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Autore: Tenar80    16/09/2020    1 recensioni
2032
Victor e Yuuri gestiscono un'accademia di pattinaggio in Giappone.
Otabek e Yurio si sono da poco accasati in Inghilterra.
La vita scorre, non sempre sui binari che erano stati progettati.
Questa storia conclude la serie "Stagioni".
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
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Eccoci qui, a quello che di fatto è l'ultimo capitolo, anche se poi seguirà un piccolo extra finale.
Sono un po' emozionata a pubblicare il finale di questa creaturina che è venuta a farmi compagnia nella strana estate della pandemia. Ma i miei "pattinini" ormai sono cresciuti, è ora di lasciarli andare verso la vita che vorranno, alla ricerca dei loro nuovi e sempre precari equilibri.
Come credo sia ovvio a chi a letto fin qui, in questo capitolo si parla, anche, di affidi. L'abbandono e la ricerca di un nuovo equilibrio affettivo, con relazioni magari non così facilmente classificabili, ma non per questo meno vere è un filo rosso che ha unito tutte le storie della mia serie "Stagioni". È un tema che mi sta molto a cuore e spero di non averlo mai trattato con leggerezza. Questa storia si ambienta in Inghilterra nel 2032 e questo 2020 ci ha ricordato quanto precarie siano le nostre certezze. Non ho idee di come sarà la legislazione inglese del 2032 in fatto di affidi! So qualcosina della nostra, quindi qui è tutto semplificato e romanzato e spero di non urtare la sensibilità di nessuno, ma non dovrei aver raccontato cose impossibili.


 

– Ma… Se, per dire, volessi prenderla con me?

    Yuri sentì l’assurdità delle proprie parole già mentre le pronunciava. Poi vide riflessa nella perplessità degli occhi della Breem l’improbabilità di quell’eventualità. Eppure… Insomma, Potya stava scivolando senza particolari problemi verso i vent’anni. Non era stato così pessimo nel prendersi cura di lei, no?

    – Non è una cosa da scegliere così su due piedi, sull’onda dell’emozione – disse la donna, fredda.

    – Beh, ma Kamalika deve trovare una casa su due piedi, sono sicuro che la mia sia migliore di quella bellissima, con giardino, a Newcastle sud. Almeno non starebbe da sconosciuti. 

    Di tutti i ragazzi che seguiva, Kamalika era quella con cui aveva più difficoltà a comunicare. Metà delle volte non spiaccicava parola, se non con Otabek. Era negata per qualsiasi attività sportiva. Non ringraziava, non sorrideva. Stava lì, in un angolo del campo visivo, senza mettersi nei guai. Non c’era mai bisogno di richiamarla, quando era ora di andare, o di fare merenda, era sempre lì dove ci si aspettava che fosse. Otabek diceva che era portata per la matematica, spesso si mettevano in un angolo per fare esercizi insieme, cose più difficili rispetto a quanto assegnato dalle maestre, ma per Yuri tutto questo era ininfluente. La trovava anche bruttina, così scura, tutta pelle e ossa, con quei capelli crespi perennemente spettinati. Se mai a mente fredda avesser concepito l’immane idiozia di portarsi un bambino per casa non avrebbe mai scelto lei.

    «Ci sono posti peggiori in cui crescere».

    Lo avrebbe detto anche lei, con quello stesso sottofondo di desolazione?

    – Se davvero è interessato a un affido, possiamo prendere in considerazione la richiesta – sospirò l’assistente sociale. – Però ci sono dei requisiti. Lei ha un lavoro fisso?

    Yuri si passò una mano nei capelli. Che razza di domanda era?

    – Faccio il consulente, diciamo, per squadre sportive, eventi… Mi esibisco, ovviamente, e lavoro come promoter…

    – Quindi non ce l’ha. Deve capire che ai bambini serve stabilità, una figura di riferimento che sia preoccupata per la mancanza di entrate fisse, che cambia spesso lavoro non è il massimo…

    – Guardi che non sono i soldi che mi mancano – sbuffò Yuri.

    Non si sentiva così a disagio da quando aveva undici anni e aveva fatto il provino per entrare nel gruppo allenato da Yakov. 

    – Non lo metto in dubbio. Ma avrebbe un posto per Kamalika in casa sua? Una stanza da dedicarle? Di solito gli aspiranti affidatari fanno dei corsi, hanno del tempo per prepararsi.

    – Abbiamo tre stanze per gli ospiti.

    – Abbiamo? Quindi è sposato, convive? Questo è meglio, in generale, per un affido, ma capirà che non può scegliere una cosa così importante da solo.

