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Autore: Signorina Granger    30/09/2020    10 recensioni
INTERATTIVA || Conclusa
In un mondo dove il Ministro della Magia detiene un potere quasi assoluto e la sua carica è ereditaria, i Cavendish e i Saint-Clair, La Rosa Bianca e La Rosa Rossa, rappresentano le famiglie più potenti della società magica e per questo sono in competizione e conflitto quasi perenne. La faida durata secoli raggiunge uno stallo solo quando, nel 1865, George Cavendish, futuro Ministro, sposa una Saint-Clair, ma i conflitti si riaccendono pochi decenni dopo, quando nel 1900 egli disereda il suo unico figlio per motivi sconosciuti e nomina suo erede Rodulphus Saint-Clair, scatenando le ire della famiglia.
Dieci anni dopo Rodulphus viene rinvenuto morto per un apparente - ma inscenato - suicidio. La sua famiglia punta il dito contro i Cavendish: la guerra delle due rose è aperta.
Genere: Introspettivo, Noir, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Capitolo 3
 
Due anni prima
Casa di George e Gwendoline Cavendish, Londra
 
Sua madre lo aveva accompagnato fino alla porta, abbracciandolo prima di salutarlo silenziosamente con un’occhiata preoccupata mentre lo guardava entrare in casa.
Quando fu Gwendoline ad accogliere il ragazzo Alexis si rilassò, rivolgendo alla donna un breve sorriso prima di sparire Smaterializzandosi.
“Vieni caro.”
Gwendoline gli aveva messo una mano sulla spalla e lo aveva condotto nello studio del marito, lasciandoli soli. Riocard avrebbe preferito che fosse presente anche sua zia, che era una figura molto rassicurante, ma non osò obbiettare quando la donna uscì dallo studio e andò a sedersi su una delle due sedie poste di fronte alla scrivania del vecchio senza dire una parola.
 
Per qualche minuto nessuno dei due parlò e George Cavendish si limitò a studiarlo fumando il suo sigaro, mentre il ragazzo, al contrario, teneva il capo chino evitando il suo sguardo.
“Mi dispiace molto per tuo padre, Riocard.”
Il giovane mago sollevò la testa e lo guardò per la prima volta da quando era entrato nella stanza, riducendo gli occhi chiari a due fessure mentre lo scrutava:
“Che cosa vuole da me, Signor Cavendish? Dubito che mi abbia fatto chiamare per farmi le condoglianze.”
 
“Sai perché tuo padre ti ha dato questo nome?”
“Mio nonno si chiamava così. Perché?”
“Esatto. Mia moglie… Tu le stai molto a cuore, ragazzo. Immagino sia perché le ricordi suo fratello. Gli somigli, sai?”
“A mio padre? Lo so.”
“Non a tuo padre ragazzo, a tuo nonno. Fisicamente, ma anche per carattere, o almeno così diceva tuo padre. Tu non l’hai mai conosciuto, è morto quando tuo padre era poco più giovane di te, ma tua zia Gwendoline adorava suo fratello, un amore che io, per il mio, non ho mai provato. E per questo motivo, alla morte dei tuoi nonni, fece qualcosa che nessuno si sarebbe aspettato, visto e considerato che era sposata con un Cavendish. Prese quei tre ragazzi sotto la sua ala, tuo padre e i tuoi zii. Anche io volevo bene a Rodulphus, Riocard.”
 
“Sono qui per questo? Perché possa dirmi queste cose commoventi? Signor Cavendish, non ho niente contro di lei, ma se permette mio padre è appena morto. Non solo, è stato ucciso. La carica che lei gli ha lasciato l’ha ucciso, Signor Cavendish.”
 
“Forse, Riocard. Ma tu sei suo figlio, e sai che cosa significa. Non penso che tu sia pronto, tuo padre non pensava certo di morire così giovane… Perciò, intendo fare ciò che feci con lui: ti insegnerò quello che so, Riocard.”
 
Riocard stava in piedi davanti alla finestra, la vestaglia di seta rossa slacciata e una tazza di caffè in mano mentre scrutava il sole sorgere.
Non riusciva a dormire da quando George era morto. E gli eventi del giorno prima, se possibile, l’avevano scosso ancora di più.
 
Non aveva mai chiesto niente. La carica di Ministro, i soldi di suo padre, e ora la casa di George… Non era interessato a sposare una delle sue nipoti alimentando l’odio di Edward Cavendish, anche se l’idea di vederlo costretto a cedere pur di mantenere il controllo sulla casa di famiglia in parte lo deliziava.
George Cavendish si era affezionato a lui, negli ultimi due anni. E soprattutto, era riuscito in qualcosa dove suo padre aveva fallito: aveva creduto in lui.
La morte di Rodulphus era stata difficile. Non era il più affettuoso dei genitori, e non aveva un temperamento semplice da gestire, ma Riocard lo aveva sempre ammirato e idolatrato, incurante delle liti frequenti a causa dei caratteri simili. Quando era morto, essendo figlio unico, Riocard si era sentito solo con gli occhi del mondo puntati addosso.
Perché lui era suo figlio, e doveva succedergli.
 
Ma non era pronto, così suo zio Theseus si era offerto di prendere i suoi oneri per un paio d’anni.
Riocard gli era molto grato, così come a George Cavendish per tutto quello che aveva fatto per lui negli ultimi due anni.
 
“Sai che quello di certo non può aiutarti a dormire, vero tesoro?”
“Ho perso le speranze, come si suol dire.”
Alexis si allacciò la vestaglia rosa antico in vita e si avvicinò al figlio, abbracciandolo e appoggiando la testa sulla sua spalla prima di mormorare che era preoccupata per lui.
“Non esserlo mamma, andrà tutto bene.”
“Lo diceva anche Rod. E sappiamo tutti com’è andata. Non voglio perdere anche te, Ric.”
 
“Non succederà. Sono il tuo unico figlio, mamma, e non sopporterei di lasciarti sola.”
Riocard sorrise alla madre e le prese la mano per depositarci un bacio sul dorso, guardandola sorridergli lievemente dopo un istante di esitazione.
 
