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Autore: Emmastory    22/09/2020    3 recensioni
Muovendosi lentamente, anche ad Eltaria il tempo ha continuato a scorrere, dettando legge nella selva, al villaggio e nelle vite dei suoi abitanti. Il freddo inverno ha fatto visita a sua volta, e solo pochi giorni dopo un lieto evento che cambierà le loro vite per sempre, in modi che solo il futuro potrà rivelare, la giovane fata Kaleia e Christopher, suo amato protettore, si preparano ad affrontare mano nella mano il resto della loro esistenza insieme, costellata per loro fortuna di visi amici in una comunità fiorente. Ad ogni modo, luci e ombre si impegnano in una lotta costante, mentre eventi inaspettati attendono un'occasione, sperando di poter dar vita, voce e volto al vero e proprio rovescio di una sempre aurea medaglia. Si può riscrivere il proprio destino? Cosa accadrà? Addentratevi di nuovo nella foresta, camminate assieme ai protagonisti e seguiteli in un nuovo viaggio fatto di novità, cambiamenti, e coraggiose scelte.
(Seguito di: Luce e ombra: Il Giardino segreto di Eltaria
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
 
Capitolo XV 
 
La bambina dei draghi 
 
Lento come il tempo che scorreva per tutti noi, il sole si preparava a spuntare oltre le montagne che potevo osservare dalla mia finestra, mentre, già in piedi di buon mattino, mi guardavo allo specchio. Il famoso San Valentino si era ormai concluso, ma quella notte avevo dormito benissimo, e a giudicare dall’espressione di pura beatitudine dipinta sul volto di un ancora dormiente Christopher, lo stesso doveva valere per lui. Cauta, mi mossi per la stanza avendo cura di non svegliarlo, e poco prima di uscire, mi voltai a guardarlo. Riposava tranquillo, e con quello di disturbare come l’ultimo dei miei desideri, lo lasciai al suo sonno. Per un istante, feci ricorso ai miei poteri di fata, e grazie al cielo, il frenetico battito delle mie ali fu silenzioso. Fuori dal mio controllo, qualche stilla di polvere di fata si liberò nell’aria, e nascondendo appena una risata, sparii dalla sua vista richiudendomi la porta alle spalle. Piano, per non far rumore, mentre un altrettanto cauto Cosmo mi seguiva. Paziente, attesi che mi raggiungesse nel corridoio, e poi, finalmente, l’attraversai. “Cos’è, hai fame?” gli chiesi, notando che continuava a fissare alternativamente me e la porta della cucina ancora chiusa. Memore del mio silenzio in presenza di Chris, lui rimase fermo dov’era, e dopo un attimo di lieve incertezza, forse scandita da una sorta di imbarazzo, si pronunciò in un debole uggiolio. Confusa, non seppi cosa pensare, e strofinandomi gli occhi stanchi e cisposi, respirai a fondo. Fu quindi questione di un attimo, e non appena aprii la porta, l’impensabile. Caos. In una parola, o meglio due, puro caos. Non riuscivo a crederci, mi ero praticamente appena svegliata e la cucina era già in disastro. Un intero sacco di croccantini aperto e rovesciato per terra, ormai quasi vuoto e incapace di reggersi in piedi, tristemente appoggiato contro l’anta sotto il lavello. “Cosmo, no, ma che hai fatto?” piagnucolai, più nervosa che triste. Silenzioso, l’Arylu si limitò a guardarmi, poi uggiolò ancora, lo sguardo color ghiaccio fisso sul pavimento sporco e pieno di croccantini sparpagliati ovunque. “Mi dispiace, è stato un incidente.” Sembrava dire, realmente in colpa. Troppo buona con lui per arrabbiarmi davvero, avrei tanto voluto accarezzarlo, ma sapevo bene che giovane com’era aveva bisogno di disciplina, così resistetti, e sostenni il suo sguardo. Poco dopo, udii un altro rumore, e non appena rialzai gli occhi, vidi Willow zampettare tranquillamente verso di me, fermandosi per annusare una singola crocchetta e toglierla a suo modo dal pavimento. Alla sua vista, Cosmo agitò la coda indicandola con un cenno del capo, poi, impaziente, attese. “Non è solo colpa mia, guardala! C’era anche lei! È stata anche lei!” provava a dirmi, deciso a scrollarsi di dosso almeno parte di quella colpa, come faceva quando terra, fango e pioggia gli sporcavano il pelo. Credendo alle sue mute parole, annuii, e irritata, guardai anche la gatta. Del tutto disinteressata alle sue stesse malefatte, la gatta mi sfilò davanti con tutta la grazia