    Yuri si guardò le mani, dove non c’era alcun anello. Adesso era davvero in imbarazzo. Odiava quel tipo di domande, come se la gente volesse aprire la sua stanza da letto. Anche se poi cosa, maledizione? Aveva trentadue anni, aveva vinto due ori olimpici, viveva lì da più di due anni, aveva fatto tutto secondo la legge e ancora lo metteva a disagio dire che viveva con un uomo?

    – Sono sposato – esalò. – Mio marito ha la cittadinanza inglese e insegna in università.

    La Breem, si sistemò ancora gli occhiali e Yuri capì che finalmente lo vedeva. Aveva detto qualcosa che aveva un senso nel linguaggio della donna. Insegna in università. Il che lo elevava dallo status di perdigiorno artistoide russo a quello di coniuge di una persona civile.

    – Se fa sul serio, forse è il caso che chiami suo marito – disse  la donna.

 

    *

 

    Sposando Yuri, Otabek sapeva di essersi aperto alle possibilità dell’improbabile. 

    Tornare una sera a casa e non trovarlo più. Tornare una sera a casa e scoprire di dover partire all’istante per l’altra parte del mondo. Trovarsi un intero gattile in salotto. Oppure un’improvvisata festa russa con vodka che scorreva a fiumi. Una tigre in giardino. Tutti gli elettrodomestici esplosi in simultanea. La piscina riempita di pop corn. Erano tutti scenari che il kazako si era figurato con facilità. Essere chiamato per un colloquio dall’ufficio affidi dei servizi sociali di Newcastle, però, esulava dalla sua più sfrenata fantasia. Non aveva risposto seccato che si trattava di un errore solo perché pochi istanti prima c’era stato un criptico messaggio di Yuri.

    Tu non lasceresti portare Kamalika in istituto, vero?

    Quindi la chiamata stava a significare che la domanda non era ne ipotetica ne teorica.

    Otabek percorse la città in moto in una sorta di stato confusionale, sperando in modo vago che dei riflessi istintivi intervenissero a evitargli degli incidenti.

    Kamalika. In casa sua. 

    Per quanto?

    Affido, quindi una cosa temporanea.

    Eppure era stato Yuri a proporlo…

    Non avevano mai parlato di bambini. Perché poi? Yuri neppure portava la fede, non l’aveva mai sentito dire a nessuno che erano sposati. Per quel che ne sapeva, nel fare richiesta di adozione una coppia accettava di essere visezionata da degli estranei. Ammettere di essere una coppia era quanto meno il livello da cui partire. Poi c’erano tutti quegli assurdi stereotipi russi che ogni tanto Yuri tirava fuori più o meno in modo inconscio quando parlava dei ragazzi dell’associazione. Così brutta con quella pelle scura… Delinquente come suo padre… Col DNA del perdente. Gli era persino capitato di sentirlo dare del frocio a qualcuno, il che, dalla bocca di Yuri, era piuttosto surreale. Per non parlare del fatto che suo marito era la creatura meno accudente che si potesse immaginare. Otabek non riusciva a spiegarsi la sopravvivenza della gatta se non con una sua intrinseca immortalità. L’immagine di Yuri che teneva in braccio un neonato non gli suscitava tenerezza, ma panico puro. D’altro canto gli aggettivi con cui il russo si riferiva ai bebé erano tutti irripetibili. Sposando Yuri, il kazako aveva deciso in piena coscienza si rinunciare ad essere padre. Quindi era del tutto inutile parlarne, così come era inutile parlare di un qualsiasi desiderio irrealizzabile. La vita era una questione di scelte e Otabek aveva compiuto la sua. E poi era arrivato quel messaggio.

    

    – Che cosa succede? – chiese a Yuri, appena ebbe parcheggiato la moto, sotto la sede dei Servizi Sociali.

    – Non pensano che io sia affidabile. Non credono neppure che le foto di casa nostra siano di casa nostra! – mugolò Yuri.

    Otabek non riuscì ad evitare di ridere.

    La situazione era ben oltre la soglia dell’assurdo. Suo marito era vestito da cosplay di un mafioso russo di bassa lega. Lo sguardo, però, aveva un sottofondo quasi di disperazione.

    – Puoi smettere di ridere e essere serio e noioso? – lo implorò il russo.

    Otabek si sforzò di impostare il viso all'abituale imperturbabilità.

    – Di solito dicono che mi venga bene.

    Yuri annuì.

    – Non mi tradire adesso.

    Otabek sospirò, reprimendo l’impulso di spettinargli i capelli. Se qualcuno li stava già osservando per valutarli, forse quella non sarebbe sembrato un comportamento così maturo.

