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Autore: Ghostro    20/10/2020    1 recensioni
Symon Argent è un giovane e ricco uomo d'affari all'apice della sua carriera.
Dal momento che questo genere di personaggio è abusato all'inverosimile, l'ho fatto morire e ficcato a forza in una storia fantasy che lo vedrà confrontarsi con il suo passato.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ancora non lo so'
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Riaprii gli occhi di scatto, respirando a pieni polmoni. Mi alzai spaventato, cercando riferimenti o qualunque dettaglio potesse a farmi capire dove accidenti fossi finito. Non ce n'erano: la stanza era completamente al buio e non potevo distinguerne né forma né dimensione. Il respiro accelerò senza freno, cominciai ad andare nel panico. «Dove sono? Che sta succedendo?»
  Silenzio.
  «Dove sono?!» gridai.
  Cominciai a correre, l'inconscia consapevolezza che prima o poi avrei trovato un ostacolo. Ma non mi scontrai con nulla. Continuai a correre in un corridoio che sembrava infinito; provai a cambiare direzione, l'effetto fu il medesimo. Urlai, mi afferrai per contenere la pressione di una disperazione che mi stava assalendo e continuai a correre. Finché le gambe non cedettero e inciampai a terra; non sentii dolore, il suolo sembrava inconsistente.
  Trattenni il fiato quando il mio sguardo si posò sugli abiti che indossavo. Riuscii facilmente a distinguerne forme e colori nonostante l'oscurità, come se fossero catarifrangenti. «Cosa sta succedendo…»
  «Sei morto» sibilò una voce alle mie spalle.
  Mi fece sobbalzare e mancare un battito; timoroso che potesse fermarsi, fissai terrorizzato il mio cuore e sospirai solo dopo aver accertato che continuava a battere, all'impazzata. Un altro miracolo accadde subito dopo, quando non si arrestò definitivamente alla vista di quello: un grande serpente dalle scaglie verde smeraldo e perla mi fissava intensamente, le iridi argentate, senza tempo. Era grande quanto un cavallo, disegni tribali argentati ne percorrevano il corpo viscido fino alla bocca, da dove la lingua biforcuta del medesimo colore sbucava sottile e inquietante.
  «Tu cosa diavolo saresti?!»
  «Shanor. Sono qui per valutare e vegliare sulle anime che attraversano questo limbo» si presentò con voce sibilante.
  Sgranai gli occhi, la bocca aperta per lo stupore e le gambe tremanti: quella creatura aveva appena parlato! Dovevo essere impazzito. Il cuore si era fermato e per lo spavento ero impazzito: era la sola spiegazione plausibile.
  «No, non sei pazzo. Il tuo corpo si è spento, la tua anima è giunta a me per essere preparata alla rinascita» mi spiegò con aria paziente.
  Non lo ascoltai, piantai le unghie nelle tempie. «Sta' zitto! Tutto questo non è reale. No, non è reale! Devo smetterla di ascoltarti.»
  Il Grande Serpente emise un sibilo esasperato. «La tua mente non è ancora pronta per trapassare, non hai fede. Il tuo giudizio dovrà essere affrontato attraverso altre forme» aggiunse, mentre la sua voce e la sua figura sbiadivano; e tutto il buio si trasformava in un'immensa distesa bianca.
 
Riaprii gli occhi, scoprendo un cielo plumbeo e pieno di nubi temporalesche. – Dove sono? –
  Non potevo muovere le braccia e le gambe. Solo i miei occhi sembravano liberi di spaziare in lungo e in largo; andai nel panico, tentai di muovermi in ogni modo possibile, eppure il mio corpo non reagiva, come se non ne avessi mai avuto uno. Una sensazione strana e sbagliata mi pervase. Sembravo un fantasma, etereo e vuoto, e quando il ricordo di un corpo solido iniziò a perdere consistenza scoprì di non volerne davvero uno; pareva tutto così strano, alieno, diverso da ciò che avevo sempre vissuto. Ero stordito e confuso.
