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Autore: Kimly    05/01/2021    1 recensioni
La Seconda Guerra Magica è finita: i vincitori festeggiano, i vinti si ritirano per leccarsi le ferite.
Poi ci sono loro, i ragazzi di Serpeverde. Sempre in bilico fra il bene e il male, fra la luce e le tenebre.
Per Daphne e Astoria Greengrass, Blaise Zabini, Pansy Parkinson, Theodore Nott e Draco Malfoy è tempo di ricominciare, tempo di riprendere in mano le proprie vite e dimostrare di essere diversi dalle loro famiglie.
A qualunque costo.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Astoria Greengrass, Blaise Zabini, Daphne Greengrass, Pansy Parkinson, Theodore Nott | Coppie: Blaise/Pansy, Blaise/Theodore, Draco/Astoria
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Capitolo 5  ~ 16-17 agosto 1998 
 
 
 

Daphne venne svegliata in piena notte dalle urla di sua madre. Quasi come se fosse stata punta da un ago, scattò sul letto velocemente e corse fuori dalla sua stanza.
La porta della camera di Astoria era aperta, le luci erano accese e Daphne sentì il cuore martellarle nel petto. Era successo qualcosa a sua sorella.
Si avvicinò alla soglia, senza avere la forza di entrare, e vide Astoria sdraiata sul letto, la camicia da notte zuppa di sudore.
Un pallore che non aveva nulla a che vedere con la sua carnagione, di solito olivastra, cozzava con i suoi capelli scuri.
Boccheggiava, come se faticasse a respirare.
Il padre le stava puntando la bacchetta sulle vene, in un flebile tentativo di farla stare meglio, mentre la madre teneva un fazzoletto di stoffa in mano, mormorando frasi sconnesse.
«Papà, non funziona» mormorò Daphne, vedendo sua sorella in affanno. «D-dobbiamo portarla al San Mungo. Subito».
«Ci siamo» commentò la madre, gli occhi sbarrati. «Il suo tempo con noi è finito».
«Non dire sciocchezze, Lucy». Il padre prese Astoria fra le braccia. «Tieniti forte, piccola. Andiamo al San Mungo».
«Non puoi uscire, papà» disse Daphne, lanciando uno sguardo alla madre che scosse la testa.
«I-io non posso» sussurrò lei, evitando di guardare Astoria ancora agonizzante.
«Mamma!»
«È finita, Daphne» le disse, avvicinandosi alla figlia maggiore. «Fammi tornare nella mia stanza».
Daphne le bloccò il passaggio e strinse le braccia della madre, in una morsa furiosa.
«Senti, tua figlia potrebbe morire. Potrebbe davvero essere la sua ultima notte in questo mondo, per cui, cerca di comportati da madre almeno per una volta nella tua vita, e andiamo».
«Daphne!»
Il tono offeso e sconvolto non fece scomporre Daphne, che prese Astoria fra le braccia. Per quanto leggera, la sorella pesava sulle braccia di Daphne, che però non mostrò il minimo cedimento e scese verso il salotto, diretta verso il caminetto più grosso della casa.
Udì i passi leggeri dei genitori dietro di lei e mantenne lo sguardo davanti a sé. Non osava guardare Astoria e leggere, magari, il velo della morte sceso sul volto di lei.
«Fatemi sapere» disse il padre con turbamento.
«Appena ci diranno qualcosa» promise Daphne, mentre la madre puntava la bacchetta prima su di lei e poi sulla figlia maggiore per trasfigurare le loro camicie da notte in vestiti da giorno.
«Non ha senso cambiare anche Astoria» spiegò la madre, per paura di essere nuovamente rimproverata da Daphne. La rabbia che aveva letto negli occhi di sua figlia bruciava ancora.
 