    – Sei sicuro? – si limitò a chiedere.

    Kamalika era la sua preferita. Yuri a malapena la tollerava.

    – Non voglio che vada in un istituto, come Victor.

    Otabek annuì.

    – Qui non ci sono…

    – Lo so. Me lo hanno già detto in tutte le salse. Mi sembra di sentire lui.

    Victor, quando diceva che la sua non era stata una brutta infanzia. Otabek ricordava le parole precise, l’unica volta in cui aveva sentito il russo toccare l’argomento. Non era stato così male. Nessuno lo aveva mai picchiato. In effetti, pensò Otabek, persino loro dovevano essere in grado di offrire una prospettiva migliore a una bambina.

    – Va bene – disse.

 

    – Quindi lei è davvero un docente universitario – disse la dottoressa Breem. – Matematica dello sport? Che disciplina è?

    Otabek si strinse nelle spalle.

    – C’è un sacco di matematica nello sport, a partire dai problemi di misurazione oggettiva in molte discipline, variabili delle traiettorie nei lanci e nei salti, il tutto ovviamente si integra con i programmi informatici appositi e la necessità di creare simulazioni attendibili. È un bel campo di studio, anche se poi di fatto tengo anche i corsi di matematica uno e due e sono quelli a occuparmi la maggior parte del tempo

    – Immagino che lavori molto.

    – Al momento sì, ma se fosse necessario potrei ridurre il numero dei corsi, fino a un minimo di una quindicina di ore alla settimana.

    Si sarebbe annoiato a morte. Abituato a competere a livello internazionale e a studiare, prima con l’università e poi con il dottorato, Otabek aveva scoperto che il suo maggior problema, dopo il ritiro, era la noia. Ma non era necessario che l’assistente sociale lo sapesse.

    – E come fareste a livello economico? Suo marito non ha un lavoro fisso.

    Otabek si girò a fissare Yuri, che si limitò ad alzare le mani.

    – Te l’avevo detto – brontolò.

    – Ehm… Forse Yuri non si è spiegato bene. È uno sportivo, si è ritirato da poco… Insomma, se lo cercate su Wikipedia facciamo prima, credo.

    Se non fosse stato così teso, Otabek si sarebbe goduto il momento. Era abituato ad essere del tutto eclissato dalla personalità e dalla fama di Yuri. Nonostante la loro residenza periferica, la maggior parte della loro vita sociale gravitava intorno al mondo del ghiaccio. Tra masterclass, consulenze e esibizioni Yuri era impegnato quasi tutti i fine settimana, non era raro che prendessero l’aereo il venerdì sera per rientrare il lunedì mattina. E ovunque, nonostante il suo argento olimpico del 2022, ormai  archeologia, lui era nella migliore delle ipotesi «il compagno di Plisesky, pattinava anche lui». Vedere l’incredulità con cui l’assistente sociale prendeva atto che il perdigiorno russo era in realtà un eroe dello sport era uno spettacolo di quelli che capitavano una sola volta nella vita.

    – L’espatrio, per i minori in affido, è complicato – fu tutto quello che riuscì a dire la donna a lettura terminata.    

    – Stiamo cercando di valorizzare l’impianto di Newcastle per, diciamo, portare il lavoro a casa –disse Otabek. – In ogni caso io non ho tutta questa necessità di recarmi all’estero.

    Con un certo divertimento, una parte della mente del kazako annotò che si stava candidando al ruolo di madre amorevole che rimaneva a casa a occuparsi della prole.

    La Breem annuì.

    – Quindi, ricapitoliamo. Avete un legame affettivo pregresso e documentabile con la bambina. Il signor Altin ha anche la cittadinanza britannica… Ovviamente l’ultima parola sull’affido spetta al giudice e dovrete seguire un corso con i nostri psicologi. Verremo a monitorare la situazione a casa. Non dovete pensare di potervi sostituire al padre della bambina, anche se, ovviamente la situazione verrà valuta anche in base alla storia giudiziaria dell’uomo. Se dovesse prospettarsi l’adottabilità della bambina gli affidatari sono ovviamente la scelta preferenziale. Per… Beh, coppie come voi, l’affido, pur con tutte le sue criticità, può essere la via più rapida diventare genitori.

    Genitori.

