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Autore: Chiara PuroLuce    17/11/2020    4 recensioni
Patty è sempre stata gelosa del rapporto di amicizia che lega Holly ad Amy, ma ora ha deciso di cambiare rotta.
Amy ha sempre cercato di avvicinare Patty, ma lei le si era sempre negata e con che grinta, ma se un bel giorno...
Una storia che tratta di un legame di amicizia, tanto insolito quanto vero che riserverà non poche sorprese alle due ragazze e non solo a loro.
Tratto dal prologo:
Cosa ci azzeccavano loro due insieme? Niente, eppure…
«Amy, lasciamelo dire, ho l’impressione che da oggi si scriverà un nuovo inizio per noi due. Ma che non lo sappia nessuno, mi raccomando.»
«Come? E perché?»
«Perché io non ti sopporto, ufficialmente. Lo sanno tutti. E così dovrà continuare a essere.»
Genere: Romantico, Sentimentale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Yayoi Aoba/Amy
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il giorno dopo il pigiama party a casa di Patty e Amy, Susie iniziò la sua nuova vita, lontano da tutto quello che aveva conosciuto fino a quel momento e, stranamente, la cosa non la spaventava minimamente, anzi... era piena di adrenalina in corpo.
Era la seconda volta che Susie si trasferiva. La prima era andata malissimo e non sapeva cosa aspettarsi da questa.
Quella settimana passata a casa di Eve, era stata meravigliosa. Era così che doveva essere una vera famiglia. Complice, felice, che si sapeva sostenere o aiutare a vicenda in caso di bisogno. Lei non aveva mai conosciuto tutto ciò e si reputava fortunata ad avere fatto quella nuova esperienza.
Eve non aveva voluto dirle la destinazione misteriosa e nemmeno la sua famiglia, ma quando l’amica aveva accennato a un lungo viaggio, lei aveva iniziato a preoccuparsi.
Poi quando erano arrivati in aeroporto e aveva sentito il loro volo essere chiamato al Gate… le era preso un colpo.

 
«Finalmente siamo arrivati, ragazze» la voce di Bruce – che si era unito a loro – la riscosse dai suoi pensieri.

E ora, 4 ore e mezza circa dopo, eccoli lì. Nagasaki. Era uno scherzo?
 
«Eve, non sapevo che tuo padre fosse di queste parti.»

«Ah, sì. Non te lo avevo detto Susie? Devo essermelo dimenticata, ahahah» le rispose l’amica con aria colpevole «mio padre è originario di qui e la sua famiglia ci vive ancora. Lui si è trasferito a Tokyo per lavoro quando era molto giovane e lì ha conosciuto mia madre. Cinque anni dopo, sono nata io. Abbiamo vissuto in città per qualche anno e poi, all’inizio delle medie, ci siamo trasferiti a Nankatzu. Il resto è storia.»

«Susie, sei sicura? È decisamente lontana da Nankatzu e da tutti i tuoi amici. Te la senti davvero di venire a vivere qua?» le domandò Bruce.

«È una cittadina piena di storia e mi ha sempre affascinata» le confessò lei a quel punto «ma non avrei mai pensato di poterci vivere. Sarà… interessante. Spero solo di non incontrare tuo cugino.»

E lì, Eve era sbiancata, come mai?
 
«Be’, Nagasaki non è piccola, quindi è… possibile che tu non lo veda, come… il contrario. Mi spiace che si sia sempre comportato male con te.»

«Sì, anche a me, ma che vuoi farci… lui non mi vuole tra i piedi e io non ho intenzione di insistere. So capire quando non piaccio alle persone, sono diventata un’esperta, anni di vita con gli zii sulle spalle mi hanno formata in questo senso. Ma pensavo che lui fosse diverso e invece… è andata così. Magari, qui incontrerò qualcuno che la penserà diversamente. Per ora mi importa solo avere un posto, anche se non mio, da potere chiamare casa

«Susie, ma… che stai cercando di dirci? Che… che i tuoi zii…» iniziò Eve, ma si bloccò quando lei la bloccò alzando una mano davanti.

