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Autore: Soul Mancini    25/08/2020    4 recensioni
Estate 1981.
Ives ha tredici anni ed è un ragazzino pieno di vita. Si trova nel periodo magico e doloroso in cui l'infanzia comincia a svanire, per lasciare il posto alla vita vera e senza filtri; la fase in cui si comincia a esplorare il mondo e scoprirlo in tutta la sua crudeltà e durezza, in cui ci si ritrova a prendere le proprie decisioni, cadere, sbagliare e imparare da soli.
In uno dei peggiori quartieri di Los Angeles, dove il mondo crolla ogni giorno e lascia i giovani senza certezze a cui aggrapparsi, Ives e i suoi amici si vogliono soltanto divertire e godersi assieme i mesi più caldi dell'anno; tra prime volte, scelte giuste o sbagliate, risate, musica e delusioni, si prenderanno per mano e impareranno per la prima volta a vivere.
[Una sorta di minilong di cinque capitoli sospesa tra comicità, fluff e dramma.
Nonostante faccia parte di una serie, cercherò di colmare nelle NdA tutte le eventuali lacune per renderla accessibile a tutti ^^]
Genere: Drammatico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Needles'
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IV
 
 
 
 
Tonight
I'm gonna have myself a real good time
I feel alive
And the world, I'll turn it inside out
Yeah!
I'm floating around
In ecstasy
[Queen – Don’t Stop Me Now]
 
 
 
 
Quando io, Ethan e Sammy entrammo all’Alibi, Bogdan ci venne subito incontro e mollò una pacca sulla spalla a tutti e tre. “La serata sballo è fissata per dopodomani, okay?” ci comunicò.
Annuii distrattamente, ma in realtà non lo stavo nemmeno ascoltando: i miei occhi erano subito partiti alla ricerca di Emily. Dentro il locale non la trovai, così decisi di andare a cercarla nella terrazza sul retro.
Mi voltai verso i miei amici e incrociai lo sguardo torbido di Sammy, che mi ricordò la promessa che gli avevo fatto. In realtà in quei giorni non stavo riuscendo a mantenerla del tutto: quando lui decideva di uscire con noi, per un motivo o per un altro mi distraevo e lo perdevo di vista, non riuscivo a essere sempre con lui. Non mi rimproverava mai per questo, ma al contempo non mi raccontava mai niente e non sapevo se quei tipi stessero continuando a perseguitarlo.
“Sammy, vieni fuori con me a controllare se c’è qualche tavolino libero?” gli domandai, scoccandogli un’occhiata complice.
Lui si limitò ad annuire e mi seguì mentre mi dirigevo sul retro.
Una volta che ci trovammo all’aria aperta, non ebbi nemmeno bisogno di guardarmi attorno perché Emily, seduta in un angolo insieme a Bess e la loro solita amica moretta, attirò la mia attenzione e mi fece cenno di raggiungerla.
Io e Sammy ci dirigemmo nella loro direzione e, prima ancora che potessi prendere posto, Emily si alzò e mi strinse in un breve abbraccio, stampandomi un bacio sulla guancia. “Ti stavo aspettando” mormorò con la sua voce vellutata e dolce.
Le lasciai una carezza tra i capelli. “Addirittura? Che tenera!” Poi presi a squadrarla da capo a piedi: indossava un abitino azzurro che le aderiva perfettamente al corpo, mettendo in risalto le sue forme piccole e morbide, e le svolazzava leggero attorno alle cosce. “Sei incantevole” mormorai, sinceramente colpito.
Davvero una creatura così bella poteva provare interesse per me?
“Oggi ho il vestito intonato ai tuoi occhi e alla tua anima” soffiò lei, regalandomi un sorriso radioso.
Un fischio proveniente dalla nostra destra ci fece voltare: capii subito che si trattava di Bess, che ci osservava con sguardo malizioso. “Piccioncini, se volete fare porcate prendetevi una stanza stanotte!” esclamò, strizzandoci l’occhio e facendo scoppiare a ridere Sammy.
