: il fitto bosco era stato sostituito da un terreno arido, da cui si innalzavano scheletrici alberi da frutto, mentre nella mente di Amenadiel i lamenti erano stati sostituiti da continui ed estenuanti grugniti di maiali: un rumore continuo e snervante che gli stava facendo crescere una brama incontrollabile di un qualcosa che non sapeva definire. Cercò di ignorare quei versi scrollando la testa, ma più si allontanava dalla Terza Soglia, più quei grugniti diventavano parole di senso compiuto. Tra tutte, ne spiccava una: «Prendi». Si dimenò di nuovo, nel tentativo di tacitare quelle voci e già riusciva a intravedere il Quarto Cancello.

«Aspettami qui, vado ad avvertire la mia Signora»: il tono privo di ogni emozione del Guardiano lo riportò al presente e mai come in quel momento Amenadiel gliene fu grato. Rimasto solo, però, quella voce – prendi! – si fece così forte nella sua testa che l’angelo si mosse verso un albero. Gli arbusti rinsecchiti a terra gli ferivano i piedi, ma la sua brama era talmente forte che non si accorse del sangue.

«La mia Signora accetta di vederti, ma dovrai lasciare un oggetto».

«Che cosa?» Sbattè gli occhi e scrollò il capo quando sentì la voce di Tenskwatawa alle sue spalle.

Perché diamine si era spostato dal cancello e si trovava vicino a un albero con un calzino in mano? Non poteva aver ceduto alle voci come una qualsiasi anima dannata: lui era il primo degli Angeli di Dio, il prediletto tra i suoi Figli. Al massimo, avrebbe potuto peccare di orgoglio, come gli faceva sempre notare Lucifer. E allora, che cosa gli era accaduto? Tornò sui suoi passi e questa volta, il dolore gli strappò più di una smorfia, ma porse lo stesso il calzino al Guardiano.

Oltrepassato il Quarto Cancello, il forte odore di sangue provocò una smorfia di disgusto sulla faccia di Amenadiel, mentre il clangore delle armi di invisibili eserciti che si scontravano l’uno contro l’altro avevano sostituito i grugniti nella sua testa. In un certo senso, Amenadiel provò quasi sollievo: da loro, ne era sicuro, lui non aveva nulla da temere poiché non aveva avuto dubbi nello schierarsi nell’unica grande battaglia che aveva vissuto sulla propria pelle. Per questo motivo, nonostante il filo spinato infisso nella terra gli ferisse i piedi, seguì la sua guida quasi come fosse una passeggiata. Certo, il rumore era abbastanza fastidioso, ma, appunto, Amenadiel lo giudicò nulla più che un fastidio sopportabile.

Giunti al Quinto Cancello, di nuovo il Guardiano gli impose di attenderlo.

Mentre aspettava Tenskwatawa, si sfilò una polsiera – aveva deciso di lasciare la tunica per ultima, in modo da non presentarsi nudo di fronte a Kristiel, perché, insomma, era pur sempre sua sorella! – una freccia gli sibilò a pochi millimetri dal viso. Una freccia vera, demoniaca.

«Epona, per quale motivo hai attentato alla mia vita?»

Il centauro fece spallucce: «Dovevo sincerarmi che fossi davvero tu».

«Siamo nell’Antinferno: non ti è permesso perseguitare le anime qua e di sicuro ti è vietato attentare alla vita degli Angeli di Dio», la freddò con lo sguardo.

«Immagino tu abbia ragione», gli si avvicinò per raccogliere l’arma.

«Io HO ragione: lo sai».

«A ogni modo, che cosa ci fai qua, Bla-bla?» gli domandò, con un sorrisetto ironico stampato in viso, mentre la coda ondeggiava frenetica per scacciare invisibili insetti.

«Come mi hai chiamato?» Evitò di risponderle.

«Beh, sai», gli volse le spalle, o le anche, «non è che ti stessimo ad ascoltare ogni volta che blateravi di essere il primo degli Angeli di Dio. E non hai risposto alla mia domanda», gli fece notare.

«Sei tu che hai invaso gli incubi della figlia di Kristiel, quindi direi che conosci benissimo il motivo della mia visita».

«Era un messaggio per Lucifer», si voltò di scatto, incoccando una freccia e puntandola contro Amenadiel.

«Era impegnato».