Susie notò gli amici scambiarsi degli sguardi perplessi e sconvolti. Aveva già parlato troppo, non avrebbe detto niente di più. Se solo avessero saputo cos’era successo il giorno che se ne era andata…
 

 
«Dove stai correndo, ragazzina?»

La voce tagliente di sua zia l’aveva raggiunta poco prima che raggiungesse le scale. La chiamava sempre così da che ricordava “ragazzina”, non aveva mai usato una volta il suo nome.
 
«Sarai felice di sapere che me ne vado. Sto andando a recuperare le mie cose.»

«Come sarebbe a dire… te ne vai? Senza il nostro permesso da qui non esci, intese?»

«Non ne ho bisogno. Ho ventitré anni, zia e del tuo consenso non me ne faccio nulla.»

L’ennesimo rifiuto di Clifford l’aveva sconvolta più degli altri – forse perché aveva usato quella parola che tanto le dava sui nervi – e si sentiva montare una strana sensazione dentro che… adesso si riversava su sua zia. Non le importava più di lei, di quel posto. Ora aveva un’opportunità concreta di ricominciare da un’altra parte e Eve la stava aspettando a casa sua. Non poteva e non voleva fare tardi.
 
«Bada a come ti rivolgi a me, ragazzina. Ti ricordo che io ti ho salvato dall’orfanotrofio. Io ti ho dato una casa dove vivere quando quei disgraziati dei tuoi genitori hanno deciso che per loro eri un peso.»

«Come? Casa? Quale casa, questa? Ma non farmi ridere. Forse era meglio che mi ci portavi in orfanotrofio, sai?»

«Come osi!» aveva sbottato quella «Piccola ingrata senza cuore.»

«Perché, cara zia, tu e l’hai mai avuto con me? No. Mi hai mai consolata quando piangevo terrorizzata la notte, perché i miei erano andati via e io avevo paura? No. Mi hai mai abbracciata, coccolata, viziata… fatta sentire bene accetta? No. Mi hai mai elogiata quando prendevo un bel voto a scuola? No. Mi hai mai aiutata a fare i compiti? No. E allora cosa vuoi ancora da me? Sono sempre stata brava, non ho mai risposto una volta alle tue cattiverie – e non solo tue – non ti ho mai insultata, come avresti meritato. Non ti ho mai chiesto che fine avessero fatto i miei soldi. Oh, sì, cosa pensavi, che non me lo ricordassi? Hai passato il primo anno a rinfacciarmi che ero un peso e che mi tolleravi solo per il bel gruzzolo che mio padre ti aveva lasciato e poi… non hai più detto nulla. Come mai zia, dimmi, sono forse finiti?»

A quelle parole sua zia si era avvicinata e le aveva mollato un ceffone tale che dovette reggersi alla ringhiera per non cadere. Le sarebbe rimasto un bel livido, come poteva giustificarlo con Eve e la sua famiglia? Forse per quello che era: un livido dovuto alla sua sbadataggine che l’aveva fatta finire contro… una porta. Si era toccata la guancia, bruciante e dolorante, aveva ricacciato le lacrime e poi, prima di salire a recuperare le poche cose che le appartenevano – il suo vecchio zainetto, i suoi libri, i vestiti, la spazzola, le scarpe – infilate nel trolley che si era comprata a fatica, le aveva detto:

 
«Come immaginavo. Sono finiti. Peccato non ti ci sia comprata un cervello nuovo, cara zia, ne avresti taaanto bisogno, sai? Ora scusami, ho da fare. Dieci minuti e poi non mi vedrai mai più, mai!»

Ed era stata di parola. La zia l’aveva tallonata per tutto il tempo, come se avesse paura che lei potesse rubarle qualcosa. Ma era rimasta delusa. Lei aveva preso solo ciò che era di suo possesso, persino lo spazzolino e il dentifricio che teneva nel suo beauty case, visto che non si fidava più a tenerli in bagno dopo che i suoi cugini, le avevano fatto ritrovare lo spazzolino nel water.
 

