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Autore: Soul of Paper    27/09/2020    6 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 45 - Contatti


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.



 

Dopo qualche istante di shock, provò a staccarsi ma lei lo teneva bloccato per la nuca con una mano, per una guancia con l’altra.

 

E poi quelle labbra morbide si sollevarono di poco dalle sue per sussurrare un, “shhh, fermo!”

 

Infine, mentre era ancora sconvolto, sentì vibrare sulla bocca, “fingi un selfie.”

 

In qualche secondo capì tutto: Villari li aveva visti ed Irene voleva che facessero finta di essere una coppietta pronta a scattarsi una foto ricordo milanese. E con la mano lei copriva quasi metà dei loro visi, forse per cercare di evitare che Villari li potesse riconoscere.

 

Alzò, un poco tremante, il braccio che gli era cascato sul fianco nello scombussolamento generale, socchiuse un occhio e finse di stare facendo qualche foto, mentre lei muoveva la testa per simulare un bacio appassionato, le labbra che sfioravano le sue.

 

Il cuore gli rimbombava nel petto, sicuramente doveva essere più rosso dei peperoni cruschi.

 

Non era minimamente paragonabile a quello che provava baciando Imma ma… non era di piombo e non era un attore, gli era difficile rimanere impassibile di fronte ad una cosa del genere.

 

Finalmente, la udì mormorare, “abbracciami di lato, guarda verso di me, così non ti vede in faccia, e leviamoci di qua.”

 

Si staccò dal finto bacio, ancora mezzo scioccato, fece come Irene gli aveva ordinato, stringendola a sé fino ad avere la testa di lei appoggiata alla sua spalla, le braccia di lei che gli si allacciavano di lato alla vita. Iniziò a camminare verso Via Monte Napoleone con la testa rivolta verso di lei, che ancora gli prese il viso e gli sfiorò l’angolo della bocca come se fossero intenti in un ultimo bacio.

 

“Sei riuscito a fare le foto, vero?” gli chiese infine, continuando però a rimanergli abbracciata.

 

“Sì, sì,” rispose, con voce un poco tremolante per imbarazzo, prima di chiederle, quasi temendo la risposta, “e mo che facciamo?”

 

“Torniamo in hotel e cerchiamo di capire chi ha incontrato ed analizzare le testimonianze, Calogiuri. Sarebbe troppo pericoloso seguirlo ancora.”

 

“Va bene…” le rispose, un incredibile sollievo che gli riempiva il petto perché, almeno lì, avrebbero potuto tenere le distanze di sicurezza.

 

Già così sarebbe stato un casino: Imma gli aveva fatto promettere di dirle tutto ma… come faceva a spiegarle una cosa del genere, soprattutto a distanza, senza che fraintendesse o che pensasse al peggio?

 

*********************************************************************************************************

 

“Beviti un caffè, mo, che dovrebbe aiutare.”

 

“Imma, basta, ti prego!”


“Che cosa?” le chiese, sorpresa, perché Diana si teneva la testa peggio di lei quando Pietro aveva ripreso in mano il sax.

 

“Il cucchiaino. Mi scoppia la testa!”

 

Stava soltanto rigirando lo zucchero nella tazza e Diana reagiva manco ci fosse stata un’esplosione.

 

“Ti sei presa una sbronza da manuale, proprio,” sospirò, passandole il caffè doppio fatto con la moka.

 

Diana se lo prese e bevve, facendo delle smorfie, ma meglio quelle del vomito.

 

“Dio mio, Imma, che vergogna!” esclamò poi, coprendosi gli occhi con una mano.

 

“Dai, che il peggio è passato mo. E spero che ti serva di lezione a non rifare più una cosa del genere, che non c’abbiamo più vent’anni, Diana.”

 

Il sospiro di Diana si trasformò in un mugolio di dolore per una banalissima notifica di un cellulare. Imma allungò la mano verso il comodino e sì, era il suo.

 

Mancini.

 

Temendone un po’ il contenuto, lo aprì, ma quando lesse le poche parole, non potè evitare un moto di tenerezza.

 

Come sta Diana? Avete bisogno di qualcosa?

 

Sta meglio. La ringrazio per la premura ma siamo a posto, veramente. Mi scusi ancora per ieri sera.

 

“Certo che tutti i gentiluomini soltanto tu li trovi.”

 

“Diana!” esclamò, prima che il grido di dolore dell’amica la portasse ad usare un tono più basso, “che mi spii i messaggi, mo?”

 

“No, ma… mi è caduto l’occhio. E poi comunque non è che dei gentiluomini si è perso lo stampo, è che te li intercetti tutti tu, Imma. Pietro, Calogiuri, pure il procuratore capo.”

 

Si sentì un poco in imbarazzo anche se era vero: le era andata sempre bene con i pochi uomini che l’avevano corteggiata.

 

“A proposito, con Calogiuri come va? Si è fatto sentire? Spero di… di non averti creato problemi con questa storia della cena e-”

 

“E nessuno è il custode di nessuno, Diana. E poi Calogiuri alle due del mattino è rientrato, quindi non si può proprio lamentare.”

 

“E non ti preoccupi?”

 

“Certo che rigiri sempre il dito nella piaga, tu,” sospirò, prima di rendersi conto che, in fondo, era meno preoccupata di quanto si aspettasse, soprattutto dopo quanto si erano detti la sera prima, “Diana, mi ha fatto praticamente la telecronaca della sua serata, non lo avrebbe fatto se c’aveva qualcosa da nascondere.”

 

“E ci credo. Lo avrai terrorizzato, quel povero ragazzo!”

 

“Diana, ti rendi conto che stai dicendo due cose opposte nel giro di due frasi, sì? Peggio di un politico stai diventando!”

 

“Ma no, Imma che c’entra. Io capisco che tu possa essere preoccupata, però allo stesso tempo non devi fare troppi interrogatori a Calogiuri. Se no mo abbozza, tra qualche tempo magari si stufa e fai solo peggio.”

 

“Lo so, Diana, lo so. E comunque per i miei standard mi sto già fidando tantissimo.”

 

“Ah su quello non c’è dubbio, ma non ci vuole molto, dottoressa!” ironizzò, ed Imma quasi fece un salto, sentendo un pizzicotto ad un fianco.

 

“Diana! Che ti è passato il mal di testa?” le chiese e Diana scosse il capo.

 

Ricambiò il pizzicotto e nel giro di qualche secondo si trovò sul letto a fare una lotta a base di solletico, con Diana che dopo poco proclamò “mi arrendo, mi arrendo!”

 

Si fermò un attimo, tra una risata e l’altra, perché una strana botta di commozione l’aveva presa in pieno.

 

“Che c’è? Ti ho fatto male?” le chiese Diana, visibilmente preoccupata.

 

“No, figurati, è che…” fece una pausa, cercando di identificare quella strana sensazione.

 

E poi capì.

 

“Sai che è… è la prima volta che dormo con un’amica, ma da sempre. Non ho mai fatto quelli che mo chiamano pigiama party o serate con le amiche da ragazza. Tu sì, ci scommetto, con la Guarini e le altre.”

 

“Va beh… comunque su con chi dividere il letto… finora non è che ti è andata poi così male, dottoressa,” scherzò Diana, ma Imma sentiva e vedeva che era commossa.

 

E poi si ritrovò stritolata in un abbraccio che non fece che incrementare quel senso di piacevole dolenza al petto.

 

*********************************************************************************************************

 

“Guarda, l’ho trovata.”

 

Passò il computer portatile ad Irene, prima che potesse sporgersi troppo verso di lui.

 

Erano seduti sul divano nel salone e c’era, almeno da parte sua, ancora una certa tensione ed imbarazzo. Oltre ad un senso di colpa latente verso Imma, anche se era stato solo lavoro e non aveva potuto sottrarsi.

 

Irene prese il portatile e non disse nulla, ma c’era qualcosa nel suo sguardo che gli fece dubitare che avesse intuito il suo stato d’animo.

 

“Allora… Roberta Carretta, moglie dell’assessore alla sanità Guido Carretta - i genitori dovevano proprio volergli male,” commentò Irene e gli venne da ridere, “sposati da otto anni e qui risulta che abbiano una figlia. Il marito non è esattamente un adone ma in confronto a Villari gli piace il vincere facile. Economicamente dovrebbe essere messo bene, vista oltretutto la posizione che ricopre.”

 

“Quindi l’ipotesi che sia amante di Villari non ti convince.”

 

“Diciamo che… il regalo fatto all’altro uomo me ne fa un poco dubitare. Per carità, Villari potrebbe essere bisessuale ma… l’altro uomo non dà l’idea del prototipo di amante di uno di potere. Vista anche l’età media che Villari sembra gradire: uno che come ti passano gli ultimi residui dell’acne giovanile ti pianta in tronco. Dobbiamo capire chi è pure lui, Calogiuri.”

 

Gli venne da sorridere, perché Irene quando voleva sapeva essere tagliente quasi quanto Imma.

 

Al solo pensiero lo prese una nuova fitta di senso di colpa, pure se era da stupidi. Si riprese il computer e si concentrò sullo schermo e sulla ricerca per immagini, finché, finalmente, ebbe un risultato che gli sembrò compatibile, anche se in quell’immagine era con la barba.

 

“Che te ne pare?”

 

Stavolta non fece in tempo a passarle il computer ed Irene gli si sporse sulla spalla.

 

Guardava la foto ma sembrava perfettamente tranquilla, impassibile.

 

Forse si stava facendo veramente troppe paranoie.

 

“Mi pare che l’hai trovato, Calogiuri. Matteo Ambrosoli, consigliere regionale ai lavori pubblici. E qualcosa in comune, più o meno, l’abbiamo trovato.”