 
 
 
~
 
 
 
Entrando al San Mungo, Daphne non si stupì delle solite occhiatacce che scrutarono lei, sua madre e sua sorella fino al banco dell’accettazione.
Chiunque conosceva la famiglia Greengrass e la loro fama, purtroppo, le precedeva.
Incurante dei pensieri poco lusinghieri che la maggior parte della comunità magica aveva nei confronti della sua famiglia, Daphne si avvicinò con la madre alla strega dietro al bancone.
La donna – dalla carnagione scura e dagli strambi capelli verde brillante – abbassò i sottili occhialetti per guardarle meglio e domandò quale fosse l’emergenza.
«Non vede in che condizioni è mia sorella?» domandò Daphne, incredula di fronte alla calma placida della strega. Era come se Astoria non esistesse.
«Devo capire in che reparto mandarla per poterla guarire, signorina. Lei è almeno maggiorenne?»
«Questo cosa c’entra adesso?»
«Devo parlare con un adulto e soprattutto con un genitore» chiarì la donna, guardandola con uno sguardo che a Daphne non piacque affatto.
Si voltò verso la madre, che era rimasta più indietro, e le fece segno di raggiungerla.
«Serve un genitore».
«Lei è la madre?» domandò ancora la strega, iniziando a compilare un foglio di fronte a sé.
«Sì, lo sono» soffiò Lucinda, ancora spaventata per le sorti di Astoria. «Mia figlia ha una malattia del sangue ereditaria. Prende delle medicine palliative e…»
«È la prima volta che le succede?»
«No, ma di solito gli incantesimi di mio marito riuscivano a farla stare meglio. Durante le notti la faccio controllare ogni due ore, proprio per evitare che possa succederle qualcosa. E quando stanotte sono andata io di persona, l’ho trovata in apnea».
Daphne, che non era a conoscenza di quei regolari controlli alla sorella, finse di non stupirsi nel sentire quelle parole. La malattia di Astoria era davvero grave e la madre si preoccupava molto di più di quello che dava a vedere.
«D’accordo» disse la donna, che si era segnata tutto.
Due Guaritori spuntarono da dietro l’angolo e le raggiunsero. Uno di loro era proprio il Guaritore Page, che seguiva Astoria da anni. Prese la ragazza dalle braccia di Daphne e disse loro di attendere in sala d’aspetto.
«Pretendo di venire con voi, sono la madre!» disse Lucinda, in un momento di lucidità. «Non posso rimanere qui in attesa».
«Va bene, signora Greengrass, ci segua» acconsentì il Guaritore Page. «Ma dovrà comunque aspettare fuori dalla stanza. Intesi?»
Lucinda annuì ed entrò nel reparto insieme ai due maghi, senza neanche voltarsi verso Daphne per dirle cosa fare.
La ragazza non riuscì a sedersi da nessuna parte, ma si concentrò sui pazienti che andavano e venivano. Quasi si divertì di fronte a una strega che si era trasfigurata per sbaglio la testa in una grossa zucca arancione.
Camminò in lungo e in largo, mantenendo una facciata fredda e distaccata. Chi la conosceva bene, però, avrebbe di certo notato che si toccava troppe volte i capelli per essere pienamente rilassata.
Guardò il grande cartellone posto dietro il banco dell’accettazione e, dopo averlo letto, comprese che sua madre e sua sorella si trovavano al quarto piano, il piano delle maledizioni.
Dovette trascorrere più di un’ora prima che sua madre fece ritorno da lei, stanca come se fossero passati decenni.
«Come sta?»
«Hanno detto che per ora è stabile» spiegò la madre, le occhiaie scure le rendevano quasi gli occhi più grandi. 
«Meno male» sospirò Daphne, sentendosi finalmente più leggera.
«Ma hanno anche detto che queste ore saranno decisive. Se non dovesse risvegliarsi…»
La madre non ebbe la forza di concludere la frase, perché un singulto le aveva bloccato la gola.
Daphne scosse impercettibilmente la testa, completamente svuotata da ogni pensiero. Non era possibile che stesse davvero succedendo. Non ora. Non dopo quello che avevano dovuto passare per essere finalmente pronte a riprendere in mano le proprie vite. Non dopo che Astoria, dopo tanto tempo, aveva ammesso di essere davvero felice.
«Scrivo a tuo padre. Vai a casa e riposati» disse la madre, puntandole addosso i suoi occhi scuri, gli stessi occhi di Astoria. «Non serve che rimaniamo entrambe».