 
«Susie? Tutto bene?» le chiese Eve.

«Sì, certo. Stavo pensando a come sono emozionata per questa nuova avventura» mentì «cosa dicevi?»

«Em… niente di importante, tranquilla. Volevo solo sapere se… se è stato difficile staccarti dai tuoi zii, ma da come parli, direi di no. Non immaginavo che loro…»

«Non mi sembra il caso di parlarne, quegli esseri non meritano più un pensiero da parte mia. Per quanto mi riguarda, sono morti. E questo è tutto quello che saprete sull’argomento.  Dunque, Eve, mi porti a vedere questa famosa palazzina familiare in cui dovrei vivere?»

E l’amica ce la portò. Ci arrivarono dopo circa mezz’ora di autobus. La casa era situata alla fine di una strada privata e sterrata, tutta in salita. In pratica avrebbe vissuto in collina, con una bella vista sulla città e sull’oceano. La palazzina era carina, semplice e di un bel colore giallo con inserti in pietra e ampi balconi che…cavoli, guardavano proprio sulla vallata.
 
«E tu, non vuoi vivere qua perché non ti piace? Questo posto? Eve, sei sicura di vederci bene?» le disse mentre rimaneva stregata dal paesaggio.

«Ha ragione lei, tesoro. Qui è meraviglioso» la spalleggiò Bruce.

«Troppo tranquillo per me. Preferisco Nankatzu, dove c’è più vita, senza andarsela a cercare percorrendo chilometri oppure Tokyo stessa» rispose lei.

«Peggio per te, meglio per me!» sentenziò Susie.

Poi Eve fece per condurli all’interno, ma furono bloccati da una fiumana di gente che gli venne incontro. Lei e Bruce si guardarono, intimoriti, mentre Eve veniva fagocitata da baci e abbracci e voci che si sovrapponevano tra loro in un continuo crescendo. Le vennero le lacrime agli occhi. Era una scena davvero emozionante.
Subito dopo i convenevoli, furono loro due l’oggetto di tanto interesse e, mentre Bruce veniva sottoposto a un fuoco di domande indagatrici e sommerso di raccomandazioni, lei venne raggiunta da una donnetta piccola, magra e con i capelli candidi come la neve.

 
«Tu sei la nostra nuova vicina, vero?» e quando lei annuì, continuò «Oh, sei proprio una bambolina graziosa. Non ti preoccupare, in realtà a vivere qua siamo solo io e mio marito, mia figlia con la sua famiglia e il suo primogenito che al momento non è qui, ma che tornerà presto.»

«Nonna! Non spaventarla subito, dalle almeno il tempo di ambientarsi» la riprese bonariamente Eve, raggiungendole.

Il pomeriggio passò velocemente e il nipote tanto amato, ancora non si era visto.
 
«Ha sempre tanti impegni quel caro ragazzo» le disse la nonna.

«Sì, confermo e sono aumentati da quando ha vin…» stava dicendo la madre quando Eve la fermò.

«Em… zia, non rovinarle la sorpresa. Magari vorrà dirglielo lui stesso, sai bene quanto adori parlare di sé.»

«Hai ragione» convenne quella e poi rivolgendosi a lei disse «Susie, cara, che ne diresti di vedere finalmente la tua nuova casa? Sarai stanca e noi ti abbiamo monopolizzato per troppe ore.»

«È stato un piacere, mi creda» le rispose sinceramente «in effetti sono un po’ stanca e mi piacerebbe potermi stendere un po’.»

«Ti accompagniamo noi, così poi andiamo a fare un giro a Nagasaki centro, mentre riposi» intervenne l’amica a nome anche del fidanzato, che venne distolto dall’ennesima barzelletta di suo nonno.

L’appartamento era magnifico e la vista a dir poco spettacolare, già sapeva che ci avrebbe passato le ore lì fuori ad ammirare la città da lontano, specie alla sera doveva essere stupendo come panorama.
 