 

“La politica.”

 

“Già....”

 

“Ma perché un avvocato dovrebbe… voler corrompere dei politici?”

 

“Proviamo a scoprirlo, Calogiuri: questi due sono di due partiti diversi ma alleati in coalizione, sia in comune che in regione. E… hanno competenze dove la corruzione è all’ordine del giorno, Calogiuri, e pure gli interessi economici, enormi. Vediamo se per caso Villari si sta occupando di qualcosa del genere.”

 

La osservò mentre gli prendeva il computer ed eseguiva, rapidissima, alcune ricerche, con nomi di politici e presumeva industriali di cui lui ignorava totalmente l’esistenza.

 

E poi fece una risata di trionfo, “ecco l’anello mancante, Calogiuri.”

 

“L’ex consigliere regionale alla sanità Fumagalli esce dal tribunale con l’avvocato Villari. Il pubblico ministero ha formulato i capi d’accusa di riciclaggio di denaro sporco, corruzione in appalti pubblici e trasferimenti illeciti di fondi pubblici,” lesse, osservando la foto di un uomo alto, magro, con un’abbronzatura tendente all’arancione, i capelli tinti di un improbabile color marrone scuro.

 

“Fumagalli è di un partito alleato a quello di Ambrosoli e di Carretta, Calogiuri e ha lavorato con Ambrosoli.”

 

“Ma quindi… potrebbe star cercando di evitare che possano uscire testimonianze scomode? Tenerseli buoni?”

 

“O cercare di ottenere testimonianze favorevoli, Calogiuri. Il punto è che in queste situazioni è facile fare da scaricabarile persino tra colleghi di partito, se si arriva ad un certo punto. Prima si vuole stare tutti compatti, per tutelare il nome del partito per le future elezioni ma poi… se si mette male… mors tua vita mea, come è successo con Lombardi. Non escluderei però che Villari stia cercando di corrompere pure altre persone coinvolte nelle indagini in modo più attivo, dalla parte delle forze dell’ordine. Purtroppo le mele marce ci sono sempre.”

 

“Ma un avvocato di successo veramente rischierebbe tanto? Andando pure di persona a farli i ricatti?”


“Calogiuri… con le cifre che guadagna Villari non c’è troppo da stupirsi e per questo genere di lavori devi farli di persona o diventi ricattabile a tua volta. Salvo uno abbia dietro di sé un’organizzazione tipo Romaniello, allora sì che fai sporcare le mani agli altri. Ma Villari non è a quel livello e… e anzi potrebbe, visto il genere di clientela che ha, temere moltissimo una sconfitta, se capisci che intendo.”

 

“Ma… l’ex consigliere regionale è così pericoloso?” domandò, sorpreso.


“Magari lui no, o molto probabilmente non l’avrebbero beccato, Calogiuri. Ma quelli che hanno beneficiato di tutte le sue attività secondarie, quelli che hanno vinto appalti o riciclato denaro… sono quasi sicuramente della criminalità organizzata.”

 

“Pensi a….” le chiese, ma non sapeva come formulare la domanda.


“A parenti di quelli che hanno ucciso la madre di Bianca? Non lo so, Calogiuri, la mafia è come un’idra: tu tagli una testa e ne ricrescono molto spesso altre due. E qui a Milano principalmente fanno gli imprenditori, riciclano denaro, si impadroniscono di aziende una volta lecite. Di sicuro comunque dietro ad un sistema come quello di Fumagalli ci sta qualcuno che queste cose sa come organizzarle, Calogiuri, molto meglio di quanto può essere in grado di fare uno che, prima di finire in regione, faceva il sindaco di un piccolo comune.”

 

“E potrebbero essere queste persone quelle di cui l’ex partner di VIllari ha paura?”

 

“Molto probabile. Quando entri in certi giri, Calogiuri, finché fai comodo fai la bella vita, ma se sgarri… ti devi guardare sempre le spalle. Anche perché quelli hanno la memoria lunga e non dimenticano. E Villari… se sta dentro giri del genere capisco ancora di più perché Romaniello l’abbia scelto. Magari glielo ha consigliato qualche… collega di Milano.”

 

“Immagino che non intendi i giudici.”

 

“No, Calogiuri, no, anche se… non sono di certo una categoria insospettabile, purtroppo,” rispose, con un sorriso amaro.

 

“E… e ora che vuoi fare?”

 

“Penso che siamo sulla strada giusta, Calogiuri ma… dobbiamo trovare più informazioni e… mi ci vuole qualcuno di fiducia ad indagare qui a Milano, ma non sarà facile.”

 

“Non conosci più nessuno di cui ti fidi qua?”

 

“Non abbastanza per questa cosa, Calogiuri. Te l’ho detto, il migliore purtroppo ora sta in Puglia. E potrebbe volerci parecchio tempo di indagine, non basta qualche giorno come abbiamo fatto io e te. Comunque, ci penserò: prima di tutto devo riferire a Mancini e coordinarmi con lui.”

 

“E con Imma anche… visto che coinvolge comunque il maxiprocesso,” gli uscì, quasi in automatico, ed Irene scosse il capo e fece un sorrisetto.


“Naturalmente, Calogiuri. Allora, che ne dici se adesso ce ne andiamo a cena? Un locale tipico, di quelli che piacciono a te, ma che fa anche cose più tranquille, per me.”

 

“Ma… come mi devo vestire?”

 

“Beh casual ma da sera, Calogiuri, visto l’orario. Poi se facciamo in tempo volevo farti fare un giro per Brera, che merita.”

 

“V-va bene,” annuì, pensando che, tutto sommato, sembrava un programma relativamente tranquillo.

 

E poi una parte di lui temeva molto il momento della chiamata serale con Imma, per quanto avesse voglia, come sempre, di sentire la sua voce.

 

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“Diana, mi raccomando, non fare stupidaggini!”

 

“Imma!” esclamò e le si aggrappò al collo un’altra volta, prima di prodursi in una litania di, “grazie, Imma, grazie, sei una vera amica! E scusami ancora per tutto il casino. Scusati pure con Mancini e con Brian, se lo vedi.”

 

“Va bene. Mo però sali, che se no perdi la corriera,” le ordinò, staccandosi da lei prima di potersi commuovere di nuovo.

 

In effetti, se c’era una cosa che le mancava di Matera, era proprio un’amica come Diana, pure se la faceva dannare.

 

La porta del bus si richiuse ed Imma si riavviò verso la fermata della metro, per tornare a casa.

 

Fu in quel momento che sentì lo squillo e la vibrazione di un messaggio. Estrasse il telefono dalla borsa, sperando di avere notizie da Calogiuri.

 

Buonasera, dottoressa. Pensa di avere bisogno di ferie per domani? Vista la situazione con la sua amica?

 

Mancini, di nuovo, e sempre gentilissimo.

 

Buonasera, dottore. No, la ringrazio ma Diana è appena ripartita per Matera. Domani sarò in procura come al solito.

 

Vide che Mancini stava scrivendo qualcosa ma non apparve niente. Forse aveva cambiato idea.

 

Rimise il telefono in borsa e riprese la marcia verso i tornelli.

 

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“E va bene, Calogiuri, mi hai convinta. Dividiamo un risotto ed una cotoletta alla milanese. Tu vuoi qualcos’altro?”

 

“Magari un antipasto,” rispose, soddisfatto di averla fatta cedere almeno su questo punto, scorse l’elenco e poi la guardò, sconvolto, “cervella? Nervetti? Ma sono nervi veramente?”

 

“Sono zampe e ginocchia di vitello cotte molto a lungo, Calogiuri. Sai… il nord una volta non è che fosse molto ricco, soprattutto fuori dalle grandi città. La carne era un lusso e non si buttava via niente.”

 

“Forse mi eviterò l’antipasto allora,” ironizzò, ma Irene scosse il capo.

 

“Prova il tomino alla milanese, credo che apprezzerai. Beati voi giovani, che riuscite a mangiare pure i sassi.”

 

“Ma pure tu sei giovane.”

 

“Sempre meno di te, Calogiuri,” rispose, chiamando il cameriere con un cenno della mano e procedendo con le ordinazioni.

 

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Aprì il frigorifero e ci trovò la desolazione: con l’improvvisata di Diana non aveva avuto neanche il tempo di fare la spesa.

 

Un’altra pasta al tonno sarebbe stata forse troppo. Si decise per aglio, olio e peperoncino. Tanto, purtroppo, fino alla sera successiva non avrebbe baciato nessuno.

 

Stava per aprire la confezione della pasta quando suonò il campanello.

 

Temendo che Diana avesse compiuto una pazzia, e fosse scesa dalla corriera per tornare a sfogarsi da lei, andò al citofono.

 

“Chi è?”

 

“Consegna a domicilio, sushi.”

 

“No, guardi, non ho ordinato niente, magari ha sbagliato interno.”
 

“Il sushi è per una certa Tataranni, non è lei? Il cognome sul campanello corrisponde.”

 

Il campanello al quale dovevano decidersi di aggiungere il nome di Calogiuri, ma il timore di giornalisti e curiosi li aveva sempre fatti desistere e quindi, al momento, c’era solo il suo.

 

“Mi scusi ma lei di che azienda è? Chi avrebbe fatto quest’ordine?” chiese, da un lato chiedendosi se Calogiuri le avesse voluto fare una sorpresa, dall’altro lato però temendo di incontrare o far salire uno sconosciuto.

 

Era in casa da sola ed il finto fattorino era uno dei trucchi più vecchi del mondo. E col mestiere che faceva lei e tutta la storia coi Mazzocca e Romaniello….

 

“Guardi, c’è un cellulare di accompagnamento, in caso non l’avessimo trovata. Se vuole glielo leggo,” rispose il rider, come li chiamavano adesso, con tono un poco scocciato.