“Sai, a volte penso di rinunciare a tutto e sparire. Però… Però deluderei la famiglia, se lo facessi. Deluderei papà e George. George Cavendish ha fatto tanto per me, per noi, è andato contro la sua stessa famiglia per ben due volte, e non vorrei rendere vano tutto ciò che ha fatto. Credo di dovergli qualcosa. Non m’importa della sua casa, mamma, ma non voglio gettare al vento i due anni passati che lui ha perso per me. Gli ultimi due anni della sua vita.
“Ric, George stava male da tempo, me l’ha detto Gwendoline.”
 
Riocard annuì, scuro in volto mentre abbassava lo sguardo sulla tazza ormai quasi vuota, parlando a denti stretti:
 
“Già. E in tutto il tempo che abbiamo passato insieme non me ne ha mai parlato. Poteva anche avvisarmi, invece di farmi ritrovare nella stessa situazione di quando papà è morto. Almeno questa volta avrei potuto prepararmi, ma forse non gli importava così tanto di me, alla fine.”
“Sono sicura che non volesse farti soffrire, nessuno lo sapeva, praticamente. Evidentemente ti riteneva abbastanza forte da affrontare tutto questo, e aveva ragione. George Cavendish aveva sempre ragione, Riocard, lo diceva tuo padre.”
 
 
 
“Dimmi, ragazzo, cosa fai se qualcuno offende la tua famiglia?”
“Gli rompo il naso.”
“E se minaccia ciò che possiedi?”
“Glielo rompo di nuovo.”
 
“Affascinante modo di gestire i problemi, Riocard, ma al Ministero non puoi andare in giro a rompere ossa alla gente. C’è qualcosa, in questo mondo, che chiamiamo diplomazia. E un leader ne sa fare uso.”
“E se non ne fossi in grado? Io non sono mio padre, Signor Cavendish.”
 
Riocard sospirò e si fermò sulla riva del laghetto, calciando un sasso per farlo finire in acqua mentre George, fermandosi accanto a lui, gli metteva una mano sulla spalla:
 
“Hai il sangue di tuo padre e di tuo nonno nelle vene, due grandissimi uomini. Sei un Grifondoro, Riocard, sei un leader nato come Rod, fidati di me.”
“Anche suo nipote Egan è un Grifondoro. Perché non insegna questa cose a lui? Perché la carica non torna ai Cavendish, ora che mio padre è morto? A me non importa, voglio solo essere lasciato in pace.”

 
Riocard scosse il capo, le mani strette a pugno, e l’uomo lo guardò con una punta di compassione negli occhi celesti:
“So che non t’importa, Riocard, ma devi farlo per il bene della tua famiglia. Egan, comunque, preferisce la compagnia di sua nonna alla mia. So come ti senti, ragazzo.”
“No, lei non lo sa. Nessuno lo sa.”
 
*
 
 
“Più tardi mi accompagni al Ritz? Devo vedere Caroline per il thè. E porta a casa Winter, per favore, dubito che lo farebbero entrare.”
Clio sorrise a Neit, che annuì mentre camminava a Kensington insieme alla gemella, tenendola sottobraccio mentre i loro “lupi da compagnia”, così li chiamava Edward, trotterellavano davanti a loro annusando la ghiaia e facendo scappare le oche.
“Certo. E salutamela, naturalmente.”
Clio annuì con un cenno e tornò a guardare i due animali: avevano incantato Winter e Sommer in modo che agli occhi dei Babbani apparissero come dei comunissimi cani, visto che due animali del genere avrebbero dato nell’occhio – e fatto fuggire chiunque fosse capitato loro a tiro –.
Winter, l’animale della ragazza, si fermò e si voltò verso la padrona, guardandola con gli occhi blu prima di trotterellare verso di lei e avvicinare il muso alla sua mano per ricevere qualche carezza, facendola sorridere:
“Che ne dici Winter, fuggiamo insieme da questa situazione?”
“Potresti farlo davvero.”
“Lo so. Ma non credo che ne avrei mai il coraggio, Neit. Non vorrei dare questo dispiacere a mamma e a papà, e poi sai che senza di te ed Egan sarei persa.”
“E noi senza di te.”   Neit rivolse alla gemella uno dei suoi rari sorrisi, e Clio lo guardò ricambiando con affetto.
 
“Dai, cambiamo argomento, così ti distrai… Dimmi, come va la scrittura?”
“Oh, bene direi. Ovviamente ti farò leggere tutto, anche se ho promesso ad Egan che prima darò le pagine a lui, quando avrò finito. Penso che finirò il manoscritto entro un paio di settimane.”
“Bene. Sono molto fiero di te, Clio. Mi dispiace solo non poterlo sbandierare ai quattro venti.”


Clio si strinse nelle spalle, gettando un’occhiata alle numerose donne presenti nel parco che passeggiavano da sole o in compagnia del marito, del fidanzato, di un’amica, o ancora spingendo passeggini.
“E’ il triste destino delle donne dei nostri tempi che riescono ad avere successo in qualcosa, temo.”
 
*
 
 
“Elizabeth-Rose, ti ho vista.”
Thomas nascose il viso dietro il bicchiere di vino rosso quando il tono gelido della madre investì lui e la sorella, che era stata appena colta in fragrante mentre passava un pezzo di foie gras a Phobos sotto al tavolo.
“Ma mamma, ti prego, è fegato, mi fa schifo l’idea!”
“E’ fegato d’oca, Elizabeth, e si dia il caso che molte persone, a Londra, non vedranno mai un piatto simile in tutta la loro vita e pagherebbero oro pur di mangiare qualcosa di commestibile ogni giorno.”
Theseus alzò gli occhi azzurri al cielo, piegando il giornale prima di rivolgersi al figlio in tono pacato mentre Elizabeth, borbottando qualcosa contro l’uccisione delle oche per mangiarne il fegato, si sforzava di mandare giù qualche boccone.
“Thomas, com’è andata stamattina?”
“A parte i giornalisti che hanno assaltato la clinica bene, è arrivato anche uno Kneazle che era diventato viola, poverino, dopo aver bevuto una pozione per sbaglio…”
“Giornalisti? E che cosa volevano, di grazia?”
“Beh, sono il cugino di Riocard, credo volessero il parere di qualcuno della famiglia a riguardo, visto che tu sei inarrivabile. Ma non preoccuparti, non ho fatto commenti o dichiarazioni, se la sono svignata quando gli ho aizzato contro uno stormo di Billywig.”
Thomas sorrise, strappando una risata al padre mentre Elizabeth lanciava un’occhiata di sbieco alla madre, che non aprì bocca e continuò a mangiare come se nulla fosse.
Di certo se fosse stata lei ad affermare di aver aizzato dei Billywig contro dei giornalisti si sarebbe sorbita una filippica sulle buone maniere e su ciò che era appropriato o meno, ma ormai ci era abituata.
 
