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Autore: Nina Ninetta    17/12/2020    4 recensioni
Allo scoccare della Dodicesima Luna la malvagia dea Sekhimet dovrà uccidere il Prescelto prima che i poteri di suo fratello Mithra si risveglino in lui. E' una pratica questa che va avanti dalla notte dei tempi, fin quando re Leandro decide di opporsi e affida la vita di suo figlio Sirio - il Prescelto - nelle mani dell'Esorcista Eleanor e in quelle dello Stregone loro nemico.
Terza classificata al contest "Darkest fantasy II edizione" e vincitrice del premio “Miglior personaggio".
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4

 
 
Il colore degli occhi dello Stregone mutò ancora, scurendosi. Alle sue spalle Scorpius spalancò le chele pronto ad acciuffare il rivale. Eleanor si riparò la testa con le braccia vedendolo caricare, urlando di fare attenzione. Il colpo non arrivò mai, sentì però un’energica folata di vento e sbirciò cosa stesse accadendo, rimanendo sbalordita: un enorme drago aveva afferrato lo scorpione per la coda e lanciato lontano. Lo Stregone - anzi no, Ifrit, adesso aveva di nuovo un nome - non c’era più. Ciò significava che lui era…
«Ely!». Sirio la raggiunse euforico. «È il drago! Lo Stregone si è trasformato in un drago!».
Adesso la giovane capiva perché era considerato fra i più temibili e ricercati Stregoni, catturarlo non doveva essere stato facile. Il principe saltellava sul posto con un pugno alzato a tifare per lui.
Il drago ormai sembrava avere la meglio sullo scorpione che subì i colpi e le fiammate improvvise. Dopo l’ennesima botta incassata, Scorpius tornò alle sue sembianze umane, riverso nel fango, gli occhi chiusi, il respiro irregolare.
Lo Stregone gli si avvicinò, spalancò le fauci ed emise un lungo urlo di vittoria che fece vibrare gli alberi. Avrebbe potuto ammazzarlo con una sola zampata, eppure non lo fece, si ritrasformò e fissò per un po’ l’altro.
«Ti ucciderò da pari, non si dica in giro che abbia vinto in modo disonesto». Si chinò sulle gambe, ma Scorpius lo afferrò per un polso e aprì gli occhi con un sorriso beffardo sulle labbra:
«È sempre stata questa la tua debolezza: voler strafare». Cambiò forma immobilizzando Ifrit con una zampa sul torace, se si fosse mosso gli avrebbe perforato le carni. Cominciò a premergli sul petto, l’unghia gli si conficcò in profondità tanto da farlo sanguinare; lo Stregone urlò di dolore e rabbia: avrebbe potuto ammazzarlo così facilmente…
La vista cominciava a offuscarsi, l’udito ovattato, perdeva troppo sangue, ne sentiva la schiena zuppa.
«Ehi!». La voce di Eleanor gli giunse da lontanissimo, simile a puntino sfocato la intravide tenere la lancia a mezz’aria, pronta a lanciarla.
«Stupido soldatino» farfugliò, poi inerme vide l’arma volare e cogliere il carapace dello scorpione che, sbigottito dal colpo, allentò la pressione su Ifrit voltandosi indietro. Piano girò su se stesso, puntando verso la giovane e Sirio.
«Ely?!».
«Corri!» esclamò lei, spingendo il ragazzino. «Corri e non fermarti!».
Lo scorpione si lanciò all’attacco muovendo le zampe velocemente. Sirio obbedì all’ordine e fuggì lungo il sentiero che lo avrebbe condotto verso l’uscita della Foresta degli Incanti. Eleanor intuì che l’obiettivo di Scorpius non era lei, ma il Prescelto, perciò gli sbarrò la strada con le braccia spalancate.
Lo stregone si puntellò sui gomiti scuotendo il capo per riprendersi dall’intontimento, si alzò, avanzò, barcollò. Tentò di trasformarsi, ma era troppo debole. Impotente vide lo scorpione muovere la coda in modo così fulmineo che neanche lui sarebbe stato in grado di prevederne l’attacco. Il pungiglione si conficcò nella coscia di Eleanor, la quale urlò per il dolore e ancor di più quando Scorpius si ritirò per gettarsi alle calcagna di Sirio. 
Nella foresta tornò il silenzio.
