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Autore: Calime    01/10/2020    1 recensioni
[Modern!AU + Age gap]
1) Quel party che Ade voleva snobbare - Se avesse avuto parecchi anni di meno – magari fosse stato un suo coetaneo –, Ade sarebbe arrossito per la vergogna di essere stato smascherato.
7) Il segno - C’era di mezzo una donna. Ade aveva una donna, per forza.
11) Waiting for Superman - «Senti, facciamo così: ti accompagno io a casa» le propose.
12) Distrazioni - Certo, poteva anche esserselo sognato – e solo gli dèi sapevano quanto e cosa, come, chi, sognasse ogni notte –, eppure ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
20) Più prezioso dell'oro - «Non vi pagheranno il riscatto» mormorò, poi, mettendo in chiaro quello che, probabilmente, sapeva bene anche lui.
23) Una giovane e impulsiva stagista - Ade alzò un angolo delle labbra, divertito. «Non risale alla scorsa settimana la tua ultima ramanzina?»
24) Insonnia - «È ancora presto»
25) Popolarità - Fu un gemito strozzato e Persefone alzò gli occhi su Ade, allarmata.
26) Creare la giusta atmosfera - «Così è troppo semplice» sbuffò.
Raccolta di storie scritte per l'iniziativa del Looktober 2020 di LandeDiFandom.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Persefone
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Looktober 2020'
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Iniziativa: Looktober 2020 di LandeDiFandom
Prompt: 1. Abito da sera
Note: Mi butto su una challenge (again!). Dopo aver osservato da lontano le bellissime iniziativi di ottobre già da un paio di anni, questa volta ho voluto essere più partecipe. Non so ancora se durerò fino alla fine, ma spero in ogni caso di regalarvi delle scenette godibili. Al momento, credo che andrò sul modern!AU con ambientazione ripresa da Riunione di famiglia.
Titolo zuccheroso della raccolta da Adore You di Harry Styles, perché fluff fa tanto bene.
Infine, trovate tutto anche su AO3.
Buona lettura!








01. Quel party che Ade voleva snobbare




Splendeva.
Splendeva e abbagliava, e lo attraeva a sé come le sirene con Odisseo. Nessuno l’avrebbe salvato: per questo, stava lì come un allocco a spiarla, a osservarla muoversi tra la folla, o a parlare con gli ospiti, sperando e paventando che si accorgesse di lui.
Fosse andata via la corrente, per Ade non ci sarebbe stata alcuna differenza: così come riusciva a vederla in quel momento, l’avrebbe vista con altrettanta nitidezza al buio.
Quell’infatuazione per Persefone l’aveva condotto a uno stato di follia tale che sperare di guarirne un giorno pareva altrettanto folle; d’altronde, aveva letto abbastanza romanzi da sapere che, in un universo fittizio e cartaceo, uno come lui, troppo serio, troppo cupo, troppo asociale, era condannato a soffrire per un amore impossibile. Dato che la fantasia prendeva spunto sempre dalla realtà, era doppiamente fregato.
Ade mandò giù l’ultimo sorso del cocktail di benvenuto, che gli avevano servito all’arrivo a quello stupido party aziendale di cui non aveva voluto saperne nulla fino all’ultimo, fino a quando qualcosa gli era scattato in testa: una vocina, quella vocina, la solita che lo rimbecilliva, che gli sussurrava suadente, ogni volta che c’era Persefone in giro, che lei lo stesse guardando, che lo stesse salutato, che gli si sarebbe avvicinata se soltanto non fosse stata bloccata da Artemide – o, peggio, da Demetra, o da chiunque altro avesse avuto qualcosa da dirle. Quella stessa vocina gli aveva iniettato una malsana curiosità: vedere Persefone in un contesto diverso dalle ricorrenze in famiglia.
Patetico.