di cui era capace, e più nervosa di prima, avvertii un principio di mal di testa minacciare di debilitarmi. Scuotendola, sperai di scacciarlo, e sicura di poter rimediare, chiusi gli occhi. Calma e tranquilla, o almeno così speravo, concentrai l’energia magica nelle punte delle dita, e concentrandomi, riuscii a ripulire più in fretta di quanto pensassi, facendo levitare ogni traccia di sporcizia fino a depositarla nella pattumiera. Sapevo bene che avrei potuto usare la cara vecchia scopa e la compagna paletta, ma se c’era una cosa che le anziane mi avevano insegnato prima dell’arrivo di Christopher nella mia vita, e che sembrava davvero aver preso a cuore, ogni pixie aveva il diritto di divertirsi con la magia, anche da adulta. Contrariamente a me, più calma e ligia al dovere, da piccola Sky aveva preso quelle parole alla lettera, e a riprova di ciò io e nostra madre Eliza abbiamo ormai perso il conto di quanti guai abbia combinato, dentro e fuori casa. L’incidente con i fiori era sempre il primo a venirmi in mente, a quel solo ricordo ridevo, ma ora le cose erano diverse. Era mattina presto, un colpo di magia mi aveva permesso di rimettere le cose a posto a vero tempo di record, e come c’era d’aspettarsi, avevo le tempie che pulsavano di dolore. Preoccupato, Cosmo fu lì per confortarmi, mugolando e sfiorandomi una gamba con il muso, mentre, sospirando, mi dirigevo verso il piano cottura. Ormai abituata alla mia solita routine, non esitai a prepararmi un caffè, versandolo in una tazzina quando fu pronto e prendendone piccoli, lenti sorsi. Già a tavola, non dissi nulla, e il silenzio fu rotto solo da un breve lamento di dolore, accentuato in quel momento da una delle abitudini del mio amico Arylu. Non più un cucciolo, certo, ma pasticcione come sempre, mi posò le zampe sulle ginocchia, graffiandole senza volere, pur non strappando, per fortuna, la mia veste da notte. “Scendi! Cosa sei, ancora un cagnolino? Si diventa ingombranti crescendo, sai, pelosone?” scherzai, afferrandogliele delicatamente e scostandole da me. Lasciandomi fare, Cosmo non osò lamentarsi, e tornato a terra, si mosse verso la sua ciotola. “Sarebbe piena se non aveste fatto i vandali.” Gli feci notare, ancora scottata e scontenta dell’accaduto. Dispiaciuto, si voltò a guardarmi, poi scodinzolò ancora, forse nella speranza di rabbonirmi, ma io non cedetti. Finito il mio caffè, lasciai la tazza nel lavandino, sicura di lavarla più tardi, poi, dal corridoio, sentii qualcosa. Abituale e caratteristico, un rumore di passi leggeri ma costanti. Curiosa, rimasi in ascolto, poi li vidi. Prima Sky, poi Christopher, arrivati in cucina quasi contemporaneamente. “Buongiorno, fatina.” Salutò lui, dolce come sempre. Avvampando, ricambiai quel saluto con un lieve sorriso, e pur non avvicinandomi, sperai che capisse. Avrei voluto baciarlo, ma non allora e non in presenza di mia sorella. Tempo prima l’avrei fatto senza curarmene, ovvio, ma era proprio grazie a quello che le cose cambiavano, e considerando anche la sua situazione con Noah, sulla via della ripresa ma ancora non del tutto rosea, decisi di astenermi. “Già buongiorno, fatina.” Non evitò di commentare lei stessa, nella voce lo stesso finto astio che usava quando eravamo bambine. Ricordando quei momenti, nostra madre Eliza diceva che erano tempi migliori, quando poteva passare con noi tutto il tempo del mondo senza che altre preoccupazioni la distraessero. Certo, c’erano la vita familiare e i tanti lavoretti in cui si prodigava per far quadrare i conti, ma ad essere sincera, sono contenta di essere stata estranea a tutto questo. A sei anni non ci avrei capito poi molto, e neanche Sky a dirla tutta, e più i giorni passavano, più sentivo la sua mancanza. Sapeva di me e Christopher, della nascita dei piccoli e della loro crescita, ed era in momenti come quello che ringraziavo il cielo di aver avuto la brillante idea di dar vita a una fitta corrispondenza epistolare. Era così che la informavo sui vari eventi, ricevendo le sue risposte almeno una volta a settimana. Per fortuna, Cosmo me le recapitava se ero in giro per casa invece di distruggerle, mentre Willow, totalmente presa da affari felini, le ignorava. Normale per una gatta come lei, la cosa non mi sorprendeva, e ogni