«Oh, certo», finse di accondiscendere, «il nostro re ora ha un nuovo giocattolino e non ha più tempo per i suoi fedeli servitori». Il sorriso era glaciale, mentre abbassava l’arco.

«Attenta a come parli, Epona. È alla figlia di Kristiel che ti stai riferendo. Inoltre, tanto leali non mi siete sembrati», le ricordò.

«Io non c’entro con la Rivolta», si difese, rialzando l’arma.

Nel frattempo, Tenskwatawa riapparve, richiedendo un oggetto.

Lanciando un ultimo sguardo di sfida al centauro, Amenadiel gli porse il bracciale che si era sfilato quando Epona lo aveva attaccato.

«Non lasciare il sentiero», lo avvertì Tenskwatawa. Un ammonimento che non avrebbe mai lanciato alle anime, ma lui, beh, al di là della sua natura, era un ospite atteso dalla sua Signora e non poteva permettergli di distrarsi, altrimenti chi ne avrebbe pagato le conseguenze sarebbe stato lui.

Oltre il Quinto Cancello, Amenadiel si aspettava di trovarsi di fronte a muri di fiamme, o lande ghiacciate, invece, vennero accolti dal suono di una lira. Nulla a che vedere con la musica della Cttà d’Argento, ma era comunque una nenia riposante, che invitava a chiudere gli occhi, magari all’ombra di qualche sicomoro che si ergeva qua e là nel paesaggio... No – scosse la testa con quanto più vigore potè – doveva restare sveglio: Epona aveva mandato una richiesta di aiuto e lui aveva il dovere, in quanto fratello maggiore, di correre in aiuto di Kristiel. Eppure... quella musica era così dolce... sembrava un invito a lasciarsi tutto alle spalle. Per tutta la sua esistenza si era caricato anche delle responsabilità dei fratelli e adesso era così stanco...

Senza accorgersene chiuse gli occhi.

Diversi scossoni lo risvegliarono: che cosa ci faceva sotto l’albero?

«Non. Allontanarsi. Dal. Sentiero», sillabò Tenskwatawa, mentre lo aiutava a rialzarsi. Questa volta, non si limitò a fargli da guida, ma lo spinse con una certa violenza a proseguire il cammino.

Arrivati al Sesto Cancello, il Guardiano ripetè la solita frase, ma questa volta c’era una sorta di apprensione nella sua voce: che cosa sarebbe successo se in sua assenza l’Angelo si sarebbe riaddormentato? A ogni modo, era un rischio che doveva correre, visto che gli era stata ordinata una sosta a ogni Cancello.

Dal canto suo, Amenadiel si rese conto che se non fosse stato per quell’anima persa, avrebbe rischiato di non svegliarsi più, per cui, rimasto solo, mentre si sfilava l’altro bracciale, provò a canticchiare “One of us”, ma la ninna nanna risuonava così forte nella sua testa che presto si ritrovò a cantare a squarciagola e quasi non sentì Tenskwatawa che lo invitava a oltrepassare quel Cancello dopo aver lasciato qualcosa.

«Cerca di non guardare sotto di te perché, se verrai colto da vertigini e cadrai, questa volta non verrò in tuo aiuto», gli rivolse un sorriso sghembo, «e attraversa il ponte di corda in modo deciso, senza tremare».

Amenadiel lo guardò incredulo: si era dimenticato con chi stava parlando? Se anche fosse caduto, avrebbe potuto dispiegare le ali e librarsi in volo. A ogni modo, quello era l’ultimo tratto del cammino ed effettivamente, cadere proprio ora avrebbe vanificato tutta quella fatica, oltre al fatto che si sarebbe coperto di ridicolo di fronte a tutte quelle anime, per cui ignorò l’abisso senza fondo sotto di lui e incedette seguendo le indicazioni di Tenskwatawa. Non fu facile: ogni due passi una forte folata di vento scuoteva il sottile ponte di corda, rischiando di capovolgere chi lo stava attraversando: era l’istante della morte che imprigionava le anime dannate nell’eternità della ribellione, rendendole incapaci di pentimento.

Alla fine, dopo aver rischiato più volte di cadere, Amenadiel riuscì a posare entrambi i piedi sulla sottile stiscia di roccia che lo separava dal Settimo e ultimo Cancello, la vera Porta dell’Inferno.

«Apetta qui. Vado ad annunciarti alla mia Signora», gli ingiunse, per l’ultima volta.

