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Autore: Circe    22/01/2021    1 recensioni
Il veleno del serpente ha effetti diversi a seconda delle persone che colpisce. Una sola cosa è certa: provoca incessantemente forte dolore e sofferenza ovunque si espanda. Quello di Lord Voldemort è un veleno potente e colpisce tutti i suoi più fedeli seguaci. Solo in una persona, quel dolore, non si scinde dall’amore.
Seguito de “Il maestro di arti oscure”.
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Rabastan Lestrange, Rodolphus Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'Eclissi di sole: l'ascesa delle tenebre'
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Dal grimorio di Bellatrix : “Dammi il tuo sangue”


Nonostante gli ultimi accadimenti mi avessero fatto capire qualcosa di più sull’ultimo e più difficile elemento, non mi sentivo pronta.
Ormai conoscevo tutto, sapevo i suoi significati e come pormi per controllare la terra, eppure, nel momento più importante, quella non mi ubbidiva.
Era frustrante per me che ero sempre stata piuttosto talentosa e apprendevo tutto abbastanza velocemente, ma non potevo che prendere atto della mia impotenza: forse mi sfuggiva qualcosa.
Lo confidai al mio maestro con molta modestia, quella che di solito non possedevo, ma davanti a lui tutto mi veniva più spontaneo.
Contrariamente a quanto immaginavo, non lo tenne in conto, voleva procedere con il suo incantesimo e non sentiva ragioni. Quando era così testardamente convinto, non c’era modo di farlo riflettere, o di indurlo a rallentare, si doveva fare a modo suo e basta.
Mi rassegnai alle sue decisioni. Non che fossi d’accordo, ma non potevo fare diversamente.
Se io non ero pronta, lui lo era ancora di meno. 
Almeno così mi sembrava.
Era ancora provato dai continui esperimenti con la magia oscura, il suo fisico ne risentiva e anche il suo umore. 
Questi continui sbalzi di umore, soprattutto, mettevano a dura prova la psiche e la logica ferrea da cui si era sempre fatto guidare.
Non solo: anche il fatto di andare sempre oltre ogni sua possibilità e distruggere sempre di più quel suo corpo tanto bello, sembrava essere diventata una fonte di piacere per lui.
Quasi un bisogno. Tanto che, quando accennavo, seppur vagamente, alla cosa, rispondeva che il benessere che provocava il superare sempre ogni limite era troppo grande per poterci rinunciare.
Se da un lato la cosa mi preoccupava, dall’altro mi eccitava in maniera fortissima.
Il suo spirito irrefrenabile e distruttivo non lo si poteva comunque in nessun modo frenare.
Soltanto poco prima di compiere l’incantesimo più distruttivo, potevo notare qualche tentennamento.
Anche dopo l’ultima volta che avevamo fatto l’amore insieme era diventato più difficile pensare di dover affrontare di nuovo l’esperienza terribile di quell’incantesimo.
Anche per lui era cambiato qualcosa. Era stato tutto così violento e intenso, che non solo io ne ero rimasta scossa e segnata, lo stesso valeva anche per lui, ne ero certa.
Era stato un altro tipo di orgasmo, era esploso forte, violento, doloroso e stupendo, ci ripensavo spesso e sorridevo tra me e me.
Ci aveva in un certo modo unito di più.
Al solo pensarci mi tornava voglia di stare con lui, il desiderio mi assaliva del basso ventre e si irradiava velocemente in ogni parte del mio corpo.
Lo stavo attendendo già da tempo nella sua stanza, da sola, persa tra i miei pensieri e le le mie riflessioni. Era difficile stare lì senza provare il desiderio di fare l’amore con lui in quel modo e in mille altri modi.
Tentai di ingannare il tempo e il desiderio guardandomi attorno: non ero mai stata lì da sola, invitata da lui, con la possibilità di osservare le sue cose.
Approfittai.
Vidi subito che non aveva molto, feci presto a curiosare. 
Guardai la libreria: vi erano molti libri antichi, molti quaderni, forse grimori e qualche disegno fatto da lui. I disegni mi interessarono subito, semplicemente perché erano suoi. 
I temi erano ricorrenti, quasi ossessivi. 
In molti c’era il mare, sempre agitato, in tempesta, con nuvole scure nel cielo. In altri c’erano delle scogliere, sempre a picco sull’onnipresente mare in tempesta. Si ripetevano anche disegni di onde e insenature nella roccia, poi, meno frequenti vi erano foreste più o meno fitte e radure nella notte.
Li guardai uno per uno quei disegni, sfiorai i tratti su cui si era impegnato, cercai di imprimere nella memoria quei posti che aveva disegnato sulla carta, posti evidentemente importanti e significativi per lui.
Non mi parlava mai di questo, i suoi gusti, la sua anima più intima era un dilemma per me.
Andai avanti a guardare, provando a conoscerlo meglio, per quanto mi era permesso.