    Otabek era svegliato quella mattina, come ogni mattina, con la granitica sicurezza che non avrebbe mai accompagnato un bambino al parco, o a scuola. Non gli avrebbe mai scattato una foto mentre spegneva delle candeline per poi appenderla in salotto. Non l’avrebbe mai convinto che il disinfettante non brucia dopo una sbucciatura né lo avrebbe mai sgridato per una qualsiasi delle cose di cui si lamentavano sempre i suoi fratelli a proposito dei loro marmocchi. Come ogni mattina, più o meno inconsciamente, quando aveva superato in moto la scuola elementare che incontrava sul tragitto tra casa e università, si era detto che dopo tutto i pannolini puzzano, i capricci farebbero perdere la pazienza anche a un santo e che comunque tutte quelle creaturine si sarebbero trasformate poi in adolescenti brufolosi e ribelli concentrati solo sui propri genitali. Che la sua vita era perfetta già così. Che con un bambino certo il tour della Namibia in moto poteva sognarselo… E adesso era seduto a un tavolo con una donna che gli stava dicendo che una bambina, non una bambina qualunque, Kamalika, il suo demonietto scuro, lo sguardo che ogni volta che andava al campo di atletica o alla sede dell’associazione temeva di non vedere, poteva installarsi a casa sua. E forse un giorno chiamarsi Altin, chissà. Aveva affrontato i campionati mondiali e le olimpiadi. Era sceso in pista con un ginocchio che stava insieme per miracolo, consapevole di dover arrivare al podio per ottenere il premio in denaro necessario per le cure di suo padre. Aveva concorso per il dottorato mentre gareggiava ai vertici mondiali. Aveva affrontato, un paio di volte, uno Yuri furioso. Eppure la parola «ansia» sembrava acquisire significato solo in quel momento.

    Cercò di spiare Yuri, seduto a fianco a lui, ma il russo pareva solo ringhioso e concentrato, più o meno come prima di entrare in pista.

    – E quando si pronuncerà il giudice? – chiese.

    – Se siete davvero convinti a inoltrare la domanda, lo contattiamo subito. Sarà una serata lunga, ma è la cosa migliore per la bambina.

    La mano di Yuri calò di botto sul tavolo e Otabek sobbalzò sulla sedia.

    – Cioè, spiegatemi – disse, con il tono sibilante che assumeva quando si sforzava di non urlare. – Se sono io, volontario non si sa cosa facente russo, la casa famiglia è un angolo di paradiso. Se arriva un professore perfettino  preparate già il bimbo in un pacchetto regalo?

    L’assistente sociale si tolse gli occhiali e prese un respiro.

    – C’è stato un equivoco e mi creda, tutto il nostro lavoro è nel massimo interesse dei bambini…

    – No, adesso ascolti me – adesso Yuri non sibilava più, ringhiava. – Perché ne so qualcosa di abbandoni. Mia madre si drogava e mio padre manco so chi è. Sono stato tirato su da mio nonno in un bilocale fatiscente, sono sicuro che voi lo avreste considerato alcolizzato e con scarsa capacità genitoriale. Forse, se fosse capitato a tiro di qualche solerte assistente sociale neppure sarebbe stato considerato in grado di allevarmi. Ma le assicuro che ringrazio per ogni minuto trascorso con lui, o con il suo amico stalinista zoppo che mi ha tenuto in casa dagli undici ai quindici anni, piuttosto che trovarmi nella migliore casa famiglia di modello inglese, con tanto di giochi in giardino, dove sarei stato solo un cazzo di lavoro da sbrigare per raggiungere lo stipendio.

    Otabek aveva messo una mano sul braccio di Yuri e lo sentiva tremare sotto la felpa. 

    Non aveva idea di cosa dovesse fare. Era la prima volta in assoluto che sentiva il marito parlare dei propri genitori. Aveva nominato Victor, quando Otabek era arrivato, ma il kazako avrebbe dovuto capire che era ancora qualcosa di più profondo che aveva spinto Yuri a chiedere su due piedi l’affido di Kamalika. Mentre cercava in qualche modo di trasmettergli calma con il tocco, l’unica cosa a cui Otabek riusciva davvero a pensare era che Yuri, a modo suo, sarebbe stato fantastico con la bambina.

    

*

 

Hasetsu

    – Dorme? – chiese Yuuri.

    – E vorrei ben vedere. Non pensavo avesse neppure la forza di andare sul ghiaccio, invece mi ha stremato.

