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Autore: Chiara PuroLuce    10/11/2020    6 recensioni
Patty è sempre stata gelosa del rapporto di amicizia che lega Holly ad Amy, ma ora ha deciso di cambiare rotta.
Amy ha sempre cercato di avvicinare Patty, ma lei le si era sempre negata e con che grinta, ma se un bel giorno...
Una storia che tratta di un legame di amicizia, tanto insolito quanto vero che riserverà non poche sorprese alle due ragazze e non solo a loro.
Tratto dal prologo:
Cosa ci azzeccavano loro due insieme? Niente, eppure…
«Amy, lasciamelo dire, ho l’impressione che da oggi si scriverà un nuovo inizio per noi due. Ma che non lo sappia nessuno, mi raccomando.»
«Come? E perché?»
«Perché io non ti sopporto, ufficialmente. Lo sanno tutti. E così dovrà continuare a essere.»
Genere: Romantico, Sentimentale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Yayoi Aoba/Amy
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mister Wow, preso. Oscar, preso. Tassista, pagato. Patty per mano, presa. Ascensore, preso. Trasportino e voliera, appoggiati per terra. Patty tra le braccia, presa.
 
«Baciami, baciami come se fosse l’ultima volta!» (Casablanca)

Mister Wow impiccione e guardone, presente in prima fila.
 
«Puoi starne certo, amico» gli disse Holly a un soffio dalle labbra dell’amata.

Poi schiacciò il bottone di avvio e se ne impossessò con dovizia e passione, mentre l’ascensore iniziava la sua lenta salita.
 
«Holly? Holly siamo arrivati» gli disse dopo un tempo indefinito Patty, staccandosi da lui, dannazione.

«Mh… sì, ok, ma nulla ci vieta di stare qua ancora un pochino… no?» le propose cercando di tornare sulla sua bocca.

«Potrebbe servire a qualcuno e… e poi ci vedono tutti. Ti ricordo che è un ascensore a vista, questo» lo bloccò lei con la mano.

«Tutti chi? Ci siamo solo noi due, Oscar che russa e l’enciclopedia mondiale vivente dei film» le rispose facendola ridere, iniziando a baciarle le dita «a meno che tu non ti riferisca al tuo dirimpettaio qua di fianco» concluse poi indicandole la porta del nordico con la testa.

«Smettila» lo riprese lei dolcemente «apri la porta e la grata di ferro, che portiamo dentro questi due e poi…»

«E poi…? Coraggio, amore mio, continua» la esortò, immaginandosi una giornata di passione con lei.

«E poi... si vedrà. Per il momento ti offro il pranzo» poi specifico, vedendolo impallidire «ehi, non sono una completa frana ai fornelli. Qualcosa so fare e quel poco lo faccio anche molto bene. Voglio sdebitarmi per averti fatto dormire e mangiare scomodo.»

«A me è piaciuto e non ero affatto scomodo» le disse vedendola arrossire «ma, se prometti di non avvelenarmi, accetto» e poi la baciò un’ultima volta, soffocando così la sua protesta.

Holly aprì la porta dell’ascensore, recuperò il loro bagaglio vivente e uscì con lei subito dietro, intenta a cercare le chiavi di casa.
Diede un’occhiata veloce alla porta accanto e… oh, come poteva resistere. Appoggiò di nuovo tutto per terra e trasse una sbalordita Patty a sé, prima di coprirle la bocca con la propria e a lungo. Poi la sciolse dal suo abbraccio, la fece girare verso la porta trattenendola con un braccio sulle sue spalle e – mentre lei era intenta ad aprirla – si guardò indietro e fece il dito medio al vicino, fissando male l’uscio chiuso.
Sei lì, vichingo, vero? Guarda e brucia, guarda e brucia! Lei è mia! Adesso l’hai capito, vero?, gli disse col pensiero.

 
«Non te l’ho ancora detto, ma sei stata fantastica ieri sera» le disse poi ad alta voce rubandole un bacio veloce «e anche stamattina» aggiunse.

