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Autore: AlessiaDettaAlex    02/10/2020    2 recensioni
[LLS!! Post-canon | KanaMari | presenza di OCs | è la storia di due amiche che si ritrovano dopo essersi perse di vista (di nuovo) | ed era una scusa per scrivere una fanfiction in cui Kanan e Mari flirtano incessantemente, ma a Los Angeles | uso intensivo di cliché e fluff, una spolverata di melodramma | 10 capitoli totali]
City of stars / Are you shining just for me? / City of stars / Never shined so brightly.
[“City of stars”, from La La Land]
«Fino a quando resti qui?» […]
«Settembre, probabilmente. Non sarà una toccata e fuga»
Un sorriso nuovo fiorì sul volto di Kanan, non previsto.
«Quindi rimani»
«Rimango»

[dal cap. 2]
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Kanan Matsuura, Mari Ohara, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3. La lunga strada
 
Tell me, tell me if you love me or not, love me or not, love me or not,
I'll bet the house on you, am I lucky or not, lucky or not, lucky or not?

[...]
Tryna do what lovers do

 
“What Lovers Do”, Maroon 5 ft. SZA
 
Non appena il responsabile di progetto finì di pronunciare le parole «per oggi è tutto», Mari saltò in piedi e salutò con anche troppa veemenza gli astanti in riunione. Nonostante i tentativi di richiamo di sua madre, era assolutamente decisa a non rimanere un minuto di più.
Salutò i portinai dell’hotel mentre correva verso il buon Zachary, che stava in piedi accanto alla porta a vetri in atteggiamento di attesa.
«Miss Mari»
«Zachary, è bello rivederti!»
«Anche per me, Miss!»
Uscirono insieme e si diressero verso l’auto. L’uomo le aprì la portiera posteriore. Avviò il motore e prima di partire lanciò un’occhiata alla ragazza dallo specchietto retrovisore: era appena entrata in macchina ma il suo sguardo già strabordava dal finestrino. Non avevano bisogno di dirsi nient’altro, Zachary sapeva già bene la destinazione: il quartiere di Los Feliz e poi Hollywood, dove lei e le sue amiche si sarebbero fatte un giro insieme. Fermo nel traffico, abbassò il finestrino e si accese un sigaro; era un vizio che aveva preso negli ultimi anni, nonostante il biasimo mostrato dalla signora Ohara. Ogni tanto condivideva questa pausa fumo anche con il signor Ohara, che non era certo un assiduo fumatore, ma pur sempre bendisposto a passare una mezz’ora di relax in compagnia di un vecchio amico, prima ancora che dipendente. A Mari decisamente non importava: Zachary era sempre molto discreto e attento nell’esercizio della sua passione, e sul lavoro prendeva iniziative personali solo se era sicuro del benestare dei superiori.
«Questa sera serve che io rimanga ad attenderla, Miss Mari?»
«Non preoccuparti, potrei far tardi… prenderò un taxi, dì pure ai miei che è stato un mio desiderio e che hai provato a fermarmi»
L’uomo rise emettendo dei suoni gutturali. Immaginava già che avrebbe risposto così: il caratterino di quella ragazza lo incuriosiva parecchio, soprattutto quando a causa di ciò i signori Ohara smettevano di occuparsi di facile business per concentrarsi sulle loro complicate dinamiche familiari: e Zachary vedeva bene come entrambe le parti in gioco avessero bisogno di comunicare di più per comprendersi al meglio; una lunga strada da percorrere. Spense il sigaro sul posacenere semivuoto davanti al freno a mano.
Il cielo era di un azzurro vibrante, non c’era nemmeno una nuvola; il clima era afoso, come d’altronde ogni giorno nelle due settimane precedenti, ma avevano optato per lasciare il mare a giornate meno stancanti. Paradossalmente, poi, Kanan e Nicole passavano in spiaggia la maggior parte del loro tempo già per lavoro, quindi un giro in città era sembrata una buona alternativa per godersi il giorno libero. Nel giro di un’oretta, Mari le raggiunse in un bar a consumare un panino veloce per pranzo. Le tre ragazze parlottavano a voce alta, tra un morso e l’altro, raccontandosi dei propri viaggi: Mari propose qualche aneddoto divertente della vita in Italia, accompagnandolo a corposa gesticolazione - probabilmente affinata grazie agli amici autoctoni - cosa che a Nicole causò crisi di riso e sputacchiate incontrollate di pane. Da parte sua, l’istruttrice parlò a lungo della sua precedente vita sulla East Coast, nello Stato della Florida, e del perché avesse deciso di trasferirsi sull’altro oceano.