    Igor giocava a hockey e considerava il pattinaggio di figura una cosa da femminucce. L’anno scorso, tuttavia, aveva dovuto ammettere, dopo una sfiancante prova sperimentale, di non essere in grado di prendere lo zio sulla pista di ghiaccio. Così si era deciso che la settimana di vacanza studio in Giappone avrebbe compreso anche alcune lezioni di pattinaggio. In realtà erano poco più di una scusa per giocare sul ghiaccio. Con la responsabilità di un’accademia, a Victor mancava l’aspetto puramente ludico. Per qualche motivo i suoi allievi si aspettavano che l’allenatore dovesse essere un tipo serio e assertivo e col tempo il russo aveva imparato che se una battuta poteva aiutare a sdrammatizzare, troppa leggerezza disorientava. Anche lui aveva ammesso a se stesso che se Yakov avesse riso a bordo pista, invece che sbraitare, non sarebbe stata la stessa cosa. Lui non urlava, non pensava di avere neppure l’apparato fonatorio adatto al volume e alla quantità di urla che Yakov riusciva a emettere in un singolo allenamento, ma si sforzava di non ridere troppo. Igor, invece, non correva neppure il rischio lontano di essere convocato nella squadra nazionale di hockey. Anche Joseph pattinava con discreta grazia, ma non sembrava intenzionato a ripercorrere le orme del padre. La gente se ne stupiva, ma Victor, con la sua caviglia quasi rifatta da zero e ben consapevole dei cinque bulloni di titanio nella schiena di Yuuri, capiva perfettamente perché Chris non lo spingesse in quella direzione. Quella sera, quindi, quello che si era divertito di più sul ghiaccio era lui. Questo, però, non voleva dire che non fosse distrutto.

    – Sembri sul punto di crollare anche tu – notò infatti Yuuri.

    – Sì. Però non ho voglia di andare a dormire subito.

    Di solito Victor crollava prima delle undici di sera e probabilmente se si fosse sdraiato si sarebbe addormentato all’istante… Dimenticando quel mezzo pensiero non ancora formulato che si aggirava elusivo nella sua mente da quella mattina.

    – Mi accompagni con i cani? – chiese il giapponese.

    La passeggiata serale era appannaggio di Yuuri, come quella del mattino apparteneva al russo.

    – E se Igor si sveglia e non trova nessuno?

    – Ha il cellulare sul comodino e noi, con Liza, non saremo a più di trecento metri. Chris e Joseph sono nella stanza accanto.

    Victor annuì, non del tutto convinto, mentre andava a prendere i guinzagli.

    – Possiamo fermarci a prendere un gelato – disse Yuuri.

    – Mi stai corrompendo.

    – Mentre tornavo dal palazzetto ho visto arrivare la frutta. Dovrebbero aver fatto il mango.

    – Cedo… Come sono andati i ragazzi oggi?

    – Bene, anche se ho sempre l’impressione che saltino con meno impegno quando ci sono solo io… 

    – Sakura?

    La loro novice più promettente.

    – Hai ragione. Entro settembre ce l’abbiamo, il triplo Axel. Un mese fa non lo avrei detto… Io riesco a valutarli sul presente, se sbagliano lo vedo subito, ma non ho il tuo senso della prospettiva.

    – Bah, è solo che a me piace scommettere e a te no.

    Erano già sulla soglia, d’istinto, Victor si girò verso la scala che conduceva al piano superiore, dove dormiva Igor.

    – Non succede niente – lo rassicurò Yuuri. – Chissà come saresti stato apprensivo come padre.

    – Chissà…

    Era un pensiero su cui tornava spesso, negli ultimi tempi.

    Non aveva mai desiderato un figlio. I bambini piccoli, poi, gli sembravano esplosivi instabili sempre sul punto di scoppiare, adatti a essere maneggiati solo da un artificiere esperto. Anche come allenatore cercava di non averci nulla a che fare prima degli undici, dodici anni. E tuttavia…

    – Ti manca, il non essere padre? – chiese, a bassa voce.

    Yuuri sarebbe stato un genitore fantastico. L’idea che si fosse negato quella possibilità per stare con lui era un pensiero che ogni tanto gli balenava nella mente.

    – Stai scherzando? – chiese Yuuri.

    – Saresti almeno meglio di Mari! – non riuscì a trattenersi Victor.

    Cercava di evitare di parlar male della famiglia del marito, ma ogni tanto gli pareva che fosse Yuuri la madre del piccolo botolo che quasi tutti i giorni dopo scuola stazionava al palaghiaccio in attesa che un genitore si ricordasse della sua esistenza.

    – O magari no. Insomma, la base genetica è quella – scherzò Yuuri.

    Persino lui era consapevole delle mancanze di sua sorella.