Che Steffen pensasse quello che volesse, non gli importava. Solo loro due sapevano cos’era successo realmente, l’altro no e quindi… che colpa ne aveva lui, se il nordico poteva pensare che se la fossero spassata? Nessuna.
 
«Ah, bè, grazie! Anche tu non te la sei cavata affatto male» gli rispose facendogli l’occhiolino, recuperando Oscar e lasciandogli Mister Wow, prima di aprire la porta.

Lui la seguì all’interno con il pennuto e, prima di richiuderla, fece ciao ciao con la mano alla porta di Steffen.
Ecco, ora si sentiva meglio.
 


 
 
Hutton! Quanto non ti sopporto!, si disse Steffen dall’altro lato della porta, tirando un pugno al muro.
Sì, stava guardando, ma era stato un caso. Stava per uscire e si era diretto alla scarpiera accanto alla porta, prima di prendere le chiavi di casa. Aveva un appuntamento con il suo team di cucina – o con l’allegra brigata come si erano ribattezzati – per andare a ispezionare un immobile dove avrebbero aperto il loro piccolo ristorante con annessa un’area per la loro agenzia di catering. Sì, lui amava fare il Sous Chef, ma al momento avevano bisogno di guadagni immediati e quella seconda attività, li offriva. I loro risparmi li avrebbero messi quasi interamente nell’acquisto dei locali.
Insomma, era lì accanto alla porta, quando aveva sentito l’ascensore salire e fermarsi proprio al suo piano. Patricia è tornata!, si era detto.
Il giorno prima si erano lasciati in malo modo e sentiva il bisogno di scusarsi con lei. Dopo avere discusso, lui aveva cercato di rimediare e si era spinto un po’ troppo in là con lei, che l’aveva bloccato fisicamente e si era sottratta al suo tocco. Sapeva di avere forzato i tempi e che Patricia ancora non era pronta, ma non era riuscito a trattenersi. Poi la madre l’aveva chiamata e lei, anche se era arrivata solo qualche ora prima, era ripartita per Nankatzu.
E così non aveva resistito, il solo pensiero di rivederla lo elettrizzava e, intenzionato a darle una mano con i due animali che si era portata appresso, stava per uscire e offrirle una mano, ma… eccolo là, Hutton!
La parte più dura non era stata vederlo rincasare con lei, ma vederlo in atteggiamenti intimi con lei e vederlo lanciargli un messaggio ben chiaro. Con il gesto fatto al suo indirizzo, con le parole dette ad alta voce e con gli occchi. I gesti, gli sguardi e quelle parole…
Quel tipo, in qualche modo, riusciva sempre a far fare a Patricia quello che voleva e a lui, questa cosa, infastidiva parecchio. Specie perché lei lo assecondava sempre.
 
«Faen (Cazzo), che hanno combinato quei due? Quelle frasi… no, no, non è possibile che loro… Patricia non sarebbe capace di fare una cosa del genere con lui, essendo attratta da me. Eppure, quando quell’idiota l’ha baciata, lei… no, basta! Resisti Steff e, non appena rimarrà da sola, glielo chiederai. Per ora…»

Guardò il grande orologio in cucina e imprecò nuovamente, era propria ora di uscire e di corsa anche.
Agguantò le scarpe, le infilò, prese le chiavi dal cestino apposito e si fiondò giù per gli scalini. Non aveva tempo di aspettare l’ascensore e non aveva voglia di vedersi comparire davanti Hutton, per puro caso.
 
«Ciao Steffen» lo bloccò una voce femminile al quarto piano.

«Ah, ciao… em… scusa, non sono molto portato per i nomi» le confessò, imbarazzato.

«Miki» gli rispose quella, arrossendo e cercando di non fare cadere uno strano borsone capiente.

«Vuoi una mano? Sembra pesante. Sono di fretta a dire il vero, ma una bella donna in difficoltà non posso di certo abbandonarla» le disse.