  Poi la coltre di domande senza risposta iniziò a diradarsi, aiutandomi a mettere a fuoco.
  «Oggi piangiamo un uomo... buono, lavoratore e onesto, a suo modo» la voce alle sue spalle sembrava faticare a trovare parole di elogio, come se non ci credesse davvero.
  Mi trovavo in un campo desolato, pieno di lapidi e verdi prati. Qualcuno stava pronunciando le ultime parole, un estremo saluto a un defunto, ma non capii chi fosse, né perché mi trovassi lì. Smisi di cercare un modo per voltarmi e qualcosa all’improvviso mi girò verso i presenti... Rimasi così sorpreso da sgranare gli occhi. C'erano tutti: i miei genitori, mio fratello, alcuni dei miei soci e fornitori; c’era Esmera e alcuni miei dipendenti. Svetlana, il suo staff; m'incupii nel rivederla, avevo voglia di fargliela pagare per ciò che aveva fatto, per avermi ucciso.
  D'un tratto compresi: quella russa mi aveva fatto uccidere, avevo sentito il suo sicario mandarmi i suoi saluti. E se tutte le persone che conoscevo si trovavano lì... – No, non può essere… –
  «Addio, Symon. Che la pace di Dio sia sempre con te e che tu possa riposare in pace» disse la voce del pastore: una sentenza che calò come una scure sul collo.
  – Sono morto – realizzai.
  – Così è – rispose Shanor, come se fosse al mio fianco.
  «Si può sapere tu chi cazzo sei?!»
  «Qualcuno che vuole farti aprire gli occhi.»
  «Spiegati.»
  «Guarda gli invitati» mi esortò.
  In molti avevano i volti gravi, seri, ma ben pochi stavano piangendo o cercavano di trattenere le lacrime. Infine capii cosa stava cercando di dirmi. «Nessuno piange per me.»
  «Perché dovrebbero?»
  «E adesso, cosa succederà?» Mi consideravo abbastanza intelligente da capire quando la situazione non stava volgendo nel verso giusto.
  «Osserverai le reazioni di ognuno di loro, saranno lo specchio che rifletterà il ricordo che ti sei lasciato alle spalle. Ciò che vedremo ci aiuterà a misurare il peso dei tuoi peccati.»
  Mi alterai non poco. «Peccati? Io non ho commesso alcun…!»
  «Fa' silenzio» m'intimò la creatura, negandomi la voce; per un attimo mi sembrò di soffocare, poi anche quel bisogno divenne effimero e opinabile. «Non puoi ascoltare la voce della verità, se le tue parole sono già pronte a distorcerla.»
 
La semplice cerimonia si concluse rapidamente. Ognuno se ne andò per la sua strada senza degnarmi di un ultimo saluto, neanche per posare un fiore sulla mia tomba.
  L'ultima a congedarsi fu Svetlana, che irriverente osservò la mia foto. «Ci hai provato. Ma non hai compreso fino in fondo con chi avevi a che fare. Sei stato un soggetto divertente, Sym, ma per ogni male c'è una sua soluzione. L'hotel diverrà mio, e tutto ciò che rappresentavi sarà spezzato via.»
  Girò i tacchi e si diresse verso un SUV nero come la notte.
  – Lurida... –
  «Modera le tue parole.»
  Avrei voluto insultare anche lui, ma negandomi la parola aveva mi aveva ridotto al silenzio; e se mi avesse negato anche il pensiero...
  – Ora cosa dobbiamo fare? –
  «Attendere.»
  «Era la tua ultima fiamma, Sym?» mormorò la voce di poco prima.
  Mi sentii strattonare verso la fonte. Rimasi sorpreso nel constatare che il volto ormai vecchio e sciupato di Padre Carmine mi osservava con un triste sorriso.