*
 
Piccadilly, Londra
 
Caroline Cavendish uscì dal cancello nord del Green Park, uno dei parchi reali di Londra, per immettersi nella lunga strada di Piccadilly e raggiungere l’imponente e maestoso edificio situato a pochi metri dall’entrata del parco: l’Hotel Ritz, che dalla sua inaugurazione ospitava notoriamente uno dei migliori ristoranti e sale da thè di tutta la capitale britannica.
 
Il portiere in divisa le rivolse un sorriso e un cenno educato col capo, tenendole la porta aperta per farla entrare mentre la ragazza si avvicinava all’ingresso:
“Buonasera, Miss Cavendish.”
“Buonasera.”
Un sorriso cordiale increspò le labbra rosee della strega, che mise piede nella maestosa hall dell’albergo prima di dirigersi con disinvoltura verso la sala da thè che ormai conosceva piuttosto bene: sua madre l’aveva portata lì per la prima volta sei anni prima, quando l’Hotel era appena stato inaugurato, e doveva ammettere di essersene innamorata, tanto che ormai quasi tutti i dipendenti della reception e del ristorante conoscevano per nome lei e alcuni dei suoi familiari.
 
La strega, scorgendo il suo appuntamento delle 17 seduto ad un tavolo rotondo e apparecchiato, sorrise e si diresse verso la cugina, che stava giocherellando con un cucchiaino d’argento, assorta nei suoi pensieri.
“Ciao Clio. Sei qui da molto?”
Caroline si fermò di fronte al tavolo, sfilandosi il soprabito per consegnarlo ad un cameriere mentre un altro le scostava la sedia per sedersi. Clio ricambiò il sorriso e appoggiò il cucchiaino mentre scuoteva il capo, asserendo che fosse in perfetto orario come sempre.
 
“Cosa posso servirvi, signorine?”
“Per me un English breakfast.”
“Io prendo un Irish breakfast, grazie Charles.”
Caroline sorrise al cameriere, che arrossì leggermente e ricambiò prima di allontanarsi dopo aver rivolto alle due un cenno del capo.
Clio, osservandolo divertita, si rivolse alla cugina con un sorrisetto e gli occhi chiari luccicanti:
 
“Se metà dei dipendenti sotto ai 35 anni del Ritz non è innamorata di te Caroline, non so giudicare la bellezza!”
“O gli uomini, cugina.”
“No, gli uomini di Londra sono facili da giudicare.” 
[Chi coglie la citazione di questo scambio di battute riceve un premio, Nda]
 
Caroline roteò gli occhi azzurri ereditati dalla madre mentre due camerieri appoggiavano sul tavolo un’alzata per dolci piena di pasticcini e due piatti che ospitavano una generosa fetta ciascuno delle torte che le due ordinavano più di frequente nei loro incontri:
“Carrot Cake e Victoria Sponge Cake… dici che veniamo qui troppo spesso, considerando che non dobbiamo più nemmeno ordinarle?”
“Pazienza, tanto meglio per noi. Allora, a proposito di uomini… Che cosa ne pensi del testamento di tuo nonno?”
 
Caroline sollevò il piccolo coperchio della teiera dipinta a mano che le era appena stata portata per controllare lo stato d’infusione del tè, mentre Clio se ne versava già un po’ nella tazza prima di aggiungerci un goccio di latte freddo.
“Penso che sia stato il colpo di grazia a mio padre. Non l’ha presa bene, si sente preso in giro, e posso capirlo, in un certo senso.”
“E TU come ti senti? Ti fa piacere essere la posta in gioco per ricevere un’eredità? A me non molto, in effetti.”
Caroline inarcò un sopracciglio e la cugina sospirò, mormorando che alla fine la decisione sarebbe spettata ai loro padri e non certo a loro povere figlie femmine.
“Beh, dubito che tuo padre, così come il mio, ci farebbe sposare il figlio di Rodulphus Saint-Clair, tuo nonno deve averlo fatto di proposito per mettere in difficoltà Edward. Comunque vada la casa non andrà a lui, non subito, almeno.”
“Sospetto che il punto non sia solo la casa, ma ciò che contiene. Hai sentito il notaio, no? Se anche Riocard non l’avesse e tornasse nelle mani di mia nonna, i mobili e il resto andrebbero in beneficienza. Mio padre si ritrova tra dover scegliere se possedere la casa, un giorno, ma priva di non so quanti oggetti dal valore enorme, o se mantenere tutto intatto ma nelle mani del figlio del suo peggior nemico. Anche se, con una di noi a viverci, la casa in un certo senso resterebbe comunque sotto il suo controllo.”


“Quindi pensi che potrebbero costringerci a sposare Riocard?”
“Non lo so Carol, non lo escludo. Non escludo più nulla, ormai. Ieri sera mio padre voleva parlarmi, ma mi sono chiusa in camera mia e ho convinto Egan e Neit a dire a mio padre che non mi sentivo bene. Per ora sono riuscita ad evitarlo, ma prima o poi vorrà parlarmi, e ho quasi paura di sentire cosa ha da dire.
 
*
 
 
“Devo vedere il Signor Saint-Clair.”
 
L’anziano Elfo Domestico rivolse un profondo inchino ad Ambrose prima di riferirgli che il Signore non usciva dallo studio da quella mattina.
Il ragazzo lo ringraziò e con un sospiro mesto si diresse verso la suddetta stanza al primo piano, esitando davanti alla porta prima di bussare.
Non ricevendo alcuna risposta Ambrose esitò prima di bussare di nuovo, questa volta aggiungendo qualcosa a voce alta:
“Ric? Ric, sono io. So che sei qui dentro.”
“Vieni allora.”
Fu quasi un sollievo sentire la voce del cugino, ferma e sarcastica come sempre, e Ambrose non esitò ad aprire la porta per poter entrare nella stanza.
L’ex Serpeverde si bloccò sulla soglia, spiazzato dalla quantità a dir poco scarsa di luce presente nello studio: le finestre erano chiuse, e le ante delle serrande erano state avvicinate tra loro così tanto da far passare nella stanza solo una scarsissima quantità di luce.
 
