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Autore: H0sh1    23/10/2020    1 recensioni
Prefettura di Chiba, Tōkyō, gennaio 1943.
La Guerra del Pacifico è esplosa da due anni e i veterani sono stati richiamati per combattere, lasciandosi alle spalle ciò che di più prezioso hanno costruito con il tempo.
Kobayashi Rie, fortemente legata alla figura paterna, custodisce gelosamente le lettere che il genitore, ogni mese, le spedisce dal fronte: l'unico modo attraverso il quale sentirlo ancora vicino.
In un giorno di pioggia, tuttavia, il contatto viene reciso per sempre.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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雨の歌- Il canto della pioggia

通夜 - Veglia

A nulla è valso il tentativo di celare il rossore che tinge i miei occhi: niente ha sorbito l'effetto sperato, nessuna maschera è stata in grado di coprire il mio dolore.

Non ho realizzato fino a che questi miei occhi non hanno visto da sé.

I nostri vicini, i signori Sasaki, richiamati dal grido d'aiuto del signor Oogawa, hanno chiamato al più presto l'ambulanza, mentre lui mi aiutava ad adagiare la mamma sul divanetto nel salotto, e aveva atteso con me fino a che i paramedici non sono arrivati.

«Mi dispiace tanto, Rie.» l'ho sentito mormorare, quando gli ho consegnato il bicchiere d'acqua che mi aveva chiesto. Ha preso un lungo sorso, come a voler buttar giù il magone. «Davvero.»

Non sono riuscita a sentire nulla.

Solo un grande vuoto.

Mi sarei aspettata di sciogliermi in un pianto inconsolabile, ma quello stesso oblio ha risucchiato tutto, persino la tristezza, la rabbia.

Non c'è stato bisogno per la mamma, fortunatamente, di recarsi in ospedale, ha avuto solo un mancamento dovuto allo sconcerto della notizia.

Da quando si è svegliata, tuttavia, non ha fatto altro che piangere. Le sono stata accanto, assorbendo l'amarezza delle sue lacrime; le ho stretto le spalle e, al mio contatto, il dolore è dilagato più forte.

Eppure, di fronte a cotanto struggimento, non sono riuscita a versare una lacrima, una che fosse una. Forse, penso, perché il mio animo si è rifiutato di credere ad una baggianata simile.

È falso. Non c'è nulla di vero.

Ma poi ho visto.

Al rientro della salma, la speranza - quel fievole, piccolo barlume che ancora, ho compreso a posteriori, mi animava -, che mi ha permesso di non cadere a pezzi del tutto, si è spenta definitivamente.

Solo allora, colta dall'inevitabile verità, le mie maniche si sono bagnate.*

Le gambe non hanno retto e, in quel momento, sono stata io a cadere a terra, sopraffatta dal destino infausto. È stato il momento di mia madre di sopprimere lo struggimento, di assorbire il mio fiume in piena, di carezzarmi il capo.

Nessuno dei suoi gesti, tuttavia, è riuscito a placare la tempesta che è infuriata in me, e che in me, ancora, permane.

E il cielo, ancora una volta, è tornato a piangere.

Anche ora sento il ticchettio delle gocce sulla finestra del bagno.

Tic. Tic. Tic.

Insistenti, sono l'unico rumore che squarcia il silenzio in casa.

Sistemo l'obi nero, che è calato un po' giù, ed esco dalla stanzetta. Mi dirigo vero il santuario domestico, lì dove Kobayashi Shoichi attende che il suo viaggio verso il regno di Amida abbia inizio.

La veglia è giunta al termine, i sutra sono stati letti e le condoglianze accolte. Adesso siamo solo io e lui.

Percorro la stanza a piccoli passi fino ad arrivare al suo capezzale, dove mi inginocchio. Sistemo per bene il kimono funerario sotto le gambe, di modo che non mi dia fastidio, e osservo ciò che un tempo animava questa casa.

Sì, Buddha mi ha ascoltato, in un certo senso: è di nuovo qui, è tornato a casa, ma mai avrei creduto che le cose sarebbero andate in questo modo.

Dove troverò conforto, adesso che siete andato via?

Ho riletto le lettere - durante la notte di attesa -, stretto Milly al petto, eppure nessuno di essi è stato in grado di infondermi conforto.