Doveva essere uno spettacolo pietoso in quel momento: in un angolo, fuori dalla baldoria del buffet e dalla confusione della pista da ballo, a impersonare il vecchio maniaco – ruolo che non avrebbe mai voluto togliere al fratello Zeus.
Ironicamente, quella definizione gli calzava a pennello: era vecchio, più vecchio di lei, troppo vecchio per pensarla come non avrebbe dovuto, e maniaco per non riuscire a levarle gli occhi di dosso.
Ma con quale forza di volontà avrebbe dovuto distogliere lo sguardo? Il motivo per il quale si trovava in mezzo ai festeggiamenti per l’anniversario della fondazione della compagnia di famiglia era proprio Persefone.
Per l’occasione la ragazza aveva dismesso i consoni indumenti, più comodi e pratici, per sfoggiare un abito lungo, in accordo con il dress-code: la serata di alta classe che Era aveva preteso per far morire d’invidia le altre donne con un sofisticato vestito cucito su misura dalle maggiori firme della moda; mancava solo il red-carpet e gli ospiti l’avrebbero scambiata per la serata degli Oscar, dacché Zeus non aveva badato a spese per il catering, le decorazioni e la musica.
Aveva dovuto adattarsi anche lui, ma per gli uomini era più semplice: bastava mettere su un completo, una camicia ben stirata e inamidata, una cravatta ed eventualmente un fazzoletto o un fiore nel taschino della giacca. E, poiché di giacche e cravatte viveva, non era stato un grosso disturbo.
Ad ogni passo o giro che compiva Persefone, la gonna morbida del vestito l’accompagnava in un tripudio di sfumature verdi e sinuose stampe floreali, mentre la scollatura lasciava scoperta abbastanza pelle da risultare sensuale ma non troppo, perfetto per lei.
Perfetto anche per farlo scivolare con facilità giù, lungo le braccia, e scoprire così ciò che celava al di sotto.
«Non balli?»
Per fortuna che Ade avesse già deglutito l’ultimo sorso del drink, altrimenti sarebbe morto affogato. Sebbene, vedendo chi gli stava innanzi, non era certo di esserne scampato.
«Tutto bene?»
«Sì», annuì, ricomponendosi in fretta per non farla preoccupare più del dovuto. «Sì, grazie».
Persefone sospirò e sorrise sollevata. «Non volevo spaventarti».
«No, ero distratto». A pensare a te, ma non lo disse e, anzi, non volendola mettere troppo a disagio, le rivolse ancora la parola. «Ti stai divertendo?»
Forse, sarebbe stato meglio avvertirla di scappare, o spingerla a tornare al centro della sala da ballo, alla luce, poiché lì, nella penombra vicino ai muri, poteva incorrere nel lupo cattivo.
Interessarsi a lei risultava davvero inappropriato. Non era la prima volta che scambiavano convenevoli, solitamente si salutavano con piccoli segni – come fosse un segreto –, ma raramente gli si era avvicinata così tanto e da sola.
Gli occhi di Persefone brillarono di entusiasmo. «Oh, sì! È tutto stupendo! Le luci, la musica… Mai vista così tanta gente tutta in una volta!»
Ade abbozzò un ghigno divertito. «Vestita bene, stranamente».
Persefone rise e lui sentì ammorbidirsi quel cuore duro che batteva nella cassa toracica. «Ognuno ha la propria idea di eleganza» ribatté.
«Non definirei Poseidone e le sue camicie fuori dai pantaloni “eleganza”, neppure sotto tortura». Storse il naso, schifato. «Vale lo stesso per Ares e i suoi sandali con i calzini».
Lei ammiccò. «Tu, invece, sei sempre vestito bene».
Ade non poté che essere d’accordo. «Anche tu stai benissimo», si lasciò sfuggire ma il rossore che provocò alle sue guance lo ripagò. «I colori dei fiori sono molto belli» aggiunse non troppo sicuro di aver detto la cosa giusta.
«Grazie, ma, non prestando particolare attenzione al mio abbigliamento giornaliero, credo di far parte della maggioranza delle persone qui dentro che si è vestita bene soltanto per questa serata».