«Oh, no! No, grazie, non è necessario. Ce la faccio benissimo da sola» gli rispose lei agguantandola ancora di più «si è rotto un manico e… e la cerniera. È davvero vecchio, ma ci sono affezionata. Credo che lo userò ancora dopotutto… comunque non lo butto, no, no… ah, ah!»

Che tipa strana. Teneva quel borsone come se ne andasse della sua vita o come se… se sotto sotto si vergognasse del suo contenuto. No, impossibile. Quella ragazza era una psicologa, se non ricordava male, cosa poteva avere mai da nascondere?
Certo che, a guardarla bene, carina era carina. Vestitino estivo verde fiorato, occhiali verdi su un paio di occhi grigi, abbastanza alta da poterlo quasi guardare negli occhi, capelli castani lunghi e lisci fino alla vita, fianchi formosi, seno abbondante naso aquilino e labbra carnose… quella ragazza solitaria lo confondeva, strano. Lui notava tutto e non l’aveva mai vista uscire di casa con amici o sentire rientrare a tarda notte, ma sempre di prima mattina e quel giorno era in ritardo. In genere la sentiva rincasare prestissimo, poco dopo l’alba, poi dormiva tutta mattina e verso mezzogiorno – sentiva le tapparelle alzarsi – si svegliava, pranzava e alle 14 iniziava il via vai di pazienti, che durava fino all’ora di cena, consumata la quale, usciva nuovamente per tutta la notte, da sola. Una routine più che una vita. Come faceva a saperlo? Abitava sotto di lui e ne conosceva, suo malgrado, le abitudini. 
Sì, quella Miki era degna di nota, decisamente, ma mai come la sua Patricia che, invece, era una visione ai suoi occhi.
Le sorrise e corse via, prima di fare qualcosa di stupido come chiederle il numero di telefono. Per che motivo poi? Nessuno, giusto? Giusto. Si bloccò sulle scale quando di lì a poco la sentì dire con voce dolcissima

 
«Ma ciao Birba miao, amore di mamma, hai fatto la brava stanotte? Sono in ritardissimo, vero? Scusaaaa! Hai fame? Vuoi fare le coccoline prima, vero? Aspetta che appog…» e poi la porta si chiuse.

Vuoi fare le coccoline? Lui decisamente sì. Quanto invidiava quel gatto che poteva appoggiarsi sul bel petto della sua padrona e… cosa? No! Decisamente no. Assolutamente no. Ma che cazzo gli prendeva adesso. Lui era innamorato di Patricia e tutte le altre passavano in secondo piano, se non al terzo. E allora che diamine aveva quella stramba ragazza per fargli venire certi pensieri? Una cosa era certa, doveva allontanarla dalla sua testa quanto prima per concentrarsi esclusivamente su Patricia e su come eliminare Hutton dalla sua vita una volta per tutte.
 
 



Miki Tanaka era una stupida. L’oggetto dei suoi desideri carnali e sentimentali le aveva offerto aiuto e lei l’aveva rifiutato. Ma cosa aveva nel cervello, il nulla? Aveva sognato per mesi quel momento e poi l’aveva buttato via così.
Nella sua testa lei accettava il suo aiuto e lo trascinava in casa, gli offriva da bere e poi… gli offriva anche qualcos’altro, non certo un “Oh, no! No, grazie, non è necessario. Ce la faccio benissimo da sola” come risposta.
Già. Se solo nel borsone ci fosse stata una semplice tenuta da palestra o da piscina… e invece no, lì dentro lei teneva ben altro e se Steffen avesse preso il borsone e guardato dentro avendo la cerniera rotta e il manico scucito che avrebbe subito ceduto, riversando tutto il contenuto sul pavimento… no, non voleva neanche pensarci. Che imbarazzo!