Non avrei creduto possibile che sarebbe arrivato, per me, il momento di inumidire le labbra di mio padre, di adornare il tavolo con incenso e fiori. La venuta dell'eterna notte in cui avrei dovuto vegliare su di lui.

Mi volto, lo scruto in viso.

Sembrate così sereno, padre mio. Se non avessi visto il vostro petto trafitto a morte, senza pietà, se non fosse immobile, giurerei che state dormendo.

Cosa mi rimarrà di voi?

Noto che il pugnale che regge è leggermente storto, per cui mi sporgo in avanti quel tanto che basta per permettere alle mie mani di raddrizzarlo. A contatto con la pelle, percepisco il gelo che permea questo corpo senza vita e, inevitabile, il cuore salta un battito. L'ennesimo negli ultimi giorni.

Accanto alla salma, sul tavolino basso che ho di fianco, c'è una foto, quella che, solitamente, teniamo in salotto. Non so perché sia qui, non ricordo neanche se sia stata io a mettercela, ma la prendo comunque. La studio, passo i polpastrelli lungo la cornice d'argento e percepisco un leggero sorriso, malinconico, agghindare il mio volto. La giro verso mio padre, come se possa ancora vederla.

«La ricordate, vero?» chiedo, affranta nel non sentire alcun suono spirare dalle sue labbra.

Siamo ritratti io e lui: mi sta tenendo in braccio, stretta al petto in un tripudio di fasce; i suoi occhi sono colmi di gioia e ha stampato in viso un largo sorriso, quello di cui ho più sentito la mancanza.

È stata la mamma a raccontarmi la storia di questa fotografia: temevate di vedermi cadere e andare in pezzi, come se fossi stato un pregiato vaso di porcellana. Avevate timore di tenermi in braccio per paura di ferirmi con il vostro amore. E io mi chiedo, come avete potuto pensare anche solo un istante di esserne in grado?

Adesso, dinnanzi a voi, ora più che mai, vorrei sentire ancora una volta il vostro abbraccio. Solo un'ultima volta.

Mi perdonerete se le lacrime hanno iniziato a sgorgare, vero? Perdonerete la debolezza di questa vostra figlia?

Anche oggi, così come quel lontano giorno, non riesco ad arginare il tumulto di emozioni che covo dentro al cuore, esso non ha potuto far altro che esplodere.

Dodici novembre, millenovecentoquarantuno: il giorno in cui tutto è cambiato.

Ci hanno sempre insegnato che i mutamenti della natura, della vita, sono quanto di più bello abbiamo, il segno inequivocabile che il mondo gira e va avanti. Ma come può la morte essere considerata bella?

Anche quel giorno il signor Oogawa aveva bussato alla nostra porta con la posta, ed era stato mio padre ad aprire l'uscio e farsela consegnare. Incuriosite, io e la mamma l'avevamo seguito all'ingresso, e ricordo lo sguardo accigliato di papà che studiava la busta che stringeva in mano, come fosse cambiato con la stessa velocità di un battito d'ali di farfalla.

Qualcosa si è rotto, quel giorno. La mattina consolava la mamma mentre io cercavo in tutti i modi di essere forte, (così come voi mi avete insegnato). Ma al sopraggiungere delle tenebre, quando l'uomo è più debole, gli argini si rompevano nel cuore del sonno.

Le mie maniche continuavano a bagnarsi, ma voi le avete sempre asciugateNessuno, tuttavia, ha mai asciugato le vostre.

Porto la mano in avanti, i polpastrelli percorrono la delicata stoffa della tuta che lo avvolge.

Mi rendo conto solo ora del mio egoismo, così grande che non mi ha permesso di ascoltare la sua paura, il dolore di rivivere ancora una volta l'orrore e la morte che la guerra porta con sé.

Tuttavia, sorridevate.

Perfetto padrone delle sue emozioni, l'uomo che ora giace dinnanzi a me non aveva mai permesso ad esse di prendere il sopravvento, di dominarlo. Ciò che io, in uno sciocco tentativo di emulazione, non sono stata in grado di fare.

Avete lasciato un vuoto troppo grande, padre.

Adesso, chi asciugherà le mie maniche?

* * *

*maniche bagnate: espressione usata nella letteratura giapponese con la quale si descrive una donna (o anche un uomo) che piange.
   
 
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