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Autore: Giulia1098    21/09/2020    1 recensioni
Dodici giardini per dodici ragazzi, dodici mesi, ingranaggi di un sistema perfetto, ma limitante. Questa è la storia di Maggio, di come decise di voler assaggiare di più del mondo e delle sue storie e così scoprì grandi misteri nascosti, così scoprì l'amore
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aleksej si era svegliato al buio ed al freddo la notte di poco meno di un anno prima. Si era ritrovato da solo nel bel mezzo di un bosco, con la neve che non solo ricopriva i cespugli spogli e le foglie cadute degli alberi, ma anche i suoi vestiti decisamente troppo leggieri per l’inverno.
Non ricordava nulla di sé, non sapeva da dove venisse, quale fosse la sua casa, i nomi dei suoi amici o dei suoi genitori, alla mente gli affioravano solo due indizi: il suo nome e due occhi azzurri, tristi. Informazioni un poco scarne per ricostruire chi fosse o perché si trovasse lì.
Di quella sera ricordava oltretutto veramente poco. Doveva essere rimasto sotto la neve, svenuto, per diverso tempo, perché avanzando nel bosco alla ricerca di un’uscita, ricordava la spossatezza ed il tremito di braccia e gamba, ricordava il dolore alla gola ed un terribile mal di testa che gli perforava il cranio.
Olena gli aveva poi detto diverso tempo dopo che se non l’avessero trovato in tempo, lei e suo marito, probabilmente sarebbe morto lì, come molti altri viandanti e mendicanti che in quella strana estate di neve e gelo si erano smarriti ed erano morti assiderati.
Olena e Sascia, due contadini semplici e rustici, che però gli avevano salvato la vita e l’avevano accolto con loro.
Del primo periodo nella loro casa, Aleksej ricordava veramente poco, aveva passato tutto il tempo in un profondo stato di incoscienza, in preda a terribili febbri, più volte infatti, gli avevano poi raccontato, il piccolo Miscia, loro figlio, aveva temuto che il ragazzo fosse già morto da un pezzo e quello fosse solo il suo fantasma, tanto era sempre bianco in volto.
Alla fine, però le cure premurose di Olena l’aveva guarito ed il piccolo Miscia aveva avuto sempre meno paura di quello strano tizio dai capelli bianchi che una notte era svenuto davanti al loro uscio.
Una volta ripresosi e rimessosi in sesto Aleksej avrebbe voluto andarsene, non voleva approfittarsi troppo dell’ospitalità di quei buoni cristiani, ma loro avevano insistito perché restasse.
-Dove credi di potertene andare senza un briciolo di memoria, eh?- l’aveva apostrofato la florida Olena.
Olena era una donna grande, dai fianchi morbidi e dal seno prosperoso, una donna forte e risoluta, ma che aveva sempre una parola gentile per tutti ed un occhio di riguardo per chi fosse capitato sotto la sua ala benevola, fortuna che era toccata proprio ad Aleksej.
Trovandosi infatti quel ragazzino magrolino davanti a casa, tutto bagnato e bruciante per la febbre alta, in lei era scattato qualcosa, uno spiccato spirito materno forse, che l’aveva portata a prendersene cura giorno dopo giorno, esattamente come avrebbe fatto con il suo piccolo Miscia. Oltretutto, non insegnava forse il buon Dio ad accogliere il nostro prossimo ed essere caritatevoli per accedere al regno dei cieli? E così Olena aveva fatto.
Aleksej non poteva però godere dell’ospitalità di quella famiglia gentile senza dare nulla in cambio, non poteva certo poltrire a letto, mentre marito e moglie si affaticavano ogni giorno per portare il pane in tavola, così aveva deciso che, se proprio fosse rimasto, cosa saggia in fin dei conti, si sarebbe rimboccato le maniche anche lui.
Ne aveva parlato una sera a cena, mentre tutti e quattro assaporavano la ormai consueta zuppa di cavolo bianco -Vorrei rimanere qui con voi- aveva detto -Ma vorrei lavorare con voi, darvi una mano- e Sascia gli aveva sorriso -Ne saremmo veramente felici, Aliocha-.
Anche Sascia era un vero e proprio personaggio, un uomo rubicondo e dal sorriso largo forse tanto quanto le sue spalle, il che era tutto dire, considerandone l’enorme stazza.