Scossi il capo, piuttosto imbarazzato, e io ed Emily prendemmo posto sulle nostre sedie.
Ordinammo da bere e chiacchierammo del più e del meno tutti assieme, finché Bess non decise che doveva andare a cercare il suo uomo – ovvero Ethan, che non era ancora riuscita a conquistare, ma ero certo che ormai ci fosse vicina – e non rientrò nel locale portandosi appresso Fanny, la sua amica moretta.
Restammo solo io, Emily e Sammy. Se non fosse stato per quest’ultimo, avrei potuto approfittare senza esitazioni della situazione e provarci apertamente con Emily – io e lei non avevamo fatto che mangiarci con lo sguardo da quando ero arrivato all’Alibi – e, nonostante avessi promesso al mio amico che sarei stato con lui per tutto il tempo, in cuor mio sperai che se andasse e ci lasciasse in pace.
Mi odiavo tremendamente per quei pensieri così egoisti, ma non ne potevo più di stare lontano dalla ragazza dei miei sogni.
“Ehi, non l’avevo mai notato prima” stavo dicendo a Emily a un certo punto, accennando alla piccola farfalla colorata che aveva tatuata sulla spalla. “È stupenda. Ha qualche significato particolare?” D’istinto presi a tracciarne i contorni col polpastrello ed Emily rabbrividì sotto il mio tocco.
“In realtà no, ma le farfalle sono i miei animali preferiti” spiegò, poi mi afferrò la mano con cui la stavo sfiorando e prese a esaminarla, mentre un sorrisetto le si dipingeva sulle labbra. “Pensavo che chi suona gli strumenti a corda avesse le dita piene di calli, invece hai la pelle morbidissima.”
Ridacchiai. “È perché quella è la mano destra, con cui tengo il plettro. Qui la situazione è decisamente diversa” le dissi, mostrandole le dita della sinistra che erano piene di segni rossi.
“Oh, adesso ho capito.” Lasciò andare la mia mano, ma prima di mollare la presa la condusse studiatamente all’altezza del suo seno in modo che lo potessi sfiorare; nel contempo mi lanciò un’occhiata languida ed eloquente.
Mi morsi il labbro.
Mio dio, quanto faceva caldo.
Mio dio, quanto mi sentivo eccitato…
“Io… vado in bagno, a dopo” borbottò Sammy, alzandosi di scatto dalla sua sedia.
Mi morsi ancora il labbro inferiore; cazzo, lui era ancora lì e noi lo stavamo sicuramente mettendo in imbarazzo. Gli lanciai un’occhiata dubbiosa, ma lui si limitò a rivolgermi un sorriso tirato prima di dirigersi verso l’ingresso con le guance in fiamme.
Che amico pessimo che ero.
“Senti… che ne dici di andare a prendere un po’ d’aria dall’altra parte? Qui si muore di caldo e c’è così tanto casino” propose Emily, accennando all’ambiente circostante.
Non aveva tutti i torti: dal pavimento in cemento si sprigionava l’afa accumulata durante l’arco della giornata; acconsentii e ci dirigemmo fuori, sulla strada, ma scoprii che il calore che sentivo in tutto il corpo non era scomparso, anzi.
Ora che mi trovavo praticamente solo con Emily, era aumentato.
Le sorrisi e mi infilai una mano in tasca con l’intento di prendere sigarette e accendino, ma la biondina non me ne diede modo: mi spinse gentilmente verso la parete alle mie spalle e si avvinghiò a me, premendo con forza le sue labbra sulle mie.
Non me lo feci ripetere due volte e ricambiai subito il gesto, esplorando la sua bocca come mai avevo fatto prima.
