Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Ghostro    20/10/2020    1 recensioni
Symon Argent è un giovane e ricco uomo d'affari all'apice della sua carriera.
Dal momento che questo genere di personaggio è abusato all'inverosimile, l'ho fatto morire e ficcato a forza in una storia fantasy che lo vedrà confrontarsi con il suo passato.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Ancora non lo so'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Riapparvi in una stanza da letto. Non era lussuosa, ma sembrava confortevole nella sua semplicità. Mura  giallo canarino rilucevano sotto la luce soffusa di una lampada sul comodino, un vecchio parquet in legno, dello stesso colore chiaro del mobilio, dava una sfumatura rustica alla camera, e un comodo letto matrimoniale, -coperto da un lenzuolo grigio-chiaro e svariati cuscini.
  Non riconoscevo quella stanza, né riuscii a capacitarmi di come una mia foto fosse finita lì; ero confuso e volevo chiedere delucidazioni, ma il serpente sembrava svanito. Ero solo, in casa di uno sconosciuto.
  D'un tratto la porta si aprì ed entrò una figura che riconobbi immediatamente. Era Esmera. Stanca, afflitta, ingobbita, infilata in un vecchio golfino di lana. La guardai togliersi le pantofole e poggiarsi esausta sul materasso. Non ci mise molto a scoppiare in un pianto a dirotto, lasciando calde lacrime libere di solcare il suo volto. Si rannicchiò in posizioni fetale. La osservai stringersi tra le braccia e sfogare il suo silenzioso dolore. Avrei tanto voluto che Shanor mi mandasse altrove, eppure nessuno apparve per portarmi indietro. Possibile che volesse farmi vedere questo?
  Dovetti sorbirmi i suoi piagnistei fino all'esasperazione, finché la sua sofferenza non trovò pace e il mio supplizio con essa. Quando si rialzò, gli occhi e le gote arrossati avevano conferito colore alla grigia sobrietà che era solita ostentare, lasciandomi sorpreso. L'avevo sempre considerata una giovane zitella, nonostante avessimo la stessa età; e forse quello era il motivo per cui l'avevo assunta, per non avere piacevoli distrazioni durante il lavoro.
  Vestiva sempre con vecchi abiti fuori moda e smisuratamente grandi, occhiali così spessi e tondi da celare gran parte del viso, e un'espressione spaesata. Fu per me un’enorme sorpresa osservarla svestirsi. Si tolse gli abiti, restando in biancheria intima, e sciolse il chignon lasciando che i capelli le ricadessero sul viso. Infine, tolse quegli squallidi occhiali. Rimasi folgorato. Era bellissima: il viso acqua e sapone aveva tratti delicati, una folta chioma rosso fuoco che le ricadeva a onde fino alla schiena, un fisico snello che ben poco aveva da invidiare a una modella.
  Possibile che non me ne fossi mai accorto? La conoscevo da tre anni; e anche se non l'ho mai dato a vedere avevo sempre apprezzato il suo lavoro. No, ripensandoci non le avevo mai prestato molta attenzione, mai reputata degna del mio tempo. Se l'avessi saputo, avrei dovuto allontanarla e perdere uno dei pochi, validi aiutanti di cui disponevo; il solo pensiero mi fece rodere il fegato.
  I suoi occhi grigi sembravano assenti, vuoti, le tracce di pianto ben visibili sul viso. Iniziai a sospettare che Shanor mi avesse mandato qui per un motivo non appena la sorpresi a stringere il ciondolo a forma di serpente. Studiai attentamente quell’espressione vuota, distrutta; dentro di me risaliva il presagio che anche lei avrebbe distrutto la foto che mi ritraeva, e con essa ogni traccia del mio passaggio nel mondo.
  Rimase meditabonda, per un po’, prima di avvicinarsi e afferrare la cornice. Osservò con occhi lucidi la misteriosa fotografia; una che probabilmente mi ritraeva in qualche foto con i dipendenti, forse una di quelle cene pietose che avevo sempre odiato. Ma perché tenersela? Perché doversi sorbire il volto del proprio capo fuori dal posto lavoro? Mentre iniziavo a temere che la donna celasse un lato oscuro e perverso, la mia foto venne deposta sulle lenzuola. Lei si rannicchiò nelle coperte in posizione fetale e mi osservava con espressione nostalgica.