Non ci sarebbe stata altra parola per descriverlo se non buono, era un uomo buono, gentile e docile; tanto la moglie poteva essere risoluta e forte nelle sue decisioni, quanto invece il marito risultava poi diplomatico ed arrendevole, cosa che il piccolo Miscia aveva ormai capito da tempo ed infatti ogni volta che desiderava qualcosa non era certo alla madre che correva a chiederla.
Era una bella famiglia, accogliente e felice, nonostante il poco che avevano da mangiare, oltretutto quell’anno, come gli aveva raccontato, l’estate sembrava proprio essersi dimenticata delle loro terre, ed era sopraggiunto uno strano inverno rigido e freddo, come non se ne erano visti da parecchio tempo.
Aleksej fu grato di poter condividere la sua vita con quelle persone e presto si affezionò molto a loro.
La mattina si svegliava all’alba ed aiutava Sascia con gli animali, poco cosa in realtà, non si trattava d’altro che di una mucca e qualche gallina, ma nonostante questo avevano il loro da fare, mungevano e raccoglievano le uova, che poi avrebbero portato a Olena. Nel pomeriggio giocava per qualche oretta con Miscia, che ormai l’aveva preso come un fratello maggiore, andavano nel bosco a vedere se sotto la neve si nascondesse qualcosa da mangiare o a costruire trappole per scoiattoli e conigli e sempre il bimbo lo ricopriva di domande.
-Qual è la tua casa? Da dove vieni? Ti chiami Aleksej, per cui devi essere di queste parti? Io conosco un Aleksej che vive in un villaggio qui vicino, tu lo conosci?- ma a tutte queste domande lui poteva sempre e solo rispondere che, no, non conosceva nessun altro Aleksej, non sapeva da dove venisse o perché fosse finito lì.
Quando Olena sorprendeva il figlio fargli così tante domande lo riprendeva severa -Miscia- diceva -lascia stare Aliocha, è da maleducati!- e poi materna si avvicinava a lui rincuorandolo -Non ti preoccupare vedrai che ricorderai, sono sicura che sia stata solo quella brutta polmonite che hai avuto, tra non molto ricorderai- ma in realtà Aleksej non ricordava mai, era passato infatti poco meno di un anno da quella notte nel bosco e dei suoi vecchi ricordi rimaneva ancora solo il suo nome e quei due grandi occhi azzurri che lo guardavano, tristi.
Quella sera a tavola erano tutti in silenzio, mangiavano la loro zuppa accompagnata da uova sode messe sotto aceto, ognuno intento a fissare intensamente il proprio piatto. Fu Miscia, con la schiettezza propria dei bambini, che interruppe quella tensione silenziosa -Ho sentito mamma e papà che parlavano l’altra sera- disse con la sua vocina acuta -dicevano che quando tu, Aliocha, recupererai la memoria, te ne vorrai andare e non starai più con noi, non starai più con me! E’ vero?! Vuoi andare via?!- tutti erano rimasti un po’ sbigottiti, i cucchiai lasciati a mezzaria che gocciolavano zuppa nel piatto -Miscia!- l’aveva rimproverato Olena, ma Aleksej aveva fatto cenna di non preoccuparsi -Scusaci, Aliocha, ma abbiamo pensato che se tu riacquisterai la memoria vorrai tornare a casa tua, mentre per noi sei stato così utile, ci faceva comodo avere due braccia in più, soprattutto ora che Miscia è ancora piccolo, ma capiremo quando tu vorrai andartene- gli aveva detto lei un po’ imbarazzata, ma Aleksej aveva semplicemente sorriso -Io non ricordo assolutamente niente ed è ormai passato molto tempo da quando mi avete trovato, eppure non ho ancora ritrovato la memoria, non credo proprio che succederà a breve, ma se anche dovessi ricordare, voi ora siete la mia famiglia e questo è qualcosa che io non potrò scordare mai- tutti i presenti furono rincuorati da quelle parole di affetto e ripresero a cenare con più gioia ed appetito, scherzando e raccontandosi piccoli aneddoti della giornata trascorsa.