 
«Insomma, non faccio nulla di male, dopotutto. Sono solo una ballerina di burlesche notturna» si disse «non ho nulla di cui vergognami, è una seconda professione onesta, oltre che divertente. E allora perché mi interessa quello che quella specie di dio nordico possa pensare di tutto questo? Devo proprio rispondere? Ok, me lo dico da sola. Perché mi piace terribilmente! Perché… sì, perché lo amo!»

Povera me, se mi vedessero i miei pazienti a parlare da sola… cosa direbbero? Di sicuro nulla di buono e rischierei di perderli!, si disse.
Meno male che quel giorno aveva disdetto gli appuntamenti – due – per fortuna erano casi semplici, facilmente rimandabili. Non aveva previsto di rientrare così tardi, ma aveva dovuto sbrigare delle commissioni urgenti prima e il tempo era passato veloce.

 
«E poi lui ha un debole per la nuova padrona dello stabile, l’ho visto e lei non lo rifiuta, anche se… anche se oggi si stava baciando in ascensore con uno che non era lui. Erano appiccicati come una cozza allo scoglio. Che scema. Ha per le mani un uomo spettacolare come Steffen e lo prende in giro, preferendogli il tipo moro. Certa gente non si merita tutte le fortune che ha. E io sono troppo imbranata per combattere per lui e rimettere quella tizia al suo posto.»

Era vero, purtroppo, sul palco al night club era sensuale e spudorata, ma mai volgare… ma nella vita era una completa frana.
Riempì la ciotola di Birba – la sua gatta siamese con un occhio solo – recuperò il borsone che aveva abbandonato per terra appena entrata e si diresse in camera, dove si spogliò per andare a farsi una bella doccia prima di cedere al sonno. Il pranzo, quel giorno, avrebbe dovuto aspettare.
 
 


 
«Holly, caro, stai cercando di recuperare tutti gli anni passati, per caso?»

«Come, scusa?» gli rispose quello scostandosi leggermente da lei e guardandola con gli occhi sgranati per la sorpresa. «Come mi hai chiamato?»

«Io… em… Holly?» gli rispose, conscia del lapsus appena avuto.

«Sì, sì, continua a raccontartela» le disse «solo sappi che poi chiamarmi caro, tesoro, amore mio… quante volte vuoi» e poi tornò a baciarla.

Dio, che cosa aveva combinato. Holly, i suoi baci e le sue carezze, l’avevano confusa a tal punto da averla fatta parlare troppo e lui ci stava sguazzando in questo, come un tricheco a mollo.
Dopo il pranzo – che tra l’altro lui aveva lodato, facendola galvanizzare non poco – si era seduto sul divano con la scusa di volere guardare una partita e poi l’aveva fatta sedere a cavalcioni su di sé prima di iniziare a farla impazzire.
 

 
«Mh, il grande Oliver Hutton che snobba una partita in tv, per sbaciucchiarsi con una ragazza» gli aveva detto tra un bacio e l’altro «il mondo si deve essere proprio ribaltato.»

«Tu non sei una ragazza. Tu sei la donna che amo, la donna della mia vita» gli aveva risposto lui con foga e senza pensarci un attimo su.
 
«Oliver… non dire così…»

«Sei la mia donna, Patty. E non ti sto sbaciucchiando, ti sto seducendo. Come sto andando?» le aveva chiesto sulle sue labbra.

«Alla grande capitano, alla grande!» aveva risposto lei mettendolo a tacere.
 

E ora eccoli lì, sul divano, abbracciati talmente stretti che potevano dirsi fusi insieme, con le bocche incollate e le mani impazzite. Lei gli aveva aperto la camicia a maniche corte – che aveva rivelato un dorso scolpito dagli allenamenti e massiccio – e aveva insinuato sotto le sue mani per piantargliele sulla schiena e lui le aveva fatto scivolare le spalline del top, che poi gli abbassò facendola rimanere in intimo. Stava giusto baciandole l’attaccatura dei seni – facendola eccitare e sfregare contro la prova evidente della sua eccitazione – quando la porta si aprì e due voci conosciute troncarono qualunque cosa stessero dicendo.
 