volta che leggevo le sue parole, rischiavo di piangere. Scrivendo, si mostrava felice della mia crescita fisica e morale, la stessa che mi aveva permesso di evolvere da pixie in fata e da bambina a ragazza e poi a donna, ammetteva di voler vedere i nipotini e di preparare per loro mille sorprese, che mi avrebbe personalmente mostrato solo quando i problemi economici avessero smesso di tediarla. In totale onestà non sapevo come si mantenesse al momento, e con alla mente soltanto vaghi ricordi d’infanzia al riguardo, non riuscii a immaginare nulla. Numerose erano state le volte in cui Chris ed io c’eravamo offerti di aiutarla, e altrettanto dirette e decise le sue risposte. “Posso farcela da sola.” Non aveva fatto altro che scrivere, sicura di sé stessa e delle sue capacità. Convinti, avevamo smesso d’insistere, ma ormai avvezza alle ingiustizie del mondo, Sky era stata la prima a dubitare. Io la credevo troppo buona e retta per essersi in qualche modo immischiata in affari troppo loschi da raccontare, ma lei non aveva abboccato, certa invece che un attimo di paranoia tracciasse presto il confine fra una vita tranquilla e una tela da cui era impossibile fuggire. Colta alla sprovvista, per settimane non avevo saputo cosa pensare, ma poi lei aveva allegato a una lettera un fiore come prova del suo lavoro, che avevo annusato e affidato a un vaso d’acqua fresca mentre sbucciavo e assaggiavo una mela pescata per caso dal cesto ricevuto in dono dalla mia amica Marisa. Almeno allora, Sky aveva smesso di essere guardinga, e calma come e quasi quanto me, ora si godeva di nuovo l’amore di Noah, buono, dolce e paziente come Christopher, ma a suo dire incredibilmente misterioso, almeno negli ultimi tempi. “Riesci a crederci? Tanto tempo e non mi ha ancora presentata ai suoi. Tu e Chris avete fatto in fretta invece, sbaglio?” inaspettatamente, è proprio la sua voce a riportarmi alla realtà mentre finalmente mi decido a lavare quella tazza, e stringendomi nelle spalle, quasi non so che dirle. “Sky, smetti di preoccuparti tanto. Prima tanto rumore per Eliza, ora per questo? Forse ha in mente qualche sorpresa! Non sarebbe la prima che ti fa, sbaglio?” commentai, mentre armeggiavo con una spugna e regolavo la pressione dell’acqua del lavandino, pensosa ma tranquilla. Nel farlo, la imitai in quel tono di voce, calcando in special modo l’ultima parola, e colpita ma non arrabbiata, lei rise. “Hai ragione. Pensa, conservo ancora tutte le sue lettere, e lui le mie.” Disse poi, felice e trasognata. Contenta di vederla così rilassata, rimisi a posto la tazzina ormai pulita e asciutta, e in quel mentre, qualcuno bussò alla porta. Veloce come un fulmine, Cosmo si precipitò verso l’uscio di casa come se avesse potuto aprire, e divertita, afferrai uno straccio per asciugarmi le mani. “Fermo, fermo!” ridacchiai intanto, guardandolo scivolare sul pavimento tanta era la sua foga. Drizzando le orecchie, si sedette all’istante, e seppur con la coda sempre in movimento, riuscì a calmarsi. Con mille pensieri in mente e altrettante cose da fare, mi voltai per controllare l’orologio appeso al muro, e per poco non trasalii. Mezzogiorno. Stranita, scossi piano la testa per distrarmi, poi, fintamente stufa del mio Arylu e del suo continuo scodinzolare, aprii. Fu questione di qualche istante, e davanti a me, due piccole amiche pixie accompagnate dai genitori. “Ciao Kia!” salutarono, felicissime, parlando all’unisono come gemelle. “Lucy, Lulu! Ciao!” risposi subito, contenta di rivederle dopo quello che mi sembrava troppo tempo. Poco ad essere onesti, era vero, ma non importava. Era strano a dirsi, forse anche a vedersi, ma mente aspettavo e osservavo il crescere dei miei piccoli, ogni giorno più vicini a quei fatidici due mesi, riversavo tutto il mio affetto su di loro, con grande gioia dei genitori. “Scusa, Kaleia, stavamo andando a casa, ma loro hanno insistito per...” provò a dirmi Isla, sempre paziente con le sue piccole. “No, mamma! Glielo dico io, dai!” esplose in quel momento Lucy, decisa a parlarmi di persona. “Va bene, pixie, diglielo tu.” Concesse il padre, Oberon, calmo a sua volta come l’acqua che sapevo fosse capace di controllare. “Ho preso un bellissimo voto a lezione di Pozioni con il signor Ramirez, e prima