-Domani andremo a caccia- aveva detto Sascia -Ormai deve iniziare il mese di Maggio, si sa mai che questo inverno che non sembra avere una fine ci conceda almeno un poco di selvaggina-
-Mamma, farai l’arrosto con quello che Papà ed Aliocha cattureranno?- lei gli tirò un pizzicotto dolce sulla guancia -Certo, faremo l’arrosto con le mele, quello che piace tanto a te? Va bene?- il bambino soddisfatto riprese a mangiare la sua zuppa con foga.
Aleksej amava tutte quelle serate trascorse assieme a loro, amava lavorare con Sascia, aiutare Olena a cucinare e giocare con Miscia, amava le storie che i vecchi del villaggio raccontavano ai bambini sotto allo strano albero che dava sempre frutto.
A volte Miscia gli aveva fatto notare come fosse strano che un ragazzo grande come lui, ormai un adulto, se ne stesse assieme a loro ad ascoltare quelle vecchie favole, ma lui sorrideva e basta rimanendo lì per sapere se Vasilisa avesse ottenuto poi quella candela dalla Baba Jaga.
E così, nonostante non ricordasse nulla di sé, sentiva un senso di appagamento, come se avesse finalmente trovato quello che stava cercando da diverso tempo, eppure mancava sempre qualcosa.
Si sentiva felice, accolto ed in pace con la vita che stava conducendo, nonostante il freddo o la fatica, ma sentiva anche che tutto quello non gli bastava, che mancava qualcosa di importante, che però non riusciva a ricordare.
Tutte le sere prima di addormentarsi nel letto sopra alla stufa assieme a Miscia, gli sopraggiungevano alla memoria quei due grandi occhi azzurri. A volte piangevano, a volte sorridevano, ma nascondevano sempre quell’immensa tristezza che gli provocava un nodo alla gola. Chi sei? Avrebbe voluto domandare a quei due occhi, ma non sapeva nemmeno chi fosse lui stesso, come poteva pretendere di ricordare a chi appartenessero loro? E così ogni notte si addormentava con questo dubbio impossibile da sciogliere.
Quel giorno si alzò più presto del solito, ed assieme a Sascia uscì per cacciare nel bosco.
Il sole non era ancora sorto, ma la sua luce cominciava a fare capolino oltre l’orizzonte, colorando flebilmente un cielo bianco da neve. Dentro di sé seppe di non aver mai visto in vita suo luogo più bello, grande e libero di quello.
Si addentrarono nella selva, facendo attenzione a dove mettevano i piedi, la neve infatti aveva ricoperto tutto durante la notte, nascondendo alla vista eventuali pericoli del selciato.
-Hai mai cacciato prima?- gli chiese Sascia mentre delle nuvolette di vapore gli uscivano dalla bocca -Non che io ricordi- rispose Aleksej -Vedi, Aliocha, cacciare è un arte. Una danza tra il cacciatore e la preda, ci vuole attenzione e pazienza. Tanto tempo fa mio padre insegnò a me e mio fratello a cacciare i cervi, ora io lo insegnerò a te- e lui si sentì onorato di questo privilegio.
Camminarono per diverso tempo dentro alla foresta addentrandosi non poco nella sua profondità e, con loro meraviglia si accorsero che più avanzavano, più la temperatura si alzava, anche se di poco, e la neve per terra sembrava diminuire.
-Forse sono gli alberi, proteggeranno il sottobosco dalle bufere- aveva azzardato Sascia, ma la verità era che entrambi trovavano il fatto non poco strano, sicuramente tanto bizzarro quanto quell’inverno che non sembrava finire più. Era come se, man mano che ci si allontanava dal villaggio si tornasse lentamente alla primavera, prima quella di marzo, ancora fredda insonnolita, fino a quella di aprile, umida e rorida.
Veramente insolito, pensarono, quando ormai della neve non erano rimaste che chiazze sparse qua e là. Che l’inverno si fosse mantenuto solo al villaggio? C’era da ammettere però che le temperature non si alzavano mai più di tanto, ed i due uomini non tolsero mai le loro pellicce.
Ormai il sole era alto nel cielo, avevano camminato per mezza giornata, mentre Sascia gli spiegava ogni particolare della caccia del cervo, come non si dovesse mai essere a favore del vento, per non farsi scoprire, come nascondersi volesse dire fare quanto più silenzio possibile, ma non avevano trovato ancora nulla, quando una macchia scura attirò la loro attenzione.