 

“E me lo legga.”

 

Le dettò dei numeri che lei digitò nel suo di telefono, non riconoscendoli immediatamente.

 

Ed un nome le venne suggerito nel display.

 

Mancini.

 

Sapeva che era a casa da sola e… le aveva fatto una sorpresa.

 

La verità era che non se le meritava tutte quelle premure ed attenzioni, che le facevano molto piacere, ma la imbarazzavano tremendamente.

 

Perché le sembrava sempre di approfittare e perché non poteva ricambiare come Mancini avrebbe voluto.

 

“Allora?”

 

La voce innervosita del ragazzo la fece ritornare al presente.

 

“Scendo. Un attimo.”

 

Rientrò in casa dopo poco con un sacchetto colmo di ogni ben di dio, riconosceva il nome del ristorante di fiducia di Mancini.

 

Gli doveva essere costato non poco.

 

Ancora prima di mangiare, prese il telefono e gli mandò un messaggio.

 

Dottore, la ringrazio moltissimo per il sushi ma non doveva disturbarsi. Già ha offerto la cena di ieri e lo sa che non mi piace essere in debito.

 

Nessun debito. Avrei voluto invitarla a cena di persona ma non volevo metterla a disagio. Spero che il sushi sia di suo gradimento. Si rilassi che se lo merita dopo tutto quello che è successo in questi giorni. A domani.

 

Ecco cosa voleva scriverle quando era alla Tiburtina. In effetti proporle una cena da soli l’avrebbe messa in enorme imbarazzo, anche perché avrebbe dovuto rifiutare. Mancini era proprio un gentiluomo, niente da dire.

 

Ma Calogiuri era Calogiuri e… non avrebbe rischiato di perderlo per niente al mondo. Sempre se si fosse comportato bene pure lui, ovviamente.

 

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“Allora, ti piace?”

 

“Sì… è molto diverso da Roma, ma è bello.”

 

“Beh… Roma è Roma, Calogiuri, la città più bella del mondo. Ma Milano ha un fascino particolare, se la si conosce, anche se ti ho portato principalmente in posti più turistici. E ora, se sei pronto, ci beviamo qualcosa,” gli disse, indicando l’ingresso di quello che, dall’insegna, era un hotel di una nota marca di moda di lusso.

 

“Ma costerà tantissimo, non-”

 

“Ma no, Calogiuri, se ci beviamo qualcosa non è molto peggio di altri locali in centro a Milano ed i cocktail meritano.”

 

“Allora offro io.”

 

“Calogiuri, le possibilità non mi mancano e con Bianca esco poco e viaggio poco. Potrò spenderli come mi pare o no?” ribatté, e si sentì di nuovo prendere per un braccio, prima che aggiungesse, “vorrà dire che quando avrai una meritata promozione e salirai di grado offrirai tu.”

 

“Ma non sono laureato, non-”

 

“Ci sono pure i concorsi riservati ai sottufficiali, Calogiuri, più altre occasioni che sicuramente ti si presenteranno, se continui a lavorare bene e non fai cavolate. Dai però, entriamo, o devo dirti veloce come farebbe Imma?”

 

“N- no, anche perché nessuno lo dice come lei,” scherzò, ma Irene fece un’espressione indefinibile e poi lo trascinò dentro l’hotel e verso al bar.

 

Si sentiva un po’ fuori posto in un luogo tanto elegante. Irene invece pareva a casa e si sedette proprio al bar, chiedendogli se si fidasse di lei per ordinare e poi prendendo due cocktail alla Hemingway.

 

“Ma lo scrittore?” domandò, sorpreso.

 

“Sì, Calogiuri, ha vissuto a Milano e ha passato molto tempo proprio qui a Brera, ovviamente non in questo hotel che è molto più recente. Ed il cocktail è cubano di origine ma… qui lo fanno molto buono.”

 

Lo assaggiò e gli venne da tossire.

 

“E dai, Calogiuri, non mi dirai che è troppo forte per te?”

 

“N-no,” balbettò, anche se effettivamente lo era: non era abituato ai superalcolici, anche se c’era pure il succo di qualche agrume a diluire

 

“Vorrà dire che digerirai la cena, almeno,” ironizzò lei, sollevando il calice e proclamando, “grazie per tutto il tuo lavoro di questi giorni, Calogiuri, e per la compagnia, naturalmente.”

 

“Grazie a te per la fiducia,” rispose, ricambiando il brindisi, “e per tutte le cose che mi hai offerto e che dubito potrò mai ricambiare.”

 

“Mai dire mai, Calogiuri!” esclamò, di nuovo con un’espressione inintelligibile, per poi bere in silenzio.

 

Stava cercando ancora di capire come fare a non diventare brillo con il cocktail, quando una voce per poco non glielo fece rovesciare, prendendolo di sorpresa.

 

“Irene! Ma sei tu? E non avverti?!”

 

Temeva fosse un altro parente di Irene, simpatico quanto il padre, ma si voltò e vide un uomo elegantissimo sulla cinquantina che le veniva incontro con un enorme sorriso.

 

“Jean!” lo salutò lei e Jean se la abbracciò e poi le diede due baci sulle guance, come se fossero vecchi amici.

 

“Che ci fai qui?”

 

“Beh, potrei chiederlo io a te. Va bene l’attaccamento al lavoro, ma vieni qua pure fuori servizio?”

 

“No, è che abbiamo una cena di lavoro stasera.”

 

“Ma non è già finita da un po’ la settimana della moda?”

 

“Sì, infatti abbiamo qua alcuni buyer internazionali in vista della collezione successiva. Sai, i mesi passano in fretta,” rispose l’uomo, con un vago accento francese, mentre Calogiuri ci capiva sempre meno. E, proprio in quel momento, nemmeno avesse sentito il suo pensiero, l’uomo si voltò e lo fissò, dietro ai suoi occhialetti dal bordo scuro, “e chi sarebbe questo bel giovane? Il buon gusto del resto non ti è mai mancato.”

 

“Ti ringrazio ma è un collega, un maresciallo dei carabinieri. Mi ha accompagnata perché sono venuta a Milano per lavoro,” chiarì, prima di spiegare, “Calogiuri, ti presento Jean Paul Bernard, il designer principale ed uno dei top manager di questo marchio.”

 

“Non dell’hotel, però,” precisò l’uomo, estendendogli la mano in una stretta decisa, “devo dire che è quasi un peccato che sia un carabiniere. Avrebbe potuto fare tranquillamente il modello, no, Irene?”

 

“Eh, me lo vedo proprio a posare con orologi, profumi ed occhiali da sole, con sguardo finto annoiato,” rise Irene, dandogli una pacca su una spalla.

 

“Io di moda non ci capisco niente,” ammise, mentre il viso, forse per la vergogna, forse per l’alcol, si faceva caldo.


“Ma è anche timido? Ma è meraviglioso, Irene: questo sei pazza se non te lo prendi! Per lui puoi pure farla un’eccezione alla regola del niente uomini!”

 

Gli andò di traverso un sorso, che per poco non soffocava.

 

“Il lavoro è lavoro, Jean,” rispose Irene, mentre si sentiva colpire leggermente la schiena e vide che era la mano di lei che cercava di aiutarlo a respirare, “e comunque… Calogiuri è già impegnato e quindi non disponibile ad essere preso.”

 

“Con tutto il rispetto per la fidanzata, nessuna può essere meglio di te,” rispose lo stilista e Calogiuri stava per protestare, quando gli si avvicinò e gli fece l’occhiolino, sussurrandogli, “se fossi etero l’avrei già corteggiata allo sfinimento, anche se probabilmente mi avrebbe dato picche. Pensaci bene.”

 

“Ve-veramente io-”

 

“Monsieur Bernard,” sentirono una voce: una giovane elegantissima che lo chiamava dalla porta del bar.

 

“Scusate, ma il dovere mi chiama. Ovviamente offre la casa, prendete tutto quello che volete.”

 

“Ma no, non serve, sai che non possiamo, siamo pubblici ufficiali. E poi abbiamo già bevuto abbastanza,” rispose Irene, sembrando a sua volta un po’ in imbarazzo.


“Ma questa non è la vostra giurisdizione, no?”

 

“Non siamo negli Stati Uniti, Jean.”

 

“Suvvia, un po’ di champagne, per lavarvi la bocca dai cocktail. Il migliore, ovviamente. Buona serata e fatti sentire la prossima volta!” si congedò, dando ancora due baci a Irene e sparendo rapidamente oltre la porta.

 

“Scusa, Calogiuri, ma Jean è abituato a comandare e-” spiegò, ma si interruppe quando vide il barman estrarre una bottiglia di champagne, “no, per favore, non è il caso.”

 

“Come ha detto lei stessa, monsieur Bernard è abituato a comandare. Non mi crei problemi,” rispose il ragazzo con un sorriso.

 

“E che può fare, controllare le telecamere per vedere se abbiamo bevuto?”

 

“Se avete bevuto non lo so, ma se vi ho servito sicuramente.”

 

“Allora almeno uno champagne meno caro di quello. Non che siano economici qua, ma il meno caro della lista.”

 

“Monsieur Bernard ha detto il migliore.”

 

“Ma dopo lo puoi richiudere?”

 

“No, ma vi posso lasciare la bottiglia, tanto di voi mi posso fidare, no?” rispose il ragazzo, stappando con il botto una bottiglia con un nome che pareva quello di un prete, mettendoci sopra uno strano tappo e piazzandola sul bancone davanti a loro, “visto che dovete ancora finire il cocktail, aspetto a versarvi lo champagne.”