  «Ricordo questa foto, Sym» esordì all'improvviso, la voce distorta dal pianto. «Eravamo due ragazzini. Non potevamo avere più di sette od otto anni.»
  – Ma cosa...? – Io non avevo mai conosciuto Esmera al di fuori del lavoro, come potevamo essere stati ritratti assieme da bambini?
  «Pochi giorni dopo sei saltato dal pioppo di Padre Carmine.» Sorrise impercettibilmente; ma abbastanza da rendere la stanza più calda e luminosa. «Ti rompesti la gamba, e nonostante questo il giorno dopo ti presentasti a scuola. Sorridente e ingessato, come se una cosa da niente.»
  Il suo timido sorriso si spense improvvisamente; realizzai di volerlo vedere ancora una volta, prima di spirare, solo una. E scossi la testa. Cosa mi stava succedendo? Cosa mi legava a lei, perché non ricordavo nulla?
  «Mettevi coraggio e passione in tutto ciò che facevi. Non ti ho visto vacillare di fronte a un ostacolo: eri sempre pronto a superarlo, sfidando te stesso e i tuoi limiti. Ho sempre ammirato la tua sicurezza, la tua forza. Ho desiderato essere come te, e quando ho capito di non esserne in grado ho voluto semplicemente starti vicino, il più possibile, per provare anche un solo istante l'ebbrezza dei tuoi successi.»
  – È quello che vorrebbero tutti. –
  Esmera passò un dito sulla cornice, come se volesse carezzare la figura del fanciullo che ero. «Solo crescendo ho realizzato che ai tuoi occhi non ero nessuno, solo una sconosciuta. Una delle tante ragazze che ti ronzavano attorno. Forse non ricordavi nemmeno il mio nome.» Scosse leggermente il capo, le labbra serrate. «Ho accettato di vivere alla tua ombra, nell'anonimato, tanto mi bastava...» La sua voce vacillò. «Ma quando ho scoperto cosa avevi fatto a tuo fratello, cos’è successo a Padre Carmine, qualcosa in me si è spezzato.»
  – Sono diventato più consapevole del mio ruolo nel mondo. –
  «Eri cambiato. Di quel bambino solare e sorridente non era rimasto nulla. I tuoi occhi, il tuo modo di comportarti... tutto di te era diventato più freddo, come se un abisso ti avesse inghiottito, lasciando solo un guscio senza vita.» Si toccò il cuore, un mare di lacrime ora sfociava dai suoi occhi. «Hai fatto cose orribili, sei diventato meschino. E più il male dentro di tè cresceva, più io soffrivo, mi struggevo, mi disperavo.»
  – Ma cosa vuoi da me, si può sapere?! Come ti permetti di giudicare quello che faccio? Io non ti devo niente, io..!. –
  «Ho cercato di allontanarmi, di dimenticarti» esclamò Esmera, tremante. «Ma più cercavo di guardare avanti, più la tua mancanza mi faceva mancare l'aria. Alla fine, ho capito.» Sorrise, nonostante tutto, in modo genuino, nonostante. «Io ti amo, Sym. Ti ho sempre amato, ti amerò per sempre» confessò, ridendo amaramente. «Un amore che mi avrebbe consumata, che mi avrebbe distrutta, che un giorno, lo so, mi avrebbe trascinata verso la follia.»
  – Perché? – Fu l'unica cosa che riuscì a chiedere. Come poteva amare un uomo che l'aveva sempre schernita? Desiderava me e non le mie ricchezze? Possibile che mi amasse al punto da ingoiare il suo orgoglio e vivere nella mia ombra?
  «Quando l'ho capito, quando l'ho accettato, sono riuscita finalmente a trovare la pace. E allora ho tentato in ogni modo di riportare a galla quella luce che avevi perduto. Non smarrito: nei tuoi gesti, nei tuoi modi, inconsciamente qualcosa di quel bambino che ho tanto amato c'era ancora, sepolta in profondità, ma non estinta.» Si mise a sedere, afferrando saldamente la cornice. «Ho pregato la nostra comunità di riammettere Padre Carmine, ho fatto in modo che tuo fratello ritrovasse la sua amata, nella speranza che la sua ira si appianasse e poteste tornare ad essere legati come un tempo; sì, come quella volta che avevate montato il letto di vostra madre. Quant’eri raggiante, quel giorno! Ti alzasti sulla sedia, felice come non ti avevo mai visto, e saltellasti per interi minuti.» La rossa posò una mano sulla foto, quasi avesse timore di continuare. «Per mesi ho donato il mio stipendio ai tuoi genitori, a nome tuo, sperando che tentaste di riconciliarvi.»