    – Io sono egoista – disse il giapponese, più serio mentre lottava per agganciare il guinzaglio alla pettorina di un esagitatissimo Ark. – Mi piace andare a dormire tardi sicuro che nessuno poi mi disturberà. Non mi piace fare avanti e indietro per il globo in un fine settimana, ma mi piace viaggiare, avere una casa a Parigi e agganciare una settimana di vacanza dopo il mondiale. Mi piace stare dieci ore di fila al palazzetto per seguire gli allenamenti, senza preoccuparmi se le ore diventano dodici. Mi piace avere te, senza doverti dividere con nessuno, neppure con un figlio.

    – Ah… – fu tutto quello che Victor riuscì a dire.

    – Mari ha fatto un figlio solo perché era quello che ci si aspettava da lei, e gli vuole anche bene, sia chiaro, ma, insomma, un bambino meriterebbe di essere qualcosa di più di un dovere sociale, non credi? 

    – Forse…

    – Dopo una vita da insicuro sono arrivato alla conclusione di essere diventato abbastanza sicuro di me da sapere che sto bene così e quello che ho adesso è esattamente ciò che voglio dalla vita.

    – Ho creato un mostro – sorrise Victor.

    Eppure si sentiva intenerito e sollevato. 

    Nonostante tutto, nonostante il tempo passato, era come se Yuuri lo scegliesse ogni giorno, ancora e ancora e ogni volta era un piccolo miracolo.

    – Sai, pensavo una cosa, a proposito di Mira Novak – disse Victor.

    In qualche modo era come se il discorso precedente lo avesse riportato al pensiero che faticava a prendere forma.

    – Non è solo di allenamento che ha bisogno, ma di stabilità – disse Yuuri.

    Anche lui non sembrava trovare strano essere finiti a parlare di lei.

    – Mi hanno fatto pensare le cose che ci siamo detti questa mattina – continuò il giapponese. – Ha sedici anni, se anche la mandiamo all’Osen, circondata da persone che non parlano una parola di inglese o di russo, smette di nuovo di mangiare. Per i disturbi alimentari la solitudine non fa bene.

    – Però potrebbe stare da noi, almeno per i primi tempi – disse Victor, dando voce al proprio pensiero.

    Yuuri si limitò ad annuire, mentre finalmente guadagnava il cancelletto di casa.

    – Sì, lo pensavo anch’io.

    – Ho paura di affezionarmici – ammise il russo.

    Yuuri gli sorrise.

    – Credo che sia esattamente quello di cui ha bisogno, un allenatore che le si affezioni al di là dei risultati.

 

*

 

Newcastle

 

    – Lascia che si ambienti – disse Otabek.

    Yuri grugì, seguendo Kamalika con lo sguardo, attraverso la porta finestra.

    La bambina stava esplorando il giardino percorrendo lenti cerchi concentrici a partire dal ciliegio giapponese proveniente da Hasetsu che Victor e Yuuri avevano regalato loro. Ogni tanto si fermava e faceva correre un poco mister Otterbek sull’erba, poi recuperava il peluche e proseguiva. Quella mattina non aveva detto una parola. Si era svegliata nella stanza che avevano raggiunto la sera precedente a un’ora che si poteva definire già notte. Aveva indicato il latte e i cereali per la colazione, aveva mangiato in silenzio e sempre in silenzio si era alzata per sciacquare la tazza nel lavello. Otabek le aveva indicato la lavastoviglie, lei l’aveva aperta, guardata con diffidenza e poi aveva ripreso a sciacquare sotto il rubinetto.

    – Dobbiamo andare a fare shopping… O forse è il caso che tu resti con lei e vada io a prenderle qualcosa? – chiese Yuri.

    Alla fine, ben oltre l’ora di cena, quando la cosa si era concretizzata, la bambina era stata data loro come se si trattasse di un pacco postale. In effetti, l’idea di bussare alla porta della matrigna per farsi dare le cose di Kamalika non era sembrata neppure a Yuri il massimo della saggezza. Tuttavia si erano ritrovati con l’affido legale, o, meglio, il solo Otabek, in quanto dotato di doppia cittadinanza, si era trovato con l’affido legale, ma erano sprovvisti del corredo minimo. Non avevano nulla. Dallo spazzolino da denti allo zaino di scuola, tutto era rimasto nella vecchia casa di Kamalika.

    – Forse è la cosa migliore… Anche se un po’ ho paura – disse Otabek.

    – Lo zebrato secondo me le dona.

    – Yuri!

    Di colpo l’idea di dover davvero entrare da lì a un’ora in un reparto abbigliamento per bambine lo travolse come un tir in corsa. Il giorno precedente lo avevano preso per un magnaccia. Oggi lo avrebbero guardato come un pervertito.