  – Sono stato seppellito nel mio vecchio quartiere. –
  «Mi ricordo di quando eri un bambino birbante. Eri pestifero ma dolce. Te ne andavi sempre in giro con quella tua amichetta a combinare qualche guaio per le strade del Queens.» L'uomo iniziò a dirigersi verso la vecchia e cadente chiesa del cimitero. «Un tempo avevo una chiesa migliore, caro ragazzo, avevo una casa, una famiglia. Immagino ci sia un motivo dietro ogni disegno di Dio.» Si fermò un istante, frugando le tasche in cerca delle chiavi. «Cosa ti è successo, ragazzo? Come ha fatto quel bambino così energico a finire così, senza amici o familiari che gli volessero bene?»
  – Si è reso conto di essere più furbo degli altri e ha imparato che le persone ti usano sempre, a meno che tu non le tenga al guinzaglio. Così sono funzionano gli affari, niente di personale. –
  L'anziano pastore non poteva sentire i miei pensieri, ma tacque per molto tempo, anche dopo esser entrato in quella casetta decadente. Finché non sistemò la foto, quella poggiata sulla lapide e ora sul suo tavolo ammuffito, dandomi la disgustosa punizione di vederlo sorseggiare il tè. La tazza toccava il foltissimo e grigio sopracciglio, che gli adombrava gli occhi; ogni qual volta tentava di portarsi alle labbra la bevanda.
  «O forse sei sempre stato un ragazzo difficile» asserì all'improvviso. «Mi ricordo un giorno. Solo per sfidarmi avesti l'ardire di saltare dal pioppo del giardino, quello della vecchia chiesa, sostenendo che saresti stato l'unico bambino coraggioso a provarci.»
  – Certo che me lo ricordo – pensai nostalgico.
  «Quanto urlai quel giorno per farti scendere, ma tu volesti saltare lo stesso. E alla fine ti rompesti una gamba.»
  Repressi un sorriso ilare nel ricordare quello spiacevole ricordo della mia infanzia. Era stata una ragazzata.
  «Sono stato cacciato dalla comunità per colpa tua, ho perso i miei fedeli. Mia moglie mi ha lasciato perché sono stato così accecato dalla disperazione da dare troppe cose per scontate, e i miei figli. Sono stato schiacciato dalla vita, tanto da non riuscire più a godere del bene che ancora mi circondava.» Fece una mezza risata. «Ed eccomi qui, solo, a invecchiare in questo cimitero e parlare con la tua fotografia.»
  Rimasi spiazzato da ciò che aveva raccontato, non lo sapevo.
  «Eri giovane e incosciente, non te ne ho mai fatto una colpa. Ma crescendo sei diventato un ragazzo difficile e ambizioso. Nessuno può elevarsi a Dio, ragazzo. L’orgoglio, alla fine, ti si è ritorto contro.» Gli occhi del pastore furono su di me. «Ti ho perdonato già da molti anni, tutte le creature di Dio lo meritano. Tuttavia devo confessarlo: la tua scomparsa non ha lasciato alcun vuoto dentro di me.» Prese la cornice e l'abbassò verso la superficie della tovaglia. «Me ne vergogno, ma so che non mi ricorderò di te, Symon.»
  Quelle furono le ultime parole che sentii prima che il buio mi occludesse la visuale.
  – Cosa vuol dire?! Sei un fottuto pastore, dannazione! –
  «Hai causato sofferenza a quell'uomo, la tua colpa è grave.»
  – Ero un bambino! – protestai.
  Il serpente puntò i suoi occhi, ora brillanti, sui miei. «E come tale hai continuato a vivere, con arroganza» sentenziò, prima che lo scenario cambiasse nuovamente.
 
«Sono a casa» disse una voce inconfondibile.