«Eve, grazie per tutto» le disse sinceramente «per avermi ospitato a casa tua, per avermi fatto sentire parte di qualcosa di bello, per avermi fatto conoscere persone come i tuoi nonni e i tuoi zii così gentili, per avermi dato un futuro» e poi l’abbracciò stretta, commossa.

«Oh, per così poco. Susie, forse un giorno mi dirai come mai hai vissuto dai tuoi zii e perché non a casa con i tuoi genitori, ma ora goditi la tua nuova vita e… e non avercela con me, ok? Noi rimaniamo fuori a cena e ho prenotato un B&B per stanotte. Ci rivediamo domani mattina per i saluti, ok?»

Avercela con lei? E perché mai? Oh, non era importante in quel momento, così non le chiese nulla e, anzi, la provocò.
 
«Camera doppia con letto matrimoniale, spero» le disse lei facendola arrossire vistosamente, mentre Bruce era sul balcone.

«Em… a domani» glissò la risposta quella, arrossendo e poi richiamò Bruce e se ne andarono di corsa.

Susie li guardò andare via insieme, abbracciati e sorridenti e provò invidia per loro. Quando avrebbe potuto sperimentare anche lei quella felicità? E con chi? Una cosa le era dolorosamente certa, non con il suo Cliff, che suo non era mai stato e non sarebbe stato mai.
 


 
 
Un paio d’ore dopo, Eve e Bruce erano a letto, uniti in un abbraccio intimo dopo un amplesso che le aveva prosciugato le forze. Le piaceva sentire il corpo dell’innamorato stretto al suo, mentre il respiro tornava normale e cercava di non farsi vincere dal sonno.

 
«Bruce? Sei ancora tra noi?» gli sussurrò.

«Mh, mh… più o meno» le rispose facendola ridere.

«Dici che Susie mi perdonerà per lo scherzetto che le ho fatto?»

Lui si prese del tempo per risponderle, poi aprì gli occhi e la fissò.
 
«Diciamo che farle ritrovare Cliff come vicino di casa, non è stata la tua mossa migliore. Ma forse – e dico forse – è proprio quello di cui hanno bisogno entrambi.»

«Tu dici? Perché lei è proprio cotta, ma lui…»

«Lo è a sua volta»

«Cosa?» saltò su lei «Ma ne sei sicuro, sicuro? A me non sembra. La denigra sempre, la umilia, la insulta senza motivo e mi manda in bestia quando lo fa riducendola sull’orlo del pianto…» gli disse poi alzandosi su un braccio per fissarlo.

E lì, Bruce scoppiò a ridere, lasciandola confusa più che mai, poi si girò verso di lei e le disse:
  
«Mi ricorda qualcuno. Dopotutto noi uomini non siamo poi così diversi gli uni dagli altri.»

«E… e di chi stai parlando?» gli chiese, curiosa.

«Di me. Io ti ho sempre amata Eve, lo sai, ma abbiamo passato anni a prenderci in giro, a litigare, quando bastava che mi facessi un po’ più di coraggio e ti baciassi, subito dopo avertene dette di tutti i colori. Di Holly. Hai visto che disastro ha combinato con Patty e ora… sta facendo di tutto per farle capire che l’ama e la vuole solo per sé. Così anche di Cliff. La tratta male, Susie, perché ha paura di essere rifiutato da lei, ma lo avessi visto quando Diaz l’ha puntata… Susie non se ne è accorta, ma lui sì e si è fisicamente messo in mezzo tra i due, intimandogli di andarsene. Lo so, ero lì, accanto a lui e Holly, che pure è rimasto a bocca aperta da quell’atteggiamento inusuale per lui. Mi sa che l’unico che si salva, incredibilmente, è Mark.»

Eve rifletté a lungo su quelle parole e per farlo dovette allontanarsi fisicamente da Bruce. Quindi si diresse in bagno per farsi una doccia chiarificatrice e poi, nuda, tornò a stendersi accanto all’amato.
 