di andare a casa mami e papi mi hanno promesso un giocattolo nuovo. Al negozio di zio Garrus, ci vieni? Ti prego!” mi spiegò, diventando subito un vulcano di parole. Silenziosa, attesi che parlasse e sfogasse tutta quell’energia, e non appena accadde, per poco non scoppiai a ridere. Con lei, non di lei, ovvio, specie quando Christopher si ritrovò a un soffio dal cadere nella stessa trappola. Sin dall’inizio della nostra relazione, Lucy era stata per noi una piccola e fidata amica, per qualche tempo anche una sorta di figlioletta, e sentendo il cuore sciogliersi, non riuscii a dirle di no. “Come no, pixie, andiamo pure.” Concessi in quel momento, incalzata da un muto ma sorridente Christopher. Legato a lei come a me, anche lui non aveva potuto rifiutare, e infatti ora eccoci lì, per le strade di Eltaria verso quell’ormai famoso negozio con lei e i genitori. “Che dici, viene anche Cosmo?” proposi, prima che fossimo tutti troppo lontani da casa. Distratta da ciò che aveva attorno e che non vidi, Lucy non rispose, e al suo posto, un’altra voce. “Sì, Cosmo, Cosmo!” era Lune, sua sorella, che alla sua giovanissima, e tenera, non potevo negarlo, età, era ancora eccitata da e innamorata di qualunque cosa la circondasse. Annuendo, non la feci attendere, e guardando per un attimo il mio Christopher, lo sentii esibirsi in un fischio ben modulato, al seguito del quale, anche senza guinzaglio, il nostro caro Arylu si unì alla marcia, mostrandosi goffo al solo scopo di far ridere e divertire le bambine. Sicura di non poter lasciare da soli Darius e Delia per troppo tempo, corsi in casa a prenderli, poi tornai indietro. “Va bene, ora sì che andiamo.” Dichiarai, pronta a seguire le mie amiche pixie e la loro famiglia. Avvicinandosi, Lunie cercò la mia mano per stringerla, e io non gliela negai, lasciandola fare e regalandole un sorriso. Così, passeggiammo insieme per circa quindici, forse venti minuti, e lungo il tragitto, ingannai il tempo parlando con Isla. “Allora, Kia, com’è essere anche tu una mamma?” mi chiese, genuinamente curiosa. “Isla, cara, è stupendo. Mi sveglio ogni mattina sapendo di voler dar loro tutto l’amore possibile, e loro ricambiano. Vero, tesoro?” risposi soltanto, camminando lentamente e cercando anche il parere di Christopher. “Vero, amore. Non ricordi ieri? Hanno cercato di uscire dalle lanterne per svolazzarci intorno.” Raccontò, sorridendo a sua volta e dandomi manforte. Felice a quel solo ricordo, allargai il sorriso che già avevo in volto, poi, quando tornai a guardare dritto di fronte a me, mi accorsi che eravamo arrivati a destinazione. “Eccoci! Che bello!” esclamò Lucy, eccitatissima. In un attimo, sparì oltre la porta d’ingresso, salutando lo zio con educazione mista allo stupore tipico dei bambini. “Ciao, zio! Mamma e papà mi hanno promesso un giocattolo, e forse anche a Lulu, ci fai scegliere? Possiamo?” disse, parlando a velocità supersonica e facendolo ridere. “Certamente, piccina, prego! Ecco, ti faccio aiutare anche da Bea, contenta?” le permise lo zio, un folletto come il padre, che già conoscevo ma del quale non avevo ancora capito l’elemento. Per mia sfortuna, non usava mai tanta magia, e il suo star fermo dietro al bancone mi aveva più volte impedito di scoprirlo, ma non era un problema. In fin dei conti, pensandoci, avrei sempre potuto chiedere alle bambine. Lenta, feci il mio ingresso nel negozio assieme a Chris e ai genitori della piccola, e alla mia vista, Bea sorrise. “Kia, ciao! Cielo, e quelli sono i tuoi figli? Dolce Dea, sono così cresciuti!” commentò, sorpresa. Orgogliosa, finii per arrossire, e alla ricerca di conforto, mi strinsi a mio marito. “Già hai ragione. Crescono così in fretta, ormai manca poco ai loro due mesi, sai?” replicai tranquillamente, stando ben attenta a non gesticolare mentre reggevo la lanterna di Delia. Premuroso, Christopher teneva invece quella di Darius, che tranquillo ma sveglio vi si agitava dentro, curioso riguardo al mondo, o meglio, almeno ora al negozio che lo circondava. “Veramente? Di già? E dimmi, sai come saranno?” azzardò ancora lei, sempre più curiosa. “No, mi spiace. Non lo sappiamo ancora, e onestamente non importa. Chris ed io speriamo solo che siano sani, nient’altro.” Dissi a quel punto, del tutto