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Autore: Belarus    11/10/2020    1 recensioni
"Dall’alto dei suoi due metri e delle batoste prese nella sua breve vita, Kidd la osservò mordicchiarsi la bocca e un pensiero lo investì, facendogli lanciare di mal grazia la rivettatrice nel carrello degli attrezzi.
«Che si fottano loro e tutta la classe dirigente di Marijoa. Puoi stare da me.» annunciò serio, facendo scappare a Killer la saldatrice accesa di mano."

[AyaKiddAU con la simpatica collaborazione di Law in veste di vicino]
Storia partecipante{o quasi} al Writober2020 indetto su Fanwriter.it
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Shiawasenashi - La morte felice
Genere: Generale, Commedia.
Prompt: Ago e filo
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd.
Note: Sprazzi di quotidianità matrimoniale – che non c’è sia chiaro, ma a me piacciono tanto -. Sappiate comunque che Aya è una provetta ricamatrice{?!}, lo ha imparato da Ko, la sua balia i là con gli anni di cui sentirete parlare ancora in altre oneshot, e prende la strana abitudine, stando con Kidd, di sistemargli i vestiti e di sistemarli anche al resto della comitiva che gli va giù. E no, non sono sessista e Aya non è la principessa della torre che si intrattiene in questo genere di lavoretti “femminili”. Lei lo fa perché sa farlo bene e a suo modo, si rende utile e ricambia. Detto questo, ringrazio comunque coloro che sono passati a leggere, chi ha inserito la storia tra ricordate, preferite e seguite {ogni tanto fatevi sentire, anche solo con un messaggio privato se vi va} e vi do appuntamento a martedì con una nuova shot~ au revoir~