Quando ero più piccolo era capitato di scambiare degli innocenti baci a fior di labbra con qualche bambina, ma nulla era paragonabile a quello; non avevo mai vissuto un momento del genere, non sapevo quale fosse il comportamento giusto da attuare, tuttavia mi lasciai guidare dall’istinto e le posai le mani sui fianchi, attirandola ancora di più a me. Starle così vicino mi faceva andare fuori di testa, era un mix di sensazioni incredibili che mi annebbiavano la mente.
Era un po’ come ubriacarsi.
Emily si staccò da me e si passò la lingua sulle labbra. “Era da un sacco di tempo che volevo farlo.”
Avevo il fiato corto e il folle desiderio di baciarla di nuovo. Le sorrisi. “Spero che la voglia non ti sia già passata dopo un solo bacio” sussurrai, facendo scorrere le dita sul suo fianco fino a sfiorarle il gluteo.
Ci scambiammo un altro bacio, poi Emily si staccò da me, si guardò attorno e infine mi prese per mano. “Andiamo in un posto più tranquillo” affermò, conducendomi in uno dei tanti vicoletti ciechi caratteristici del quartiere; era un luogo piuttosto squallido e per niente romantico, ma almeno lì ce la saremmo potuta spassare senza essere disturbati.
Fu il mio turno di bloccarla contro il muro e baciarla, prendendo a esplorare ogni parte di lei con le labbra e con le dita: il viso, il collo, le spalle, i seni, il ventre…
Lei era in estasi e io lo ero insieme a lei. Certo, c’era sempre quel pizzico di tensione, del resto ero alle prime armi e avevo una paura folle di sbagliare e deluderla, ma lei sapeva come farmi rilassare e come farmi impazzire. Ed ero così curioso, volevo scoprire tutto di quella ragazza, capire quanto fosse bello amarsi in quel modo tutto nuovo e, chissà, magari regalare a Emily una bella e dolce nottata.
Non le avrei mai voluto fare del male. Forse era per quello che avevo così tanta paura.
“È la tua prima volta?” mi domandò mentre carezzava piano il mio inguine e poi poggiava con decisione le dita sul cavallo dei miei pantaloni.
Mi morsi il labbro inferiore nel tentativo di trattenere un gemito e gettai il capo all’indietro – i miei occhi si scontrarono con le stelle che brillavano in cielo, ancora più luminose del solito. “Sì” ammisi tra i sospiri.
“E hai paura?” soffiò con le labbra a pochi centimetri dal mio collo.
“Io… io…” La attirai ancora più vicino a me. “Voglio che anche tu stia bene…”
Emily fu paziente con me quella sera: mi fece sperimentare tutto ciò su cui avevo qualche dubbio o curiosità, mi lasciò libero di prendermi i miei tempi, si concesse a me completamente e io cercai di prendermene cura nel modo migliore che conoscessi. Non avevo voglia di correre o di essere troppo irruento, ero fatto così: la conobbi pian piano, la esplorai, mi assicurai che stesse bene e che non stessi sbagliando qualcosa.
E quando finalmente affondai in lei per la prima volta e la sentii impazzire dal piacere, capii che non avevo sbagliato.
Fu davvero strano. Ero talmente preso a domandarmi se stessi facendo la cosa giusta che quasi non pensai a me; non sapevo se fosse una cosa normale perché non avevo mai parlato con nessuno di quell’argomento, ma alla fine giunsi alla conclusione che era maledettamente bello morire di piacere e desiderio in due, l’uno tra le braccia dell’altra.
“L’azzurro, tra le altre cose, è un colore che simboleggia purezza e pace” mormorò Emily mentre, con la guancia che aderiva alla mia spalla, riprendeva fiato. Io, ancora col cuore che batteva a mille, le accarezzavo piano i capelli.
Lei sollevò il capo in modo da potermi guardare negli occhi. “È proprio vero che hai l’anima azzurra, Ives. Non ho mai conosciuto un ragazzo più trasparente e delicato di te.”
Sorrisi, profondamente colpito da quelle parole, e la strinsi forte a me.