L’ammissione lo intenerì. «Allora hai un talento naturale nel vestire. Anche se mi stai dando troppo credito… Non m’interesso di moda. Ho solo compreso troppo presto che gli abiti sono la prima cosa che le persone vedono e giudicano».
«È un po’ triste, ma hai ragione» ammise Persefone. «Ed ecco spiegato perché non ti vediamo mai in jeans e maglietta», ridacchiò lasciandosi andare alla complicità che si era creata tra di loro.
Ade attese che facesse una battuta sul come lui prendesse troppo seriamente il lavoro, ma venne sorpreso.
«Ti andrebbe di ballare?» gli domandò lei, inclinando la testa di lato. Le ciocche sfuggite all’acconciatura in cui aveva raccolto i capelli le accarezzarono la spalla e il braccio come desiderava fare lui.
No.
No. Assolutamente, no.
Primo, lui non ballava, non sapeva ballare, non aveva proprio il minimo senso del ritmo e, secondo, quello doveva essere di sicuro un sogno perché così tanto tempo insieme non l’avevano mai trascorso.
Dov’era Demetra?
«Scusami», la sentì mormorare. «Fai finta che non ti abbia chiesto niente».
Fu la sua voce sottile e velata di delusione a riportarlo con i piedi per terra. Non le aveva risposto e chissà per quanto si era protratto il silenzio.
«Come?» farfugliò, confuso.
Persefone scrollò le spalle. «Non ti ho mai visto prendere parte attiva alle feste… Mi sento stupida ad averti invitato a ballare quando, credo, non ti piaccia».
«No, non-» tentò di ribattere ma lei scosse la testa.
«Va bene così, possiamo rimanere qui a parlare».
Rimanere lì a parlare.
Ade assaporò il suono della sua voce e le immagini che scaturirono dalle sue parole, il calore che si irradiò da dentro, il piacevole tumulto che lo stordì.
«Se ti va» aggiunse lei, poco dopo, per non imporgli la propria presenza.
Ma non c’era nulla di imposto, nessuna costrizione, e gli venne naturale prenderle le mani, in un gesto fluido, come se l’avesse fatto da sempre.
«Va bene ballare» dichiarò. Se è con te, aggiunse.
Persefone tentennò. «Pensavo…» balbettò, arrossendo appena di compiacimento.
«È vero che non mi piace ballare, ma non mi piacciono neppure le feste».
La ragazza gli si avvicinò di un passo, spiandolo da sotto. «Allora possiamo farlo qui. Così, non dovrai sopportare di stare in mezzo a gente che sgomita e si sbraccia, ubriaca». Intrecciò le dita delle loro mani e serrò la stretta.
Ade masticò una risata isterica, ma non si ritrasse. «Tua madre mi ucciderà».
Persefone appoggiò una guancia sulla sua spalla e chiuse gli occhi, respirando il profumo della sua colonia. Percepì il suo irrigidimento immediato, che altrettanto velocemente passò, e sperò di non essere stata troppo inopportuna.
«Mia madre è ben satolla, di cibo e vino, grazie ad Ebe» sospirò, appagata. «Sta dormendo sul divano dall’altro capo della sala ormai da qualche ora».
Ade aggrottò la fronte, impensierito. In effetti, era da un po’ che si chiedeva come mai Demetra non fosse arrivata di corsa a prenderla: la mezzanotte era passata già da un po’ e, conoscendola, quella era l’ora giusta di far rincasare una figlia perbene.
Quando Persefone iniziò ad ondeggiare a ritmo della musica – un pezzo lento, moderno e, per questo, disgraziatamente pieno di suoni elettronici e bassi che avrebbero reso sordo chiunque –, la seguì.
«Non so ballare, in realtà» le confessò dopo un po’, quando riuscì ad abituarsi alla sua vicinanza tanto da appoggiare il mento sulla sua nuca, tra i suoi capelli freschi di shampoo.