#04. Ago e filo





Accovacciata davanti alla finestrella della cucina, con una maglia di due misure più grandi e i riccioli raccolti in quella specie di nido per uccelli, gli sembrò tanto una delle vecchine che si vedevano al quartiere storico in prossimità del fiume. Non la si sentiva, in casa era una specie di fantasma, ma te la ritrovavi tra i piedi appena giravi l’angolo, acquattata sempre a far chissà cosa nel più totale silenzio e per uno come lui, che faceva casino anche togliendosi le scarpe, era sorprendente. Di quelle ciabatte rattrappite aveva anche un po' le movenze d’altri tempi, la misura nei gesti tramandata da secoli che piegavano la schiena e che a lei arrivavano da chissà dove, perché dubitava fortemente che le avessero fatto seguire un qualche corso pur di non apparire troppo “comune”. Ma a dispetto delle aspettative la dannata lo era, lo era in una maniera talmente spiazzante da aver fatto deporre l’ascia di guerra persino a lui, la notte in cui si erano conosciuti.
Se ne stava concentrata sull’ammasso di stoffa che teneva con cura sulle gambe, gli occhi fissi su di un punto, mentre le mani si muovevano con precisione minuziosa, ma troppo preso dal fissarla in quel momento tutto suo, Kidd ci mise un po’ a capire cosa stesse facendo.
«Cosa cazzo stai cucendo sulla mia tuta da lavoro, donna?!» sbottò in allerta, superando la soglia per andarsi a parare di fronte a lei con l’intenzione di controllare che non gli stesse applicando qualche boiata.
No, no. Il suo lavoro era il suo lavoro. Magari non era niente di rilevante, non comportava miglioramenti per il genere umano o quelle robe lì, ma era un lavoro di tutto rispetto e lui per di più aveva una fama da mantenere. Non si sarebbe ficcato in officina con una tuta cosa addosso che lo facesse sembrare, e sentire, un moccioso covato dalla propria mammina, col cazzo!
Aya si raddrizzò di colpo nel sentirlo, evidentemente ignara d’esser stata in sua compagnia sino ad allora e per un momento rimase con il filo sospeso a mezz’aria, guardandolo assorta – forse per via dei capelli afflosciati dalla doccia o per l’asciugamano che aveva stranamente deciso di usare per coprirsi –.
«La sto riparando, era piena di strappi e buchi. Non ho aggiunto nulla, puoi anche calmarti.» specificò alla fine con aria un po' offesa, tornando a concentrarsi sul proprio lavoro.
Con la propria roba non era strafottente come tutti credevano dandogli un’occhiata spiccia delle loro, cercava di preservarla più che poteva. Era una premura su cui nessuno là fuori per le strade avrebbe scommesso mezzo berry, alla gente piaceva da matti addossargli stronzate che non lo riguardavano davvero e d’altronde, oltre le loro schifose routine, non sembravano neppure contemplare l’idea di faticare per ottenere anche il minimo sindacale e in quella città il minimo era persino cosa mettersi addosso. Costava tutto più di quanto avrebbe dovuto, pareva che i negozianti si facessero di chissà quale porcheria prima di appiccicare i prezzi ed era facile che in officina si ritrovasse agganciato qualcosa di troppo o strisciasse su una lamiera. Una combo piazzata a tavolino, ma al momento non erano le contraddizioni che gli facevano girare le palle il punto.
«Perché sai rammendare i vestiti?» domandò incredulo, squadrandola dall’alto dei suoi due metri.
Le sue mani non avrebbero dovuto mantenersi… pure e soffici o quelle stronzate lì?! A quelli nati come lei, quelli con un conto in banca che avrebbe potuto comprare – e succedeva cazzo – il negoziante con tutta la sua famiglia, altro che vestiti, non erano permesse bassezze simili. Non lo sapeva per certo, ma ne era sicuro. Se ne andavano in giro camminando su dei maledetti tappeti, se si bucavano un dito c’era il rischio che scoppiassero in una nuvola di profumo e bolle.
«Ho imparato per sistemare quelli che mi compravano i miei genitori.» spiegò Aya in un’alzata di spalle.
«Con tutti i fottuti soldi che hanno i tuoi, ti rifilavano roba bucata?!» insistette persino più incredulo, facendola ridacchiare di colpo.
«No Kidd, ma… non hai idea di quanti pizzi, lustrini e merletti ci fossero sopra da togliere! Sembrare una torta nuziale non era la mia massima aspirazione quotidiana.» sorrise, in un improvviso brivido freddo di raccapriccio che strappò una risata anche a lui.
Certo che no. Avrebbe dovuto immaginarselo, in fondo si era piazzata da lui con una sacca da palestra con quattro cambi messi in fila e non batteva ciglio nel chiedergli in prestito roba quando non l’aveva. Persino le donne che rimorchiava nei locali quando andava a divertirsi, il giorno dopo si restauravano di sana pianta tirando fuori tonnellate di idiozie dalle loro borsette, ma a lei non importava. A quella dannata donna non importava di dare un’immagine di sé piuttosto che un’altra, erano sforzi inutili per la sua testolina arruffata e se non avesse avuto quella schifosa perfezione innata di cui era ignara, se ne sarebbe di certo sbattuta di sembrare una pezzente. Era anche per quello che a Kidd era andata a genio dal primo secondo, perché per lei le cose importanti e su cui concentrarsi erano altre.
La vide strappare con i denti un eccesso di filo e posato l’occorrente, rialzarsi finalmente, per posargli la tuta sulle spalle in punta di piedi per controllare che fosse tutto in regola.
«È come nuova! Direttamente dall’atelier Aya Mononobe! » stabilì alla fine, arricciando il naso in un nuovo sorriso e la mano di Kidd scattò famelica attorno al suo viso per trattenerla e stringere quel tanto che bastava dal sentirla sua sotto le dita.
Maledetta, fottutissima donna. Non era decisamente una delle vecchine che si vedevano sulle porte al quartiere storico, ma per qualche assurda e folle ragione si permetteva addirittura di prendersi cura di lui e benché non lo avrebbe mai ammesso, dopo una vita a badare a sé stesso la cosa non gli dispiaceva per niente.



  
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