“Merlino Riocard, ti sei trasformato in un vampiro, per caso? Non so come fai a respirare, qui dentro.”
Ambrose sbuffò e aprì le finestre con un colpo di bacchetta, permettendosi così di scorgere il cugino seduto sulla sedia di pelle che una volta era appartenuta a suo padre, le lunghe gambe appoggiate sulla scrivania e con addosso solo la sua vestaglia di seta rossa.
Riocard sbuffò, mormorando che stava benissimo anche al buio mentre Ambrose andava a sedersi di fronte a lui, guardandolo scettico:
“Oh, lo vedo, come stai benissimo. Sono venuto a vedere come stavi… sarei venuto prima, ma ero alla Gazzetta del Profeta.”
“Oh, sì, l’ho letta.”   Riocard guardò il cugino senza battere ciglio e gli gettò davanti il numero di quel giorno: in prima pagina si leggeva il nome di George Cavendish e dei Saint-Clair, con tanto di foto del defunto mago.
“In seconda pagina c’è anche una foto mia. Mi consolo, almeno sono venuto bene…”
 
“Ric, mi dispiace, è il mio lavoro. Il capo mi ha obbligato a scrivere un pezzo su quanto accaduto, e me l’aspettavo, ma non sapevo che il testamento avrebbe comportato certe cose, per te. Mi dispiace, ma non potevo non menzionarti.”
“Merlino, e io domani dovrei andare al Ministero, sarà tremendo. Tranquillo Ambrose, ti perdono, ma solo perché hai messo una mia bella foto e non sei sceso troppo nei particolari.”
Riocard si stiracchiò e Ambrose sorrise, sollevato che il cugino non ce l’avesse con lui prima di farsi di nuovo serio:
“Va tutto bene? Sai che puoi dirmi tutto, vero?”
“Ma certo Ambrose, sto bene. Sto solo immaginando l’attentato alla mia vita che Edward e Robert Cavendish staranno organizzando mentre parliamo. Forse dovrei assumere un Auror come guardia del corpo, che dici?”
“Come futuro Ministro non dovresti già avercela, scusa?!”
“Sì, ma li liquido sempre, mi infastidisce avere sempre qualcuno tra i piedi! Ma forse dovrei ripensarci, domani lo dirò a zio Theo.”
Riocard si strinse nelle spalle con nonchalance e Ambrose alzò gli occhi al cielo, asserendo che George Cavendish avesse giocato un bello scherzo a tutti loro prima di chiedergli se avesse visto Gwendoline.
 
“No, domani andrò a trovarla, credo… Credo che davvero non ne sapesse nulla, era molto sorpresa. George ci ha proprio presi tutti in giro, eh?”
“Beh, a te non va così male: in un caso non ottieni nulla e la tua vita non cambia, nell’altro sposi una ricca strega di bell’aspetto e ti becchi una bella casa in eredità.”
“Peccato che la strega di bell’aspetto in questione sia una Cavendish! Mio padre tornerà come fantasma e mi perseguiterà!”
Riocard piegò le labbra in una smorfia e il cugino, dopo un attimo di esitazione, lo guardò incerto:
“Sei davvero così convinto che siano stati loro, Ric?”
“Chi altri? Certo che sono stati loro. Non sposerò mai una Cavendish. Mai.”
 
“Beh, non credo che nella nostra famiglia qualcuno avrebbe da ridire, soprattutto zio Theo. Ci guadagneremmo la soddisfazione di umiliarli e di prenderci casa loro, certo, ma credo che chiunque ti capirebbe. Io di sicuro. Comunque vada sarò sempre dalla tua parte, Ric, sei il fratello che non ho avuto.”
Ambrose sorrise al cugino, e l’ex Grifondoro ricambiò, annuendo mentre lo guardava con affetto:
“E tu lo stesso per me. Ti ricordi quando mia madre mi portava da voi e facevamo scherzi alle tue sorelle?”
“Sì, ma quando incollammo Clara ad una sedia lei si vendicò e senza bacchetta trasformò tutti i nostri giochi in rospi… Ah, che ricordi.”
 
*
 
“Oh, stai studiano, che novità. Quando sei tornata dalla Germania pensavo che avessi finito di vederti sui libri… Che cosa leggi?”
Cassiopea si sporse oltre la spalla della sorella minore per sbirciare il libro che Clara stava leggendo, facendo voltare la sorella:
“Un libro di Aritmanzia. Anche a te piacciono i libri, da che mi risulti.”
“Sì, ma io leggo romanzi per il piacere della lettura, tu studi da quando hai imparato a leggere, praticamente.”
 
Clara si strinse nelle spalle, tornando a concentrarsi sul suo libro mentre la maggiore faceva scorrere una mano su uno scaffale di una delle librerie che affollavano la biblioteca del padre e che entrambe “saccheggiavano” da anni, con gran disappunto di John che si ritrovava sempre i libri in disordine.
“Questo perché un giorno vorrei essere più che “la moglie di” o “la figlia di”, destino che a noi donne di buona famiglia spetta nella maggior parte dei casi.”
“Non hai torto, anche se io per ora preferisco non pensarci, al matrimonio. Ah, ecco qua.”
Cassiopea estrasse un libro con un sottotitolo in greco e rivolse un sorriso a Clara, che roteò gli occhi scuri ereditati dalla madre ma si astenne dal commentare.
Aveva passato la maggior parte degli ultimi anni a Jena, in Germania, per studiare, ma si era sempre tenuta in contatto con Colleen, Ambrose e anche sua cugina Elizabeth, che le avevano spesso accennato a Cassiopea e quanto spesso cambiasse frequentazione.
 