Lo Stregone raggiunse l’Esorcista sdraiata su un fianco, la giro verso di sé, il corpo era già scosso da brividi, il colorito cominciava a scemare.
«Proteggilo» biascicò, «ti-ti prego».
Sarebbe morta. Il veleno avrebbe attraversato tutto il corpo e tra insopportabili torture sarebbe deceduta. Anzi, avrebbe sperato che succedesse quanto prima.
Da lontano gli giunsero le suppliche del moccioso che chiedeva di essere liberato. Lo Stregone chiuse gli occhi, aspettò che quei gemiti scemassero, quindi afferrò Eleanor e si rimise in piedi con lei tra le braccia. Fece ricorso alle pochissime forze che gli restavano - “la sua riserva” la chiamava ,perché sapeva che in uno scontro lasciarsi un po’ di vitalità per il dopo poteva salvare la vita. Si trasformò e volò oltre gli Alberi Sempreterni, la giovane stretta tra gli artigli. Un paio di volte rischiò di perdere l’equilibrio, la ferita al petto non si era rimarginata completamente, la battaglia era stata violenta. Inoltre, aveva riacquistato i poteri solo da poco. Sorvolò la foresta per chilometri, era davvero molto vasta vista da lassù. Poi, infine, notò del fumo grigio alzarsi tra le fronde degli alberi e realizzò di aver trovato ciò che cercava.
 
Sperò che lei fosse in casa e non in giro a raccogliere erbe medicinali. Atterrò di schiena, si ritrasformò, gli abiti sudici. Il corpo di Eleanor al suo fianco era rigido, il respiro sempre più affannoso, la sollevò di peso e rischiò per un attimo di ruzzolare con lei.
«Una volta sapevi volare». Quella voce femminile alle sue spalle gli fece tirare un sospiro di sollievo. Forse non era tutto perduto.
«Febe». Si voltò, il torace insanguinato e la ragazza fra le braccia con un colorito cinereo. La donna si spostò subito nella piccola abitazione di legno, tenendogli la porta aperta:
«Entra» disse, «stendila sul letto».
Lo stregone obbedì e lasciò il corpo di Eleanor su un vecchio materasso.
«È veleno?». Chiese lei sollevandole le palpebre con le dita. 
«Sì. Scorpius…».
Febe lo guardò come per biasimarlo di chiederle l’impossibile.
«Non puoi non tentare, me lo devi. Almeno per lo sforzo che ho compiuto a portarla fin qui». Accennò un mezzo sorriso, poi Eleanor mugugnò qualcosa:
«Lei lo amava, perciò si è uccisa. Lo amava…».
Febe guardò il vecchio amico, un sopracciglio alzato, in attesa di una spiegazione.
«Parla della sorella: il grande segreto che si porta dentro».
«È già qualcosa che parli» la donna cominciò a pestare con il mortaio un paio di foglie strappate da alcune piante sul davanzale della finestra. «Sei ferito, devi curarti».
«Sto bene».
«Se stai bene allora accendi il camino lì vicino, avrà bisogno di calore».
Lui lo fece e la luce del fuoco avvolse immediatamente l’intera stanza. Quando Febe gli si avvicinò per spalmargli sulla ferita ciò che aveva preparato lo accettò volentieri, ma con una smorfia di disgusto:
«Questa cosa puzza!». Si lagnò.
«Sarà, ma ti salverà il culo».
Ifrit rise, tossendo.
«Puoi raccontarmi cos’è successo mentre preparo l’intruglio per la principessa. A proposito, non credo ti dispiacerà spogliarla».
Lui attese qualche secondo prima di cominciare a liberare Eleanor dai suoi abiti da cacciatore.
«Se fosse conscia, mi avrebbe già ucciso» affermò, quindi coprì il corpo nudo della giovane con una coperta di lana malconcia. Le toccò la fronte: era bollente, sebbene il colorito tendesse al grigio, le labbra violacee.
Febe aveva messo a bollire dell’acqua sul fuoco aizzato pocanzi dallo Stregone stesso, intanto consultava un ricettario scritto a mano - probabilmente da lei in persona - con vecchi fogli ingialliti.
«Sto aspettando» gli disse.