«Voglio rimanere. Torna tu da papà».
«A casa, Daphne, ora. È un ordine».
Daphne non ebbe la forza di reagire, voltò le spalle alla madre e uscì dall’ospedale senza abbassare la sua solita maschera che la proteggeva dal mondo intero.
Si Smaterializzò appena fuori dal San Mungo e si Materializzò velocemente di fronte allo steccato di legno di casa Nott.
Albeggiava, ma Daphne non si preoccupò dell’educazione né dell’etichetta, ansiosa com’era di vedere Theodore.
Bussò alla porta d’ingresso e venne ad aprirle Groggy, l’elfo domestico di famiglia, che spalancò i grandi occhioni azzurri.
Era da sempre un po’ tocco, per cui Daphne sapeva che non l’avrebbe riconosciuta.
«Desidera, signorina?» 
«Cerco Th… il padrone. Puoi andare a chiamarlo?»
Groggy si mise in bocca una delle sue lunghe orecchie da pipistrello e se la mordicchiò, pensieroso.
«Il padrone non c’è, ha una nuova casa adesso. Una con le sbarre».
«No, Groggy, non voglio parlare con il vecchio padrone, voglio parlare con il nuovo padrone».
«Ahh, la signorina intende il padroncino». Groggy rise di una risata grottesca, che infastidì Daphne più del solito. «Sta dormendo, signorina. Groggy non può mica svegliarlo».
«Groggy…»
«Ma lei come sa il nome di Groggy, scusi?»
Le diede una rapida occhiata e si illuminò all’improvviso.
«Ma Groggy la conosce!»
«Sì, infatti».
«Lei è appesa alla parete del padroncino».
Daphne provò a tradurre le parole dell’elfo domestico.
«Parli delle foto, giusto? Theodore ha delle mie foto appese, su in camera».
«Sì, sì, sì, le foto del padroncino. Sì, sì, sì!»
«Ora basta con i giochi, Groggy, fammi entrare».
«No, lei non può» disse l’elfo, cambiando umore all’improvviso. «Il padroncino se la prenderà con Groggy e Groggy deve proteggere questa casa dalle persone come lei!»
Daphne alzò un sopracciglio e, con un colpo di bacchetta veloce, schiantò l’elfo domestico lontano dalla porta. Non avrebbe dovuto farlo, Groggy era già abbastanza fuori da testa e l’incantesimo avrebbe probabilmente peggiorato la sua situazione, però non poteva più perdere tempo. 
Salì le scale velocemente, riuscendo però a notare quanto Theodore fosse riuscito comunque a mantenere quella casa in buone condizioni. Non c’era nulla che testimoniasse quanto quella famiglia avesse perso in quegli anni.
Il grande quadro che ritraeva la madre di Theodore la salutò, mentre saliva al primo piano e Daphne le sorrise. Lei non l’aveva mai conosciuta, ma Theodore aveva ereditato il meglio da lei: gli stessi colori e lo stesso carattere pacato.
Daphne bussò alla stanza del ragazzo, ma non ottenendo risposta entrò senza tante cerimonie.
Conosceva quella stanza a memoria, ma non c’era tempo di perdersi nei ricordi.
«Theodore» lo chiamò lei, non facendosi intenerire dalla visione del ragazzo che dormiva beatamente. Theodore dormiva stringendo il cuscino fra le braccia, un particolare che era sempre piaciuto a Daphne.
«Theodore!»
Il ragazzo aprì un occhio e poi li aprì entrambi quando si accorse che effettivamente Daphne Greengrass si trovava nella sua stanza.
«D-Daphne» balbettò lui, non aspettandosi di certo quell’improvvisata. «Come sei entrata? Groggy…»
«L’ho dovuto schiantare, mi dispiace».
Theodore si alzò dal letto e si avvicinò per studiare il suo volto con più attenzione. Per lui era fin troppo facile comprenderla.
«Cos’è successo?»
Daphne si morse le labbra e non riuscì a trattenere una lacrima.
«Astoria è stata ricoverata poche ore fa. Temo che possa non farcela questa volta».
Theodore fece per avvicinarsi ancora, ma lei lo fermò con una mano.
«Domani sarebbe stato il suo compleanno. Nessuno dovrebbe morire il giorno del proprio compleanno».
«Daphne…»
La ragazza si lasciò cadere a terra e scoppiò a piangere, nascondendosi il volto fra le mani, finalmente libera di poter togliersi la maschera di freddezza.
«Non ha neanche sedici anni. Perché non ho ereditato io quella stupida malattia?» 
Theodore si sedette di fronte a lei e la lasciò sfogare, volendo stringerla fra le braccia, ma sapendo bene che sarebbe stato respinto.
Daphne era fuori di sé, ma non abbastanza da lasciarsi toccare da lui. Non dopo quello che le aveva fatto.
 