sincera. “Ben detto, Kia.” Rispose subito Oberon, completamente d’accordo. Sorridendogli, lo ringraziai senza dire nulla, finché Beatrice non lasciò cadere l’argomento, dedicandosi invece alla piccola cliente. “Hai scelto, pixie?” provò a dirle, abbassandosi al suo livello davanti a una cesta piena di pupazzi. “Sì, Bea, e voglio questo.” Le disse, sorridente e tronfia nel sollevare e tenere in mano un peluche a forma d’elefante. Divertita da quella scena, trattenni a stento una risata, e con il cuore gonfio di gioia, restai a guardare. Era un bello spettacolo, non potevo negarlo, e forse per l’emozione, forse per gli ormoni ancora fuori posto, o probabilmente un misto delle due cose, quasi piansi. “Bene, un elefantino! E dimmi, hai già scelto un nome?” le chiese ancora la strega, decisamente interessata a quel nuovo, tenero acquisto. Indecisa, la bambina ci pensò sopra mordicchiandosi un labbro, ma priva di idee, rimase in silenzio. “No, non ancora.” Le disse soltanto, per poi scivolare di nuovo nel mutismo. Volendo aiutarla, anche Bea iniziò a pensare, e pochi istanti dopo, le venne in mente qualcosa. “Tino ti piace?” propose, il sorriso onnipresente sulle labbra. “Non tanto, Bea, no.” Rispose la bambina, sincera. “Non offenderti.” Aggiunse poco dopo, sicura di non voler farla star male. “Sta tranquilla, pixie, abbiamo opinioni diverse, tutto qui.” Le disse la giovane strega, scompigliandole amorevolmente i capelli. Lasciandola fare, Lucy arrossì in volto, e guardando il suo nuovo amico di pezza, cercò nei suoi occhietti scintillanti una nuova identità da assegnargli. Era un giocattolo, nulla di più, ma lei era ancora piccola, e per lei era vero, reale, forse anche vivo. “Dumbino, invece?” ritentò la ragazza, con un improvviso lampo di genio negli occhi color miele. “No, no. Mamma e papà me lo fanno adottare perché ho preso un bel dieci a scuola, e il mio professore è spagnolo, quindi vorrei che il nome fosse spagnolo come lui.” Spiegò a quel punto la piccola, sperando di restringere in quel modo il campo di ricerca. “Ora capisco. Spagnolo, dici? Allora perché non... Jorge!” quello il terzo tentativo della cara Beatrice, pronunciato a voce alta nella speranza che fosse quello giusto per la piccola e per il suo nuovo amico pachiderma. “Questo mi ricorda un cagnetto, ed è divertente, brava.” Commentò invece Lucy, ancora indecisa. Abbassando lo sguardo, lo fissò sul pupazzetto, e in quel momento, ecco la risposta. “Aspetta, ho trovato!” quasi urlò, orgogliosa di sé stessa. “Davvero? Diccelo, allora!” la incoraggiò Bea, felice per lei. “Esteban!” gridò subito la piccola, così contenta da non rendersi conto di star per causare un piccolo terremoto. A causa dei suoi poteri, infatti, malgrado l’aura di dorata gioia che le circondava il corpo, alcuni giochi caddero dalle mensole dov’erano sistemati, e imbarazzata, sorrise debolmente. “Ops!” commentò, incrociando i piedi in segno di vergogna. “Non fa niente, bimba, metto a posto io. Tu intanto divertiti con Esteban, d’accordo?” la rassicurò la strega, probabilmente già abituata a incidenti come quello. Finalmente davvero felice, Lucy saltellò verso il bancone con quel giocattolo in mano come un premio, e frugandosi nelle tasche del giacchetto di jeans, leggero ma caldo, perfetto per l’inverno, tirò fuori le monetine che aveva. “Bastano?” chiese poi, insicura. “Appena appena, Lucy, sei fortunata. Hai messo da parte i soldini, c’è da andarne fieri.” Le rispose Garrus da bravo zio, incoraggiando quella giusta abitudine. “Veramente? Allora grazie! Dai, andiamo, a chi arriva prima a casa!” disse velocemente allo zio, per poi dargli le spalle e rivolgersi al suo nuovo elefantino. Vivo solo nella sua fantasia, il pupazzetto non le rispose, e in un attimo, lei ci sfrecciò davanti, già diretta verso l’uscita. “Lucy, aspetta! È il turno di Lunie, di scegliere, non credi?” le disse la mamma, afferrandole saldamente una manina prima che si precipitasse fuori. “Hai ragione, mamma. Scusa, Lulu!” replicò subito lei, sinceramente dispiaciuta. Tutt’altro che arrabbiata, Isla le sorrise lievemente, e con lei anch’io, per poi guardarla e chiamarla a me con un gesto della mano. “Lucy, vieni qui.” La pregai, dovendo quasi inginocchiarmi per arrivare al suo