Ed
eccola Rosie entra allacciata al padre, indossa un
delicato vestitino azzurro e blu. Ha un piccolo cerchiello fra i biondi
capelli
ricci.
Sembra entrato in casa
un tornado, corre a cercare i suoi libri che avevo messo sul tavolo. Si
arrampica sulla sedia e se ne impossessa. Non
riesco a trattenere un sorriso visto
l’esuberanza di Rosie e l’inadeguatezza di John che
gli arranca dietro.
Cerca di calmarla per
farle fare merenda. Ma è una missione impossibile, deve
allungarle dei biscotti
e del latte, quasi inseguendola.
Parla in
continuazione e Watson non riesce a farla smettere, così
rapida come è entrata,
vola verso di noi facendo briciole ovunque. Pianta i piccoli piedi
davanti a me
e mi fissa seria.
“Sei
tu, mio cugino Sherrinford?” Lo dice con la bocca
piena, masticando veloce.
“Credo
di sì.”
Rido
mentre si avvicina e vuole salire in braccio, ha gli occhi chiari
vivaci e
pronti.
“Rosie,
ma lascialo respirare, almeno saluta gli zii.” John
cerca di allontanarla da me.
“Ciao, zio
Sherlock, ciao zio Myc.”
Ma non
si gira nemmeno perché il suo interesse è tutto
rivolto a me.
Mi
rassegno e faccio cenno al dottor Watson di fermarsi, la
aiuto ad arrampicarsi e la trattengo in braccio. Rosie è
delicata e leggera, mi
fa provare una sensazione di benessere. Ma un colpo di tosse mi
tradisce.
“Stai
bene figliolo?”
Mycroft mi osserva preoccupato, conosce bene
l’esuberanza della nipote.
“Si,
padre va tutto bene.” Non voglio che Rosie si allontani
da me, lei si appoggia con l’orecchio sul mio petto, mi
prende alla sprovvista
e vacillo benché sia seduto.
“È
qui che sei ammalato?” Ha il faccino serio, le labbra
socchiuse. E mi punta il ditino al centro del petto.
“Rosie!
“La sgridano tutti e tre.
“Solo
un poco, Rosie. Ma starò bene.” La guardo fingendo
un’allegria che non ho. Recupero
in
fretta e le sorrido calmo.
“Papà
ti guarirà. Lui è bravo.” Prendo un
respiro lento,
mentre la stringo, lei è la sincerità in persona,
senza fronzoli, qualcosa che
accetti o rifiuti.
Mi
stampa improvvisamente un bacio pieno di briciole sulla
guancia. Io
capitolo, arrossisco come
uno scolaretto, so di appartenere a Rosie adesso e per sempre. I miei
parenti
la lasciano fare vedono che sono tranquillo, forse pensano che sia un
bene che
mi distragga.
Così
come ha cominciato, esuberante e incontrollabile,
comincia a sfogliare i suoi libri.
Devo
stare attento a tenerla stretta perché si muove
così
tanto!
Tutto quello che
c’è
intorno a noi scompare, nella stanza ci siamo solo io e lei, mi sento
bene come
non provavo da tempo, vedo che le mani che non tremano
più. Non mi accorgo
nemmeno dei fratelli Holmes che si sono portati in cucina, da Watson.
Rosie vuole che legga,
così comincio, lei si accomoda, si appoggia sul mio petto e
comincia
stropicciare la maglia con le piccole dita mentre ascolta assorta. Ho le mani sudate non sono
mai contato per
nessuno ed ora c’è lei.
Sa
di buono Rosie di biscotti e latte, di amore e di
semplicità. Non
sa quanto è amata, a
parte la perdita dolorosa della madre. Così mi lascio
andare, Rosie è la prima
cosa buona che mi capita da sempre.
Nulla che valga di più.
Intravedo
la mia famiglia, i fratelli Holmes che si infastidiscono e Watson con la signora Hudson che si
lamenta in
cucina del disordine.
Realizzo
che ho una famiglia, difficile, complessa, ma c’è.
A
lungo andare Rosie si addormenta e quasi cedo anch’io. Watson ci nota ciondolare
assonnati, si
avvicina, la prende. “Sherrinford
riposa. Dormi un po' anche
tu.” Porta
Rosie nella sua cameretta,
torna e mi mette una coperta addosso.
Non vorrei, ma sono
stanco, mi sistemo borbottando: “Solo pochi minuti.”
Poi non mi ricordo
nulla, solo rumori soffusi.