Amenadiel si tolse il gilet lungo e, come già aveva fatto per gli altri indumenti, lo lasciò all’angolo sinistro del Cancello.

«La mia Signora accetta di vederti, ma d’ora in poi dovrai proseguire da solo», gli disse, prima di scomparire.

 

§ § § § § § § § § §

 

L’appartamento di Jane Valdez era simile a quello di Rebecca, ma un ingombrante tavolo rotondo occupava gran parte del soggiorno, mentre sul divano appoggiato a una parete stava dormendo la figlia di Rebecca. Indossava una maglietta bianca sporca di terra, come i jeans.

«Finalmente siete arrivati», sbottò la donna.

«Quando è arrivata la bambina?» Le chiese Dan.

Jane sbuffò: «Non ne ho idea. L’ho trovata sdraiata davanti alla porta di casa sua quando sono uscita, circa mezz’ora fa. E vi ho chiamato subito. Non sapevo come fare: sua madre è morta e non so come contattare i suoi parenti».

«Non si preoccupi», la rassicurò Dan, «ci penseremo noi».

Intanto, l’agente McEnroe si era avvicinata alla bambina e la stava scuotendo dolcemente: «Ehi, ciao, piccola».

La bambina ebbe un sussulto, prima di notare la divisa: «E tu chi sei?»

«Sono l’agente Nora McEnroe e lui è il mio superiore, il detective Espinoza: non devi avere paura di noi, adesso ti portiamo dai tuoi nonni, va bene?»

«Non possono venire qui?» La bambina si era appiattita contro lo schienale del divano.

«Eccola che fa i capricci», sbottò la Valdez. «Senti Cecilia, il fatto che ti ho fatto dormire sul mio divano mezz’ora non ti autorizza a mettere radici a casa mia», la rimproverò, guadagnandosi un’occhiata da parte dei poliziotti.

Nonstante Cecilia cercò di abbassare lo sguardo il più velocemente possibile, alcuni lacrimoni le bagnaronoi pantaloni. Nora le accarezzò una guancia, mentre Dan ignorò le esternazioni della padrona di casa.

«Ehi, scimmietta... Posso chiamarti scimmietta? Ho una figlia poco più grande di te, ma da quando era più piccola di te la chiamo così», cercò di guadagnarsi la fiducia della piccola. «Non devi avere paura di noi: guarda», le allungò il distintivo, affinchè potesse guardarlo. «È vero sai, non come quello che si trova nei negozi di giocattoli».

Cecilia lo maneggiò un po’, scossa dai singhiozzi.

«E sai una cosa? Nel cortile c’è una macchina della polizia con una sirena vera: non ti va di farci un giro sopra?»

«Io non ho fatto niente, perché volete arrestarmi?»

«Nessuno ti arresta, Cecilia. Solo che sarai più sicura in mezzo a tanti poliziotti, mentre aspettiamo che arrivino i tuoi nonni».

«Se vengo con voi, quell’uomo cattivo che mi ha tenuta in gabbia non mi prenderà più?» Domandò Cecilia, con gli occhi ancora umidi e il naso gocciolante.

«No, te lo prometto».

 

§ § § § § § § § § §

 

Lo studio di Linda era come sempre luminoso, l’unica differenza era lei. Di solito, quando Lucifer entrava, lei era seduta alla sua scrivania e solo dopo, quando lui si era accomodato sul divano lei si sedeva sulla poltroncina di fronte. Questa volta, quando lui entrò, la trovò che passeggiava su e giù per lo studio.

«Dottoressa Linda! Prima che tu dica qualcosa...» La salutò Lucifer, appena entrato.

«Dov’è. Amenadiel», lo fulminò.

«Ha voluto andare a trovare nostra madre», si sedette sul divano e si versò dell’acqua.

«Tu hai spedito il padre di mio figlio in un universo alternativo?» Linda non riusciva a credere con quanta superficialità Lucifer si approfittasse dell’aiuto che gli amici (e il fratello, in questo caso) gli porgevano.

«Di grazia, come avrei fatto se non ho più la spada? E comunque, all’Inferno ci è voluto andare da solo. Più o meno», le sorrise.

Linda avrebbe voluto prenderlo a schiaffi, o strozzarlo magari, se non fosse stato più alto di lei. Tanto più alto di lei. Così, si limitò a distendere il collo, piegando la testa prima da un lato e poi da lato.

«Hai il torcicollo, per caso?» Le chiese Lucifer, ignaro dei reali sentimenti della cognata.