Febe era una donna minuta, con corti capelli scurissimi e una benda sull’occhio sinistro, indossava gonne ampie di tessuto scadente, sempre macchiate di terra e sbobba verdastra. Conosceva a memoria tutte le erbe medicinali, avrebbe saputo preparare una pozione solo sentendone l’odore. Era nota tra la gente come la Guaritrice, si diceva che una volta avesse fatto risorgere un giovane morto solamente facendogli odorare il suo intruglio magico. Qualcuno la temeva perché credevano fosse figlia di Sekhimet, queste persone la definivano Strega, ma molti altri affrontavano viaggi lunghissimi e pericolosissimi per chiederle di salvare questo o quel parente morente. Le donne per lo più si affidavano a lei quando non riuscivano a rimanere incinte o per interrompere una gravidanza indesiderata.
Lo Stregone l’aveva conosciuta anni addietro, quando era stata lei ad aver bisogno di aiuto.
«Re Leandro mi aveva promesso la libertà se avessi accompagnato suo figlio sano e salvo dai Saggi. Lei, Eleanor, è un’Esorcista che avrebbe dovuto vegliare sul moccioso e fare in modo che io mantenessi fede alla parola data».
Alla presenza di termini come “Saggi” ed “Esorcista” Febe si irrigidiva sempre, ma non lo interruppe, iniziando invece a gettare nella pentola alcune foglie macinate.
«Siamo stati attaccati da Scorpius. A nulla sono serviti i miei poteri».
«Il Prescelto dov’è?».
«È stato catturato».
«E tu hai ben pensato di salvare lei e non lui…».
«Ero ferito, non avrei avuto possibilità alcuna».
«È stata lei ad assegnarti il nuovo nome?». Chiese la Guaritrice mescolando con un coppino di legno.
«Sì. Era suo compito farlo, le era stato ordinato da Leandro in persona».
«E lei sa cosa significa? Qualcuno glielo ha detto?». Si udì solo lo scoppiettio della legna nel camino, la donna sospirò: «Immaginavo». Quindi versò la brodaglia scura in una tazza sbeccata, si accomodò sul letto e sollevò il capo di Eleanor cominciando a farla bere.
«Si salverà?». Domando lui.
«Non lo so. Il veleno di Scorpius è potente, subdolo, uccide piano. Ma proprio per questo abbiamo tempo per contrastarlo. La notte sarà fondamentale». Febe si rialzò. «Suderà molto, diventerà fredda come un cadavere, sarà scossa da tremori, vaneggerà, avrà bisogno di calore». Gli posò una mano sulla spalla. «È una fortuna che abbia un Signore del Fuoco dalla sua». Sbadigliò. «Io sono nell’altra stanza se hai bisogno». Così dicendo scomparve oltre una porta sul fondo dell’abitazione.
Ifrit rimase esattamente dov’era per un po’ a osservare il profilo di Eleanor. Ogni tanto questa stringeva le palpebre, si mordeva il labbro, sembrava combattere contro un demone invisibile. Lo Stregone sospirò guardando oltre la finestra, il vento aveva preso a soffiare con vigore. Si accomodò a gambe incrociate sul pavimento, la schiena contro le assi del letto e il camino alla sua destra. Il fuoco stava per spegnersi, perciò lo ravvivò con della legna e un’altra piccola fiammata. Un insetto sbucò da un forellino nel tronco, provò a sfuggire alle fiamme, invano.
Ifrit chiuse gli occhi, pensò a Sirio, a dove si trovasse in quel momento, se fosse già stato portato al cospetto di Sekhimet. Dubitava che Scorpius lo avesse ucciso. La dea lo pretendeva vivo perché quando sarebbe scoccata la Dodicesima Luna i poteri di Mithra si sarebbero risvegliati e lei li avrebbe assorbiti prima di ammazzarlo. Alla fatidica notte mancava ancora qualche giorno, se Eleanor si fosse rimessa in forze avrebbero ancora potuto fare qualcosa per il moccioso.
Cullato dallo scricchiolio dei ceppi che ardevano e dal fischio del vento che riusciva a insediarsi nelle fessure degli infissi si appisolò, un sonno leggero e senza sogni.
 
Fu destato dai lamenti sommessi di Eleanor alle sue spalle. Febe era già accanto a lei, la teneva su un fianco in attesa che passassero le convulsioni. Ifrit si ritrovò il volto della giovane Esorcista rivolto verso il suo, aveva gli occhi spalancati e vitrei. Erano di un bel verde intenso, non ci aveva mai fatto caso.