«Credo tu abbia ragione, sai? E se è così, spero con tutto il cuore che il mio piccolo scherzetto sia utile. Dopotutto, ora passeranno più tempo vicini e lui potrà conoscerla meglio e chissà e… ehi!» esclamò infine sentendosi spostare.

«Mh, che buon profumo, cuore mio» le disse agguantandola e posizionandola sopra di sé. «Cannella?»

«Che fai?» gli chiese, imbarazzata, puntandogli le mani sul petto.

«Ti ammiro, ti provoco e ti desidero ancora.»

«Ad averlo saputo prima – che sei così insaziabile – non avrei sprecato anni a litigare con te» gli rispose allungandosi su di lui per baciarlo.

Bruce rise a quelle parole e poi le disse:
 
«Cosa diremo domani alla tua famiglia? Di sicuro mi chiederanno come ho trovato Nagasaki e quindi… dobbiamo inventarci qualcosa.»

«Oh, cavoli, hai ragione» gli rispose lei scendendo a baciargli il petto e sentendolo sussultare «non mi viene in mente nulla, al momento. Troppe distrazioni»

«Allora, te lo dico io… dirò che era… bellissima, intrigante, seducente, sexy…»


«Cosa? Ma così capiranno che…» si allarmò lei, ma fu zittita da un lungo bacio.

«Secondo tempo?» le domandò poi, Bruce, trattenendola per la schiena.

«Direi che ti sei riposato abbastanza per andare a segno ancora, Harper. Mostrami quello che sai fare, campione asiatico.»

Poi, in un batter d’occhio, le posizioni si invertirono e non ci fu più tempo per le parole.
 
 


 
«Nonna! Nonna! Ma dove sei?»

«Qui, caro. In cucina» gli rispose sua nonna Maeko.

«Ma… ma è arrivato il nuovo inquilino e non mi hai avvisato? Sarei rientrato prima, invece mi sono trattenuto al campo e ho fatto la figura del maleducato, per lo più che saremo dirimpettai. Com’è?» s’informò poi, rubandole un Mochi.

«Interessante, Cliff. Molto interessante e molto dolce.»

Cosa? Ma che stava blaterando la sua quasi novantenne nonna. Eppure, non soffriva di nessuna demenza, fino al quel momento, almeno.
 
«Già, proprio così. È inutile che mi guardi come se fossi impazzita. Sai, dovresti salire a dare il benvenuto e non scordarti di portare qualche dolcetto» gli disse mettendo alcuni biscotti in un contenitore colorato «e vedi di farli arrivare tutti di sopra, intesi? Ti conosco nipotino.»

«Nonna! Non sono più tanto ino da un bel pezzo» le ricordò ridendo e baciandola sulla guancia, prima di prendere la scatola, rubarne un secondo dalla teglia e sparire prima che lei se ne accorgesse.

Che strani termini ha usato la nonna per descrivere questo tizio. È già bizzarro che abbia deciso di affittare a un perfetto estraneo, ma che lo definisca anche “dolce” ha dell’inquietante, pensò.
Eccoci qua, un bel sorriso e… toc, toc.
 
«Avanti!»

Una voce femminile l’accolse. Cosa? Femminile? Ehi, un momento, che storia era quella? E poi… gli ricordava qualcosa o meglio, qualcuno.
 
«Avanti!»

Ripeté ancora quella voce.
 
«Permesso. Ho portato dei biscotti, la nonna li ha appena sfornati, Mochi, per la precisione e…»

«Oh, grazie. Io amo i Mochi e…»

Ma che cazzo… non era possibile, proprio no. Quella ragazzina! Per fortuna non era l’unico a essere sorpreso.
 
«Tu?» esclamarono insieme «Ma scherzi, vero?»

Oh, andiamo, voleva fargli credere che non ne sapeva niente? Appoggiò i biscotti sul tavolino del soggiorno e si girò ad affrontarla. Doveva mandarla via da lì, subito. Ne andava della sua sanità mentale… e del controllo del suo corpo che, quando Susie era vicina, impazziva.
 