 

“Ce lo versiamo noi, non ti preoccupare!” lo rassicurò Irene con un sorriso, prima di porgergli una mano con dentro qualcosa, “almeno la mancia però te la lascio.”

 

“Grazie, dottoressa.”

 

Il ragazzo, visibilmente felice, si allontanò verso un’altra coppia che era all’altro lato del bancone.

 

“Va beh, Calogiuri, ci tocca pure lo champagne - e che champagne! Finisci il cocktail che con questo non c’è paragone.”

 

“Ma dobbiamo berci una bottiglia intera?” chiese, in apprensione, perché già si sentiva abbastanza allegro così ed aveva orrendi ricordi dell’ultima volta in cui aveva bevuto troppo.

 

“Dai, almeno un paio di bicchieri, Calogiuri, al limite il resto ce lo portiamo in hotel e ce lo beviamo domani. Buttare questo champagne sarebbe un crimine! Abbi pazienza, ma Jean sono anni che prova a farmi regali e non ci riesce e quindi… mi ha incastrata così.”

 

“Ma… ma come mai?” chiese, finendo l’ultimo sorso del cocktail e sperando di non pentirsene.


“Mi ero occupata di un brutto caso di spionaggio industriale… e sono riuscita a fargli recuperare tutto prima che finisse in mano ad altri. Sai, ormai chi si specializza in falsi è sempre più abile e… sarebbero arrivati in contemporanea con il lancio ufficiale. Da allora mi è molto grato, siamo pure diventati amici ma… appunto ha questa mania dei regali e finché ero a Milano sono riuscita a rifiutarli. Non pensavo di trovarlo qui, poi a quest’ora.”

 

Non sapeva bene che dire, mentre lei gli versava un calice di champagne e poi se ne serviva uno a sua volta.

 

“Ci vorrebbe qualcosa per lavare il palato dai superalcolici, ma assaggia.”

 

Se lo portò alla bocca e al secondo sorso spalancò gli occhi: era buonissimo, niente a che vedere non solo con prosecchi e spumanti economici a cui era abituato lui, ma nemmeno con lo champagne che avevano offerto loro sul treno.

 

“Quanto costa questa bottiglia?” chiese, quasi in automatico, sentendosi un po’ come Imma.

 

“Troppo, Calogiuri, troppo. Per questo sarebbe un crimine buttarla.”

 

Annuì, chiedendosi se e quanto avrebbe potuto reggere, pur avendo mangiato abbondante.

 

“Comunque… scusa Jean per l’invadenza sul… personale. Ma sai, mi ha conosciuta quando lavoravo ancora con… tu sai chi e quindi… mi ha vista quando non stavo molto bene e da allora cerca di piazzarmi, per così dire.”

 

“Come se avessi problemi a trovare un uomo, se soltanto lo volessi,” rispose ed Irene, stranamente, sembrò quasi arrossire, anche se magari era il vino o una sua impressione, “che c’è? Ho detto qualcosa di sbagliato?”

 

“No, Calogiuri… è che da te… certi complimenti non me li aspetto. Forse è il primo che mi fai da quando ti conosco.”

 

“E va beh… che sei bella lo sai, no?” si schernì, toccandosi il collo e sentendosi a sua volta un po’ a disagio.

 

“Sentirselo dire è un’altra cosa. Soprattutto da uno di poche parole come te, Calogiuri.”

 

L’imbarazzo non fece che aumentare, tanto che cercò disperatamente un argomento per fare conversazione e gli uscì un, “ma in che senso hai messo una regola niente uomini? Pensavo che… che avessi avuto altre… relazioni dopo… tu sai chi... da quello che mi hai detto ieri.”

 

Irene spalancò gli occhi e poi sorrise sopra al bordo del bicchiere, “e bravo, Calogiuri, sei attento, vedo. Ma… qua si nota la tua ingenuità. Una cosa non esclude l’altra, anzi.”

 

E gli fece l’occhiolino.

 

Rimase per un attimo confuso, senza capire che volesse dire, e poi sentì come un forno in faccia, “c-cioè… vuoi d-dire che….”

 

Irene rise, con l’aria di chi si stava divertendo tantissimo, mentre finiva il bicchiere di champagne.

 

“Calogiuri… e dai… siamo nel ventunesimo secolo… un po’ di apertura mentale. Che c’è da stupirsi?”

 

“Ma quindi s-sei?”

 

“Bisessuale, sì. Lo sapevo pure prima di… di ferirmi col fuoco, eh. Ma con le donne ci si capisce meglio e siamo in media più oneste di voi uomini. Solo che me lo tengo per me… che col mestiere che faccio, sai è un ambiente molto maschile e… ti lascio immaginare che commenti ci sarebbero. E poi per via di Bianca… insomma… ce l’ho solo in affidamento e… in realtà ultimamente non sto frequentando nessuno anche per lei, perché è molto complicato e mi prende quasi tutto il tempo libero che ho. Però… i giudici non apprezzerebbero, ecco, e non voglio rischiare di perderla. Ed è una delle cose che mio padre non sa di me e che quasi nessuno sa di me: Jean Paul lo ha capito perché… ha occhio su queste cose. Quindi se lo dici a qualcuno sei morto, Calogiuri.”

 

“N-no, no,” balbettò, sentendosi ancora completamente in contropiede.


“Guarda che le persone bisessuali esistono e non solo nei filmetti per uomini sbavanti.”

 

“No, no!” ripetè, mortificato, “cioè, lo so, è solo che… non avevo mai conosciuto nessuno di bisessuale prima d’ora e non me lo aspettavo, veramente.”

 

“Calogiuri, Calogiuri...” sospirò lei, e si sentì nuovamente scompigliare i capelli, “forse semplicemente non te ne sei mai accorto. Beata innocenza!”

 

“I-in che senso?”

 

“Dai, bevi, che se no le bollicine se ne vanno ed è un peccato,” rispose, facendogli l’occhiolino e finendo il suo calice, prima di versarsene un altro.

 

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Lo stomaco pieno di sushi, sentendosi un poco in colpa anche se in fondo non aveva fatto nulla di male, prese il telefono in mano per mandare un messaggio a Calogiuri.

 

In effetti ormai era tardi, poteva essere in hotel, ma ancora non si era fatto sentire.

 

Io sono a casa, Diana è andata via. Mandami un messaggio quando sei in hotel. Un bacio.

 

Aspettò un poco ma niente, nessuna risposta.

 

Si costrinse a mollare il telefono e recuperare il libro che stava leggendo, per cercare di distrarsi per un po’ in un mondo senza gattemorte.

 

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“Sei ancora rosso, Calogiuri, tutto bene?”

 

Erano appena entrati in stanza ed Irene aveva calciato via le scarpe dal tacco chilometrico sulle quali riusciva a camminare nonostante l’alcol bevuto.

 

Si sentiva un poco ovattato, anche se non ubriaco. Si erano finiti tutto lo champagne ma per fortuna il cibo tipico milanese doveva avere aiutato.

 

“Sì… sai… abbiamo bevuto un po’ e quando bevo divento rosso.”

 

“Basta che non mi vomiti nella suite, Calogiuri, poi rimani rosso finché vuoi,” gli rispose con un sorriso, facendogli l’occhiolino, e Calogiuri pensò immediatamente a Diana e ad Imma, soprattutto, con un vago senso di colpa.

 

“E dai, Calogiuri, spero proprio che tu lo regga un poco meglio di così l’alcol, nonostante i tuoi… episodi pregressi.”

 

Si sentì avvampare ancora di più e non c’entrava il bere: si era scordato di aver raccontato ad Irene del casino combinato con Matarazzo.

 

“Eh va beh… diciamo che stasera non riuscirei proprio a nuotare, ma a stare in piedi ancora ci riesco,” scherzò ed Irene rise.

 

“Già… niente piscina stasera ma… per contrastare gli effetti dell’alcol… che ne dici se ci facessimo un bagno turco? C’è tutto il necessario qui, senza dover uscire dalla suite.”

 

“Cioè fare il bagno? Ma non c’è solo la doccia?” chiese, non capendo.

 

Irene rise ancora di più. Una risata diversa dal solito, più rumorosa. Forse anche lei risentiva un poco della bevuta.

 

“Ma no, Calogiuri. Il bagno turco è simile alla sauna, ma a temperature molto più basse ed è umido, quindi c’è meno il rischio di surriscaldarsi. Si suda e si eliminano le tossine. Che ne dici?”

 

“Cioè… ma… io e te insieme?” le chiese, perché una parte di lui gli suggeriva che non fosse una buona idea: già doveva raccontare ad Imma del bacio di quel pomeriggio, pure se solo di copertura.

 

“Ma mica nudi, Calogiuri!” continuò a ridere e sentì un’altra botta di calore, altro che bagno turco, “cioè, in Finlandia si fa nudi ma… possiamo decisamente starcene in asciugamano o in costume come ieri, anche se l’asciugamano sarebbe meglio, che sono fibre naturali.”

 

Irene ne parlava con una tranquillità assoluta, come se stesse discutendo di quale dei suoi completi indossare. Paradossalmente, quello, unito alle sue rivelazioni sul niente uomini, lo tranquillizzò. Ma poi pure dopo quella specie di finto bacio era rimasta imperturbabile.

 

Evidentemente lo vedeva come un amico e basta, forse si era solo fatto suggestionare dalle paure di Imma e da alcuni avvicinamenti degli ultimi giorni ma… in fondo proprio quella vicinanza fisica, così naturale, doveva stare a significare che non c’era attrazione né malizia da parte di lei, se no avrebbe dovuto essere almeno un minimo in imbarazzo, no?

 

Forse per quello o forse per il vino ancora in circolo, gli venne da pensare - ma che c’è di male? Perché no? - e si trovò ad annuire senza quasi rendersene conto.