  Adesso guardavo attraverso le cornici che sapevo trovarsi in un angolo della credenza. Notai mio fratello gemello togliersi l'impermeabile beige e sedersi sul modesto divano del salotto, la mano premuta sul volto come per calmare il mal di testa. La sua chioma castana era più folta e disordinata della mia, il volto scavato nonostante la giovane età. Per il resto, eravamo due gocce d'acqua: stessi occhi celesti, stesso volto dai tratti affilati e un velo di barba incolta. Un fisico alto e slanciato. Un tempo nessuno avrebbe potuto distinguerci, adesso chiunque ci sarebbe riuscito.
  – Ti sei mantenuto davvero male, Aaron. –
  Una figura sbucò dalla stanza adiacente, avanzò velocemente verso di lui e si sedette sul bracciolo della poltrona. L'avevo già vista da qualche parte, anche se non ricordavo dove; quel tarlo iniziò a perseguitarmi, inquieto mi spremetti le meningi.
  La donna lo ghermì in un abbraccio consolatorio. Poggiò il capo sulla sua spalla. «Com’è andata?»
  Aaron fece una smorfia. «Lasciamo perdere. Sono contento che sia finita, potremo lasciarci questa storia alle spalle.»
  Quella castana lo guardò mortificata. «Scusami. Sarei dovuta venire con te.»
  «Dopo quello che ti ha fatto? No, non sentirti in colpa, neanche io volevo andarci» rivelò, spiazzandomi.
  Osservai meglio la giovane donna. I capelli castani, il viso acqua e sapone. D'un tratto realizzai: Jessica Keaton.
  Gli massaggiava lentamente la schiena. «È successo anni fa.»
  «È venuto a letto con te fingendosi me. Eri la mia ragazza, al liceo, dannazione! Per una stupida scommessa ti ha rovinato la vita con quel... video. Quanto hai sofferto per colpa sua? Quante scuole hai dovuto abbandonare? Quante ore hai passato sdraiata sul lettino dello psicologo? Sono riuscito a trovarti appena in tempo, a salvarti da quel tunnel oscuro e senza uscita prima che la facessi finita.» Aaron si mise le mani sul volto per celare le lacrime. «Ha rubato otto anni della nostra vita, non lo perdonerò mai.»
  – Hai dimenticato che siamo stati presi di mira per tutto il primo anno? Frequentavamo un gruppo di perdenti e come tali ci trattavano. Non è colpa mia se ho realizzato che la vita è fatta di squali e prede. Se vuoi sopravvivere devi schiacciare i più deboli e guardarti le spalle dai forti. Buz mi ha sfidato e io mi sono guadagnato il posto che mi spettava sacrificando la tua stupida cotta. –
  «Le hai rovinato la vita» mormorò il serpente.
  – Era una ragazzata – mi difesi.
  «Tu agisci senza pensare alle conseguenze. Miri solo a dimostrare di essere il migliore.»
  – Se non sei il migliore, non sei nessuno. –
  «E guarda dove ti ha portato tutta questa tracotanza: a morire sul ciglio di una strada, per aver osato troppo. Hai voluto raggiungere il sole, Icaro, e ne sei rimasto scottato.»
  – La mia vita me la sono goduta. Il mio genio mi sopravvivrà! –
  «Tu sei solo un parassita. Nessuno si ricorderà di te» sputò il rettile, mostrando per la prima volta segni di ostilità.
  Deglutii. Tornai a concentrarmi su mio fratello, che ora aveva afferrato la cornice tra le mani. «Non ti ho mai perdonato, e mai lo farò. Hai rovinato la vita di Jessica, la donna che amo e che ho sempre amato. Hai arrecato solo dispiaceri a questa famiglia, soprattutto alla mamma. Ci hai accantonato appena raggiunto il successo, come merce avariata. Ti vergognavi di noi, Symon? Ti è mai importato?» Aaron iniziò a camminare avanti e indietro. «Nostra madre ha scattato questa foto durante quella gita in montagna.» Fece un sorriso amaro. «Quel giorno abbiamo gareggiato, me lo ricordo come se fosse ieri. A pochi metri dal traguardo mi hai sgambettato, facendomi sbucciare un ginocchio. Ma ti ho perdonato, ti ho sempre perdonato... Eri mio fratello.» Si fermò. Trasudava disprezzo. «Provo pena per le povere anime che hanno avuto la disgrazia di conoscerti. Dopo quello che hai fatto a Jessica, a me, alla mamma, spero solo che tu possa marcire e bruciare all'inferno» esclamò con odio, prima di gettarmi tra le fiamme del camino.