Forse quella notte di passione non ci avrebbe portato da nessuna parte, ma in quel momento non importava: era la nostra notte e tutto il tempo sembrava essersi fermato solo per noi.
 
 
“Tu ne sapevi qualcosa?” Ethan mi raggiunse e si sedette sul gradino accanto a me, i suoi occhi neri erano ancora più cupi e tempestosi del solito.
Presi una boccata di fumo dalla mia sigaretta e gli lanciai un’occhiata interrogativa.
“Ho appena parlato con Sammy: lascia la band. E senza darmi una fottutissima spiegazione” disse lui nervosamente mentre si accendeva una sigaretta a sua volta.
Sgranai gli occhi e sentii il sangue defluire dal viso.
Alla fine Sammy non ce l’aveva fatta, aveva deciso di arrendersi. Era tutta colpa mia, ne ero certo: non gli avevo guardato abbastanza le spalle, l’avevo perso di vista troppe volte, non ero stato in grado di dargli il giusto supporto per affrontare quella situazione. Ero un pessimo amico, gli avevo fatto una promessa che non ero riuscito a mantenere, soltanto perché ero estremamente egoista.
Mi sentivo morire. Chissà cosa aveva dovuto subire Sammy per arrivare a prendere una decisione così drastica.
“Hai… provato a chiedergli perché?” balbettai, la gola secca per l’agitazione e il fumo.
“Certo! Ma lui ha cominciato a piagnucolare che questo non è l’ambiente adatto a lui e che è il caso che inizi a frequentare altra gente e altri posti. Chi cazzo gli ha messo in testa queste stronzate?” sbottò Ethan, sempre più incazzato e confuso.
Mi tremavano le mani. In quel momento dipendeva tutto da me: potevo rivelare la verità a Ethan in modo che lui potesse aiutarci a fronteggiare i bastardi che perseguitavano Sammy, ma questo avrebbe significato tradire il mio amico e lui non mi avrebbe mai potuto perdonare.
Tuttavia se avessi tenuto la bocca chiusa avremmo comunque perso Sammy, dal momento che voleva lasciare la band e smettere di frequentarci.
Cosa era meglio fare? Qual era la decisione più giusta? Non ero affatto bravo a districarmi in queste situazioni contorte.
Furono istanti lunghissimi, in cui mi fissai le punte delle scarpe e lasciai che la sigaretta mi si consumasse tra le dita.
No, non ero un traditore. Avevo dato la mia parola a Sammy, lui si fidava di me.
“Io non ne so niente” borbottai infine, e mentre pronunciavo quelle parole mi sentii sprofondare.
“E allora perché fai quella faccia? Perché non sembri affatto sorpreso?” mi accusò Ethan in tono tagliente.
Ci conoscevamo da cinque anni e non ero mai riuscito a tenergli nascosto niente, mai.
“E che faccia dovrei avere, scusa? Dovrei essere contento?” mi rivoltai, alzandomi di scatto dal gradino e facendo qualche passo avanti in modo da dargli le spalle – poco importava che mi trovassi in mezzo alla strada, non avevo neanche controllato se stesse per passare qualche auto. “Sai com’è, Sammy ha lasciato la band, ho tutti i motivi di essere incazzato! E ora non abbiamo né un cantante né un batterista, e il nostro gruppo sta andando a puttane, come pensi che debba essere la mia faccia?”
E sono un amico di merda, perché al posto di stare accanto a Sammy mi sono fatto i cazzi miei. Perché non so mai come fare davanti alle difficoltà, perché non sono in grado di aiutare nessuno, nemmeno me stesso. E mi sento tremendamente in colpa, Sammy se ne va a causa mia.
Gli occhi mi bruciavano, ma mi convinsi che era per il fumo della sigaretta che mi svolazzava attorno al viso.
Gettai il mozzicone a terra, lo schiacciai con rabbia e, senza voltarmi a guardare Ethan, affermai: “Vado a parlarci io”.