 

“Va bene, Calogiuri. Bisognerebbe farsi una doccia prima ed ovviamente dopo. Vai tu o-”

 

“Prima le signore,” rispose, con un sorriso.

 

“Signora a chi, Calogiuri? Guarda che ti faccio rapporto!” lo sfottè, facendogli l’occhiolino, per poi sparire oltre la porta della sua stanza.

 

Percorse i pochi passi che lo separavano dalla sua di camera ed estrasse il telefono dalla tasca della giacca.

 

Sorrise nel leggere il messaggio di Imma e selezionò il suo numero quasi automaticamente, mentre si levava la giacca, facendo partire una videochiamata.

 

“Calogiù!”

 

Il viso sorridente di lei, i ricci sparpagliati come la chioma di un leone sul cuscino, gli fecero venire uno strano senso di qualcosa alla gola: era assurdo quanto gli mancasse quando non la vedeva anche solo per poche ore.

 

“Stasera sei più puntuale! E vestito, soprattutto. Niente SPA?” gli chiese con un sorriso, colpendo subito nel vivo - del resto Imma aveva un intuito fuori dal comune - e proseguì, “ma come mai sei così rosso? Stai poco bene?”

 

“Veramente… è che un amico di Irene ci ha offerto un cocktail ed una bottiglia di champagne: ne abbiamo bevuta mezza a testa e sai che divento subito rosso. E… e per la SPA… Irene in realtà mi ha invitato a fare un bagno turco con lei, per smaltire un poco l’alcol, ma prima avevo voglia di sentirti.”

 

Imma fece un’espressione che era tutto un programma, le sopracciglia che le si perdevano nei ricci, “scusa, Calogiuri, ho capito bene? Tu mo te ne andresti a fare una sauna con la cara Irene? Dopo che hai pure bevuto un po’ troppo?”

 

“E dai, Imma, diciamo che… che alcune cose che sono successe oggi mi hanno dato la conferma che… Irene non è attratta da me, veramente.”

 

“Sì, e io sto vedendo un ciuccio volare dalla finestra qua fuori, giusto mo. Gli dico di venire a Milano a trovarti, già che c’è.”

 

“Imma!” rise. scuotendo il capo: quanto la adorava quando faceva così! Pure più del solito.

 

“Quali sarebbero questi eventi, sentiamo? Perché non capisco come tu possa avere la certezza assoluta di una cosa del genere, a meno che tu non le sia saltato addosso e lei ti abbia respinto,” proseguì lei, imperterrita, in tono solo in parte ironico.

 

“No, ma… cioè, in realtà-”

 

“Cioè in realtà che?!” chiese, spalancando gli occhi e alzando la voce in un modo molto pericoloso.

 

“Non le sono saltato addosso, Imma, ovviamente, e non ci penso nemmeno, Ma… diciamo che è successa una cosa durante il pedinamento e poi… stasera mi ha raccontato delle cose, ma non te ne posso parlare al telefono, anzi, diciamo che quello che mi ha detto non te lo dovrei proprio riferire, per correttezza, ma…. Va beh... te lo spiego domani quando ci vediamo, così magari ti tranquillizzi, se mi prometti che non lo dici a nessuno, però.”

 

Rimase un poco senza fiato, perché aveva pronunciato tutto quanto di corsa, per paura che lei lo interrompesse. Ma Imma rimase in silenzio, guardandolo fisso negli occhi in un modo che lo preoccupò.

 

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Lo guardò negli occhi perché da un lato le faceva tenerezza, agitato com’era, ma dall’altro la innervosivano tutti questi misteri.

 

“E dopo il terzo c’abbiamo pure un quarto mistero di Fatima, esclusiva della gattamorta. E va bene per domani, ma lo sai che se mi racconti storie ti becco subito, Calogiù.”

 

“Lo so, lo so,” sospirò lui e poi le sorrise e le chiese, “allora la signora Diana è andata via? Sei sola nuovamente?”

 

“Sì, sono sola,” rispose, valutando per un secondo se dirgli del sushi di Mancini ma decidendo di starsene zitta, non volendo infierire o impensierirlo.


Glielo avrebbe raccontato il giorno dopo pure lei, a quel punto.

 

“Vorrei esse-” stava dicendo lui ma un “Calogiuri, il bagno è libero!” lo interruppe.

 

Lo vide voltarsi e, soprattutto, visto che era seduto dando le spalle alla porta, intravide una macchia di bianco che si mise a fuoco e si rivelò essere la gattamorta in persona.

 

Vestita - se così si poteva dire - solo con un asciugamano che le copriva il minimo indispensabile.

 

Si artigliò i palmi, mentre stava per partirle l’incazzatura, quando la cara Irene fece un sorriso fintissimo, si avvicinò al letto ed esclamò, “Imma! Come va a Roma?”

 

“Sicuramente meglio che a Milano,” rispose, sarcastica, cercando di misurare le parole, “anche se qua non c’è l’hotel cinque stelle lusso.”

 

“E va beh… ma ogni tanto bisogna pur concedersi qualcosa, Imma.”

 

“Che cosa concedermi e non concedermi lo decido da sola, grazie. Come Calogiuri, del resto,” replicò, sperando che Calogiuri comprendesse il messaggio sottinteso.

 

Fa quello che vuoi ma poi i cocci saranno i tuoi, se non stai attento! - come avrebbe detto Vitali.

 

Irene, per tutta risposta, continuò a sorridere.

 

“Calogiuri, se vuoi prendertela un po’ più comoda fai pure. Avvisami quando sei pronto. Imma, buonanotte, ci vediamo martedì.”

 

E, sempre con quel sorriso detestabile, uscì dalla stanza.

 

“Alla faccia del bagno turco. A me quella pare più che altro pronta a fare cose turche ma di ben altro genere!” non potè fare a meno di commentare, “e secondo te non è minimamente attratta o interessata?”

 

“No, Imma, no. Anche perché se no… non pensi che si imbarazzerebbe a fare certe cose con me, se le piacessi?”

 

“Calogiuri mio, ma che pensi che tutti quanti sono come te?” sospirò, non potendo quasi credere a tanta innocenza, con tutto quello che gli era già capitato, e di nuovo la tenerezza si mischiò alla frustrazione, “o imbranate come me all’epoca? E dai, su! E poi… va bene fidarmi di te, ma ti rendi conto che mi stai chiedendo di fidarmi tantissimo, sì? Che penseresti se mo mi spuntasse alle spalle Mancini in asciugamano?”

 

“A parte che sarebbe a casa nostra e non in albergo, e quindi sarebbe tutta un’altra cosa. E poi… Mancini è interessato a te sicuramente. E… sulla reazione... mi preoccuperei per te ma pure un poco per lui, viste le tue minacce di far cantare la gente nelle voci bianche.”

 

Le venne da ridere, nonostante tutto.

 

“E, per quanto riguarda Irene, le cose turche le voglio fare soltanto con te, dottoressa. Anzi, preparati per domani sera.”

 

“Pure tu, maresciallo, ma solo se farai il bravo. Non farmi pentire dell’enorme fiducia che ti sto dando che… lo sai che per me non è facile, no? E che se la perdo, non mi ritorna più.”

 

“Lo so e ti garantisco che farò sempre di tutto per meritarmela la tua fiducia. Se ci sei ti richiamo quando ho finito, mo vado che non posso fare aspettare Irene tre ore.”

 

“Ah, fosse per me potresti farla aspettare pure per tre anni, Calogiuri. Ma certo che ci sono. E sarà meglio per te!”

 

Un ultimo sorriso e la comunicazione si interruppe, mentre una parte di lei si chiedeva perché non gli avesse intimato di evitare qualsiasi cosa di anche solo vagamente riconducibile all’antica Anatolia.

 

Ma, oltre al discorso sulla fiducia, c’era pure il non voler dare soddisfazioni a quella… meglio non definirla... di Irene. Doveva essere Calogiuri a capire perché certe cose non fossero opportune e non soltanto perché glielo imponeva lei. Doveva essere lui a mettere dei paletti e non lei. 

 

Anche se non aveva mai desiderato quanto in quel momento di essere una discendente di Van Helsing.

 

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“Bisogna farsi lo scrub, rende il vapore più efficace. Tieni.”

 

Gli passò un barattolo che sembrava sale da cucina, lei ne prese un altro e poi, come se nulla fosse, iniziò a spalmarsi il sale sulle parti del corpo lasciate libere dal costume, stavolta un bikini, sempre bianco, sempre parecchio scollato e che sembrava uscito pure quello da un film di James Bond.

 

Si sforzò a concentrarsi sul barattolo perché si sentiva nuovamente in imbarazzo, anche se era da stupidi, tanto che si grattò forse la pelle con fin troppa forza, che diventò rosa.

 

“Sei troppo sensibile, Calogiuri,” lo schernì lei e poi gli fece un altro occhiolino e aggiunse, “se hai finito ci sciacquiamo con l’acqua calda ed iniziamo il bagno turco vero e proprio.”

 

Distolse lo sguardo mentre lei si faceva la doccia, poi si sbrigò a sciacquarsi dal sale - e pensare che quelle poche volte che era stato al mare da bimbo, sua madre se non se lo lavava via subito dalla pelle faceva storie che chissà che danni gli avrebbe fatto, ed invece c’era gente che pagava per spalmarselo addosso - e poi si infilò insieme a lei nel cubicolo già pieno di vapore.

 

Se già era bagnato dalla doccia, si sentì nel giro di pochissimo tempo come se gli stesse piovendo addosso, ma si rese conto che era il suo stesso sudore.

 

Si sedette accanto a lei, cercando sempre di guardare ad altezza viso e di non abbassare gli occhi manco per sbaglio.