 
 
~
 
 
«Buona questa torta. L’hai preparata tu, Daph?» domandò Pansy, seduta sulla finestra accanto a Blaise.
«Mia mamma» disse lei, guardando poi Astoria. «Passerà più tardi, tranquilla».
Astoria si era sorprendentemente ripresa il giorno dopo il suo ricovero e Daphne non aveva perso tempo e le aveva organizzato una piccola festa a sorpresa con i suoi amici.
Aveva fatto di tutto per convincere la madre a lasciarle campo libero almeno per quel giorno, così da permettere a Draco di trascorrere del tempo con sua sorella.
Il ragazzo era seduto ai piedi del letto di Astoria e mangiava la sua fetta di torta senza dire una parola. 
Ogni tanto Daphne gli lanciava qualche occhiata di sottecchi, ancora restìa ad appoggiare completamente la loro relazione.
Notò poi Theodore farle un piccolo sorriso canzonatorio. Lui la conosceva sempre fin troppo bene.
«Daphne!»
Pansy le fece cenno di avvicinarsi e Daphne raggiunse lei e Blaise.
Per anni la ragazza aveva tenuto all’oscuro entrambi circa la salute della sorella, ma la sera precedente Theodore l’aveva convinta a coinvolgerli. Erano pur sempre suoi amici e meritavano di conoscere la verità.
«La questione si fa seria, eh?» ironizzò Blaise, facendo cenno ad Astoria e a Draco.
Daphne piegò le labbra con disappunto e Pansy redarguì Blaise con gli occhi.
«Credo che Tori meriti un po’ di normalità. Più di tutti noi» disse Theodore, che si era avvicinato al trio. 
Daphne preferì non commentare, ma Blaise ghignò in direzione della coppia.
«Sapete cos’è strano? Io ho sempre visto Astoria come una sorellina, per via di Daphne, e penso che per te, Nott, sia lo stesso… sempre per via di lei». Blaise accennò a Daphne, che si strinse nelle spalle. I commenti del ragazzo, a volte, erano davvero inopportuni. «Credevo che quasi tutti la vedessimo come una sorella, ma evidentemente mi sbagliavo».
«Astoria sta crescendo, Blaise» disse Theodore con semplicità.
«Sì, l’ho notato anch’io».
La nota maliziosa non piacque affatto a Daphne, che gli lanciò la più fredda delle sue occhiate.
Blaise fece una risatina e alzò le mani.
«Ehi, non ti agitare! Sto solo dicendo che non avevo mai fatto caso a quanto fosse diventata carina, fino a quando non ho saputo di lei e Draco».
«Di chi sei invidioso esattamente, Blaise? Di Astoria o di Draco?» domandò Pansy, divertita. «Sappiamo che ami le belle donne, ma non disdegni neanche gli uomini. E con Draco ti è sempre andata male».
«E tu che ne sai?» replicò Blaise, non perdendo il sorriso. «Se il nostro dormitorio potesse parlare… Vero, Nott?»
Daphne si voltò verso il ragazzo, che scosse la testa con un sorriso. 
Blaise era sempre stato un cacciatore. Possibile che anche Theodore avesse ceduto alle sue avances?
«Parlando d’altro», se ne uscì Pansy, quasi infastidita, «Domani Terence mi farà parlare con il capo della redazione del Settimanale delle Streghe. Se tutto andrà bene, mi proporrà un praticantato!»
«Ma è fantastico, Pansy» disse Daphne, sorridendole felice. «Riuscirai a farcela, ne sono sicura».
«Congratulazioni». Theodore si avvicinò a Pansy per abbracciarla e Daphne ignorò la stretta allo stomaco.
Theodore era, da sempre, il membro più affettuoso del gruppo e, a differenza di Blaise - che usava i suoi slanci d’affetto per provarci con qualcuno di loro -, lui non lo faceva con malizia.
Daphne si accorse dello sguardo di Blaise che la analizzava, ma nessuno da fuori avrebbe potuto carpire la sua lotta interiore. Per quanto bravo Blaise fosse a cogliere ogni cosa, non avrebbe mai potuto batterla in quel gioco.