    – Se non ti fidi del mio gusto… – fece finta di mettere il muso.

    – Stai sul fucsia, le piace il fucsia – sospirò Otabek. – E gli animaletti, quelli le piacciono.

    Yuri lo guardò male.

    – Ci siamo messi in un bel guaio – disse Otabek, sorridendo.

    – Na… Quasi tutti riescono ad allevare i cuccioli d’uomo. Non può essere così difficile.

    La mano del kazako si posò sulla sua spalla.

    – Hai iniziato a riorganizzare il calendario? – chiese.

    – Certo, per chi mi prendi?

    Ecco, quello era ancora più spaventoso del dover far incetta di abiti rosa al reparto bambini.

    Otabek, avevano scoperto, aveva diritto a un periodo di congedo che avrebbe aiutato a tamponare l’immediato, ma la bambina non poteva espatriare. La Namibia si era già trasformata nel tour della Cornovaglia, quello era stato facile: era bastato ordinare una nuova guida turistica. Però gli spettacoli estivi incombevano e quelli non erano così semplici da reindirizzare. Abbandonare il marito per tuffarsi, da lì  a un mese, nella follia delle tournée estive era troppo anche per uno stronzo come lui.

    – Hai avvisato Victor? – chiese Otabek.

    Il pezzo forte della prima parte dell’estate erano le esibizioni in Giappone, organizzate dal suo ex allenatore. 

    Yuri scosse il capo.

    – Dici che ci sarà una penale da pagare? – chiese.

    – In caso di infortunio dovrebbe intervenire l’assicurazione, mi pare.

    – Non sono infortunato.

    – Hai l’anca di un novantenne con l’artrite, potrebbe cedere in modo definitivo in qualsiasi momento.

    – Parla quello che non ha più le ginocchia.

    – Infatti io non mi esibisco… Tornando alle cose serie, sabato sono invitato a una cena con i colleghi. Una grigliata informale in un locale per famiglie. Ci saranno dei bambini… Forse potrebbe essere un’occasione per chiedere delle informazioni di base a chi già vive con creature della sua stessa specie.

    Yuri lanciò un’occhiata perplessa a Kamalika. Aveva raggiunto il pino e stava facendo annusare una pigna a mister Otterbek.

    – Mah… Dovrei sopravvivere. Il fatto che sia quasi muta dovrebbe evitarmi qualsiasi commento sulla mia cucina.

    – Pensavo che potevate venire anche voi. Lei ha bisogno di incontrare altri bambini e tu… Passeremo più tempo in città, ti tocca socializzare.

    Yuri sgranò gli occhi.

    – Ho capito il rivoluzionare la vita e fare sacrifici, ma qui si esagera!

 

*

 

Hasetsu

 

    Aveva fatto bene a insistere. Il gelato al mango era strepitoso.

    – Non te lo dò, ti fa male – disse, serio, a Liza che lo guardava implorante.

    – Ma è taaanto buono! – fece Victor, cercando di imitare lo sguardo della cagnolina.

    Con un movimento lesto, intanto, riuscì a intingere un cucchiaino di plastica nel proprio gelato e farlo sleppare ad Ark senza che l’altra se ne accorgesse. 

    Yuuri lo incenerì con lo sguardo.

    – Così non aiuti! – protestò.

    – Saranno due grammi, non può fargli male! Non deve saltare sui pattini, lui.

    Yuuri scosse il capo, sconfitto, mentre la brezza serale gli scompigliava i capelli.

    Erano seduti sul muretto che separava il lungomare dalla spiaggia a guardare la luna che appariva spariva sopra il mare, giocando a nascondino tra le nubi che correvano veloci. La salsedine depositata sulle labbra si mescolava al sapore del mango del gelato, creando una fragranza inedita Le banche, pensò, dovrebbero permettere di immagazzinare i ricordi di momenti come quello, per avere le prove sul letto di morte che era valsa la pena di vivere.

    Era una cosa a cui pensava spesso da che suo padre era mancato all’improvviso, quell’inverno. Se n’era andato dopo aver dedicato l’intera esistenza a un lavoro che non aveva scelto, a quell’onsen ereditato e portato avanti come un dovere sacro. Non si era fermato neppure per vedere il figlio vincere l’oro olimpico o per il matrimonio di sua figlia. Forse lui avrebbe deluso chissà quale arcigno antenato, ma non sarebbe arrivato al fondo della propria esistenza vivendo la vita di qualcun altro, senza fermarsi ad assaporarla o rinunciando a lasciarsi stupire.