-Ecco, un cervo- bisbigliò Sascia accovacciandosi dietro un grande masso e Aleskej fece lo stesso accanto a lui -I cervi hanno un udito molto fino, il minimo rumore e scapperà via, per questo li si caccia con le frecce- ed estrasse dalla faretra che portava sulla schiena una lunga freccia acuminata.
La incoccò -Vedi, la mano che regge l’arco, mi fa da mirino, e l’altra tende il filo fino alla guancia- mentre spiegava bisbigliando al ragazzo come fare, le sue mani abili fecero il resto del lavoro. Mirò e scagliò con precisione. Il cervo non ebbe nemmeno il tempo di accorgersi di nulla, un soffio nell’aria ed una punta di metallo gli trafisse il collo.
-In questo caso ci è andata bene- disse Sascia uscendo allo scoperto per recuperare la freccia dall’animale -normalmente però sono più rapidi e noi li colpiamo alla zampa o alla schiena. Loro scappano via, ma sono feriti e non vanno poi così lontano- Aleksej lo guardava strabiliato, un uomo così grosso e sgraziato poteva scagliare una freccia con una tale precisione.
Sascia si caricò il cervo sulle spalle.
Era piccolo, non ancora un adulto ed a confronto con la stazza di lui sembrava quasi una bisaccia di poco peso.
-Vieni, questo basterà, ora lasciamo qualche trappola per scoiattoli e poi torniamo a casa, arriveremo al tramonto- raccolsero dei legnetti che legarono tra loro con della corda, inserirono delle esche, pezzi di pane o spicchi di mela, e li lasciarono alla base dei grandi alberi.
-Torneremo domani a vedere se abbiamo preso qualcosa e poi tra qualche settimana sarai tu a cacciare un cervo ed io a guardarti- disse Sascia sorridendo e si misero in marcia.
Arrivano in effetti che ormai il sole stava calando, un gruppo di bambini urlò i loro nomi e gli corse felice incontro, erano Miscia ed i suoi amichetti che saltellavano attorno ai due come se fosse stato un giorno di festa. Era veramente molto che quell’inverno stava durando ed iniziava a farsi sentire.
Una volta entrati in casa Sascia si dedicò a pulire l’animale, tolse la pelle e lo eviscerò -Con questa pelliccia Olena potrà farci un bel mantello oppure due paia di guanti uno per te, Miscia, ed uno per Aliocha- disse il padre rivolto al bambino, che nauseato lo guardava compiere quel lavoro meticoloso. In quel momento arrivò anche Olena -Sascia non farlo qui, sporcherai tutto! E poi guarda Miscia, lo impressionerai- prese il bimbo per le spalle e lo portò all’uscio di casa -Vammi a prendere le mele, su da bravo-, ma lui non dovette nemmeno farsi troppo pregare, aveva visto abbastanza per capire che pulire la selvaggina non faceva proprio al caso suo.
Aleksej lo seguì come un cane fidato, mentre ormai il crepuscolo avanzava. All’albero di mele prese Miscia in spalle per arrivare ai rami troppo alti per entrambi e rise quando il bambino, gonfio per i frutti custoditi nella camicia, camminava ciondolando a destra ed a sinistra.
Arrivato all’uscio di casa iniziò a levarsi gli stivali zuppi, quando qualcosa lo sorprese. Lì, nel bel mezzo di neve e freddo, nel centro di un inverno che sembrava non avere fine, al suo naso era arrivato il profumo di fiori e di frutti freschi, un alito caldo di vento che sapeva di buono. Sentì un profondo senso di malinconia e nostalgia, ma non sapeva per cosa.
Gli sembrò addirittura che una voce nel vento chiamasse qualcuno, una voce triste ed affrante, tanto quanto lo erano gli occhi blu che ogni serva gli facevano visita nella sua memoria perduta.
- Aliocha, che ci fai qui fuori ti prenderai un raffreddore! Non ti ho certo curato per farti morire poi di polmonite no?- era stata Olena a parlare e lui si era voltato sorridendo - No certo, scusami mi era sembrato di sentire qualcosa, ma forse era solo il vento- e chiuse la porta, ma dentro di sé ebbe la terribile sensazione che fuori da quella casa avesse lasciato indietro qualcosa di molto importante, qualcosa che aveva amato e che poi aveva perduto per sempre assieme ai suoi ricordi.

 

   
 
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