  – Sei stata tu. – Se avessi avuto una bocca, sarebbe stata spalancata per lo stupore.
  «Si rivelò impossibile... Allora tentai di ripianare quantomeno i malumori degli altri dipendenti, far vedere loro ciò che io vedevo in te.» I suoi occhi grigi furono su di me, sembrarono sondarmi l'anima. «Io so chi sei: un uomo gentile, solare.» Sorrise a trentadue denti. «Brillante, e onesto.» Tirò su con il naso. «Lo eri...»
  L'atmosfera della stanza divenne cupa, fredda. Un silenzio agghiacciante prese il posto del calore.
  Avevo compreso. – Esmera... non farlo. –
  «Dicono che è stato un infarto, lo stress.»
  – Esmera... –
  «Ma io so che non è così. Ho sentito la tua telefonata, so cos’hai chiesto e so cosa c'è qui dentro.» Prese la pennetta dal cassetto del comò, rigirandosela tra le mani.
  – No, non farlo... –
  «Non può essere una coincidenza, non è una coincidenza. È stata lei, quella russa, Svetlana.» Esmera si alzò di scatto, passeggiò avanti e indietro.
  – Smettila! Non indagare oltre, non farlo! –
  «Ti ha ucciso perché mantenessi la bocca chiusa, per evitare che ciò che hai scoperto non venisse alla luce... Non sa che ho una copia.»
  – No! –
  Esmera prese la mia foto, la osservò per un'ultima volta, intensamente, lo sguardo carico di tutto il rammarico. «Addio, amore mio. Qualunque cosa accada, spero che nella prossima vita il destino ci faccia incontrare; e magari farmi innamorare ancora una volta di quel ragazzino che si lanciava dagli alberi.» Toccò la foto un'ultima volta, prima di sparire dalla visuale.
  – No!!! – gridai, mentre il paesaggio tornava ad essere una distesa buia e desolata.
 
Mi sentii strattonare da una forza irresistibile. Cozzai contro una parete, l’impatto mi tolse il fiato.
  «Hai capito adesso che cos’hai fatto!?» urlò una voce che riconobbi immediatamente: quella di Shanor.
  Aprii gli occhi, rimisi a fuoco. Ciò che vidi mi lasciò di stucco. Davanti a me non c'era più un serpente ma un uomo dai tratti orientali e la chioma verde brillante, gli occhi eterocromi, smeraldo e argento, la carnagione perlacea e il petto nudo solcato da tatuaggi tribali verde fosforescente. La sorpresa di vederlo in fattezze umane fu soppiantata da qualcosa di ancor più inaspettato: era in lacrime, quell'essere soprannaturale chiamato a giudicare la mia vita nella morte era in lacrime, gli occhi che emanavano lampi di un furore inaspettato rispetto alla pacatezza che fino a quel momento mi aveva dimostrato.
  «La pennetta. Svetlana starà sicuramente controllando le Centrali di Polizia, ogni distretto. Se lei provasse a varcare la soglia di una qualsiasi...»
  Shanor mi sbatté contro un muro invisibile con più forza. «E di chi pensi sia la colpa, razza di scellerato?!»
  «Mia?! Non è certo colpa mia se...!!»
  Il serpente mi afferrò per la nuca e mi costrinse a guardare in alto: nel nulla più assoluto iniziarono a formarsi numerose finestre. Proiettavano la vita di una bambina, di una ragazza, di una donna... di Esmera. Ogni ricordo, ogni attimo passato, presente e futuro era proiettato in quelle tenebre senza fine, persino il momento in cui lei stava per varcare l'ingresso della centrale.
  «È tutta colpa tua! Lei morirà per colpa tua!!»
  La sua disperazione mi mandò nel panico. Un brivido di paura mi scosse da capo a piedi. «Non è colpa mia se si farà uccidere. Il dolore che sta provando... Io non c'entro nulla!»
  Shanor mi diede un pugno in pieno viso, lacrime scintillanti strabordavano dal suo, rigido, contratto. «Non l'hai ancora capito, razza di viscido infame?»
  «Capire che cosa?» ansimai.
  «Non sono qui per te, ma per lei» vociò stridulo, indicando l'esatto momento in cui un finto detenuto le puntava una pistola alla testa.