«Oh, oh, scusate, scusate, noi…»

«Em… ok, questo non l’avevamo calcolato, dico bene, Amy?»

Ed eccoli lì, sorpresi a pomiciare senza ritegno sul divano. E se non fossero stati interrotti?
 
«Em… sì, ciao» esordì lei stringendosi a Holly per nascondere in parte il proprio corpo semi nudo, diventando di tutti i colori e desiderando sprofondare dalla vergogna. «Come… come mai già a casa, Amy?»

Ma che ti importa, Patty? È anche casa sua, ora, no? Non deve chiedere il permesso a te per entrare o uscire, giusto?, si disse.
 
«Be’, tra poco tornano i genitori di Julian e abbiamo pensato fosse meglio non mi trovassero lì con un borsone appresso, magari mentre stavamo vicini sul divano a… parlare, ecco e quindi… ciao, sorpresa!» esclamò.

«Riuscitissima!» le risposero in coro i due ragazzi.

«Io… noi… andiamo Julian, lasciamoli soli ancora un po’. Se lo meritano» propose l’amica prima di prendere il fidanzato per mano e trascinarlo in camera sua.

Ma che diamine era appena successo? Oddio, che imbarazzo stratosferico. Patty guardò Holly che era intento a… ridere? E aumentò di volume quando la vide fissarlo male.
 
«Sono contenta che tu ti stia divertendo. Perché io sono in panico completo. Ma… ma ti rendi conto che loro… e che noi stavamo per…» iniziò a dirgli venendo messa a tacere da un veloce bacio e dalle dita della sua mano che cercavano di insinuarsi nella scollatura «Holly!» urlò lei picchiettandole e cercando di spostarle da lì.

«Ma tu lo sai, vero Patty, che probabilmente quei due non hanno passato questi due giorni a giocare a scacchi?» le chiese.

«Cosa? Io… sì, certo, non sono stupida o cieca fino a questo punto e sono felice per loro, era ora.»

«E sai anche che io ti voglio, vero? Fisicamente parlando, intendo.»

«Holly… non dire queste cose»

«Infatti, preferisco farle» le confessò «solo che ora dovremmo stare attenti, sai… abbiamo un pubblico in casa. Andiamo in camera tua?»

«Be’, di sicuro lì saremo protetti da orecchie indiscrete, essendo insonorizzata e… oddio, no, non di nuovo» esclamò tappandosi la bocca «ma perché con te parlo sempre a sproposito.»

E fu così che Patty vide Holly riprendere a ridere di gusto, farla alzare e raggiungerla per poi prenderla in braccio e…
Dlin dlon, dlin dlon, dlin dlon.

 
«Tu vieni sempre salvata dal campanello. Ti prego, fa’ che non sia ancora il vichingo come la volta scorsa o ti giuro che…»

«Apri tu?» lo interruppe lei «vorrei correre in bagno a darmi una sistemata. Se è davvero Steff, digli che… no, meglio che non gli dici niente, ti conosco. Fallo entrare e basta» poi lo baciò velocemente, si fece mettere a terra e sparì in camera sua.

Dio, fa che non sia lui, fa che non sia lui, fa che non sia lui, si disse mentre correva in bagno a ricomporsie quando cinque minuti dopo rientrò nel salone, vide che le sue preghiere erano state ascoltate.
 



 
Oh, ma che giornata interessante. Prima Steffen, il macho nordico del piano di sopra, che si fermava a parlare con la schiva Miki – la sua dirimpettaia del quarto piano – guardandola come se volesse mangiarsela di baci infuocati, mentre quella arrossiva a più non posso e spariva in casa.
Ora un secondo macho giapponese – moro e mezzo nudo – che la guardava con gli occhi ridotti a due piattini e la bocca spalancata. Eh, sì, era una stra figa lo sapeva bene, ma capiva da sé quando uno sguardo era carico di desiderio o di curiosità e confusione, e questo era il secondo caso, peccato.
E ora… al primo ragazzo, se ne era aggiunto un altro – un terzo macho – ancora più palestrato e castano di capelli.