“Primo a poi capirò perché non ti piaccio, Clara.”
“Non è che non mi piaci, Cassy. E’ solo che siamo molto diverse, e lo sai anche tu.”
Clara parlò senza voltarsi verso la sorella, con cui, nonostante avesse solo un anno di differenza, non era mai riuscita a legare particolarmente, anzi, fino a pochi anni prima litigavano molto di frequente, con la povera Colleen a fare da intermediaria tra le due sorelle maggiori.
Ambrose aveva tre anni più di lei ed era un ragazzo, e nonostante questo era molto più legata a suo fratello di quanto non lo fosse mai stata a sua sorella maggiore.
“Beh, questo è sicuro. Buono studio.”
 
Cassiopea prese il suo libro e uscì dalla stanza sfogliandolo, incurante delle parole della sorella minore: secondo Clara erano molto diverse, e probabilmente era vero, ma una parte della maggiore era sicura che, infondo, sotto alcuni punti di vista si somigliavano parecchio.
Colleen era l’adorabile e dolce ragazza che nessuno poteva odiare, loro, invece, condividevano l’intolleranza nel farsi mettere i piedi in testa e il desiderio di avere sempre l’ultima parola.
Probabilmente era per questo che avevano sempre litigato parecchio, come ripeteva sempre sua cugina Elizabeth.
 
*
 
Diagon Alley
 
Colleen camminava tenendo al guinzaglio quello che, a prima vista, tutti avrebbero preso per un comune cagnolino – un Jack Russell Terrier, per la precisione – se non fosse stato per la doppia coda.
“Klaus, non spingere, siamo arrivati!”
Il Crup in realtà apparteneva a suo fratello maggiore, ma Ambrose, che dopo una rapida visita a Riocard era dovuto tornare al lavoro, l’aveva pregata di portarlo da Thomas per un controllo visto che da qualche giorno non mangiava quasi nulla e non correva in giro tutto il giorno come suo solito.
Con l’altra mano la giovane strega teneva invece una gabbietta che ospitava una piccola coniglietta bianca: non riuscendo a dire di no ad Ambrose, come sempre, Colleen ne aveva approfittato per portare con sé anche Lady Ophelia, tanto per assicurarsi che stesse bene.
 
La ragazza si fermò davanti all’entrata della clinica dive lavorava il cugino e aprì la porta, che scampanellò segnando il suo ingresso.
 
Ezra sedeva, in attesa di ricevere assistenza per il suo Kneazle tenendolo in braccio, quando la porta della clinica si aprì: attratto dal consueto campanello il ragazzo si voltò quasi senza volerlo, e sentì Merlin irrigidirsi tra le sue braccia alla vista del Crup che era appena entrato.
Il mago strinse istintivamente la presa sull’animale prima di alzare lo sguardo sulla proprietaria del cane, sentendosi raggelare: già era un supplizio, per lui, dover portare Merlin dove lavorava un Saint-Clair, ora per di più ne incontrava persino un’altra.
Non ricordava assolutamente come si chiamasse, ma era certo di averla vista, il giorno prima, al funerale di suo zio. E i capelli rossi non mentivano.
“Potresti prendere in braccio quel… coso, per favore? Non vorrei sbranasse il mio Kneazle.”
Il tono stizzito del mago attirò l’attenzione della strega, che riconoscendolo ammutolì, ma l’esitazione durò solo un paio d’istanti: si ricordò di quello che le diceva sempre sua sorella Clara, ossia di non farsi mettere i piedi in testa da nessuno, soprattutto dai Cavendish, e replicò prontamente:
“Lo… Lo stavo per fare. E solo per educazione, visto che Klaus è buonissimo, non si comporta male nemmeno con la mia coniglietta.”
“Sarà.”
Ezra fece spallucce e Colleen appoggiò la gabbietta di Ophelia vicino ad una sedia prima di prendere Klaus in braccio, dandogli un bacio sulla testa mentre sedeva il più lontano possibile da Ezra, lanciandogli un’occhiata torva.
 
Di norma non nutriva pregiudizi ed era bendisposta verso chiunque, ma Colleen si ricordava molto bene di Ezra Cavendish. E non erano ricordi piacevoli.
 
 
“Ehy Thomas, c’è tua cugina in sala d’aspetto, vuoi occupartene tu?”
“Chi, Clara?”
“No, è una di quelle rosse di capelli, scusa, non ricordo il nome, si somigliano tutte… La più piccola, direi.”
 
Alle parole della collega Thomas sollevò lo sguardo di scatto dalla piccola fenice a cui stava sistemando un’ala prima di annuire:
“D’accordo. Puoi occupartene tu? Io… finisco qui.”
La strega aggrottò la fronte, confusa, e guardò il collega con aria dubbiosa:
“Sei sicuro? Sai, l’altra persona in attesa è…”
 
“Il mio Kneazle morirà di vecchiaia, di questo passo!”
Theresa non ebbe bisogno di pronunciare quel nome, perché udendone la voce attraverso la porta che la collega aveva aperto Thomas piegò senza volerlo le labbra in una smorfia, mentre un nome si faceva strada nella sua mente.
 
Ezra Cavendish
 
“Miss Saint-Clair? Venga pure con me. Signor Cavendish, il suo Kneazle tra poco starà benissimo.”
La strega rivolse un cenno a Colleen, che le sorrise grata – anche e soprattutto per non dover più stare nella stessa stanza, e da sola, con Ezra Cavendish – prima di alzarsi. Il ragazzo borbottò qualcosa sul fatto che ovviamente lei veniva servita per prima essendo la cugina di Thomas Saint-Clair quando la voce del suddetto mago giunse alle sue orecchie:
 
“Se hai finito di lamentarti, posso visitare il tuo Kneazle.”
Ezra si alzò e guardò dubbioso il mago, l’animale ancora in braccio:
 
“Non è che me lo ucciderai di proposito, vero Saint-Clair?”
“No, sono troppo professionale e amo troppo gli animali, temo. Nella mia famiglia non uccidiamo nessuno di proposito.”
Thomas prese Merlin dalle braccia del padrone e Ezra aprì la bocca, scandalizzato, per ribattere all’offesa, ma Thomas era già sparito dietro una porta.
 