«Ah, io lavorerò qui dalla prossima settimana» buttò lì Blaise, senza troppa convinzione.
Daphne, Theodore e Pansy puntarono gli occhi su di lui, che ancora stava studiando Astoria e Draco, che parlavano sottovoce.
«Perché non ce l’hai detto prima?»
«Perché non era poi così importante» rispose Blaise, ma Pansy non sembrava voler cedere.
«Stiamo parlando del nostro futuro da settimane, come fai a dire che non era importante!?»
«D’accordo, rilassati» disse Blaise, facendole un sorriso divertito. «Non è ancora detto che regga i ritmi del San Mungo».
«Non sapevo che volessi diventare un Guaritore» commentò Daphne, stupita. Se avesse dovuto immaginare Blaise nel mondo del lavoro, non l’avrebbe mai visto al servizio del prossimo.
«Uhm, mi frullava nella testa già da un po’. E qui sono molto meno fiscali rispetto al Ministero». Blaise guardò Daphne. «Per te sarà più difficile fare carriera».
«Al Ministero non mi faranno neanche entrare».
«Provarci non costa nulla» disse Theodore, ma Daphne si era già rassegnata all’idea di non poter lavorare nel posto dei suoi sogni.
«E tu, Theo? Hai ancora intenzione di fare il professore?» domandò Pansy e Blaise non trattenne una risata.
«Se per Daphne è più difficile, per te è impossibile. Sei spacciato».
«Hogwarts non accetterà mai che il figlio di un Mangiamorte diventi professore» gli diede manforte Daphne, sconfortata. Sapeva quanto Theodore ci tenesse.
«Con tutti gli zotici che abbiamo avuto come insegnanti!» sbottò Pansy, scuotendo la testa. «E vorrei ricordare che uno dei pochi professori decenti di Difesa aveva l’Oscuro Signore attaccato alla faccia!»
«Pensavo di prendermi un anno sabbatico» chiarì Theodore, interrompendo il commento di Blaise, che aveva aperto bocca per replicare a Pansy. «Far calmare le acque per un po’».
«E cosa farai quest’anno?» domandò Blaise e lo sguardo che gli lanciò era così carico di sottintesi, che Daphne si chiese cosa davvero sapesse il ragazzo più di lei. «Grandi progetti in vista?»
Theodore ignorò la seconda domanda.
«Vorrei viaggiare un po’, visitare altri posti… Non voglio essere un professore che ha imparato tutto quello che sa solo grazie ai libri».
«È un bel progetto» disse Daphne, abbassando lo sguardo per paura che Theodore leggesse qualcosa.
«E quando hai intenzione di partire?» domandò Pansy, curiosa.
«Non lo so ancora. Forse poco prima della fine dell’anno».
Calò il silenzio e Daphne rialzò lo sguardo, sicura che nessuno avrebbe letto qualcosa nei suoi occhi.
«Pensavo di organizzare una vera festa, una volta che Tori sarà dimessa».
«Davvero?» soffiò Pansy, che adorava i party.
Daphne annuì.
«Potrete invitare chi vorrete e sarà anche una festa per augurarle un buon anno scolastico».
«Un po’ mi mancherà non prendere quello stupido treno quest’anno» disse Pansy, quasi nostalgica.
«Se ti senti sola, sai chi chiamare» propose Blaise, e Pansy gli pizzicò il braccio con un sorriso.
«Quest’anno sarà tutto diverso» disse Daphne, voltandosi verso la sorella e Draco, che si tenevano per mano.
Non si accorse dello sguardo di Theodore che la guardava in silenzio, ma il ragazzo percepì quello di Blaise che ghignava nella sua direzione. Lui sapeva tutto.
Pansy, che non aveva notato nulla, si alzò per avvicinarsi a Daphne e le prese una mano.
«Già, sarà proprio tutto diverso».

 
 
 
 
 
 
   
 
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