 
«Buon pomeriggio miei cari. Non sapevo che le mie amiche avessero visite. Ho interrotto qualcosa?»

«No! No, niente.» risposero quelli con voce acuta di chi non la racconta giusta.

Era il momento di presentarsi e vedere se riusciva a sconvolgerli ancora di più.
 
«Oh, ma che maleducata che sono» disse entrando e chiudendo la porta «piacere cari, io sono Vanesia. Cercavo le ragazze. Sono presentabili?» disse loro facendogli l’occhiolino e allungando loro la mano con il dorso in vista, che le strinsero, cauti.

«Bè… loro…» iniziò il moro e poi urlò «Pattyyyyyyyy, hai visite e non parlo del vichingo.»

«Il… vichingo? Oh, certo cari, quel gran pezzo di marcantonio norvegese che abita qua davanti. Peccato che non sia gay, saprei io cosa fargli.»

Oh, come le piaceva sconvolgere la gente.
 
«Chiudete la bocca, cari. Sembra che non abbiate mai visto un trans.»

Fu il moro il primo a riaversi e a parlare.
 
«Non da vicino e mi scuso se l’ho offesa, ma… ecco, se posso dirglielo, non la immaginavo così.»

«Me lo dicono tutti. In molti pensano a noi come a delle brutte copie femminili e invece…» disse mettendosi in posa con una mano sul fianco prima di ruotare su se stessa «sono bella, no?»

«Em… sì, molto. È questo che mi ha sconvolto, infatti. L’ho scambiata per una donna senza esitazione. Complimenti. Ah, piacere, Oliver.»

«Mi unisco al parere del mio amico qua e… confermo. Io sono Julian, piacere» intervenne il macho castano.

In effetti Vanesia doveva dire grazie al suo chirurgo plastico e a tutti i medici che l’avevano seguita nel suo percorso di cambio sesso.
Era alta 1.90 cm, formosa nei punti giusti e con un viso molto femminile e triangolare. Portava i folti capelli ricci naturali fino alle spalle di un bel nero corvino che si sposavano bene con la sua pelle scura. Indossava dei jeans chiari a vita bassa e un top argentato a fascia che scopriva le spalle e mostrava l’ombelico con un piercing.

 
«Pattyyyyy!» urlò ancora lui.

«Amyyyy!» si unì in contemporanea l’amico.

«Arrivo, arrivo, ma ti sembra il caso di urlar… Van, cara, che bello rivederti!» le disse una meravigliata Patty prima di andarle incontro, abbracciarla e baciarla sulle guance «Cosa ti porta quassù? Qualche problema?»

«No, nessuno in particolare. Volevo solo darvi la posta di questi giorni, ma… non credevo aveste visite così interessanti e quindi vi lascio riprendere da dove vi ho interrotti mio malgrado.»

I due ragazzi arrossirono e presero a guardarsi in giro, imbarazzati mentre anche Amy compariva davanti a lei e si precipitava a salutarla.
 
«Aggiungi un posto a tavola, che c’è un amico in più…»
 
«Oddio, anche canterino mi è diventato!» disse Patty alzando gli occhi al cielo e facendo scoppiare a ridere tutti.

«Ma… ma chi è?» poi Vanesia si guardò in giro ed esclamò «Un pappagallo? Oh, ma che stupendo esemplare di Ara GialloBlu. Ciao meraviglia pennuta, posso farti una coccola?» gli disse avvicinandosi alla mensola sulla quale era appollaiato e allungando un braccio.

E adesso perché tutti la guardavano così? In fondo che aveva fatto di male se non accarezzare il piumaggio del pennuto che ora si era messo sul suo braccio?
 