  Continuai a guardarlo basito, sconcertato, mentre il fuoco divampava e bruciava tutto. – Mi odia. –
   Potrebbe essere altrimenti? Gli hai rovinato la vita.»
  – Per aver fatto un torto a Jessica? –
  Gli occhi del serpente s’illuminarono. In un flash vidi scorci di una vita che non mi apparteneva: osservai mio fratello e un'altra ragazza presi di mira dal mio gruppo, io ero tra i bulli; ascoltai la chiamata nella quale rinunciava al college per prendersi cura di nostra madre, dopo che me n'ero già andato; lo guardai spezzarsi la schiena con i lavori più massacranti e umilianti, piangere per Jessica nelle notti insonni, mentre io iniziavo a fare carriera e attirare su di me le più importanti testate giornalistiche. L'odio riflesso nei suoi occhi assunse un'intensità sempre maggiore. E la colpa era solo mia.
  Rimasi in silenzio, meditabondo.
  Shanor ne approfittò per cambiare nuovamente ambiente.
 
Stavolta ero a casa, nella camera dei miei genitori. Mia madre era sdraiata sul letto, l'espressione assente aveva disteso le rughe sul suo viso. Mio padre era seduto accanto a lei, le lacrime agli occhi.
  – Che succede? –
  «Se avessi chiamato a casa, anche solo una volta, l'avresti saputo. Quando hai deciso di studiare a Cambridge, oltreoceano, tua madre si è chiusa in sé stessa. Vedere il figlio partire, affrontare il mondo da solo... l'ha consumata. È diventata l'ombra di ciò che era un tempo. Non ha parlato con nessuno da quando sei partito, a stento aveva la forza di mangiare. Tuo fratello dovette rinunciare al suo sogno universitario, alle sue aspirazioni, pur di restare a casa e badare a lei. Tuo padre era sempre fuori per lavoro e non aveva i soldi per permettersi di pagare qualcuno che la vegliasse. Aaron si è dovuto sacrificare.»
  – Non potevo studiare in un college mediocre, non sarei stato nessuno… – mi difesi.
  «L'apparenza: per questo hai rinunciato alla tua famiglia? Rovinavano la tua immagine agli occhi degli altri?»
  – Se l'avessi saputo... –
  «Avresti potuto venirne a conoscenza in ogni momento, bastava prendere in mano un telefono. Non l'hai mai fatto, non te n'è mai importato» tagliò corto.
  – Sono i miei genitori – sbottai irritato.
  «I genitori mediocri che un arrogante ragazzino come te non è mai riuscito ad accettare. Hai sempre voluto più di quanto potessero darti, non è così? Non è per questo che hai ricattato Svetlana, non l’hai fatto per saziare la tua avidità? Hai voluto bruciare le tappe, avere tutto e subito. Bramavi ciò che la tua famiglia non poteva offrirti. Hai dovuto sputare sangue per arrivare in alto, mentre chi reputavi mediocre raggiungeva il tuo livello senza fatica. Ti bruciava questo, vero?»
  Non risposi, punto sul vivo: in cuor mio realizzai che era vero, mi ero allontanato dai miei familiari per non vergognarmi di loro e dei miei umili natali.
  Mia madre si era addormentata. Respirava affannosamente in un vecchio letto a baldacchino. Vidi mio padre alzarsi a fatica, passarsi una mano tra i capelli bianchi e brizzolati, e raggiungere la mia cornice; la prese delicatamente tra le mani tremolanti, fissando nostalgico la fotografia al suo interno.