«Come attrice sei perfetta, non c’è che dire. Dovresti tentare la carriera tv» le disse.

«Come? Non crederai davvero che ti abbia teso una trappola, vero? Guarda che se solo avessi immaginato che tu eri… oh, no.»

«Oh, no, cosa?» s’informò.

Subito dopo ci pensò un po’ su e ancora una volta esclamò insieme a lei.
 
«Non ci credo… Eve!»

Sua cugina gli doveva delle spiegazioni e… ehi, ma dov’era?»
 
«Alloggia in un B&B con Bruce. La rivedremo solo domani mattina, avevano un po’ fretta di andarsene. Ah, Bruce ha conquistato tutti, specie vostro nonno» gli rispose lei alla sua muta domanda.

«Ah, perfetto. Quella traditrice se la spassa e io sono bloccato qui, con te.»

«Bè, se ti dà tanto fastidio vedermi… puoi sempre andare nel tuo appartamento.»

«Molto volentieri e tu qui non rimani, ficcatelo bene in testa. Quindi evita di disfare i bagagli, domani mattina riparti con i due piccioncini.»

«No!» poi aggiunse vedendolo strabuzzare gli occhi «No, perché i tuoi mi vogliono qui e io voglio stare qui o… o proprio non saprei dove altro andare. Da Eve non torno e neanche dai miei zii. Piuttosto vado in un centro per i poveri.»

«Cosa? Oh, ma per favore. Piantala di inventare balle. E poi cos’è questa storia degli zii? E i tuoi dove cazzo sono per non vivere con te? E… non mi dirai che questo» le disse indicando i suoi pochi averi ammucchiati in un angolo del soggiorno vicino al divano «è tutto il tuo bagaglio. Cosa sei, ragazzina, una minimalista?»

E fu lì che Susie fece una cosa che lo mandò in panico: iniziò a piangere. E lui, sentendosi in colpa, la guidò sul divano e si sedette accanto a lei. Non era un senza cuore dopotutto. Poi lei prese un bel respiro e parlò.
 
«Per farla breve o ti annoio e non voglio. I miei mi hanno abbandonata dagli zii quando avevo sette anni, per girare il mondo. Gli davo fastidio e non li ho mai più né visti, né sentiti. I miei nonni, contattati subito dagli zii, non mi hanno voluta e così sono rimasta da loro che, però, l’hanno fatto solo per mettere le mani sui soldi che i miei avevano lasciato per il mio mantenimento e non mi hanno mai calcolata come membro della famiglia. Questo è tutto quello che ho. Non mi serve molto per vivere.»

Stava scherzando, vero? Eppure, una storia così… assurda, non si poteva inventare.
 
«Io… io, oh, cavoli, mi spiace. Che idiota colossale che sono. Non ho parole per… scusami, io…»

«Scusarti? E per che cosa? Non lo sa nessuno a parte te e devi promettermi che non uscirà da qui questa storia.»

«Promesso, puoi fidarti di me. Davvero!» disse sorridendole «Libri?» disse poi fissando meglio il contenuto di una borsa di tela.

«Amo leggere fin dall’infanzia.»

«Alice nel paese delle meraviglie, Cenerentola… che letture pesanti» la prese in giro lui, salvo poi ricredersi subito dopo quando lesse «Il servizio sociale oggi; Come il bambino chiede aiuto; Leggi a tutela dell’infanzia rubata… Susie, che significa?»
 
«Che hai davanti a te un’assistente sociale specializzata in bambini abbandonati nelle strutture» gli confessò con un filo di voce.

«Cosa? E come mai nessuno ne sa nulla? Tu non sei stupida, tu non sei svampita! Perché fingi?» capì.

«Abitudine, credo. Non lo so più, ormai.»