«Nooo, mi sto trattenendo dall’impulso di strozzarti», gli confidò, riservandogli un’cchiata dura.

«Fatica sprecata, temo: la detective non c’è, per cui ti ricordo che sono invulnerabile», le sorrise.

Linda chiuse gli occhi, emettendo un lungo respiro: «Lucifer. Vuoi dirmi, per favore, perché hai mandato Amenadiel all’Inferno?»

Lucifer si accomdò meglio sul divano e si aggiustò i gemelli: «A dire il vero, avrebbe già dovuto essere di ritorno. Il fatto è che nostra madre si è palesata attraverso un sogno di Alma Lucinda e siccome l’altra volta Amenadiel non è riuscito a salutarla, ho pensato che gli avrebbe fatto piacere rivederla. Tutto qui».

«Vostra madre è tornata e tu mi dici: tutto qui? Lucifer, ti devo ricordare che l’ultima volta mi ha quasi fritto? Che cosa pensi farà a Charlie?» Lo investì.

«Non devi preoccuparti, dottoressa», le rivolse il solito sorriso, «nostra madre è all’Inferno e Kristiel non la farà fuggire, te lo prometto».

In realtà, anche se non voleva ammetterlo, anche lui stava cominciando a preoccuparsi per il ritardo di suo fratello.

 

§ § § § § § § § § §

 

Oltrepassato il Cancello di princisbecco3, Amenadiel si ritrovò risucchiato nei meandri infernali.

Si fermò un attimo, tirando un forte respiro, poi cominciò ad avanzare. La sua attenzione venne presto catturata da una porta che sbatteva ripetutamente. Camminò in quella direzione, ma, appena oltrepassata la soglia si torvò su una spiaggia lambita da un lago di fango ribollente, collegata alla spiaggia opposta solo da una sottile striscia di roccia. Ai lati di questa passerella, si rincorrevano cinghiali cavalcati da uomini e donne che si pugnalavano a vicenda.

Non si preoccupò più di tanto: a volte, i demoni si divertivano a spaventare in quel modo le anime appena arrivate, però si chiese per chi fosse stata creata quella cella.

«Ma che cos...»

Due cavalieri si stavano rincorrendo troppo vicino alla riva, ma così facendo quasi rischiarono di travolgere Amenadiel, il quale, però, fu lesto a fare un salto indietro.

Riconobbe Eva e l’assistente sociale che l’aveva cercato per l’affidamento di Alma Lucinda: entrambi cercavano di disarcionarsi a vicenda, ma mentre Eva cercava di accoltellare al cuore l’uomo, questi cercava di strangolarla. Quando sembrava esserci quasi riuscito, ecco che dal lago di fango apparivano mani braccia fanciullesche pronte a ghermire il dannato.

«Ciao fratello»: una voce femminile alle sue spalle lo fece sobbalzare.



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N.d.A.Come sempre, ringrazio tutti quelli che leggono lasciando un segno del loro passaggio, quanto coloro che preferiscono leggere in silenzio. Grazie soprattutto a chi ha inserito la storia tra seguite/preferite/ricordate.

1  Nel mito originale della discesa di Inanna negli Inferi – al quale mi sono ispirata per questo paragrafo – il Guardiano che accompagna la dea sumera è Neti. Ho deciso di discostarmi dal mito originale scegliendo un nome in lingua shawnee (di ceppo algonchino), che significa “apre porta”. In realtà i Susqueannock – che fino al diciasettesimo secolo confinavano con gli Shawnee – appartenevano al ceppo linguistico irochese, ma la loro lingua risulta estinta. Oltre al mito di Inanna, mi sono ispirata anche all’Eneide.

2  Secondo la credenza comune, le api rappresentano quasi sempre le anime dei defunti.

3  Da Wikipedia: termine usato per indicare un ottone con inclusioni di stagno dal colore simile all'oro. Il rapporto tra rame e zinco è variabile: Cu da 89% a 93% e Zn da 11% a 7%. Deve il suo nome all'inventore Christopher Pinchbeck (1670-1732) orologiaio inglese. Tale lega è stata usata principalmente per tutte quelle lavorazioni di poco valore ma appariscenti. Successivamente fu utilizzata da orefici disonesti al posto dell'oro e, con il passare del tempo, la parola è diventata sinonimo di falso, di bassa lega, non di valore.

   
 
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