livello. “Ascolta, non c’era bisogno di scappare via in quel modo. Vedrai, ora anche Lunie prenderà un giocattolo nuovo, e poi vi divertirete insieme.” Le dissi soltanto, premurosa come la mamma che da poco ero diventata. Mantenendo il silenzio, la pixie della terra si limitò ad annuire, e tornata dai genitori, attese che la sorellina facesse la sua scelta. Impaziente com’era, i minuti le sembrarono ore, ma allo scadere di pochi, finalmente, eccolo. Un drago di morbida pezza arancione con le ali color del fuoco, proprio come le scaglie sulla schiena. “Questo!” decise in quel momento la bambina, già sicura di quella nuova, futura amicizia. “Va bene, bimba, dallo a papà, così lo adottiamo. “No, è mio! E vola!” protestò subito lei, pestando i piedi per terra. Paziente, il padre lasciò che si sfogasse, e restando a guardare, vidi la piccola tentare di dimostrare che non mentiva, e con un gesto secco della mano, lasciar andare il suo nuovo amico, affidandolo al cielo che lo credeva capace di solcare. “Vola!” ripeté, convinta, la voce alta e squillante. Fu quindi questione di attimi, e per sua sfortuna, il peluche si schiantò al suolo. In quel momento, avrei davvero voluto usare i miei poteri, improvvisare un incantesimo di levitazione, ma dopo il disastro di Cosmo e Willow la testa mi faceva ancora male, e malgrado il mio ciondolo, anche provare a usare la magia fu inutile. A quella vista, la pixie rimase sconvolta, e trasformando il precedente sorriso in un broncio, per poco non pianse. “Tranquilla, Lune, forse... forse non ha ancora imparato.” Provò a dirle Christopher, sperando di salvare la giornata, o quantomeno la situazione. “No, non è vero! Tutti i draghetti volano, anche da piccoli piccoli. Io questo non lo voglio! Non lo voglio!” Inaspettatamente, solo altre proteste da parte della pixie, che culminarono poi in urla e in un’aura rossa come il suo elemento. Confusa e attonita, non seppi come reagire, sicura che se avessi provato a parlarle avrei solo peggiorato le cose, e così, sotto muto consiglio dei genitori, uscii per prima, seguita poi anche da Christopher. “Ci dispiace, Kaleia, davvero. Di solito non si comporta così.” Si scusò Isla, non appena riuscì a raggiungermi. “Figurati, non fa niente. Mia madre mi racconta spesso che ero un ciclone, a volte, da piccola.” Scherzai, comprendendo perfettamente. “Dici sul serio? Ma non era Sky a controllare il vento fra voi, scusa?” replicò allora lei ridacchiando, immensamente divertita. “Esatto! Perciò pensa quante ne combinavo!” continuai, ridendo con lei. Poco dopo, fu la volta di suo marito, che imbarazzato come e forse più di lei, ora stringeva a sé la bambina, che aveva ancora il viso rosso e gli occhi pieni di lacrime. “Assurdo, vero? Articola per bene solo se è arrabbiata.” Disse, nella speranza che l’ironia spezzasse per qualche attimo la tensione. “Oberon! Sta ancora imparando!” lo riprese la moglie, indignata. Silenziosa e in disparte, non intervenni in quella discussione, concentrandomi invece proprio sulla povera pixie. “Lunie?” chiamai, parlando in tono gentile. “Sì?” mi rispose lei, voltandosi a guardarmi. Con un piccolo sforzo, si liberò dalla stretta del papà, e vicina a Christopher, le permisi di avvicinarsi. “Volevi davvero tanto quel draghetto?” le chiesi poco dopo, posandole piano una mano sulla spalla. Troppo timida per parlarmi, e forse ancora preda della vergogna, lei si limitò ad annuire, e proprio allora, l’idea perfetta mi si affacciò alla mente. “Isla, Oberon, so come aiutarla.” Dichiarai in quel momento, riportandola dai genitori con un sorriso sulle labbra. “Come? Ma dici sul serio?” intervenne sua madre, incredula. “Certo! Seguitemi, non ci vorrà molto.” Li rassicurai, tranquilla e già decisa sul da farsi. “Isla, cara, ne sei sicura? Lunie sta già male, e se la sua idea non funzionasse?” osservò invece il padre, ancora in pena per la figlia. “Su, lasciala fare. Se non altro sarà un modo per farla sorridere!” gli rispose la moglie, chiedendogli di smettere con un cenno della mano. Annuendo, Oberon si ridusse al silenzio, e sconfitto a parole dalla donna amata, si convinse a seguirmi. “Zampe in spalla, Cosmo, andiamo!” ordinai al mio amico Arylu, accelerando per un attimo il passo così da incitarlo. A orecchie