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Autore: Impossible Prince    24/10/2020    1 recensioni
La storia è qua per disturbare la vostra ipocrisia.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: N, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Marvel Cinematic Universe

 
Era passato qualche giorno da quando aveva pubblicato quella foto di Canalipoli su Instagram e davvero, non avevo voglia di incontrare Dream. Non ero interessato neanche a sapere se stesse bene. Cioè, mi auguravo di sì, che scherzate, non lo odiavo mica, non gli auguravo qualche accidente. Anzi, a dire il vero io ero certo che stesse bene anche perché se stai male non sei perennemente connesso a WhatsApp o Telegram. Non che lo controllavo, sia chiaro. Su Telegram se una persona è connessa esce fuori nella lista delle chat, c’è il pallino verde che ti ricorda: “hey, sono connesso, scrivimi dai”. Su WhatsApp capitava che entrassi a vedere la conversazione con lui. Ma per sbaglio, s’intendeva. Mi scivolava il dito sudato sulla chat e niente, vedevo che era online. Ma non lo facevo volontariamente, potete contarci.
Da quella fotografia mi pareva che le giornate passassero ancora più lente. Sarà perché non facevo assolutamente niente per tutto il giorno, rimanevo sul letto e fissavo il mondo che si stagliava oltre i miei piedi. Non sono un feticista, potete giurarci. Anzi, credo che i feticisti, quelli che abbiano la fissa per i piedi mi mettano un po’ i brividi. E mi piacerebbe dirvi che oltre i miei piedi immaginavo i percorsi in cui ero stato e mi ci muovevo attraverso a bordo del mio letto matrimoniale. Ma la verità è che non immaginavo niente, vedevo solamente l’armadio marrone chiaro immobile, fisso, senza che facesse neanche qualche scricchiolio, dico davvero. Oltre a dare da mangiare ai Pokémon – passavano il loro tempo nel giardino del condominio, assieme ad altri Pokémon – non avevo nient’altro da fare.
Così una mattina provai a scrivere ad Alessia. Non ricordavo che fuso orario ci fosse tra qui ed Alola, perché sì, la mia ragazza era partita per Alola. Cavoli ragazzi, sembrava che tutto il mondo si fosse unito per ricordarmi del mio soggiorno ad Alola. Ma a me non andava di ricordarlo, dico davvero. Beh, Alessia non mi rispose e forse là era ancora notte, ma quando era in vacanza aveva degli orari tutti suoi quella ragazza, poteva capitare che fosse ancora sveglia. Ma non lo era, si sarebbe trovata il mio messaggio come buongiorno. Penso sia bello trovarsi un messaggio come buongiorno, ecco perché non ho cancellato il messaggio. Ma al contempo, può essere imbarazzante, ecco perché evitavo di scrivere a Dream quando ad Alola era notte, non volevo che si trovasse il mio messaggio appena sveglio. E comunque prima o poi ad Alola il sole sorgeva e prima o poi me ne sarei ricordato di quel messaggio, che magari non era un messaggio di buongiorno, magari gli chiedevo qualcosa, gli chiedevo come stesse, cosa si raccontasse di lì o magari gli chiedevo se avesse mai trovato un Mareanie. Ragazzi, come mi piacciono i Mareanie, sono così belli. Ne ho sempre desiderato uno e ne ho provato a catturare qualcuno quando ero andato ad Alola, ma non ci sono riuscito. Dream aveva detto che avrebbe provato a catturarne uno e a mandarmelo, ma quando gli avevo chiesto qualche settimana dopo se ci avesse provato mi aveva detto di no. Lì capii che non lo avrebbe mai fatto e che non avrei mai avuto un Mareanie in squadra.
Fu una di quelle mattine che il telefono suonò e lo afferrai.
«Quando vieni a prendere il cibo dei tuoi Pokémon?» fece Camilla. Camilla non si occupava di queste cose, era insolito per lei domandarmele, probabilmente era il mio allenatore o il mio agente ad averglielo chiesto. Sì, ho un allenatore anche io. Si chiama Bruce Wallace. Mi aiuta a fare allenamento fisico e assieme studiamo nuove strategie. Tutti i Campioni di Sinnoh nati nell’isola ne hanno uno, è un tecnica che hanno pensato per evitare che il livello della qualità dei campioni si abbassasse, come successo un po’ ovunque. Non lo so se come metodo funzioni davvero. Io e Bruce andiamo d’accordo, è un brav’uomo e la sua famiglia sembra ok. Solo che non capisce che a volte ho bisogno di rimanere un po’ per i cavoli miei, che non ho sempre voglia di allenarmi. Dovreste vederlo, Bruce. Ha due braccia che se ti prendessero a schiaffi sarebbero capaci di farti fare il giro del mondo quattro volte.
«Non lo so, comunque ho ancora del cibo qua a casa»
«E cosa gli darai da mangiare oggi?». Mi passai la destra tra i capelli facendo un respiro profondo. Cosa diamine ne sapevo cosa avrei preparato per i Pokémon, non sapevo neanche cosa avessi in frigorifero o nella dispensa. Sapevo di avere del cibo, non mentivo, ma non sapevo mica cosa preparare.
E fu allora che mi resi conto. Mi resi conto che non avevo voglia di alzarmi, di preparare il pranzo per loro, non avevo voglia di assicurarmi che avesse la giusta quantità di sale. E poi, per come si stavano mettendo le cose non avevo mica voglia che Camilla o che ne so, il mio allenatore, mi chiedessero di mandargli una foto che dimostrasse il mio reale impegno nel preparare il cibo. Anzi, mi sembrò quasi che quella e tutte le potenziali chiamate successive avessero la funzione di un cappio al collo. Mi sentivo oppresso.