*
 
“Nonna, ma mi stai ascoltando?”
“Certo che ti ascolto, tesoro, pensi che noi donne non sappiamo fare due cose contemporaneamente? Ti confondi con gli appartenenti al tuo genere, caro.”
Egan alzò gli occhi azzurri al cielo, ma non osò controbattere mentre Gwendoline, davanti a lui, si dedicava con minuziosa attenzione alle sue rose con addosso guanti di pelle di drago per non pungersi e delle cesoie in mano.
Quando erano piccoli Gwendoline vietava ai nipoti di entrare nella serra senza di lei: nessuno poteva avvicinarsi ai suoi amati fiori, che curava con dedizione, tantomeno dei “bambini irruenti e combinaguai”. Inoltre, diceva sempre la donna, temeva che potessero pungersi, visto quanto amavano curiosare e toccare qualsiasi cosa a portata di mano.
Ovviamente ciò aveva solo alimentato la curiosità sua e di Clio, e più e più volte avevano architettato piani per intrufolarsi nella sera, finendo sempre scoperti dall’arguta nonna e riportati da Estelle per un orecchio.
 
“Nonna, davvero non ne eri al corrente?”
“Assolutamente no, caro. Immagino che George non me l’abbia detto perché sapeva che avrei cercato di persuaderlo a cambiare idea: non che non voglia bene a Riocard, ma questa trovata servirà solo a gettare altra benzina sul fuoco.”
 
Gwendoline prese con delicatezza una rosa rossa appena sbocciata con una mano, studiandone i petali con attenzione prima di sorridere:
“Perfetta.”
“Papà è furioso, lo sai vero?”
“Oh, certo che lo so. Clio come sta?”
“Molto turbata. Non pensi che… che papà le farà sposare Saint-Clair per la casa, vero nonna? Insomma, comunque se non si sposassero andrebbe a te, e alla fine sarà lui ad ereditarla, ovviamente. La avrà, prima o poi.”
Egan seguì la nonna in mezzo ai fiori, guardandola scuotere il capo con sincera preoccupazione:
“Caro, so che tieni molto a Clio, ma credimi. Sposare Riocard non sarebbe il destino peggiore, per lei.”
Il ragazzo esitò e la donna, voltandosi verso di lui, gli rivolse un debole sorriso:
“So che voi non vi sopportate, Egan, ma ti assicuro che non è un cattivo ragazzo. Sia quanto ti voglio bene, ma sono affezionata anche a lui… è mio nipote anche lui.”
“E’ diverso.”
“Oh tesoro, sai che ti adoro! Da piccolo eri così geloso di Riocard, non ne hai idea! Infondo però un po’ vi somigliate, credimi.”
 
Egan sfoggiò una smorfia, ma non osò contraddire la donna prima di porle un’altra domanda:
“Perché ho diversi ricordi di Riocard a casa nostra, nonna? Lo portavi tu da noi?”
 
Gwendoline stava per potare una rosa che stava appassendo quando, sentendo quella domanda, fermò la mano a mezz’aria e si voltò verso il nipote più giovane, seria in volto:
“Questo lo devi chiedere a tuo padre, Egan.”
 
*
 
 
Caroline aveva appena messo piede dentro casa quando le sentì: le urla. Sua madre e suo padre stavano litigando, da quel che poteva sentire.
La strega sospirò, preparandosi psicologicamente a dover fare da intermediario tra i suoi genitori – quando di sicuro il motivo della lite aveva a che fare con il testamento e con lei – quando dalla porta del salotto aperta comparve Ezra, che doveva averla sentita entrare.
“Ezra, che succede?”
Il fratello non le rispose e la raggiunse in fretta scuotendo il capo, prendendola per un braccio quasi per trascinarla di nuovo fuori dall’ingresso sotto lo sguardo attonito della strega:
 
“Ezra, che diavolo stai facendo?”
“Meglio se fingi di non essere mai tornata a casa, Carol. Va’ da qualcuno, fidati. Vai da Clio, o da Mary… Torna più tardi, è meglio.”
“Ma Ezra… EZRA, APRIMI SUBITO!”
Il fratello minore le chiuse la porta alle spalle, chiudendola fuori, e la strega sbuffò, furiosa. Se gli fosse stata meno affezionata probabilmente si sarebbe ripromessa di fargliela pagare, ma si limitò a guardarsi intorno per controllare che la strada ormai buia fosse deserta – arrendendosi al fatto che il fratello, testardo com’era, non avrebbe mai cambiato idea – prima di Smaterializzarsi.
 
*
 
“Dovremmo rientrare, si sta facendo buio.”
“Rilassati Tommy, siamo maghi diplomati e adulti. Mi andava di prendere un po’ d’aria.”
Elizabeth-Rose sollevò la testa all’indietro per gettare un’occhiata al cielo ormai quasi completamente buio mentre procedeva al passo sul suo cavallo baio accanto al fratello maggiore, mentre Phobos e Deimos trotterellavano vicino al cavallo della padrona.
“Sono un po’ in pensiero per Ric.”
“Ric è un osso duro sorellina, non ti preoccupare… A me la situazione per certi versi quasi diverte, te la immagini la faccia di Edward Cavendish? Avrei pagato per poter assistere, davvero.”
Thomas sorrise, gli occhi azzurri luccicanti nell’oscurità mentre Elizabeth roteava lo sguardo e accendeva la punta della sua bacchetta con un Lumos non verbale, tenendola insieme alle redini di cuoio.
 
“Te lo immagini, Riocard sposato con una Cavendish? Proprio lui? Forse George gli era affezionato, ma credo che in questo caso gli abbia fatto un tiro davvero meschino.”
“Puoi vederla così, Lizzy, oppure pensare che volesse mettere in difficoltà la sua, di famiglia. E poi George conosceva Ric, sapeva che è un bravo ragazzo e che, in ogni caso, alle sue nipoti finire sposate con lui non andrebbe poi così male.”
Thomas sorrise e la sorella si voltò a guardarlo, la fronte leggermente aggrottata:
“A volte ci penso, sai? Che nessuno di noi si è ancora sposato… E’ quasi un po’ strano, non trovi?”
“Forse un po’, ma finchè nessuno ci costringe, tanto meglio per noi. Secondo chi si sposerà per primo, tra di noi?”
“Io punto su Cherry, è troppo adorabile. Oppure su Ambrose o Ric, le ragazze li adorano.”
“E tra noi due?”
 