  «Lei?» domandai basito.
  Shanor cercò di colpirmi, ma il rumore dello sembrò averlo svuotato delle forze. Si allontanò barcollando, premendo le mani sul volto. «Quel ciondolo, quello che porta al collo, appartiene alla sua famiglia da generazioni. È un oggetto sacro. Dal giorno della loro partenza da Shé chéng i suoi avi l’hanno sempre indossato affinché vegliassi su di loro.» Rapito ascoltai la sua storia, non osando muovere un muscolo per paura delle conseguenze. «Per secoli ho protetto la sua famiglia, salvaguardato la loro rinascita in un nuovo mondo. E quando nacque lei...» Un sorriso spontaneo gli si formò in viso. «Era bella, vivace, si è sempre sacrificata per il prossimo, era sempre pronta a fare del bene. A regalare un sorriso, ad affrontare la vita armandosi di speranza. Era come una piccola fiammella, pronta a infondere calore ma delicata come un fiore... E poi sei arrivato tu.» Mi fissò con odio, le mani tremanti per lo sforzo di non serrarsi attorno al mio collo. «L'hai spenta, senza curarti minimamente di ciò che le facevi. E come potrebbe essere altrimenti? Tu vivi per schiacciare gli altri, sei una locusta che tutto consuma finché non resta che desolazione. E poi cambia habitat, non appena le risorse scarseggiano. La tua arroganza, la tua presunzione, hanno rovinato le vite di chiunque abbia avuto la disgrazia di conoscerti. Hai così poco rispetto della vita da sfociare nell’osceno. Trascini chiunque provi per te all’autodistruzione.»
  «Chiunque?»
  «Tuo fratello, la sua fidanzata, i tuoi genitori... pensi che Svetlana si fermerà solo a Esmeralda? No, toccherà anche a loro, a Padre Carmine. I tuoi dipendenti a poco a poco spariranno, come chiunque lei tema possa essere in possesso di quelle dannate informazioni!!»
  Non so dove trovai il coraggio di riprender parola. «Cosa accadrà, adesso?»
  Le immagini iniziarono a scorrere secondo una sequenza precisa: la nascita, la vita e la morte di Esmera. Shanor si prostrò ai miei piedi.
  «Salvala» m’implorò in lacrime.
  «Cosa…?»
  «Salvala, ti prego. Non lasciare che muoia per causa tua!»
  «Ma cosa posso fare?! Sono morto, se non lo vedi!»
  Egli alzò il viso colmo di disperazione verso il mio. «Rinuncia al tuo potere di attrarla e lei rinuncerà alla sua volontà di seguirti.» Mi afferrò le gambe, quasi le stritolò nella sua stretta poderosa. «Se c'è davvero un briciolo di umanità in te, se c'è davvero del buono, come lei ha sempre proclamato, allora usalo per salvarla. Ti supplico: sii per una volta qualcosa di più che l’arrogante e insensibile mostro che tutti vedono! Salvala!!» mi scosse con veemenza.
  «Tu la ami» realizzai scioccato.
  Shanor si asciugò le lacrime con il braccio. «Come potrei non farlo?» Sorrise genuino. «È la donna più bella e gentile del mondo, e ho giurato di proteggerla dal primo giorno in cui ho posato gli occhi su di lei.» Si rialzò lentamente, fissandomi dall'alto in basso. «Lei è l'incarnazione stessa della speranza, così effimera e potente. Lasciarla nelle tue mani è qualcosa che ripugna ogni fibra del mio essere, ma devo farlo.» Materializzò dal nulla un coltello e aprì un taglio sul palmo della mia mano, dopo averla afferrata bruscamente; il sangue che iniziò a sgorgare. «La mia amata ha sempre avuto fiducia in te. Ne avrò anch'io, non posso fare altro.»
  «Cosa stai facendo?» domandai confuso, tenendomi la mano ferita.
  «Salvala.»
 
Sbattei gli occhi, fissando sconcertato il tramonto che mi si parava di fronte. Confuso scattai all'indietro. Attorno a me non c'era nulla, né Shanor o chiunque altro. Solo un sole calante, un silenzio disturbato dal dolce sospirare del vento e una ferita ancora aperta sul palmo.
  – Salvala. –
  Il monito di Shanor echeggiò nella mia mente, mentre mi dirigevo verso il piano a me riservato, brancolando nell'incertezza di cosa fosse accaduto…
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Ghostro