«Se passa questa» disse Febe, «dovrebbe essere fuori pericolo».
Lo Stregone si mise in piedi, tastò una guancia di Eleanor, poi la fronte.
«È gelata» costatò, allora tenendola avvolta nella coperta la sollevò di peso e la portò davanti al camino, al quale diede un’altra ondata di fuoco per aumentarne il calore. Le asciugò il sudore con un lembo della coperta, gli occhi di lei erano ancora aperti e vuoti, eppure sembravano fissarlo.
«Andiamo soldatino, andiamo». Ifrit la cullò dondolandosi avanti e indietro, seduto per terra con lei fra le braccia. Dopo un po’ i tremori si calmarono e le palpebre lentamente si abbassarono, il respiro parve regolarsi. Solo di tanto in tanto aveva degli attimi in cui il fiato pareva smorzarsi, poi passava.
«Guarda Febe, la crisi è finita, quindi è salva?». Chiese al nulla poiché la donna era tornata nella sua stanza.
 
Quando Eleanor si ridestò rimase qualche istante confusa, non conosceva quel luogo né la coperta che la teneva al caldo. Del fuoco restava solo una minuscola brace sopra un mucchietto di cenere. Eppure si stava bene lì, accoccolata a quell’uomo che tanto aveva temuto e odiato. Allungò due dita per sfiorarne il volto - sentì la barbetta ispida - coi capelli acconciati all’indietro, lunghi fino alla nuca. Lui aprì gli occhi, come se fosse sveglio da sempre. Le sorrise:
«Bentornata soldatino».
Nell’udire quel nomignolo l’espressione serena dell’Esorcista si agitò, tirò via la mano:
«Dov’è il principe?», chiese.
«Va bene soldatino, ti sei appena ripresa da una nottata movimentata, adesso...»
«Sono nuda per Mithra! Perché sono…?». Lanciò un’occhiataccia a Ifrit e tentò di rimettersi in piedi troppo in fretta. La trattenne prima che potesse cadere, ma di nuovo lo allontanò con una mano mentre si teneva su la coperta con l’altra.
«Sei un maiale!». Urlò. «Sei un…» all’improvviso riaffiorano alla mente alcune immagini dell’ultima battaglia. «… un drago», biascicò. «Tu sei un drago. Io ti ho liberato, ti ho chiamato Ifrit e poi sei diventato un drago». Parlava con se stessa più che con qualcuno.
«Siediti», l’accompagnò sul letto dove si accomodò con lei.
«Scorpius. Scorpius mi ha punto. Sirio è fuggito…» alzò lo sguardo, «dimmi che sei riuscito a salvarlo, ti prego».
«Tu eri un affare più urgente».
«Io cosa?». Eleanor scattò in piedi. «Lui è il Prescelto, io non sono nessuno, ho liberato i tuoi poteri affinché proteggessi lui, non me!».
La porta all’ingresso si spalancò ed entrò Febe con nuova legna e uova fresche. Lasciò le prime in un cesto e mise a cucinare le seconde.
«Ce l’hai fatta», disse rivolta a Eleanor. «Ho dei vestiti puliti di là e l’acqua può riscaldartela il tuo fedelissimo compagno». 
L’esorcista si limitò a osservarla.
«Lei è Febe, ti ha salvato letteralmente la vita» raccontò Ifrit.
«Mente». La donna porse alla giovane un piatto con uova strapazzate. «È stato lui a salvarti il culo, portandoti da me ferito e sanguinante».
Eleanor voltò l’attenzione sullo Stregone, sempre più confusa.
«Non le credere, ha un dono per la drammaticità», scherzò lui.
«Quindi vedi di fare poco la schizzinosa, mangia e poi sparite! Ho dei pazienti da visitare».
 
Eleanor rimase chinata con la fronte quasi a toccare le ginocchia, ringraziando Febe per l’aiuto. La donna le disse di avere cura di lui, riferendosi allo Stregone, perché se avesse saputo che lo aveva lasciato a morire gliel’avrebbe fatta pagare, poi le sbatté la porta in faccia.
Ifrit e l’Esorcista si incamminarono verso l’uscita della Foresta degli Incanti, diretti al Regno Oscuro. Secondo lui Sekhimet non avrebbe ucciso Sirio prima della Dodicesima Luna, per questo motivo se avessero tenuto un passo svelto sarebbero riusciti a raggiungere il tempio prima che ciò accadesse.