Doveva andarsene da lì e stilare un piano per tenerla il più lontano possibile da lui. Susie era pericolosa, molto pericolosa. Così si alzò e raggiunse la porta, ma lei lo seguì, dannazione.
 
«Em… ti lascio riposare, sarai stanca… vicina. Ciao.»

«Quindi posso rimanere? Sul serio?» gli chiese.

«Em… sì, certo. Non voglio averti sulla coscienza.»

Ecco, bravo, così, indifferente e scostante. Non è cambiato nulla con lei, nulla. Giusto?
 
«Oh, oh grazie, grazie, Cliff.»

Poi gli saltò al collo – tirandolo giù essendo lui molto più alto di lei, ma come diamine aveva fatto? –  continuando a mormorargli tutta la sua gratitudine e poi… eh, poi. Oh, cavoli, i suoi occhi così vicini e quelle labbra…
 
«Cliff, io…» e poi lo baciò.

Diamine, lo stava davvero baciando? Lei a lui? E così come era iniziato, finì!
 
«Scusami, Cliff, io…»

«Se proprio devi baciarmi, almeno fallo come si deve.»

E poi fu il suo turno di impossessarsi delle sue labbra e non fu certo un bacetto casto com’era stato il suo. Quando la guardò, una volta terminato e ripresa una parvenza di controllo, le disse:
 
«Visto che saremo vicini di casa, niente più baci» le disse.

«Neanche uno» gli rispose lei.

E subito dopo la baciò di nuovo e lei lo lasciò fare, con suo enorme sconcerto.
 
«Vado, sì, vado. Benvenuta e ricorda, i baci sono off limits.»

«Le mie labbra sono sigillate. Basta baci, promesso.»

E un terzo si aggiunse alla lista.
 
«L’ultimo, e poi ce ne dimenticheremo.»

«Sì, Cliff, l’ultimo.»

«Ma non dovremmo.»

«Proprio no» lo spalleggiò lei.

«Non mi piaci neanche» mentì, ma la sentì ridacchiare.

«Tu invece sì» gli confessò prima di diventare rossa.

Quella frase lo galvanizzò non poco. Non stava mentendo? No, Susie era incapace di mentire.
 
«In fondo… uno che male può fare? In fondo… è solo un bacio, giusto?» le disse.

Chi stai cercando di convincere, Cliff. Continueresti a baciarla tutto il giorno. Dio che labbra calde e morbide che ha! Come hai fatto a resistere così a lungo?, pensò.
 
«È solo un bacio, sì» disse ancora lei, senza smettere di guardargli le labbra e facendo comparire la punta della lingua tra le sue.

«Un piccolo, insignificante e veloce… bacio!» specificò lui, chiudendola tra le braccia, alzandola e facendola adagiare sull’isola in cucina.

Finalmente poteva quasi guardarla negli occhi senza rischiare il torcicollo.
 
«Oh, sì… un bacio piccolo, insign…»

Ma non riuscì a concludere la frase che Cliff le chiuse le labbra con le proprie e vi rimase a lungo. Quando terminò la fissò negli occhi appannati dalla passione. Susie aveva il respiro corto, come lui, le labbra gonfie ed era aggrappata ai suoi pettorali.
 
«Io… io credo che… che… ciao Susie.»

Poi la baciò un’ultima volta e si costrinse a uscire da quell’appartamento e a mettere più distanza possibile tra lui e quella ragazzina che, in fondo, non aveva mai conosciuto realmente e che aveva sempre trattato con superficialità. Oh, come se ne vergognava.
L’aveva sempre vista come pazza, svampita, rompiscatole, finta, stupida e invece lei stava reagendo al dolore con il sorriso e un atteggiamento sbarazzino che lui – che tutti – avevano sottovalutato. Era una storia terribile, la sua, eppure… ah, se avesse avuto sotto le mani i suoi zii, gli avrebbe fatto passare la voglia di maltrattarla.
E adesso, che cosa sarebbe successo tra loro? Quei baci avevano complicato tutto… ma lui ne era stranamente felice.
   
 
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