Persefone sbuffò un divertito: «L’avevo immaginato».
Se avesse avuto parecchi anni di meno – magari fosse stato un suo coetaneo –, Ade sarebbe arrossito per la vergogna di essere stato smascherato; invece, aveva vissuto abbastanza esperienze da non saper quasi più cosa significasse. Di contro, ammirò Persefone per quello: non era da tutti riuscire a leggere le persone così, soltanto notando i loro atteggiamenti. Un tratto che, probabilmente, aveva ereditato dal padre. Di Zeus potevano dire tutto – che fosse un donnaiolo, infedele, amante della bella vita –, ma sapeva come gestire brillantemente una compagnia di tali dimensioni.
Gli era impossibile dire cosa l’avesse intrigato di lei, se la gentilezza, l’affabilità, o la furbizia che nascondeva sotto il vivace sorriso. Forse tutto quanto – e non vedeva l’ora di scoprire altri lati di lei.
Quando la traccia finì e cominciò la successiva, stavano ancora dondolando avanti e indietro e nessuno dei due pareva volersi fermare, o dava cenni di cedimento.
Ade volle essere audace, rischiando come in poche occasioni nella propria vita, e compì un passo di lato. A quello ne seguì un altro, fino a quando non si ritrovò ad abbracciarla dalla vita e con le sue braccia allacciate dietro il collo.
In quella nuova posizione poteva accarezzarle la pelle della schiena scoperta dalla stoffa leggera del vestito, poteva guardarla negli occhi finché avesse voluto, poteva farle compiere delle giravolte, oppure sollevarla e farla piroettare in aria, provocandole risa di sincero divertimento.
Era splendida. Sempre, ma quella sera di più.
Grazie a lei, aveva dimenticato la presenza di migliaia di persone in sala, tra parenti, personale, partner e sconosciuti, e l’eventualità di essere scoperti – anche se Persefone cercava di trattenere la voce, qualcuno avrebbe potuto sentirla.
«Avevi detto di non saper ballare» lo rimproverò lei, bonariamente.
Ade stette al gioco. «È uno dei miei tanti talenti nascosti».
«O, magari, sono io a farti questo effetto». Persefone lo disse in tono scherzoso, ma aveva negli occhi un luccichio di consapevolezza e le labbra piegate in un sorriso furbo.
La musica non s’interruppe, ma il loro danzare sì.
«Mi sono accorta dei tuoi sguardi» mormorò lei. «So che mi guardi. Sempre. Ossessivamente».
«Persefone, non-», cercò di interromperla per negare, per dirle che non era il maniaco che poteva sembrare, ma lei fu più veloce.
«All’inizio pensavo che fosse perché non ti piacevo, che non mi sopportavi per qualche strano e assurdo motivo – non mi conoscevi nemmeno. E neppure mi salutavi quando ti salutavo, ma poi… Poi, ho capito che non lo facevi con nessuno, che nessuno lo faceva a te, e, invece, un cenno a me l’hai sempre fatto – mi ci è voluto un po’ per notarlo», prese un respiro e continuò. «Stai sempre sulle tue, sei lontano e irraggiungibile, ma io sono qui. Io riesco a raggiungerti: è bastato soltanto insistere e ignorare la tua freddezza, le tue parole spicciole, i tuoi monosillabi».
Sentire dalla sua bocca l’esatta descrizione di ciò che aveva passato e del suo carattere, lo impressionò. Fu terribile e si sentì denudato di tutto, con l’animo e il cuore spezzati.
Ade non sapeva se sarebbe stato graziato o se lei l’avrebbe completamente distrutto.
«Mi dispiace, se le mie attenzioni ti hanno infastidita o, peggio, impaurita. Non era mia intenzione».
Persefone scosse la testa. «Te l’ho detto. Se avessi avuto paura di te, avrei iniziato ad ignorarti anche io, come il resto del mondo».
«E non l’hai fatto». Si sentì stupido a sottolinearlo, senza neppure porlo come un quesito.