«Qualcosa non va?» s’informò

«Tu, amica mia, sei fantastica» le disse Patty «dopo Holly, sei la sola alla quale Mister Wow, abbia dato così tanta confidenza» le disse prendendo a braccetto il moro che le sorrise infatuato.

«Mister Wow? Un maschietto? Oh, allora ecco spiegato il perché non ha fatto storie quando gli ho allungato il braccio. I maschi mi adorano, non ci posso fare niente. Sono una calamita» disse in direzione dei due machi che, loro malgrado, arrossirono vistosamente.

E così Patty, aveva deciso, finalmente. L’aveva trovata simpatica e in gamba fin da subito e alla riunione le era piaciuta, decisiva eppure gentile.
Aveva visto Steffen – il ragazzo venuto dalla Norvegia qualche mese prima quando ancora Miho era viva – perdere la testa per lei che sembrava ricambiare. Poi, un giorno, aveva notato quei due ragazzi salire con Amy, la coinquilina e amica, e Patty aveva iniziato a essere strana. Accettava le avance di Steffen, ma con qualche riserva. Come faceva a saperlo? Li aveva beccati in terrazza un paio di volte e aveva sentito lei difendere questo Holly a spada tratta. Eh, sì, non era propriamente privata dei due appartamenti all’ultimo piano – che vi potevano accedere direttamente dalle proprie case – ma era ad appannaggio di tutti, tramite una porticina che la collegava con il solaio comune.
Lì accanto, poi, vi era un bilocale che poteva accedervi direttamente, ma la porta finestra che dava sulla terrazza poteva sfuggire agli inquilini nuovi, se non sapevano della sua esistenza, perché nascosta dietro un piccolo muretto.
Chissà se le due ragazze ne erano a conoscenza e se sapevano quindi che era sfitto. Possibile che non avessero visto l’ingresso principale accanto alla porta del suddetto solaio?
Possibile che non avessero notato nemmeno quella interna al loro di solaio?
Lei, da Miho, aveva saputo che quell’appartamento era collegato al suo tramite una porticina interna e perché?
 

 
«Oh, mia cara amica» le aveva confessato circa due anni prima di morire «mi sarebbe tanto piaciuto che mia sorella Nozomi avesse deciso di avvicinarsi a me e vivere qua, ma lei odia la città. Oh, sì, ha una quota dello stabile che lascerò a mia nipote Patricia, ma non ha voluto saperne di trasferirsi quando gliel’ho proposto.»

«È un vero peccato, Miho, vi sareste fatte compagnia a vicenda» aveva obiettato lei «e poi una stanza in più già ce l’hai quindi…»

«Oh, no, carissima Vanesia. Vai in solaio e apri una porticina bianca che si confonde con le pareti. Coraggio, va» le aveva detto vedendola dubitante.

E lei ci era andata e aveva lanciato un urlo di stupore tale, che Miho – avendola raggiunta e vista guardarsi in giro con stupore crescente dato il mobilio moderno che pensava insolito per un’anziana signora – aveva riso di cuore per un po’.
 
«Questa sarebbe stata casa sua, sai? Indipendente, eppure vicina a me. Ma pazienza, è andata così e lei ha detto no. Sono sciura, però, che un giorno servirà e quindi lascio tutto com’è. Credo che Patricia, quando la scoprirà, me ne dirà dietro di tutti i colori, ma tanto io non sarò lì a sentirla, visto che sarò già morta e sepolta da un pezzo. Ahahahahah.»
 

Punto partita per Miho. Le ragazze ancora ignoravano quel particolare, doveva dirglielo? No, qualcosa le diceva che presto, molto presto, l’avrebbero scoperto da sole e che non sarebbe stato sfitto ancora a lungo.
Dopo essersi trattenuta ancora per qualche minuto e avere conosciuto anche Oscar, comparso dal nulla per saltarle sulle gambe cogliendo di sorpresa tutti per la seconda volta, si congedò e lasciò il quartetto a… a qualunque cosa stessero facendo prima.
   
 
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