già dritte, lui abbaiò festoso, e in un istante, il terreno sotto le sue zampe divenne una distesa gelata. Divertita, Lune riuscì a sorridere e poi ridacchiare brevemente, e con lei anche Lucy, che volendo giocare, si era messa in testa alla marcia per farsi inseguire da Cosmo. Lasciandola fare, i genitori la guardavano divertirsi, mentre invece Lune si limitava a camminare, gli occhi bassi sul terreno e nulla più, neanche una parola. Provando pena per lei, provai ad avvicinarmi, ma se prima aveva cercato la mia mano, ora la spingeva via, cercando di fare lo stesso anche con me. “Spero sia vero.” Disse soltanto, scivolando nel silenzio dopo tre parole e nient’altro. “Lulu, è vero. Più vero di quanto pensi. Dai, vieni.” In quel momento, fu Christopher a parlarle, e sorridendogli, mi strinsi a lui per un breve istante. “Grazie, tesoro.” Gli sussurrai, felice e orgogliosa di averlo accanto. “Di nulla, amore.” Rispose lui, emulando il mio tono di voce e sfiorandomi appena una guancia con le labbra. Imbarazzata, arrossii in volto, e dopo altro camminare, finalmente al selciato si sostituì l’erba, e tranquilla, fui la prima ad addentrarmi nella grotta delle ninfe. La trovai buia e silenziosa, come peraltro non mi aspettavo, almeno finché Lune, probabilmente spaventata, non unì le manine per poi separarle, rivelando sul palmo una piccola fiamma. “Meglio?” mi chiese, preoccupandosi per me. Era piccola, certo, ma non per questo meno buona o gentile di altri, e a giudicare dal sorriso che mi rivolse, debole e stentato, forse cercava di scusarsi per quanto accaduto poco prima. Ero certa che non avesse voluto farmi del male, o letteralmente spingermi via, e fornirmi una luce nel buio era il suo modo di cercare il mio perdono. “Sì, Lunie, grazie. “Pietra sopra? Come mamma?” continuò poco dopo, contagiandomi con la sua dolcezza. A quanto sembrava, suo padre aveva detto la verità, e il suo mutismo spariva del tutto solo con la rabbia, mentre, in altre occasioni, parlava ma poco. Pensosa, mi chiesi come questo influisse sulle sue giornate all’asilo, e poi, concentrata su altro, sperai di riuscire a non distrarmi da quella che per me era diventata una missione. Aguzzando la vista, anche se aiutata da quella fiammella e dalla luce offerta anche dai miei bambini, sperai di scorgere almeno una ninfa, e all’improvviso, un latrato di Cosmo ruppe il silenzio. Per fortuna era felice, non certo minaccioso, ma nonostante questo, la terra tremò. Di lì a poco, della polvere cadde dal soffitto della grotta, e anche i rampicanti lì intorno si agitarono. “Sei di nuovo tu, gelido Arylu?” forte e chiara nell’oscurità che cercavamo di scacciare, la voce di Amelie ci colse di sorpresa, e deglutendo sonoramente, mi feci avanti. “Sì, Amelie, siamo noi. Io, Chris e Cosmo. Ho portato i piccoli, e anche degli amici.” Spiegai, sforzandomi di restare tranquilla anche se tremavo. “Amici, hai detto? Bene, ci farebbe piacere conoscerli.” Rispose lei, insolitamente tranquilla, o comunque meno austera di quanto ricordassi. Nel tempo, il rapporto fra noi era cambiato, e nonostante ricordassi ancora la sua rabbia, il suo astio e i suoi gemmei occhi verdi fissi nei miei nel giorno della bugia di Lucy, cercavo di concentrarmi sul nuovo e non sul vecchio. In fin dei conti, dovevo a lei il coraggio che aveva maturato, così come una profonda gratitudine dopo tutti i suoi consigli. Su quello datomi tempo fa stavo ancora lavorando, più per elaborarlo a dovere che per seguirlo, ma al momento non importava. A farlo ora erano due sole cose, ovvero Lunie e la sua felicità. Scivolando in un rispettoso silenzio, attesi l’entrata in scena della ninfa e delle sue compagne, e alla vista di Aster e Carlos, sorrisi. “Bienvenida, Kia.” Mi disse quest’ultimo, felice di vedermi. ”Gracias.