Kanan, più che altro, ascoltava: la testa appoggiata al palmo della mano e un lieve sorriso di soddisfazione per averle fatte conoscere; sin dal loro primo incontro, solo una settimana prima, era chiaro infatti che le due si erano davvero trovate. Prese com’erano, quando uscirono dal bar stavano ancora disquisendo della piaga degli uragani stagionali in Florida, argomento che a tutti gli effetti a Kanan sembrò un’evoluzione delle chiacchiere sul tempo; guardava Mari seguire il discorso con attenzione, annuendo di quando in quando e commentando con la solita esuberanza.
«…dopodiché ho fatto le valigie, guardato in faccia mia zia e le ho detto: “vado in California, preferisco i terremoti”. Lei mi ha dato la sua benedizione e mi ha lasciata andare. Capitemi, non volevo più assistere a un allagamento in vita mia. Ironia della sorte, però, ora lavoro sott’acqua»
Arrivati a questo punto, Kanan si sentì in dovere morale di intervenire.
«La California brucia tutti gli anni, regolarmente, a causa degli incendi … non puoi fare il confronto coi terremoti, non c’entra niente. Vivi qui da quasi dieci anni, devo dirtele io queste cose?»
«Siamo a L.A., mica in mezzo a una foresta. Qui non ho la percezione del pericolo… a parte quello provocato dalla visione del traffico sulla Freeway 101… ma poi per te è facile liquidare i terremoti, vieni da un posto in cui sono la norma e siete abituati agli scossoni delle faglie a subduzione!»
Kanan le rivolse un sorrisetto provocatorio.
«Oh, quindi sei anche un’esperta geologa, Nicole»
«Mamma Wikipedia e papà Google sono degli ottimi insegnanti»
«Immagino non si possa fare altrimenti col sistema scolastico che avete negli Stati Uniti»
«Touché! Non posso contraddirti, ma nulla mi impedisce di non offrirti una birra la prossima volta che usciamo, piccola assistente irrispettosa che non sei altro!»
Lo scoppiare della risata di Mari pose fine al battibecco, e presto fu seguita da quella delle altre due.
«C’è da dire che Nicole mi sostituisce veramente bene!»
Kanan si strofinò le tempie coi polpastrelli, ponderando una per una tutte le implicazioni di quella funesta affermazione.
«Se intendi che ovunque vado finisco per accollarmi i casi umani, hai ragione»
«Casi umani proprio come te» puntualizzò Nicole, «piuttosto, domani ricordati di venire a lavoro mezz’ora prima che dobbiamo sistemare dei documenti»
«Sissignora»
Mari guardò la più grande con un dispiacere evidente disegnato sul volto.
«Stai andando già via, Nicole?»
Lei diede uno strattone alle spalline dello zainetto che teneva appeso sulla destra, rivolgendole un sorriso spontaneo.
«Mi faceva davvero piacere stare con voi ancora, ma Samuel mi ha prenotata per il resto della giornata! Magari la prossima volta lo convinco a uscire con noi»
Kanan incrociò le braccia al petto e si lasciò sfuggire un verso bonariamente scettico.
«Samuel che ti condivide? Stiamo parlando della stessa persona?»
Nicole aprì la bocca con l’intento di difendere il suo ragazzo, ma le riuscì solo di confermare quanto già insinuato.
«Gli lascerò ancora una volta il beneficio del dubbio!» rispose alla fine, lasciandosi andare a una leggera risata, «alla prossima, belle!» e salutò con il braccio a mezz’aria.
Kanan e Mari, rimaste sole, si scambiarono un sorriso; poi Mari le si fece un passo più vicina.
«E noi cosa facciamo, invece?»
«Beh, il programma che avevo in mente è ancora lungo» disse Kanan infilando le mani nelle tasche degli shorts, «iniziamo da una passeggiata cliché a Hollywood Boulevard?»
«Mi sembra perfetto».
 