 

“Calogiuri, il bagno turco è fatto per rilassarsi, non per farti venire il torcicollo,” scherzò lei, all’improvviso, e si sentì, se possibile, ancora più caldo. E poi, di nuovo, una mano tra i capelli, “e dai! Tanto mi hai già vista in costume, no?”

 

E come faceva a dirle che, capo primo, il costume intero copriva di più, capo secondo, tra doccia, caldo e sudore… pareva quasi uscita da uno di quei concorsi dove le ragazze si bagnano le magliette bianche. E, se a lei la cosa non faceva né caldo né freddo, lui non riusciva a non imbarazzarsi.

 

“Preferisci che vado a mettermi un asciugamano?” chiese poi lei, sorridendogli, “pensavo fossi più a tuo agio col costume, vista la reazione di prima in camera tua.”

 

“N-no, va bene, ma… possiamo cambiare argomento?”

 

“Quando fai così sei adorabile, Calogiuri!” proclamò, non facendo altro che metterlo ancora più a disagio, “ma va bene. Anzi, a proposito di prima e per cambiare argomento… spero di non averti causato problemi con Imma. Non l’ho vista troppo… felice, diciamo.”

 

Non troppo felice era un eufemismo ma Imma lo aveva veramente stupito in positivo sulla gestione della gelosia. Anche se un poco la capiva, anzi la capiva pure molto, ma sicuramente quando le avrebbe spiegato tutto, avrebbe capito che non c’era niente da temere da Irene.

 

“No, no, Imma sa che di me si può fidare al cento percento.”

 

Ed Irene rise.

 

“Al cento percento? A parte che non mi suona molto da Imma ma… secondo me nessuno dovrebbe mai fidarsi al cento percento di nessuno. Nemmeno se si tratta di te, Calogiuri, che sei molto ma molto più affidabile della media.”

 

“Quindi tu non ti fidi di me?” le chiese, sentendosi un poco ferito, perché in quei giorni gli aveva dato veramente moltissime dimostrazioni di fiducia ed invece….

 

“Diciamo al novanta percento, Calogiuri, e solo fino a prova contraria. Sono un magistrato, come Imma, non scordartelo,” ribattè, prima di fargli l’occhiolino ed aggiungere con tono più dolce, “e comunque per i miei standard è tantissimo. Sei l’unico a parte Mancini di tutta la procura con cui mi sarei fidata a dividere la suite. Va beh… il povero Conti sarebbe morto d’infarto, quindi magari avrei potuto fidarmi anche di lui.”

 

“Ma proprio non ti interessa Conti?”

 

“E che ti devo dire, Calogiuri? Sai… io non sono una da colpo di fulmine, le persone mi piacciono a poco a poco, prima le devo scoprire. In senso letterale e figurato, soprattutto,” scherzò e Calogiuri capì che, come Imma, pure Irene si divertiva a metterlo in imbarazzo, “ma… diciamo che il tempo per il povero Conti è abbondantemente trascorso e non mi è proprio scattato alcunché. Però spero che gli passi e si trovi una brava ragazza, che se lo merita. Così come spero che faccia Mariani, che è decisamente troppo per quel narcisista di Santoro.”

 

Almeno in quanto all’opinione sulla gente, Irene ed Imma concordavano quasi sempre, paradossalmente.

 

“E dovresti trovare qualcuno o qualcuna anche tu. O… hai una… ragazza al momento?”

 

“E guarda come mi sei diventato curioso, Calogiuri! E pure bravo negli interrogatori: mi hai fatto dire un sacco di cose in questo fine settimana. Proprio vero che l’acqua cheta….”

 

“Scu-scusa, non volevo essere invadente, ma-”

 

Irene rise nuovamente e si sentì passare una mano tra i capelli, “guarda che se non voglio rispondere a qualcosa non rispondo. E comunque te l’ho già detto, al momento né uomini né donne: Bianca è la mia priorità e poi… vorrei fare entrare nella mia vita solo qualcuno che se lo meriterà veramente.”

 

“Co- comunque… sono felice che tu mi abbia raccontato tutte queste cose. Non me lo aspettavo.”

 

“Nemmeno io, Calogiuri. Ma se scopro che l’hai detto ad anima viva, ti ci mando io a cantare nelle voci bianche, senza neanche bisogno del contributo di Imma,” gli intimò, estraendogli la mano dalla chioma in un modo che gli fece leggermente male, per poi sedersi meglio sulla panca di legno e chiudere gli occhi, “dai, rilassiamoci adesso.”

 

Cercò di imitarla ma faceva veramente troppo caldo e non capiva in che modo sudare come un maiale dovesse tranquillizzarlo o ridurre i sintomi dei drink.

 

Anzi, a tratti gli sembrava quasi che gli girasse la testa, a parte che era tutto rosato, che pareva un’anatra cotta al forno.

 

Un trillo improvviso per poco non gli fece prendere un colpo e guardò verso Irene che aprì gli occhi, sembrando mezza addormentata, e gli sorrise, “è ora di uscire, Calogiuri.”

 

Sollevato all’idea di tornarsene al fresco, si alzò e si sentì girare nuovamente un poco la testa. Per fortuna riuscì a reggersi al muro.

 

Irene gli lanciò uno sguardo interrogativo e si sollevò pure lei.

 

Fu questione di secondi: la vide sbandare e fare un mezzo urlo prima di cascare all’indietro.

 

Riuscì a prenderla per un braccio, d’istinto, ma, sbilanciato com’era, sentì la terra mancargli sotto ai piedi e cadde di schiena, picchiando contro al legno del pavimento, poco prima che qualcosa di caldo, morbido ed umido gli crollasse addosso.

 

Gli si levò il fiato dai polmoni per la botta, fino a quando il peso gli si sollevò leggermente dal petto.

 

Alzò lo sguardo, per accertarsi che lei stesse bene, ma il fiato gli si levò nuovamente per motivi diversi: nella caduta la parte sopra del bikini si era spostata e… si trovò davanti il seno di Irene.

 

Nudo.

 

Dopo un attimo di paralisi, incrociò lo sguardo di lei, sentendosi mortificato. Lei invece lo osservava interrogativa, dopo abbassò lo sguardo e forse arrossì - difficile dirlo per via della sauna - ed infine lo fulminò dritto negli occhi.

 

Rimasero così, per qualche secondo, come in sospeso, e non sapeva come uscirne, aveva il terrore di muoversi. Lo fece lei, leggermente, solo che il movimento non fece che acuire quanto gli fosse spalmata sopra. Pure .

 

Non ci capiva più molto, anche perché non era un manichino e tutti e i cinque sensi gli funzionavano più che bene.

 

Ma, improvvisamente, il viso di Imma gli si parò davanti agli occhi: tutte le volte che si erano ritrovati in quella posizione - anche se vestiti - con lei che gli diceva, più o meno scherzosamente, quanto fosse pericoloso.

 

E, quasi d’istinto, mentre sentiva il fiato di Irene sulle labbra, voltò la testa ed afferrò con una mano l’asciugamano bianco che era rimasto sulla panca.

 

“Tieni,” le offrì, porgendoglielo, mentre guardava ancora verso il pavimento.

 

Per un attimo non successe niente, poi la sentì muovere nuovamente e, finalmente, un peso gli si sollevò dal petto, in tutti i sensi, e sentì la stoffa dell’asciugamano tirare.

 

La lasciò andare e, con la coda dell’occhio, la vide che se lo avvolgeva addosso, per poi risistemarsi il costume - e di nuovo buttò gli occhi sul pavimento.

 

“Calogiuri, ho finito,” gli disse ed incrociò il suo sguardo, proprio mentre lei gli lasciava libere le gambe, afflosciandosi quasi sul pavimento.

 

“Tu- tutto bene?” le chiese dopo qualche attimo, vedendo che lei non si muoveva.

 

“Un calo di pressione, Calogiuri, dobbiamo uscire da qua, che più aspettiamo e più è peggio.”

 

Non aveva mai concordato con una frase tanto quanto in quel momento e provò piano piano ad alzarsi, anche se si sentiva ancora le gambe molli. E poi allungò una mano per aiutarla a tirarsi in piedi.

 

Lei sbandò di nuovo pericolosamente, ma per fortuna stavolta non cadde, solo che gli si appoggiò contro, quasi a peso morto.

 

“Ce- ce la fai a camminare?” le chiese e lei annuì.

 

Piano piano, cercando di concentrarsi solo sul rimanere in piedi e sul pavimento, arrivò ad aprire la porta del cubicolo e l’aria fresca fu quasi uno schiaffo, ma anche un sollievo incredibile insieme.

 

Sentì Irene che rabbrividiva addosso a lui.

 

“Dovremmo farci una doccia o comunque coprirci con… qualcosa di caldo, per lo sbalzo di clima. Mi potresti accompagnare in stanza?”

 

Annuì, perché era l’unica cosa da fare, e la portò piano piano fuori dal bagno, e poi in corridoio, che non gli era mai sembrato tanto lungo.

 

Erano a pochi passi dalla stanza quando la sentì scivolare e la afferrò più saldamente, ma nel movimento l’asciugamano cadde e si trovò ad afferrarla per la vita, sulla pelle nuda.

 

Non osando nemmeno più guardarla in faccia, finalmente aprì la porta della stanza e con un immenso sollievo la fece sedere sul materasso. Lei ci si lasciò cadere, con la testa sul cuscino.

 

“Hai bisogno di qualcosa? Vuoi che… ti copra con le lenzuola?” le domandò, ma lei gli indicò l’accappatoio che stava appeso all’armadio e lui glielo porse e la aiutò ad infilarselo.