Corsi verso casa di Sammy, su quella strada che ormai conoscevo a memoria e che forse non avrei percorso mai più. Il caldo prendeva a schiaffi la mia pelle, il sudore mi appiccicava i vestiti e i capelli addosso, ma in quel momento nemmeno me ne accorgevo, tanto ero preso dai miei pensieri.
Non ero stato in grado di aiutare Sammy. Questa consapevolezza mi rimbombava nel cervello, facendomi sentire sempre più inutile e insignificante passo dopo passo, respiro dopo respiro.
Bell’amico ero stato.
Quando giunsi davanti a casa sua, bussai direttamente alla porta di casa invece di passare per il garage – tanto non ci avrei trovato nessuno, era tutto finito.
Attesi per qualche istante, spostando nervosamente il peso da un piede all’altro, finché non fu proprio Sammy ad aprirmi la porta: aveva gli occhi gonfi di pianto e il labbro inferiore gli tremava appena.
Presi fiato, ma lui parlò prima di me, interrompendomi: “Ti prego, Ives, non dire niente. Ormai non cambierò più idea”.
Presi coraggio e, infischiandomene di cosa fosse giusto o sbagliato, strano o normale, lo abbracciai. Volevo fargli capire quanto mi dispiacesse, quanto stessi male all’idea che se ne sarebbe andato, quanto mi sentissi in colpa per non essergli stato accanto quanto meritava.
Ma la verità era che tutti noi eravamo dei ragazzi distrutti, alle prese con i loro demoni e con le loro debolezze, che lottavano per ritagliarsi uno spazio nel mondo e capire se stessi. Come potevamo fare gli eroi per chi ci stava attorno, se già ci sentivamo disarmati davanti a noi stessi?
Sammy lo sapeva e non me ne aveva mai fatto una colpa. Anche in quel momento, mentre piangeva sulla mia spalla, mi ripeté tra i singhiozzi che non era colpa mia.
L’avevamo perso per sempre.
 
 
“Devono essere bravi davvero: suonano al Whisky A Go Go e al Rainbow, hanno già parecchia visibilità” raccontava Viktor con entusiasmo, mentre sorseggiava la sua birra.
“Wow, addirittura al Whisky? Come si chiamano?” mi incuriosii.
Hell Night o qualcosa del genere” ribatté lui con un’alzata di spalle.
“Però io ho sentito dire che sono in difficoltà, nel senso che ci sono delle tensioni interne alla band. Si vocifera che non dureranno a lungo” si intromise Jeff.
“Ah, li conosci?” gli domandai.
“Mio fratello era in classe col bassista.”
“Ehilà, stronzi!” ci salutò Bogdan, prendendo posto direttamente sul piano del tavolino sudicio. “Siete pronti alla vera festa? Tra un po’ arriva la roba e ci sarà da divertirsi!”
Gli sorrisi. “Non vedo l’ora!”
Bogdan mi scompigliò appena i capelli – era una cosa che faceva sempre, solo perché ero tra i più piccoli della nostra cerchia e mi vedeva ancora come un bambino. “Cosa vuole provare oggi il nostro bimbo?”
“La coca” risposi senza esitazioni, incrociando le braccia al petto.
“Ottima scelta, la coca di Davi è tra le più buone in circolazione” osservò il polacco, per poi scoccare un sorriso complice a Ethan.
“Ehi, sbaglio o Bess ha cambiato di nuovo colore di capelli?” commentai, avvistando la ragazza dentro il locale nei pressi del bancone: i suoi capelli avevano ora assunto una tonalità blu scuro che, bisognava ammetterlo, le stava davvero bene. “Ma non aveva detto di voler provare il verde?”
“L’ho dissuasa io” spiegò Ethan.
Mi voltai a osservarlo con perplessità e una punta di malizia. “Mmh… e da quando sei diventato il suo consigliere di stile?”
Lui scrollò le spalle. “Ne stavamo parlando il giorno che me l’ha data. Le ho consigliato il blu e lei ancora mi ringrazia ogni volta che mi incrocia perché l’ho aiutata a trovare il suo colore.”