Una leggera foschia pomeridiana si alzava dall’asfalto bollente, tutto mangiato dalle auto in corsa. Le cime delle palme ondeggiavano, e sotto di esse si affrettavano instancabili losangelini e lenti turisti di ogni lingua e provenienza; le due ragazze proseguivano con un passo leggermente più rilassato della media, come quello di chi si prende il tempo per leggere tutti i nomi, uno per uno, delle celebrità rappresentate in ciascuna stella della Walk of Fame. Mari sembrava aver reso una questione di vita o di morte mettere i piedi solo ed esclusivamente sopra le stelle, azione che compiva con passi lenti ed esageratamente lunghi, come quelli dei bambini. Kanan la seguiva con la pazienza di un genitore, in silenzio: e il silenzio era forse la cosa che preferiva del rapporto con Mari; quando lei aveva voglia di chiacchierare non ce n’era per nessuno, ma allo stesso tempo non sentiva alcun bisogno di riempire il silenzio ad ogni costo. Era uno dei tanti motivi per cui attendeva sempre con impazienza di passare dei momenti da sola con lei: per loro due, spesso, era sufficiente la semplice condivisione di tempo e spazio.
Non avevano nessuna fretta: salutavano i teatranti in strada mascherati da supereroi e si concedevano un ballo improvvisato, a ritmo di una hit estiva che proveniva dagli altoparlanti esterni di qualche negozio; le vetrine di Hollywood splendevano di occasioni e sembravano suggerire la possibilità una spensieratezza infinita, un’estate eterna. Passarono in mezzo ai teatri storici dalle decorazioni dorate e un po’ stravaganti, fino ad attraversare una piazza squadrata con una fontana, i cui zampilli quasi accecavano sotto la luce del sole. A un certo punto si fermarono di fronte a un fioraio: Kanan, catturata da un’intuizione, insistette per entrare, per poi uscirne con in mano un unico giglio bianco striato di viola; piena di entusiasmo lo porse, senza aggiungere nulla, a Mari: l’amica prese il fiore: non fece alcun commento malizioso, nemmeno una risatina. Era così raro vederla semplicemente arrossire che Kanan passò una buona mezz’ora a chiedersi se non avesse esagerato.
Quasi senza rendersene conto, in seguito, si ritrovarono a camminare così vicine che prendersi per mano ne sembrava una diretta conseguenza; e proseguirono così, lanciandosi alternativamente occhiate rapide e affettuose. Nel momento in cui il sole cominciava a calare, crollarono su una panchina di una via più isolata. Mari si stiracchiò le gambe; teneva ancora saldamente tra le dita il suo fiore.
«E adesso dove mi porti?»
«Conosco un posticino che fa meraviglie con l’alga wakame, da queste parti. Che ne dici? Offro io»
«Addirittura? Oh, Kanan, questi giorni ti stai superando. Non ti ricordavo così propositiva da quando avevamo almeno quindici anni» la stuzzicò portandosi il giglio alle labbra.
Kanan strinse la mano che teneva quella di Mari, e scoppiò a ridere.
«Sarà che il tempo che passo con te mi sembra sempre troppo poco! Cerco di sfruttarlo al massimo»
Per la seconda volta nella giornata Mari si trovò senza parole, in seria difficoltà con una questione basilare come reggere lo sguardo di Kanan.
«Well played» ammise per togliersi dall’imbarazzo, «ma ti servirà impegnarti di più per farmi dimenticare che prima con Nicole mi hai definita “caso umano”!»
Kanan sciolse il contatto con Mari e si appoggiò con entrambi gli avambracci allo schienale della panchina, sconfitta ma ancora sorridente.
«Sei riuscita a farmi pentire della cosa più romantica che dico da anni, complimenti»
Mari rise.
«La prossima volta che sei così ispirata, ti prego, prima avvertimi!».
 