 

Poi la vide sporgersi verso la bottiglia d’acqua sul comodino. Gliela passò e lei bevve a piccoli sorsi, e poi, con sua sorpresa, si bagnò tempie, collo e polsi.

 

“Dovresti farlo pure tu, Calogiuri. Aiuta a far tornare normale la temperatura.”

 

“Lo… lo farò dopo. Ti gira ancora la testa?”

 

“Un po’... forse… forse avevamo bevuto troppo, Calogiuri. Mi… mi aiuteresti a sollevare le gambe?” gli chiese, con uno sguardo strano, anche se, dagli insegnamenti di primo soccorso, sapeva che fosse la prassi in questi casi.

 

Solo che….

 

Cercando di guardare ovunque tranne che , la prese per le caviglie e gliele alzò, tenendogliele in aria, anche se ormai altro che imbarazzo!

 

Come aveva fatto ad infilarsi in una situazione del genere?!

 

“V- va meglio?” le chiese, dopo un po’, continuando a guardare in alto, ed Irene pronunciò un “sì, puoi pure lasciarmi andare….” che gli suonò ancora più strano.

 

Quando le riappoggiò le caviglie al copriletto, tirò un sospiro di sollievo.

 

“Se… se va meglio io… andrei a dormire. Se… se hai bisogno di qualcosa però chiamami al telefono, non ti devi alzare, va bene? Vuoi che… ti aiuto col lenzuolo e ti passo… insomma… il completo da notte?”

 

“No, tranquillo: ce l’ho sotto al cuscino e a sollevare un lenzuolo senza scendere dal letto sono capace,” rispose lei, con uno sguardo indefinibile, alzando il cuscino accanto al suo ed estraendone in effetti gli indumenti in seta.

 

“Allora… allora io vado,” proclamò, cercando di sollevarsi dal materasso ma lei lo bloccò per un braccio, “cosa c’è? Non stai ancora bene?”

 

“No, è che… sei veramente un santo, Calogiuri,” gli rispose, mettendosi piano piano seduta. Si sentì sfiorare una guancia da dita un po’ tremolanti, mentre con l’altra mano ancora lo teneva per il polso, e poi gli sussurrò, “di te, forse, potrei fidarmi pure al cento percento.”

 

Stava cercando una risposta, perché non sapeva bene che dire, chiedendosi se stesse lui di nuovo immaginando significati nascosti o se ci fossero veramente, quando qualcosa di umido lo toccò sull’altra guancia, e all’angolo della bocca.

 

Tirò indietro la testa, d’istinto, tanto che sentì male al collo, ma lei, dopo quella specie di mezzo bacio, lo lasciò andare del tutto e si ributtò sul cuscino, sempre con quello sguardo indefinibile.

 

Le gambe che parevano di budino, si alzò rapidamente, forse fin troppo, dal materasso, ignorò la testa che girava e se non corse verso la sua stanza poco ci mancò.

 

Si chiuse la porta alle spalle, con sollievo, e poi vide una macchia nera sul suo copriletto e si sentì in colpa tremenda.

 

Imma.

 

Doveva chiamarla ma… non sapeva bene cosa dirle, anzi, come dirglielo, perché era stato un cretino.

 

E, come per il bagno turco, più aspettava e peggio era.

 

Guardò l’ora: era già passata quasi mezz’ora dall’ultima chiamata, tra una cosa e l’altra.

 

Con un sospiro, avviò la videochiamata, perché se avesse fatto una telefonata normale sarebbe stato peggio e si sarebbe preoccupata di più.

 

“Calogiuri, finalmente, ma... ma come sei conciato?!” esclamò, alzando un poco la voce, e si chiese se potesse leggergli in faccia cosa era successo.

 

“I-in che senso?

 

“Sei tutto rosso a chiazze, Calogiù. Mi sembri la Pimpa, anche se mi sa che sei troppo giovane per sapere chi è. Ma stai bene?”

 

Si guardò allo specchio ed effettivamente era un disastro.

 

“S- sì… diciamo che… è l’effetto del bagno turco. E poi non ho fatto in tempo a farmi una doccia ancora.”

 

“Ma allora che hai fatto con Irene per mezz’ora? Se si sta tutto quel tempo in un bagno turco ti chiamano l’ambulanza.”

 

“Lo so, Imma, ma… è complicato… Irene in realtà non si è sentita bene e… ti spiego meglio cos’è successo quando ritorno,” provò ad abbozzare perché non era il caso di raccontarle in dettaglio senza poterle parlare davvero di persona, senza poterla raggiungere subito. 

 

Sapeva che non l’avrebbe presa affatto bene e torto non glielo poteva pure dare, perché se fosse successo a lei e Mancini….

 

“E mo sta bene, Irene?”

 

“Sembrerebbe che stia meglio, sì.”

 

“E tu le devi ancora fare da infermiere, Calogiuri, o-”

 

“No, no,” le rispose, sentendosi avvampare al pensiero di quanto successo mentre le faceva da infermiere.

 

“Va bene la fiducia, Calogiuri, ma… insomma… tra il tempo che è trascorso… poi ti presenti sudato, mezzo nudo, rosso, col fiatone, come ti nomino la cara Irene arrossisci ancora di più, che devo pensare io?”

 

“Imma, lo capisco ma ti garantisco che non ho fatto niente di male e, almeno da parte mia, non c’è nessuna malizia con Irene e-”

 

Almeno da parte tua? E da parte sua?” gli chiese, con lo sguardo di quando trovava una contraddizione in un interrogatorio.

 

Sospirò perché Imma lo conosceva troppo bene ma, forse, era meglio così.

 

“Non lo so,” rispose, perché era la cosa più onesta che potesse dirle in quel momento, con tutti quei chilometri di distanza ed uno schermo di mezzo.


Imma rimase per un attimo a bocca aperta, ed era sorpresa veramente, si vedeva. Ma poi lo fulminò con una di quelle occhiate che gli avrebbero potuto leggere dentro pure cosa aveva combinato in prima elementare.

 

“Calogiuri, ti rendi conto che, quando ne abbiamo parlato mezz’ora fa, tu garantivi che la cara Irene non aveva alcuna malizia - che tra un po’ ti considerava un essere asessuato per come ne parlavi! - e mo mi dici non lo so?! Ma allora qualcosa deve essere successo, Calogiuri, non mi prendere per scema. E se non è da parte tua-”

 

“Non lo so, Imma, non ho la certezza che sia nemmeno da parte sua. Però… forse avevi ragione che… non mi dovevo mettere in certe situazioni imbarazzanti. Ma ne possiamo parlare con calma domani?”

 

“Calogiuri, lo sai che così mi fai solo preoccupare - e pure incazzare - di più, sì? Altro che calma!”

 

“Lo so ma… te ne voglio parlare faccia a faccia, a casa nostra. Non voglio che mi fraintendi: non ti tradirei mai e non vorrei mai fare niente che possa farti star male anche se… se forse con Irene avrei dovuto mettere più paletti prima, come li chiami tu, ed ho sbagliato a non farlo.”

 

Imma rimase di nuovo ammutolita e lo guardò in un modo strano, che lo preoccupò moltissimo.

 

“Non so se voglio strozzarti o abbracciarti in questo momento, Calogiuri, ma se non stai attento domani sera potrebbe decisamente prevalere la prima opzione.”

 

“Lo… lo so.”

 

“Cerca almeno, qualsiasi cosa sia successo, di non fare altre cazzate - o non farle fare alla gattamorta da qua a domani sera. E di piantarli questi maledetti paletti, pure meglio di quelli della tenda, che non te la cavavi male.”

 

Sorrise: non era ancora tutto a posto, e quando le avrebbe raccontato quello che era successo sicuramente avrebbe sudato più che in dieci bagni turchi messi insieme, ma Imma era almeno disposta ad ascoltarlo, che era già più di quanto si aspettava.

 

E forse, più di quanto si meritava, per essere stato così idiota.

 

“Lo farò, te lo prometto, Imma, al di là di tutto.”

 

“Me lo auguro, Calogiuri! Ma pure per te, oltre che per me. E mo vatti a fare questa doccia o almeno infilati qualcosa che prendi freddo.”

 

“In realtà… la temperatura qui nelle stanze è molto calda.”

 

“Immagino! Come minimo Irene avrà alzato al massimo il termostato per avere la scusa buona di starvene mezzi nudi.”

 

Gli venne da ridere: come faceva a non amarla, o a desiderare qualcuna che non fosse lei?

 

Non c’era paragone tra lei e nessun’altra, era in tutta un’altra categoria e sperava solo di non essere stato così stupido da giocarsi la sua fiducia e da rischiare di perderla, perché gli sarebbe stato insopportabile.

 

“A che ora arriverai domani sera?”


“Penso verso le ventuno a Termini. Massimo per le ventidue dovrei essere a casa.”

 

Imma si limitò ad annuire, senza aggiungere altro.

 

“Non vedo l’ora di vederti, dottoressa, nonostante l’interrogatorio che mi aspetta.”

 

“Vedremo se sarai della stessa idea domani sera, Calogiuri,” gli rispose, secca, ma lo sguardo era leggermente più dolce di prima.

 

Sperava che pure lei sarebbe stata ancora della stessa idea.

 

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Si avviò a passo svelto verso la procura, pentendosi di non aver messo il cappottino più pesante.

 

L’aria cominciava a farsi frizzante, anche col clima relativamente clemente di Roma.

 

Si sentiva stanchissima: dopo la telefonata di Calogiuri, che c’aveva un’aria terrorizzata che nemmeno un cerbiatto davanti ai fari, non aveva potuto non preoccuparsi.