Sgranai gli occhi e mi sporsi verso di lui con un sorriso da un orecchio all’altro. “Tu e Bess avete scopato?!”
“Non mi sembra un evento tanto straordinario” borbottò lui in risposta.
In quel momento una voce esplose al microfono e tutti noi ci voltammo verso il palchetto; mi accorsi solo in quel momento che la band aveva preso posto e il concerto stava per cominciare.
“Buonasera a tutti, noi siamo gli Hell Night e stasera abbiamo tutte le intenzione di incendiarvi con un po’ di sano rock’n’roll!” strepitò il frontman della band, un ragazzo dai corti capelli biondicci e i lineamenti affilati.
Tutti esultarono e alcune ragazze cominciarono a radunarsi sotto il palco, pronte a scatenarsi a ritmo di musica.
Rimasi subito impressionato dall’energia e dalla potenza di quella band: fu subito chiaro dalle prime note che quelli erano dei professionisti, che avevano tanti live alle spalle e sapevano come coinvolgere il loro pubblico.
“Ma il cantante?!” esclamai estasiato, dando di gomito a Ethan.
“È una fottutissima bomba! Hai sentito dove arriva la sua voce?”
Ci scambiammo un’occhiata entusiasta: quello era in assoluto uno dei migliori cantanti che ci fosse capitato di sentire. Il suo timbro acuto e graffiante era energia pura, gli acuti che eseguiva erano in grado di far tremare l’intero locale e si muoveva sul palco con una naturalezza e una sfrontatezza allucinanti.
“Dobbiamo assolutamente andare a parlare con lui e scoprire chi è” affermai.
Ethan annuì. “E dato che questa band è allo sfascio, possiamo pure chiedergli se gli va di entrare nella nostra.”
“Sarebbe davvero una figata averlo come cantante!” Detto questo, mi alzai e mi accostai al palco per poter seguire meglio lo show. Ero talmente preso da quel rock così energico e coinvolgente che non feci nemmeno caso a Emily, la quale ballava a qualche metro da me insieme ad alcune sue amiche. Da quando eravamo andati a letto insieme, aveva perso totalmente interesse nei miei confronti e verso la band, ma io ben presto me n’ero fatto una ragione: era stato bello, ma era ovvio che non sarebbe durata e dopotutto io e lei non avevamo quasi niente in comune.
Non mi resi conto del tempo che passava e dei brani che si susseguivano uno dietro l’altro, finché non sentii qualcuno che mi mollava un piccolo pugno sulla spalla; mi voltai e mi ritrovai faccia a faccia con Bogdan, che sfoggiava un sorriso complice. “È arrivata la roba, vieni dentro!” gridò affinché potessi sentirlo sulla musica ad alto volume.
Ricambiai il sorriso e lo seguii dentro l’Alibi, il cuore che mi batteva a mille. Ero sempre abbastanza agitato quando dovevo provare qualche nuova sostanza, non tanto perché avessi paura, ma non sapevo cosa aspettarmi ed ero emozionato. La prima volta aveva sempre un gusto speciale, nuovo, esaltante.
Il mio amico mi condusse presso il bancone, davanti a cui stazionavano Ethan e Viktor con alcune banconote strette tra le dita.
Mi guardai attorno dubbioso, notando che il barista era scomparso, poi posai lo sguardo sui miei amici. “Lo dobbiamo fare qui, davanti a tutti?”
“Qual è il problema? Ci serve un piano liscio, no?” ribatté Bogdan con semplicità, facendo un ampio cenno verso la sudicia lastra su cui avevo appoggiato i gomiti. “Non ci romperà il cazzo nessuno, tranquillo.”
Osservai Ethan mentre creava, con l’aiuto della banconota, due strisce di polverina bianca sul piano liscio, una per lui e una per me; si muoveva con naturalezza e maestria, come se avesse già svolto quell’operazione un sacco di volte.