Thomas piegò le labbra in un sorrisetto divertito che la sorella minore imitò mentre si voltava verso di lui, parlando con un tono che ricordava molto quello vagamente altezzoso che sua madre sfoggiava quando discuteva con Alexis:
“Io, naturalmente, visto quanto sono meravigliosa.”
“Oh, certo, come ho potuto anche solo chiedermelo…”
“Dai lumacone, ho fame e la cena sarà in tavola tra poco… Chi arriva per ultimo a casa offre un pranzo fuori.”
Elizabeth fece partire il suo cavallo al trotto con un colpo di talloni e poi al galoppo puntellandogli il collo con il frustino, facendo sbuffare il fratello mentre la imitava con qualche istante di ritardo:
“Sei sempre la solita, Lizzy!”
 
*
 
“Caroline?”
“Ciao Mary. Scusa l’assenza di preavviso, ma… diciamo che non potevo stare a casa mia, stasera. Posso entrare?”
La bionda sfoggiò un sorriso di scuse e l’amica, guardandola sorpresa, si spostò per farla entrare in casa:
“Che cosa è successo? Ha a che fare col testamento di George Cavendish? Se ne sentono di tutti i tipi da ieri, sai? Mi aspettavo una tua lettera.”
“Te l’avrei scritta stasera, ma quando sono arrivata a casa i miei genitori non erano in vena di accogliermi, e credo stessero discutendo proprio per quello… Ezra mi ha gentilmente consigliato di non farmi trovare a casa per ancora un paio d’ore, ti dispiace?”
“No, affatto, tanto John non è in casa… e loro sono sempre felicissime di vederti. Ragazze, venite a vedere chi è venuto a salutare!”
 
La padrona di casa si voltò verso l’ingresso del salotto, dal quale spuntarono quasi immediatamente due bambine che sorrisero a Caroline prima di correrle incontro:
“Zia Carol, ciao!”
“Zia, guarda, ho un vestito nuovo, la mamma me l’ha fatto fare la scorsa settimana!”
 
“Ciao signorine… Come state? Sono felice di vedervi.”
La strega sorrise alle figliocce e si chinò per abbracciarle sotto lo sguardo della sua migliore amica ed ex compagna di scuola, che a differenza sua era stata costretta a sposarsi appena diplomata con un uomo che a dir poco detestava.
“Ci racconti una delle tue storie, zia?”
“Ma certo tesoro, andiamo di là.”
 
Caroline sorrise e, presa in braccio Abigail, la più piccola, s’incamminò verso il salotto con l’amica al seguito, che la guardò sorridendo lievemente:
“Mi dici quand’è che ti sposi, Carol? Sei una di quelle persone nate per essere genitori.”
“Mary, ci pensa già mia madre a farmi sentire vecchia perché a 26 anni non sono ancora sposata, non ti ci mettere anche tu.”
 
*
 
Estelle si avvicinò alla poltrona che Edward aveva occupato davanti al camino acceso, mettendogli una mano sulla spalla prima di sorridergli:
“Come stai, caro?”
“Sono stato meglio, direi. Mio padre mi ha preso in giro fino alla fine. Anzi, me l’ha fatta pagare fino alla fine. Non mi ha mai perdonato. E io non perdonerò mai lui.”
 
“Se solo permettessi a qualcuno di aiutarti… Non ne hai mai parlato neanche con me. Perché tuo padre si arrabbiò tanto con te?”
Edward non rispose, limitandosi a riempire magicamente il bicchiere che teneva in mano di vino rosso prima di berne un sorso, fissando i tronchi che bruciavano nel caminetto.
“Non credo che te lo dirò mai Estelle. Non a te.”
“Perché non a me? Lo sai che ti sono sempre vicina e che non ti giudico! Puoi dirmi qualsiasi cosa.”
 
Edward si voltò verso la moglie e le sorrise, allungando una mano per prendere la sua mentre la guardava con affetto:
“Lo so. Sai che cosa mi ferisce di più, Estelle?”
“Che cosa?”
“Non l’eredità. Non che mio padre abbia lasciato la sua casa ai Saint-Clair… o la sua carica. Mi ferisce di più che mio padre, in punto di morte, mi abbia chiesto se avessi ucciso Rodulphus. Lo pensava davvero, Estelle. Mio padre mi pensava davvero capace di uccidere qualcuno… Per di più proprio Rod.”
 
*
 
 
“Posso entrare?”
“Ciao mamma.”
 
Il tono con cui Clio accolse la madre era molto meno allegro e vitale del solito, e Estelle chiuse la porta della stanza con un sorriso prima di avvicinarsi alla figlia, che se ne stava stesa a letto completamente vestita. La donna sedette sul materasso e allungò una mano per allontanare una ciocca di capelli dal viso della ragazza prima di parlarle con il tono gentile che utilizzava sempre e solo quando i figli erano malati o in difficoltà:
 
“Come stai? Hai visto Caroline oggi?”
“Sì, al Ritz. Ne abbiamo parlato un po’, ma lei mi sembra stare bene. Probabilmente si è arresa al fatto che se suo padre dovesse decidere di farla sposare con Riocard dovrebbe farlo senza obbiettare.”
“E tu come stai?”
“Non lo so. Pensi che papà deciderà di farmelo fare? Non è nemmeno per Riocard, mamma, è che non mi piace l’idea di essere una merce di scambio.”
“Purtroppo è il destino di molte di noi, Clio. Ma tuo padre ti vuole bene, lo sai. E Riocard Saint-Clair… Egan lo detesta, ma se Gwendoline è affezionata a quel ragazzo, dubito che possa essere davvero tanto male.”
“Speravo che mi sarei sposata per amore, però.”
“Ed è quello che ti auguro, Clio. Io sono stata molto fortunata, malgrado l’idea che molti hanno di tuo padre, sapete quanto tenga a lui. Spero che anche tu avrai una fortuna simile, tesoro. Va’ a dormire presto, ok? Domani pranziamo tutti insieme e ne parliamo con calma.”
 
Clio annuì e Estelle si alzò per uscire dalla stanza e lasciarla sola, rivolgendole un’ultima occhiata prima di chiudere la porta della camera. La strega esitò sulla soglia, poi si decise e si diresse al pian terreno per raggiungere il marito.
 