  «Ti ricordi di quando abbiamo costruito questo letto, assieme a tuo fratello? Eravate piccoli e io volevo fare un regalo alla mamma. Ho lavorato tutta la notte, mentre voi mi passavate chiodi e martello. Non vi ho mai visto andare d'accordo come quella notte, né ricordo altri momenti altrettanto belli passati assieme. Per un po' ho sperato che, un giorno, avremmo potuto vivere felici, come una vera famiglia. Ma più crescevate e più i problemi aumentavano, più ci dividevamo. Te ne sei andato. Aaron ha lavorato sodo, ha dovuto gettare al vento i suoi sogni per la famiglia, mentre tu ci hai abbandonato. Un giorno, la tua segretaria venne a bussare alla nostra porta, sai?» Assunsi un'espressione confusa. «Non l'avevo riconosciuta subito. Poi capii si trattasse di lei. Ci chiese di perdonarti, che avresti versato un assegno per mantenere me e tua madre, e dare a tuo fratello l'opportunità di farsi una vita. Sperai che un giorno ti saresti mostrato, che sarebbe stato il preludio a ciò che avevo sempre desiderato.» Una calda lacrima scivolò lungo la sua guancia. «Solo in seguito scoprii che quella santa donna stava rinunciando a una cospicua parte del suo stipendio, quei pochi dollari che le concedevi, per noi; per farci sperare che un giorno ti saresti ravveduto, per non tagliare i ponti.» La sua espressione si fece disperata e severa. «Ho rifiutato i suoi assegni e le ho restituito tutto, fino all'ultimo centesimo. Non ho detto nulla a tuo fratello, non posso rubargli più di quanto abbia già sacrificato. Sono finito sul lastrico, costretto a mantenere una donna che nonostante tutto ti ama alla follia con una pensione e qualche lavoretto.» Mio padre scosse la testa, in lacrime. «Eri mio figlio, il sangue del mio sangue...»
  Pronunciate le sue ultime parole, aprì la finestra e gettò con rabbia il contenuto verso la strada; la cornice si ruppe in mille pezzi, e così il mio cuore...
  «Sembra che tu non abbia causato altro che male» esclamò Shanor.
  – No, non è così. I miei soci, i miei amici... Ho fatto tanto per loro, sicuramente staranno piangendo la mia scomparsa. Portami da loro. –
  «Sia.»
 
Mi ritrovai nell'ufficio al penultimo piano, dove si stava riunendo il Consiglio di Amministrazione; il mio ritratto, quello appeso al muro, mi consentì un'ampia visione della sala. I miei soci e Svetlana erano riuniti a un tavolo rotondo, pieno di carte e bottiglie d'acqua.
  La russa prese parola: «Signori, dobbiamo prendere una decisione sul futuro della compagnia. Sarò chiara: Wall Street non attenderà i nostri comodi e ogni secondo che perdiamo a discutere farà cadere il prezzo delle nostre azioni vertiginosamente. Con la morte di Symon Argent, l'eredità della compagnia andrebbe di diritto ai suoi genitori e a suo fratello... Dei pezzenti che non saprebbero riconoscere un'azione da un titolo di credito.» Una risata generale proruppe nella sala e la bionda sorrise compiaciuta. «Consegnare l'azienda nelle loro mani significherebbe la fine per tutti noi. È per questo che ho intenzione di effettuare una scalata ostile, e assieme al vostro sostegno riuscirò nel mio intento.»
  «Quello sbruffone ci riteneva inferiori a lui e non ha mai voluto sentire la nostra opinione. Io ci sto» sbottò Francis.
  – Cosa?! Sono stato io a risollevare le sorti della tua compagnia, ingrato! –
  «Quando ho presentato la mia ipotesi di trasformare il secondo piano in un supermercato, mi ha sbraitato contro per mesi» aggiunse Lily.