“Tu l’hai già provata?” gli chiesi.
“Sì, qualche volta.” Arrotolò una delle due banconote che aveva in mano e me la passò. “Potrebbe darti fastidio all’inizio, cerca di non soffocare.”
Afferrai l’oggetto e scrutai la pista bianca che avevo di fronte. Sapevo già cos’avrei dovuto fare, l’avevo visto tante volte e sperai di non fare qualche figuraccia da inesperto.
Tirai su la striscia tutta in una volta, e la polvere mi mandò subito a fuoco i polmoni e la gola; presi a tossire, gli occhi mi si riempirono di lacrime, ma dopo qualche istante cercai di darmi un contegno e cominciai a guardarmi attorno spaesato; mi sentivo strano, era come se tutto attorno a me fosse più… vivo, forte.
“Hai bevuto prima?” mi domandò Viktor, picchiettandomi appena sulla spalla.
Mi voltai verso di lui e annuii.
“Ancora meglio: la coca farà effetto più rapidamente!”
In effetti stavo già cominciando a percepire delle sensazioni nuove: era come se per la prima volta sentissi nitidamente ogni parte del mio corpo, come se potessi vedere e sentire ogni singolo dettaglio di ciò che mi circondava, avevo solamente voglia di ridere e divertirmi e andare dalla gente a dire tutto ciò che mi passava per la testa.
Mi sentivo euforico, invincibile, come una specie di supereroe.
E la sensazione aumentava di intensità secondo dopo secondo.
“Ehi, è una figata!” strillai. “È uno sballo, cazzo!”
Ethan, accanto a me, ridacchiò. “È roba di mio fratello, tra la migliore in circolazione.”
“Fantastico!” mi entusiasmai, ed ero talmente contento ed euforico che scoppiai a ridere.
Fu in quell’esatto istante che mi innamorai della cocaina: all’improvviso era come se tutti i miei problemi fossero spariti, mi sentivo il padrone del mondo, ero indistruttibile e avevo soltanto voglia di divertirmi e immergermi in tutte le sensazioni amplificate che sentivo.
Afferrai Ethan per un polso – e in quel momento non me ne importava niente se detestava essere toccato – e lo trascinai nella terrazza sul retro: volevo schiantarmi contro la musica, gridare fino a perdere la voce, ridere fino a svenire.
Mi sentivo un re.
 
 
Mi sentii scuotere per una spalla e aprii a fatica le palpebre; le sentivo estremamente pesanti, come se non volessero rispondere ai comandi. Le pupille subito mi bruciarono quando vennero investite dalla luce del sole già alto in cielo e impiegai qualche istante per mettere a fuoco la figura che mi stava davanti: il volto non mi diceva niente, ma riconobbi subito la divisa da poliziotto che indossava.
Cazzo.
Quando anche le orecchie ricominciarono a funzionare normalmente, seppur sentissi i suoni ovattati e distanti, mi resi conto che l’agente mi stava ponendo una domanda: “Sei tu Ives Mancini?”.
Mi portai lentamente una mano sulla fronte e tentai di sollevarmi, ma la testa mi girava e mi pulsava terribilmente. “Credo di sì…” biascicai con la gola secca.
“Mettiti in piedi, forza” ordinò il poliziotto in tono severo, scrollandomi nuovamente per la spalla.
Mi sforzai di sollevarmi sui gomiti; mi faceva male tutto, era come se mi fossi addormentato su una lastra di marmo. E forse non era del tutto falso, infatti mi trovavo su un marciapiede sudicio e disseminato di bottiglie vuote di alcolici. Come ci ero finito lì? Ero svenuto o mi ero semplicemente addormentato?
“Cos’ho fatto?” domandai mentre mi mettevo in piedi a fatica; fui costretto a sorreggermi a una parete per non rovinare di nuovo a terra, il mondo intero sembrava ruotarmi attorno e sentivo lo stomaco sottosopra.