 

Irene aveva sicuramente combinato qualcosa e Calogiuri le doveva molte spiegazioni, anche perché gli scenari che nella notte le si erano creati nella mente, facendola svegliare in continuazione, erano tutti a luci rosse: da Irene che se lo baciava in sauna a loro che in sauna facevano tutt’altro, con tanto di manata sul vetro coperto di vapore, degna di un film.

 

Ma il modo in cui Calogiuri ne aveva parlato le faceva pensare a qualche assalto della gattamorta, suo malgrado. Certo, dipendeva sempre da cosa aveva fatto o non fatto lui in risposta.

 

Sperando che sta benedetta spiegazione faccia a faccia le levasse tutti i dubbi e non gliene facesse venire di più - o peggio, che alcuni dubbi diventassero certezza - entrò in procura, facendo un cenno agli agenti di guardia ed avviandosi verso le scale.

 

Aprì la porta del suo ufficio, ancora immersa nei suoi pensieri, e per poco non le prese un colpo quando ci trovò Mancini, in piedi di fronte alla sua scrivania, in mezzo alle due sedie.

 

“Do- dottore. Ma è successo qualcosa?” gli chiese, perché un agguato nel suo ufficio, senza bussare prima, non glielo aveva mai fatto.

 

Mancini alternava lo sguardo tra lei ed il pavimento, in un modo che le ricordava tantissimo Calogiuri, paradossalmente.

 

“S- sì, dottoressa. Ho bisogno di parlarle urgentemente. Può… può venire nel mio ufficio?” le chiese, facendo segno verso la porta che separava il suo ufficio da quello di Asia.

 

Un senso di terrore la invase.

 

Quel mattino non aveva ancora sentito Calogiuri. E se… se gli fosse successo qualcosa di grave? A Milano, in fondo, Irene non era esattamente al sicuro e lui era lì per proteggerla.

 

E se….

 

“Nessun morto o ferito, dottoressa, stia tranquilla,” la rassicurò, leggendole nel pensiero, come sapeva fare sempre più spesso, per poi aggiungere, quasi tra sé e sé, “almeno finora.”

 

Mentre un altro genere di presentimento la coglieva, come una lama al petto, si rassegnò a seguirlo fuori dalla porta e verso il suo elegantissimo ufficio.

 

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Guardò l’ora: erano quasi le nove.


Di solito Irene per le otto al massimo lo buttava giù dal letto, ma niente.


Era pure già arrivata la colazione, che evidentemente Irene aveva preordinato, ma di lei nessuna traccia e rischiava di freddarsi tutto.

 

E poi, cominciava a preoccuparsi, visto come stava lei la sera prima.

 

Vestito di tutto punto, come se dovesse già uscire, alla fine osò bussare alla porta di lei.

 

Finalmente, dopo qualche minuto d’attesa. Irene emerse, ancora in accappatoio, con i capelli tutti arruffati, l’aria di chi aveva dormito fino a pochi secondi prima.

 

“Ma che ore sono, Calogiuri?” gli chiese, preoccupata.

 

“Le nove, c’è la colazione.”

 

Irene si passò una mano sugli occhi e sulla fronte, “ricordami di non bere mai più come ieri sera, Calogiuri. Champagne o non champagne. Non ci sono più abituata.”

 

E poi uscì dalla stanza, seguendolo verso la zona giorno dove era stato tutto perfettamente apparecchiato dal cameriere.

 

Irene si sedette, un po’ tremolante, e la vide che guardava il cibo con aria nauseata.

 

“Caffè? Dovrebbe aiutare in questi casi.”

 

“Doppio Calogiuri: altro che matcha stamattina!” sospirò lei, porgendogli la tazza.

 

Calogiuri mangiò in silenzio, un peso sullo stomaco che non c’entrava niente con l’alcol, perché c’era un discorso da affrontare e non sapeva come fare.

 

La osservò prendere a fatica alcuni bocconi di un cornetto e di pane tostato con marmellata e poi si fece forza, posando la tazza.

 

“Senti, Irene… io… ti devo dire una cosa e… spero che non te la prenderai e che… questo non influenzerà il nostro lavoro, ma….”

 

“Che c’è, Calogiuri?” gli chiese, sorpresa.

 

“C’è che… certe situazioni… mi fanno sentire a disagio e… e poi non voglio mancare di rispetto ad Imma, perché… se ieri in sauna ci fosse stata Imma con un collega, non l’avrei presa bene. Lo so che ora mi darai dell’uomo del sud, e lo sai che ci tengo a te e alla nostra amicizia ma...preferirei che da ora in poi evitassimo certi… contatti e certe attività, ecco.”

 

Gli era uscito tutto d’un fiato. Irene lo guardava, a bocca mezza spalancata, senza parlare. E poi scosse il capo e fece un sorriso strano, come agrodolce.

 

“Calogiuri…” sospirò lei, bevendosi un’altra sorsata di caffè ed appoggiando la tazzina, “lo so che sei un bravo ragazzo ed un compagno fedele. E dovrebbe saperlo anche Imma. Quindi se me lo chiedi per te, perché ti senti a disagio, va bene - ed era pure ora che me lo dicessi -, se lo fai perché se no Imma si arrabbia, non-”


“Lo faccio per me. Imma ancora non sa cosa è successo e… gliene parlerò stasera. Ma… non voglio che ci siano fraintendimenti non solo con Imma,  ma nemmeno con te. Lo so che forse… per te certe cose in amicizia sono normali, ma per me no e non me la vivo bene.”

 

Lei si morse il labbro e poi sorrise, “va bene, messaggio ricevuto. E comunque se qualcosa ti mette tanto a disagio devi imparare a dirlo prima, Calogiuri. In amore, in amicizia, sul lavoro.”

 

“Qu- quindi non ti sei offesa?” le chiese, sollevato.

 

“Se questo non cambia il nostro lavoro e la nostra amicizia, pur con le... distanze di sicurezza, no, Calogiuri. Ora però andiamo a cambiarci, che vorrei andare a parlare con il collega che si occupa del caso Fumagalli. E dobbiamo lasciare la stanza, Calogiuri.”

 

La vide alzarsi da tavola ed camminare verso la stanza.

 

Si sentì sollevato, come se si fosse appena tolto un enorme peso.

 

Anche se il peso più grande si sarebbe sciolto solo dopo aver parlato con Imma.

 

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“Dottore, che succede?”

 

“Succede che… mi ha chiamato De Luca, per le intercettazioni di Coraini. Gli uomini che se ne occupano le stanno ascoltando in tempo reale o quasi: in vista del maxiprocesso ho detto loro che dobbiamo dare un’accelerata.”

 

“E… e allora? Ci sono novità?”

 

“Sì, dottoressa, ma… non buone temo e… molto delicate.”

 

“Vogliono fare uscire le foto di Valentina, alla fine?” chiese, sentendo la testa che girava, e sedendosi quasi con un tonfo sulla sedia di fronte alla scrivania del procuratore capo.

 

Mancini si morse il labbro e si sedette di fianco a lei, con l’aria di chi stava per darle una notizia terribile.

 

“Che succede, dottore? Valentina è in pericolo?”

 

“No, no… diciamo che in pericolo c’è… la reputazione di questa procura e… e pure la missione che Irene e Calogiuri stanno svolgendo a Milano. E forse pure un poco la credibilità del maxiprocesso.”

 

“E… e che vuol dire?”

 

“Non… non vorrei doverglielo dire io, mi creda, ma… Irene ed il maresciallo sono ancora irraggiungibili e… e la notizia potrebbe uscire da un momento all’altro e non vorrei che lo sapesse da internet o dai giornali. Purtroppo temo di non riuscire a bloccarla, stavolta”

 

“E… e cioè?”

 

“Un fotografo amico di Coraini ha… ha scattato una foto ieri a Milano. Lo ha chiamato e gli ha chiesto come la volesse usare, se volesse magari provare a venderla, ma lui gli ha detto di pubblicarla pure. Visto il contenuto della foto… ho chiesto un favore a Frazer, se lo ricorda, no?”

 

“E come potrei dimenticarmelo!” esclamò, perché un armadio del genere, con quei capelli poi, era proprio indimenticabile.

 

“E insomma… tramite un suo ex collega che ora si occupa di più di gossip, Paul è riuscito ad averne una copia in anteprima. Probabilmente oggi uscirà su internet e domani sui giornali.”

 

Imma ormai aveva un presentimento che era quasi una certezza.

 

Ma quando Mancini le passò il suo cellulare e si trovò davanti una foto di Calogiuri, avvinghiato alla gattamorta in un bacio appassionato, il telefono le cadde dalle mani lo stesso, poco prima che un senso di nausea la travolgesse così forte da costringerla a tirarsi in piedi, in una corsa disperata verso il bagno.



 

Nota dell’autrice: Ed eccoci arrivati alla fine di questo quarantacinquesimo capitolo. Vi ho lasciato su un punto un po’ cattivello, lo so, ma se no che gusto c’è ;)?

Nel frattempo sono iniziate pure le repliche di Imma, sperando che comincino presto le riprese della seconda stagione. Quasi non ci credo che sia passato già un anno dalla messa in onda, anche se in questi mesi è successo di tutto.

Vi ringrazio di cuore per aver seguito questi miei scritti per tutti questi mesi, e spero che continuino a mantenersi un appuntamento piacevole per voi.

Come sempre, le vostre recensioni, oltre a farmi tanto piacere, mi danno anche indicazioni importantissime su come sta andando la storia e se c’è qualcosa da correggere, quindi ogni commento, positivo o negativo, è graditissimo.

Un grazie particolare a chi ha inserito questa storia nelle preferite o nelle seguite.

Il prossimo capitolo, dove accadrà di tutto e di più, arriverà puntuale tra due settimane, domenica 11 ottobre.

Grazie mille ancora!

 
   
 
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