*
 
Non aveva voluto disturbare la sua amica fino a tardi, e quando le bambine erano andate a dormire Caroline si era congedata. L’idea di tornare a casa e trovare il padre e la madre impegnati in una lite però non la entusiasmava, così si era attardata per una passeggiata.
Stava camminando lungo il Tamigi quando scorse una figura che camminava nella direzione opposta, diretta verso di lei.
 
“Per una Signorina non è sicuro girovagare per Londra da sola di sera, Caroline!”
 
Le parole che più e più volte aveva sentito udire dalla madre le tornarono in mente all’improvviso, e la ragazza stava quasi per prendere la bacchetta sotto al soprabito – per sicurezza – quando si rese conto di conoscere, anche se vagamente, la persona che aveva davanti.
 
“Giuro che non intendo rapirvi per sposarvi contro la vostra volontà, Signorina.”
“Oh, siete voi. Buonasera.”
Le labbra di Caroline si distesero in un sorriso quasi rilassato mentre Riocard si fermava di fronte a lei, realizzando al contempo che probabilmente per suo padre quell’incontro non era meno grave che imbattersi in un malintenzionato.
 
Riocard che la studiò brevemente, la fronte aggrottata, prima di parlare:
“Ritenete che sia saggio per voi girovagare da sola a quest’ora a Londra?”
“Mia madre direbbe la stessa cosa, nutrite tutti molta poca fiducia nella nostra città.”
 
“Io non vivo qui, sono venuto solo per passeggiare e distrarmi un po’. Come voi, credo.”
Riocard si voltò per guardare il Tamigi, evitando di rendere noto alla strega che spesso passeggiava proprio lì con George, fino a poco tempo prima.
Il mago tornò a rivolgersi alla strega e abbozzò un sorriso, inclinando leggermente il capo con aria divertita:
“Voi non siete come loro, vero?”
“Che cosa volete dire con questo?”
“Beh, innanzitutto vostro fratello. Eravamo dello stesso anno ad Hogwarts, e non mi sembra che vi somigliate molto. Vostro zio lo diceva, sapete? Che le sue nipoti erano molto diverse dal resto della famiglia. E ammetto che si vede, che siete una persona gentile.”
 
“E da che cosa?”
“Beh, da come mi avete salutato. Vostro fratello o i vostri cugini di certo non l’avrebbero fatto. Andate a casa Signorina, o qualcuno potrebbe davvero rapirvi per sposarvi contro la vostra volontà.”
Riocard le rivolse un cenno educato e la superò, le mani nelle tasche.
Caroline si voltò e lo seguì con lo sguardo. Clio non aveva avuto torto nel definirlo “enigmatico”, poco ma sicuro.
 
*
 
 
“La nonna mi ha detto di chiederlo a papà, ma non so se mi direbbe la verità, quindi preferisco chiedere prima a te.”
“A proposito di cosa?”
Neit, che stava giocando a scacchi con Ezra – dopo che il cugino si era presentato alla loro porta affermando di essersi defilato da casa per una lite tra i suoi genitori che non aveva voglia di sentire – alzò lo sguardo sul fratello minore con sincera sorpresa: Egan gli era molto affezionato, ma crescendo le occasioni in cui gli aveva chiesto consiglio o aiuto si erano fatte sempre più sporadiche.
 
“A proposito di Riocard Saint-Clair.”
“Non nominarli, oggi ho portato Merlin dal veterinario e ovviamente ho dovuto farlo curare dal Saint-Clair con i capelli scuri!”
“Credo che si riferisca a Thomas… Egan, vai avanti.”
“Ricordi che quando eravamo piccoli a volte Riocard veniva qui? Ho chiesto alla nonna se era lei a portarselo dietro, visto che per qualche strano motivo gli è molto affezionata, e lei mi ha detto che devo chiederlo a papà. Tu ne sai qualcosa?”
“Beh, io da piccolo non uscivo molto a giocare all’aria aperta, Egan… ma davvero non ricordi?”
 
Neit guardò il fratello ancora più sorpreso, quasi non riuscisse a credere che gli avesse fatto una simile domanda mentre il minore, sbuffando, scuoteva il capo, sempre più impaziente:
 
“Che cosa, di grazia?”
“Beh… Riocard non veniva qui con la nonna. Veniva qui con suo padre.”
“Suo padre?! In che senso, scusa? Nostro padre non gli lanciava una maledizione sono vedendolo da lontano?”
 
“Non a quel tempo. Nostro padre e Rodulphus Saint-Clair erano amici, Egan. Grandi amici, prima che il nonno lasciasse a lui la carica.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
……………………………………………………………………
Angolo Autrice:
Buonasera!
Eccomi come promesso con il capitolo del mercoledì, grazie a tutte per le recensioni che avete lasciato a quello della scorsa settimana 😊
Mi sono resa conto che il capitolo è davvero bello lungo, spero che a nessuno dispiaccia – onestamente non lo condivido, ma una volta mi è arrivata una recensione piena di lamentele perché il capitolo era lungo, quindi chiedo perché non si mai – e che sia stato di vostro gradimento.
Ora, nel prossimo capitolo credo proprio che ci sarà una bella domanda per voi sulla questione coppie, quindi vi consiglio di cominciare a rifletterci (spero non sia troppo presto, ma onestamente i personaggi sono pochi, quindi non credo che sarà troppo difficile per voi individuare chi potrebbe stare bene con il vostro e chi invece no) mentre, per questa settimana, ho un altro quesito per voi:
  • Nella scheda vi ho chiesto che cosa pensasse il vostro OC della famiglia “avversaria”, ma si trattava ovviamente di una domanda abbastanza generica, considerando che ancora non c’erano gli OC. A questo punto, quindi, stabiliti i rapporti tra i personaggi all’interno della stessa famiglia, vi chiedo di dirmi che cosa potrebbe pensare il vostro personaggio nello specifico dei fanciulli dell’altra famiglia (ovviamente fatte le dovute esclusioni, per esempio abbiamo appurato che Egan ed Ezra detestano Ambrose e Riocard e viceversa), soprattutto quelli vicini per età e che quindi hanno frequentato insieme Hogwarts.
A presto e buona serata!
Signorina Granger
   
 
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