«Senti, sai facciamo?» dissi mettendomi seduto e infilando l’indice tra l’alluce e l’altro dito di cui nessuno sa il nome. «Adesso vi mando i Pokémon così ci pensate voi». Ovviamente ci fu la solita sequenza di no-ma cosa dici-che ti prende. In realtà non sapevo che mi prendesse, non avevo semplicemente più voglia di curare i Pokémon. E lo so cosa state pensando: “guardate un wannabe-Dream che si ritira dalla carriera di allenatore”. Non vi devo certamente convincere io dell’insensatezza di questa visione. Comunque la mia decisione era stata presa, tirai fuori qualche bugia dal cilindro dicendo che boh, magari alla fine faceva bene ai Pokémon cambiare un po’ d’aria e che in fondo qui a Canalipoli faceva caldo-caldo, sì ma era l’umidità.
Quando chiusi la telefonata mi resi conto che non avevo neanche voglia di alzarmi per richiamarli e spedirli dove dovevo spedirli, dico davvero. Mi sentivo come se il corpo e il mio cervello fossero due entità separate l’una dall’altra. Mi dicevo che dovevo alzarmi, che dovevo fare quello che dovevo fare ma il mio corpo non sembrava cogliere il messaggio, rimanevo sdraiato con la testa sul cuscino.
Rimasi a fissare il soffitto bianco. Mi domandavo perché non mi avesse scritto quando era arrivato a Canalipoli. Perché aveva deciso di ignorarmi, di fingere che non esistessi? Non riuscivo a distogliere la mia testa da questi pensieri, in sequenza che si autoalimentavano. Avrei potuto chiederglielo. Sarebbe stata un’ottima idea. In fin dei conti è meglio parlare chiaramente piuttosto che non farlo. Me lo aveva detto anche lui un giorno. Incredibile, vero? Mi aveva detto che era meglio parlare chiaramente e giocare a carte scoperte piuttosto che non farlo. Trovai la forza per allungare il braccio verso il comodino e tirai su il cellulare. Aprii WhatsApp e aprii la chat con lui. La fissai per un attimo. Sotto il suo nome apparve la scritta online. Poi, dopo qualche secondo, forse un minuto, sparì.
Non mi aveva scritto.
Appoggiai il telefono sul cuscino affianco al mio e dentro di me cominciò a montarmi una rabbia, una furia che raramente avevo provato in vita mia, vi giuro. Roba che proprio avrei potuto trasformarmi in un Hulk e far finalmente parte del Marvel Cinematic Universe anche io. Per quale motivo sulla faccia di questo pianeta io stavo male se Dream non mi parlava, non mi considerava? Chi era lui per farmi sentire così?
Chissenefrega di Dream.
Dannazione, parliamo di una persona come tante che ha avuto solo il merito di vincere qualche Lega Pokémon in più di me e che avrei potuto tranquillamente superare se solo avessi voluto. Io non avevo nulla da imparare da lui, dico davvero.
«Andasse a farsi fottere» biascicai. E mi sentii meglio, potete contarci. Cioè proprio che adesso non mi sentivo più senza energie, roba che volevo andare a uscire, fare una passeggiata e spaccare il culo a qualche Gennaro Bullo là fuori. Dio, mi sentivo una forza della natura. Non avevo bisogno di far parte del Marvel Cinematic Universe, ero io il mio Marvel Cinematic Universe.
Balzai fuori dal letto, accesi la musica così forte che l’avrebbero sentita persino a Fiordoropoli e cominciai a lavarmi i denti pronto per vivere quella giornata.
Sciacquatami la bocca, mi infilai un paio di pantaloncini di jeans e mi specchiai allo specchio prima di allacciare i bottoni dell’orlo. Mi misi di profilo e strinsi il braccio. Sembrava che stessi perdendo massa muscolare. Magari era la volta buona che avrei chiamato il mio allenatore. Con l’esercizio intenso che mi avrebbe fatto fare, anche per pagarmela, probabilmente avrei recuperato in un mese quello che avevo balzato per tutto il tempo. Ruotai il polso osservando il bicipite salire e scendere lungo il braccio.
Fortuna che io non ho questa chiavica dell’allenamento. Che perdita di tempo. L’unico motivo per cui avere quei bicipiti, Michael, è se vuoi fare soldi su Instagram. Altrimenti è una perdita di tempo.
Lasciai il braccio cadermi al fianco. Effettivamente, a me non interessava tanto allenarmi. Anzi, credo di averlo sempre odiato. Così come non sopportavo poi davvero il mio allenatore, mica per scherzo. E comunque non avevo voglia di uscire, figuriamoci di allenarmi. Tirai già la zip dei jeans che mi caddero senza opporre resistenza alle caviglie. Li superai alzando i piedi, un passo dopo l’altro.
Decisi che era il momento di spedire i Pokémon nel box. Mi affacciai alla finestra, mi misi due dita in bocca e fischiai. In pochi istanti erano tornati su a casa. Dieci minuti dopo erano tutti a centinaia di chilometri di distanza, in un posto fresco e con l’aria condizionata.
Io mi rimisi sul letto. Avrei dovuto pranzare ma non avevo voglia di alzarmi e pensare cosa cucinarmi. Quindi decisi che, in fin dei conti, avrei potuto saltare quel pasto. Non è che avessi poi così tanta fame.
Dico davvero.
   
 
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