“ Replicai appena, sfruttando le poche lezioni di spagnolo ricevute da Christopher. Indecisa, cercai il suo appoggio, e vedendolo annuire, riuscii a calmarmi. “Ebbene, un saluto ai nuovi arrivati. Fatevi avanti, prego.” In quel preciso istante, riecco la voce di Amelie, e quando uscì dalle ombre, anche la sua figura. Alta e slanciata come al solito, quasi regale, e in una parola, bellissima. Sempre in silenzio, Isla e Oberon mossero qualche passo avanti, e come intimorita dalla nuova conoscenza, Lune diede voce a una sola parola. “Darghetto.” Disse appena, scambiando adorabilmente due lettere. “Come?” azzardò la ninfa, confusa. “Credo intenda draghetto, signora Amelie.” Rispose allora Isla, prendendo la parola e facendo le veci della figlia. “Capisco. Capisco perfettamente.” Replicò la ninfa, la voce e lo sguardo improvvisamente più minacciosi. Colta alla sprovvista, indietreggiai, ma sollevando una mano, lei mi fermò. “Non andare, giovane fata. E lei, signora, mi chiami soltanto Amelie, la prego.” Concesse appena dopo quella sorta di ordine, per un attimo più calma. Annuendo, tornai accanto a Christopher e alla bambina, e rompendo ancora il silenzio, lei si preparò a schioccare le dita. “Credo di avere la soluzione adatta a sua figlia.” Disse poi, decisa. “Blaze!” chiamò poco dopo, alzando la voce per farsi sentire. Nella quiete, solo il suo gesto, e poi, incredibilmente, una sorta di boato. Paralizzata dal terrore, non riuscii più a muovermi, e non appena la luce vinse sul buio, eccola. Maestosa e imponente, la draghessa già ammirata in precedenza. Ancora in procinto di diventare madre, e ancora accompagnata, nonché circondata, dalle sue uova. Sempre tre, sempre colorate come ricordavo, e costantemente protette dalla madre. Meravigliati, i miei amici si fermarono ad osservarla, e senza più parole, Lucy e Lune spalancarono la bocca per lo stupore, tenendosi la mano da brave sorelle. Volendo incoraggiarla, Lucy l‘abbracciò, e appena un attimo più tardi, la lasciò andare. “Fatti avanti, piccola pixie.” In quattro soli lemmi, un ordine a cui la bambina non si sottrasse, e che fatti pochi passi, eseguì senza proteste. “Sì?” tentò, inerme ma coraggiosa. “Vieni ancora più vicina, ho qualcosa da farti vedere.” Le rispose Amelie, restando accanto alla bestia calma e rilassata. Annuendo, la bambina non si fece attendere, e dopo altri passetti, non si mosse più. “Bene?” chiese, di nuovo timorosa. “Benissimo. Ora ascoltami, vedi quelle uova lì, vicine alla mamma drago?” Tranquilla e paziente, Amelie sembrava aver cambiato completamente carattere, come un serpente faceva con la propria pelle, e colpita dalla scena che avevo davanti agli occhi, non osai parlare né interromperla. Solitamente goffo e incline alle buffonate, perfino Cosmo sembrava aver compreso la solennità del momento, e seduto composto, ora non muoveva neanche più la coda. “Può essere tuo, sai? Tutti i draghetti hanno bisogno di un bambino che li adotti prima o poi, e sono sicura che saresti perfetta per uno di loro.” Le spiegò, breve, gentile e con un debole sorriso in volto. “Davvero?” non poté evitare di chiedere la piccola, non credendo alle sue orecchie. “Sì, bimba, davvero. Vieni, così ne scegli uno.” Continuò, incoraggiandola. Annuendo ancora, stavolta con convinzione, la piccola quasi corse verso la belva, che alla sua vista, richiuse gli occhi già stretti a due fessure. Attenta, Amelie si avvicinò più lentamente, e con l’aiuto di Aster, le raccolse dal nido. Metodica, le mostrò alla bambina, che mordicchiandosi un labbro mentre rifletteva sul da farsi, alla fine indicò quello in mezzo agli altri due. Orgogliosa, sua madre fu vicina alle lacrime, ma il marito fu lì per confortarla. “La nostra bambina... Oberon, tesoro, è così felice!” commentò, strofinandosi un occhio. “Lo so, cara lo so. E lo siamo anche noi per lei.” Quella l’unica risposta che il suo Oberon le diede e che al ritorno a casa, ormai di pomeriggio, conferì alla piccola e dolce fatina una nuova identità. Ora non era solo Lune Hall, pixie del fuoco e studentessa della prestigiosa Penderghast, ma anche, e come avrebbe sicuramente raccontato anche ai compagni, la bambina dei draghi.     




Un saluto,a voi, miei lettori. Sì, stasera sono di nuovo in ritardo rispetto alla solita "scaletta dei cinque giorni" ma l'ispirazione prima mi mancava, poi mi ha investita in pieno, e questo fra ieri e oggi. Un capitolo di cambiamento, specie per la piccola Lune, che qui fa un'importante e bellissima esperienza. Che ve ne pare? Aspetto di scoprirlo, ma intanto grazie a tutti dell'incrollabile supporto, e al prossimo capitolo, che spero di scrivere presto,




Emmastory :)
   
 
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