“Non fare tante storie e sali in macchina” sbottò l’agente, afferrandomi per un braccio e trascinandomi fino allo sportello posteriore della volante. Mi spinse sul sedile e io non fui in grado di obiettare e opporre resistenza, tanto ero stordito e confuso.
L’uomo circumnavigò l’auto e si posizionò sul sedile del passeggero; accanto a lui, alla guida, si trovava già un suo collega.
Mi guardai attorno per cercare di capire dove mi trovassi: sicuramente nei pressi dell’Alibi. L’unica cosa certa che riuscii a capire fu che, a giudicare dal caldo asfissiante e dal sole che bruciava quasi al centro del cielo, doveva essere circa mezzogiorno. Non ricordavo quasi niente della sera precedente, né tantomeno come fossi finito in mezzo alla strada.
Avevo provato la cocaina per la prima volta, questo lo ricordavo.
Il poliziotto al volante mise in moto e partimmo, diretti chissà dove.
Ero sempre più allarmato: perché la polizia era venuta a cercarmi?
“Dove mi state portando? Non ho fatto niente” spezzai il silenzio con una punta di isteria nella voce.
C’era da dire che non mi avevano ammanettato, quindi potevo sperare di non essere in stato d’arresto.
“Già, non hai fatto niente,” ribatté l’agente che mi aveva svegliato, “a parte scomparire per tutta la notte e far venire un colpo a tua zia. È stata lei a chiederci di venire a cercarti, ragazzino.”
Il mio cuore perse un battito. Già, zia Maura…
Non volevo farla preoccupare, non era mia intenzione, ma al contempo non mi piaceva che mi stesse così addosso e mandasse addirittura la polizia a cercarmi. Insomma, ormai ero grande e sapevo badare a me stesso.
O forse non ero abituato all’idea che qualcuno si preoccupasse tanto per me.
Mentre osservavo le strade semideserte del quartiere scorrere fuori dal finestrino, mi domandai come avrei fatto ad affrontarla.
 
 
 
 
♠ ♠ ♠
 
 
Ed eccomi qua, come promesso, con un capitolo abbastanza denso di avvenimenti ^^
Vediamo qui due prime volte di Ives: la prima notte con una ragazza e la prima volta che ha assaggiato la cocaina. Se la prima esperienza può essere considerata positiva, non si può dire lo stesso della seconda: anche se Ives in quel momento si sentiva un re, certamente la cocaina non è una sostanza salutare…
Per quanto riguarda la prima parte del capitolo, ho deciso apposta di non entrare troppo nel dettaglio perché non avevo in progetto di scrivere una storia a rating rosso, volevo concentrarmi più sulle sensazioni e il valore “simbolico” della prima volta piuttosto che descrivere ogni minimo loro gesto. Spero di non aver deluso le aspettative ^^
Mentre per quanto riguarda la faccenda di Sammy… alla fine Ives ha deciso di non tradire il suo amico, anche se il prezzo da pagare è stato molto alto. Voi siete d’accordo con la scelta di Ives?
Piccolissima noticina: il Whisky A Go Go e il Rainbow sono due locali di Los Angeles molto famosi e importanti per lo sviluppo della scena locale rock; negli anni Ottanta hanno visto la nascita e la crescita di band importanti come i Guns N’ Roses e i Mötley Crüe, ma erano attivi e famosi già da decenni ^^
Il prossimo capitolo sarà l’ultimo e già mi piange il cuore T___T ci sto mettendo l’anima in questa storia e per me è un bellissimo viaggio, sono tristissima all’idea che si debba già concludere, ma ahimè, la storia era pensata per avere solo cinque capitoli!
Bando alle ciance, alla malinconia di fine storia ci penseremo la prossima volta XD
Intanto vi ringrazio di cuore per essere giunti fin qui, spero che questo capitolo vi sia piaciuto! :3
Alla prossima!!! ♥
 
 
   
 
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