Il locale che Kanan aveva proposto non era per nulla formale, il che si adattava bene all’abbigliamento casual che entrambe avevano dal pomeriggio. Si erano fatte portare una boccetta d’acqua fresca per rinvigorire il fiore strapazzato qua e là dalla passeggiata, e tenerlo con loro sul tavolo mentre mangiavano.
«Non ti ho ancora chiesto com’è andato il meeting di stamattina coi tuoi»
«Non c’è molto da dire, in realtà» sospirò Mari appoggiando il mento al palmo della mano, «è solo che papà è fissato col gestire tutto di persona, quindi si fa sempre in quattro con mamma per essere presente sempre e dovunque per ogni stupido problema… ma io sono già stanca di sentirmi in dovere di avere tutto sotto controllo. Quando l’azienda passerà a me so già che assumerò personale e delegherò molti degli incarichi che loro svolgono di presenza. Non voglio passare la vita a girare come una trottola tra gli hotel senza avere un luogo da chiamare casa, dove ritornare, come fanno loro… poi diciamolo, le riunioni con i responsabili di progetto sono davvero noiose! In pratica noi eravamo lì solo per mettere la firma, una formalità a fronte di tre ore di lavoro su un progetto in cui hanno realmente voce in capitolo solo gli architetti e i designer. Voglio dire, che bisogno c’era di supervisionare di persona un lavoro di ristrutturazione se tanto abbiamo chiamato i migliori esperti dall’Europa? Sono dei maniaci perfezionisti!»
Kanan rise piano e incrociò le braccia sul tavolo.
«Per fortuna che non c’era molto da dire!»
Mari si morse la lingua.
«Chiedo scusa, lo sai che quando parlo dei miei genitori non riesco a trattenere le critiche… e poi, con te e con Dia è più facile smettere di fingere di essere l’ereditiera dedita solo al lavoro che vorrebbero loro»
«Non serve che ti scusi, lo so bene… dovresti parlargliene, però»
«Figurati se mi stanno a sentire! Ormai aspetto solo che mi lascino il comando, così finalmente posso gestirmi come preferisco. Ricordi quanto ci abbiamo messo a convincere mia mamma che esisteva la possibilità che sua figlia potesse fare qualcosa solo per divertimento?»
«Ricordo, come ricordo anche la proposta che volevano accettare per le tue nozze»
«Ecco, vedi? Non si accontentano di avere tutto sotto controllo nell’azienda, vogliono avere il controllo anche della mia vita! Qualche giorno fa li ho sentiti parlottare di fidanzati, sono sicura che ci stiano ancora pensando, anche se non me lo dicono esplicitamente»
«Credevo che tua madre avesse imparato la lezione» rispose atona Kanan, irrigidita dal sospetto di Mari.
«Lo credevo anche io, ma quando fa coppia con papà le “idee brillanti” su come influenzare la mia vita si sprecano… ormai credo lo faccia per abitudine» concluse strofinandosi la faccia con le mani, stanca.
Kanan la guardò in silenzio, meditando. Le vide negli occhi il peso del suo cognome e la mente riandò involontariamente alla volta in cui lei stessa l’aveva caricata di quel fardello, spingendola a partire; il senso di colpa le ritornò talmente vivido e cocente sotto la pelle che dovette trattenersi dal chiederle di darle un altro ceffone, in quel preciso momento. Poi però vide gli occhi di Mari posarsi sul giglio dalla corolla striata e sorridere, sebbene brevemente.
Kanan pensò che avrebbe voluto riempirla di fiori colorati, per tentare di strapparle fuori quel sorriso il più a lungo possibile.
 
I lampioni illuminavano il cammino del ritorno, stavolta eseguito a passi più svelti. Raggiunsero la bicicletta parcheggiata di Kanan, poi Mari chiamò un taxi; in realtà non era così tardi per richiamare Zachary, ma non aveva voglia di approfittarsi della sua disponibilità.
«Hai detto che ti muovi solo con la bicicletta in città?»
Kanan alzò le spalle.
«Sì, ci metto di più a raggiungere Santa Monica da casa mia, ma tanto mi sveglierei comunque presto… e la bicicletta è anche un bell’allenamento per le gambe» scherzò dandosi un colpetto su una coscia, «sto mettendo da parte dei soldi, ma devo ancora decidere se spenderli per la patente o altro»
Mari la guardò con curiosità.
«Quindi mi stai dicendo che non hai mai visitato posti fuori città?»
«Beh, sono stata qualche volta in giro con Nicole, ho visto un po’ di cose sia a L.A. che fuori»
«La prossima settimana ti porto a fare un giro io… mi farò anche perdonare di averti vomitato addosso i miei problemi stasera, mentre tu ti sei fatta in quattro per rendere bella questa giornata»
«Non pensarci, lo sai che ci sono ogni volta che hai bisogno!» sorrise semplicemente Kanan.
Ci teneva a mostrarle di non avere alcun problema, ma il suo primo pensiero, pressante, era che avrebbe desiderato caricarsi di almeno una parte della fatica che era toccata a lei per diritto di nascita.
Mari prese e strinse la mano di Kanan nella sua, si sporse verso di lei e fece schioccare un bacio sulla sua guancia.
«Grazie»
Nella testa di Kanan si spense ogni neurone e rimase stralunata a guardare l’amica, il viso infuocato che risultava peggiorato dalla luce calda del lampione. Per fortuna il taxi arrivò a toglierla dall’agitazione crescente, perché quando Mari salì in auto salutandola con un ulteriore bacio volante e un occhiolino - e stavolta Kanan ebbe il sospetto che lo facesse apposta per provocarla - era ormai rigida come una stecca di bambù.
Quando il taxi ripartì fece un respiro profondo e sciolse i muscoli come dopo una sessione di allenamento: il cuore le scoppiava in petto ed ebbe l’impressione, pedalando verso casa sua, che nonostante tutto il meglio dovesse ancora venire. Anzi, ne era certa.




 
Note finali
Questo è stato uno dei capitoli di cui ho amato scrivere di più (e nonostante questo nell'ultimo periodo mi ha dato del filo da torcere!): la ragione è semplice, fa parte del nocciolo "originale" della storia insieme al prossimo, nocciolo che di base doveva essere un'accozzaglia di questi flirt ambigui e tenerissimi come se piovesse
 
Prossimo aggiornamento: 12 ottobre!
 
Grazie di aver letto,
Alex
   
 
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