    Si chiese come sarebbe stato vivere con un’adolescente a piede libero per casa. Sarebbe stato come tornare a quando era ragazzo e i confini tra la famiglia Katsuki e gli ospiti più assidui dell’onsen a volte si facevano labili. Alcuni erano qualcosa di più che clienti e qualcosa di meno che parenti. Tutti loro avevano finito per scivolare fuori dalla loro vita, senza lasciare tracce apparenti eppure tutti loro avevano finito per modificare un poco la vita dell’onsen e quella della sua famiglia… C’era stato un professore sui trent’anni che era stato da loro per tutto un semestre, quando Yuuri aveva quindici anni… Yuuri gareggiava da junior e per la prima volta aveva avuto accesso al circuito internazionale, il carico di lavoro in pista era aumentato in modo enorme e non riusciva a tenere il passo con gli studi. A volte, la sera, il professore gli dava una mano con i compiti o gli riassumeva le lezioni che lui non era riuscito a seguire per via delle gare. Yuuri ricordava il suo viso intenso, alla luce tremolante della lampada della sua scrivania, proprio sotto a uno dei suoi poster di Victor e la voce calda con cui gli parlava di letteratura. Era la prima volta che trovava bello un uomo reale, lì in carne ed ossa davanti a lui. Non era successo niente, ovviamente. L’uomo aveva avuto un trasferimento nella città in cui desiderava vivere e se n’era andato lasciandogli un biglietto di auguri per la sua carriera sportiva e un libro di poesie. Eppure senza quell’incontro la sua vita sarebbe stata diversa… A volte, pensò, quando ti senti perso e hai l’impressione di nuotare senza alcun motivo contro corrente basta una voce calma, del tempo regalato, un libro di poesia per non farti sentire più così sbagliato.

    – A cosa pensi? – chiese Victor.

    – A Mira – rispose Yuuri. – Alla fine siamo arrivati alla stessa conclusione. È bello guardare il mondo e sapere che non lo vedi così diverso da me.

    Il russo sogghignò.

    – Chris direbbe che è una gran noia e che è tempo di cambiare.

    – Io sono una persona noiosa. Domani che programmi avete?

    – Più o meno come oggi. Accompagna lui i bambini da Yvonne, così io sto in pista tutta la mattina. Anche se ho detto che questa settimana sarei stato impegnato, devo rivedere le coreografie per Lutz e voglio vedere i ragazzi sudare sul quadruplo Flip. Al pomeriggio, invece, magari lo portiamo in gita nell’interno. Vuoi venire?

    – Non so. Di sicuro seguo l’allenamento di Sakura, sono più tranquillo se la canna la teniamo io o te. Dovrei aver finito per le quattordici e trenta.

    – Allora ci sentiamo intorno a quell’ora e vediamo se riesci a liberarti.

    Yuuri annuì, ma fu interrotto a metà del gesto dalla vibrazione del cellulare di Victor. Un messaggio. Gli occhi del russo si indurirono all’istante. Se Igor si era svegliato e davvero si era spaventato Yuuri avrebbe dovuto dar ragione al marito sul tutta la linea per almeno un mese…

    – È Yurio – disse Victor, guardando lo schermo.

    Adesso le rughe sulla sua fronte parlavano di preoccupazione.

    – Non può fare le esibizioni.

    – Cazzo. L’anca?

    Victor scosse il capo.

    – Non lo dice… Gli avevamo detto tutti di non procrastinare l’operazione… Gli sponsor avranno parecchio da ridire.

    Il russo stava per riporre il cellulare, quando questi riprese a vibrare, adesso in modo più deciso.

    – Otabek?

    Ora Victor era davvero preoccupato.

    Yuuri lo vide allontanarsi di qualche passo prima di rispondere.

    Nel giro di pochi istanti era già immerso in una conversazione in russo. 

    Yuuri strinse gli occhi per cercare di carpire l’espressione del marito. Se Yurio mandava un messaggio e Otabek chiamava era qualcosa di più serio della necessità di anticipare un’operazione tutto sommato di routine già programmata. 

    Incapace di resistere, si avvicinò a Victor.

    Senza smettere di parlare, il russo gli fece il segno dell’ok con la mano sinistra. Quindi andava tutto bene?

    La conversazione si protrasse per parecchi minuti, durante i quali Victor camminò avanti e indietro per il lungomare con Ark che lo seguiva a ruota. Finalmente, il russo riattaccò, ma rimase per qualche istante a fissare lo schermo con espressione indecifrabile.

    – Che succede? – chiese Yuuri.

    – Tu non hai idea del guaio in cui si sono cacciati quei due!

 

    

    

   
 
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