«No, non l’ho fatto» affermò in un sussurro lei, prima di sbilanciarsi in avanti, contro di lui, di alzarsi sulle punte aggrappandosi alla giacca del suo completo, per chiudere definitivamente quel discorso.
Ade percepì il leggero tremore delle sue labbra, quando le poggiò sulle proprie, e rispose con altrettanta dolcezza, lasciando che si scambiassero calore e sentimenti attraverso quel semplice contatto.
«No» protestò lui, staccandosi a malincuore per riprendere lucidità e farla ragionare. «No» ripeté con fermezza, stringendole le spalle e guardandola con mortale serietà negli occhi vispi. «Io-», cominciò ma venne interrotto.
«Hai come minimo l’età di mio padre e, anzi, potresti anche esserlo» completò lei, come fosse nulla. E, no, non era nulla. Era tutto.
Ma Persefone riuscì a togliergli anche la forza di ribattere a quell’argomento che costituiva il peggiore dei motivi per i quali quello che era appena accaduto non sarebbe mai dovuto accadere; così, deformò il volto in una smorfia affermativa.
«Be’, per fortuna». Persefone gli si aggrappò alla cravatta affinché lui si abbassasse arrivandole di nuovo troppo, troppo vicino. «Per fortuna, non lo sei», soffiò, infine, prima di baciarlo profondamente.
Delle altre argomentazioni con cui Ade avrebbe potuto, e dovuto, ribattere – o anche solo usarle per prendere tempo e riuscire così a convincerla che lui fosse seriamente un maniaco pur di farla desistere – non rimase più nulla, neppure i loro fantasmi a tormentarlo.

***

Si erano assopiti, ma Ade doveva aver chiuso gli occhi per una manciata di minuti dato che sentiva ancora riecheggiare nella camera i suoi sospiri e i suoi gemiti, era accaldato e sudato e i punti, che lei aveva stretto e ai quali si era aggrappata, dolevano piacevolmente.
Sospirò pesantemente e spostò lo sguardo sul paesaggio dell’aperta campagna che si vedeva attraverso l’ampia vetrata. Aveva scelto di proposito di comprare e abitare una villetta in periferia: poteva godere di aria fresca, di solitudine e di una vista sul cielo che le luci della città precludevano.
Non aveva il coraggio di voltarsi, sebbene servisse a poco: il suo respirare ritmico e tranquillo lo cullava, il suo calore accanto e il peso del suo corpo che piegava il materasso lo rendevano fin troppo consapevole di quello che era successo.
L’ultima delle sorprese di quella serata.
Il pensiero volò subito al vestito di Persefone, il vero motivo per cui aveva deciso di presentarsi al party, che giaceva ai piedi del letto e che lui stesso si era preso tutto il tempo del mondo nel farlo cadere giù dalle sue spalle, giù dal suo petto, giù dai suoi fianchi, giù dal suo corpo.
Ade inspirò con forza per scacciare i recenti ricordi.
Avrebbe dovuto insistere e accompagnarla a casa insieme a Demetra; invece, se n’erano andati alla chetichella e, dopo, era stato troppo tardi e stupido per impuntarsi: Persefone l’aveva sedotto come fosse stato lui ad avere venti anni in meno, era caduto come un ragazzino alle prime armi.
Un mugugno soddisfatto e un languido allungarsi contro di lui gli rivelarono il suo risveglio.
Ade chiuse gli occhi, ma non voleva fingere di dormire.
La pelle dell’addome formicolò e i muscoli si tesero al passaggio delle sue dita, e Persefone gli fu sopra in un battito di ciglia.
Il bacio a stampo fu un piacevole contrasto con ciò che, al contrario, stava iniziando a subire altrove.
Non la fermò – e come avrebbe potuto? Si era già accorta di averlo in pugno.
Le invase la bocca con la lingua, mentre lei lo guidava ancora una volta a perdersi nel peccato.







   
 
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