«Febe è una tua amica?». Gli domandò lei dopo diversi minuti di silenzio.
«No, non ci sono amici nel mio mondo. Solo conoscenti giusti al momento giusto. Si chiama tempismo».
«Io lo definirei opportunismo», ribadì la giovane. I vestiti della Strega le stavano un po’ stretti, lei era più bassa e magra, ma sempre meglio di nulla. Inoltre, senza uno specchio non era riuscita a intrecciarsi i capelli che adesso teneva sciolti e ondulati lungo la schiena.
«Anni fa le salvai la vita e non me l’ha mai perdonato, ma la sua indole non le permette di fare ciò che davvero desidera» narrò Ifrit.
«Cioè?».
«Suicidarsi».
Eleanor si irrigidì a quella parola, succedeva sempre quando qualcosa le ricordava sua sorella Miriam. Lo Stregone la osservò di sottecchi, quindi decise di rincarare la dose:
«Febe era un’Esorcista come te, anche lei desiderava diventare un Saggio. Ha sacrificato il suo cuore divenuto di pietra, il suo ventre è arido e vuoto e le hanno cucito un occhio».
«Ecco perché indossa quella benda» lo interruppe lei, ma Ifrit proseguì:
«Stavano per chiuderle pure l’altro, poi uno dei Saggi la informò che aspettava un bambino quando le avevano strappato via tutto».
Eleanor si arrestò, il viso contratto in una smorfia di repulsione, lui la imitò senza tuttavia interrompere il racconto:
«Ferì i Saggi e fuggì. La trovai sulle rive del fiume Kaos, in prossimità della foce, pronta a gettarsi. Con il sangue ancora incrostato sul viso mi disse: neanche le lacrime riescono a uscire. Mi presi cura di lei, mi odiò per questo. Le consigliai di aiutare gli altri se non riusciva ad ammazzarsi».
Eleanor abbassò lo sguardo, un sorriso amaro le increspava le labbra. Uno Stregone, un essere mostruoso, era riuscito in ciò che lei aveva fallito: aiutare una persona a sopravvivere.
«Io non sono riuscita a salvare Miriam». Confessò. «Mi svelò di essere innamorata di uno Stregone, le risposi che l’avrei ripudiata come sorella: una vergogna simile, una famiglia rispettata come la nostra, non se la meritava. La gente andava dicendo che dentro di lei cresceva un demone che le avrebbe squartato il ventre venendo al mondo e per la paura, la disperazione e la vergogna preferì uccidersi…».
«Sai vero che non poteva essere incinta?».
«Sì, lo so. Voi Stregoni siete sterili». Poiché Ifrit non disse nulla, lei continuo il racconto. «Cercarono di fuggire insieme, ma furono catturati. Lui fu impiccato in pubblica piazza e mentre tutti assistevamo alla sua dipartita, Miriam faceva lo stesso. Il suo corpo fu ritrovato qualche giorno dopo, così malridotto che la riconoscemmo dalla collana scaccia demons che indossava al collo». Eleanor risollevò lo sguardo, un sorriso tirato e le lacrime agli occhi. «Ho scoperto che non tiene lontano neanche una bestia comune, figuriamoci i demoni». L’Esorcista si asciugò distrattamente le guance e si sforzò di sorridere. «Non ho neanche più un’arma» fece notare.
«Hai me».
«Tu non sei un’arma».
Lo Stregone sospirò.
«Non vi insegnano proprio niente all’Accademia? Quando uno Stregone viene rinominato resterà legato a quella persona fin quando lei lo vorrà, o almeno fintanto che sarà in vita».
Eleanor ne aveva sentito parlare invece, e letto molto al riguardo. Sapeva anche che qualcuno nei secoli aveva scambiato quel legame per amore. Fu come rivivere sulla propria pelle il calore provato standogli raggomitolata davanti al camino; la sensazione di benessere che l’aveva pervasa, quel sentirsi al sicuro tra le sue braccia. Tutto era dettato da quel legame? Da quel patto silenzioso?
«Forza soldatino monta, il Prescelto non si salverà da solo».
Lo vide trasformarsi in un drago, bellissimo e spaventoso insieme, gli salì sulla schiena e lasciò che sorvolasse la Foresta degli Incanti, prossima meta il Regno Oscuro.


 
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