  – È un albergo, non un centro commerciale! –
  Ogni membro del consiglio disse la propria. Persone che credevo amiche, a cui avevo fatto fior di favori, che avevo trattato come fratelli, mi stavano pugnalando al cuore con le loro lingue biforcute: una massa di avvoltoi che stavano lentamente facendo a brandelli la mia carcassa, strappando organi e lembi di pelle, e bevendo il mio sangue.
  «Per questa gente hai abbandonato la famiglia?» chiese Shanor.
  Non risposi, ero ferito e umiliato.
  «Per quel che vale, sono contento che sia morto. Svetlana, noi tutti ti appoggeremo» asserì Jack, il membro del consiglio a cui avevo salvato il matrimonio. «Togliete quel quadro dalla mia vista, non voglio più vedere quell’immonda faccia da schiaffi» aggiunse altezzoso e disgustato, rivolto agli inservienti.
  Prima che mi raggiungessero, il serpente ci riportò in quel luogo buio e desolato.
 
«Hai vissuto tutta la tua vita nell'arroganza, facendo del male al prossimo. E cosa ti è rimasto? Niente.»
  Caddi in ginocchio, tremante. Lacrime di frustrazione sfuggirono al mio controllo. Disperazione e rabbia montavano in me. Non avendo nulla da perdere le cacciai fuori. «Ho affrontato la vita a viso aperto, ho osato e ho vinto. Perché dovrei essere punito per questo? Se i ruoli fossero stati invertiti, gli altri si sarebbero comportati allo stesso modo!»
  «Credi che questa sia una scusa? Sei tu ad avere in mano il tuo destino, nessun altro. Hai sprecato la vita per saziare te stesso.»
  Strinsi i denti. «Me stesso, dici? Cos’hanno fatto gli altri per me? Ho dovuto cavarmela da solo, sempre! Sono stato sempre rallentato da catene e regole!»
  «E per strappartele hai fatto del male, sei diventato come quei parassiti che chiami amici. Non sei diverso da loro, non sei migliore di nessuno. Sei solo un bambino che per superare un ostacolo getta gli altri nel fango. E se fosse capitato a te?»
  «Io non mi sarei fatto mettere i piedi in testa, io sono migliore di tutta quella gente inutile e senza scopo» ribattei.
  «Eppure ti sei fatto uccidere, come uno sciocco. Per dei milioni che avresti potuto guadagnare con un po' di pazienza e accortezza. Apri gli occhi: ti credi superiore, eppure ciò che hai saputo fare in venticinque anni di vita è stato sopravvivere alle spalle degli altri, dei deboli e dei lavoratori.»
  Feci un sorriso irriverente. Risi. «Sono bravo in quello che faccio. Se quei caproni credono che dalla mia bocca esca oro colato non è certo colpa mia.»
  «Un lupo… E tutto quello che possedevi ti è stato portato via da delle capre. Sei stato appena gettato nel fango, altri stanno superando l'ostacolo servendosi di te; proprio quegli uomini che reputavi inferiori.»
  Vacillai di fronte al peso della verità. Tuttavia non mi diedi per vinto. «Certo, solo perché ora sono morto.»
  «Irrilevante.»
Strinsi gli occhi, irritato dalla sua risposta. Non volevo dargliela vinta, eppure, e per la prima volta nella mia vita, non riuscii a trovare una strada altrettanto convincente; ciò che avevo visto, la verità dietro le sue parole... Il mio retaggio sarebbe stato pressoché inesistente, la mia notorietà effimera e malleabile come cera sul fuoco.
  «Cosa succederà, adesso?» chiesi con un filo di voce.
  Il serpente fece scattare la lingua un paio di volte, come se fosse incerto sul da farsi. «Hai causato solo sofferenza e odio nella tua misera esistenza, ma il tuo giudizio è incompleto» sentenziò, lasciandomi basito.
  Chi altri dovevo incontrare?
   
 
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