Ammucchiava cartoline di luoghi lontani, a me totalmente sconosciuti. Molte carte da viaggio, percorsi segnati, luoghi che sembravano impervi, appunti scritti a mano su quelle carte.
Annotava lì sopra paesi dai nomi stranieri, montagne e vallate, era tutto un mondo particolare e originale, era il suo mondo segreto, ciò che nascondeva a tutti, ma che aveva probabilmente sempre fatto parte di lui.
Le carte raffiguravano tutta l’Europa, posti lontani che io non avevo nemmeno mai osato immaginare. I pochi appunti che prendeva erano scritti con la sua calligrafia penetrante, non bella ma chiara, un po’ contorta.
Non usava mai la piuma, non so perché, amava usare un coltellino per appuntire un oggetto con cui poi scriveva e disegnava. Faceva tutto nel più totale silenzio, talvolta lo osservavo senza disturbarlo.
Mi affascinava ogni cosa che faceva e pensava.
Mi allontanai dalla libreria, volevo fare un giro nella stanza a fianco, ma rimasi colpita da un oggetto bellissimo, che brillava dentro un piccolo armadio.
Non potei fare a meno di aprire del tutto l’anta per ammirarlo: la coppa.
Rimasi ferma impalata. Quella coppa l’avevo vista in tanti libri mentre studiavo l’elemento terra. L’avevo vista anche in alcune immagini e quadri a casa mia, la ricordavo abbastanza bene.
Mi accucciai davanti all’armadio per poterla vedere meglio. Non avevo il suo permesso, per cui non osai toccarla, mi limitai a guardarla da poco lontano.
Era proprio lei, ero certa. 
Era piena di simboli magici e trasudava magia da tutti i pori, aveva persino aperto l’anta per farsi trovare. Sono certa che fosse stato il potere magico di quell’oggetto. Percepivo la magia antica e simbolica, mi era famigliare proprio perché in casa mia eravamo pieni di questi oggetti provenienti da un glorioso passato.
“L’hai trovata dunque.”
Sentii la sua voce, non mi fu chiaro se mi avesse parlato nella mente, o nella realtà.
Alzai lo sguardo e mi guardai attorno: lo vidi apparire in una nuvola nera. 
Era finalmente arrivato da me.
Avvolto nel suo mantello nero e con il cappuccio calato era sempre affascinante.
“Mio Signore…” 
Mi inchinai a lui e poi mi alzai.
“Ti ho fatta aspettare molto, lo so, sto preparandomi per il rito magico, il giorno che ho stabilito si sta avvicinando.”
Sapevo che non potevo proprio più fermarlo, volli dunque sapere quando aveva stabilito di compiere l’incantesimo.
“Sarà la notte di Beltane, approfittiamo di questa notte propizia, simbolo di rinascita, che sta arrivando.”
Non replicai, era un dato di fatto, aveva già deciso.
Mi avvicinai e con molta lentezza lo sfiorai, mettendomi in punta di piedi per baciarlo nell’angolo della bocca.
“Ben arrivato, mio Signore.”
Mi lasciò fare tranquillamente. Era di buon umore quella sera.
Si tolse il mantello e lo lasciò cadere su una sedia.
“Hai visto la coppa, dunque?”
Annuii. La coppa continuava a brillare dal suo angolo nell’oscurità.
La guardai.
“Mi ha come chiamato lei per farsi ammirare, deve essere magia antica.”
Si voltò verso di me incuriosito.
“Ti ha chiamato lei?”
Annuii.
Restammo in silenzio, sembrava riflettere su qualcosa, ma io cambiai discorso.
“Mi avete fatta venire per questo, mio Signore? Per qualcosa che riguarda questa coppa?”
Avanzò lentamente con le mani nelle tasche, si fermò silenzioso, in piedi davanti al fuoco.
“Sai cosa rappresenta la coppa, vero?”
“Certo, mio Signore, so anche che la simbologia è legata alla madre terra…”
Non mi fece finire.
“L’elemento che stai studiando.”
Annuimmo all’unisono.
Lo guardai a lungo, era pensieroso, sembrava assorto e più cupo e taciturno di poco prima. 
Attesi le sue parole.
Improvvisamente sentii le fiamme nel camino che prendevano forza e vigore, sfuggivano anche al mio controllo. Non aveva mai comandato il fuoco in mia presenza, lo aveva fatto sempre fare a me.
La sua immagine nera davanti al rosso delle fiamme prese un che di demoniaco, mi parve quasi che i suoi occhi brillassero di un rosso cupo, sanguigno, un colore irreale.
Non potevo distogliere il mio sguardo da lui, era splendidamente bello e affascinante, tolse le mani dalle tasche e le incrociò sul petto, col suo solito modo di osservare, piegando leggermente la testa di lato.
“Dopo Beltane quella coppa la darò a te.”
Sgranai gli occhi, il cuore perse vari colpi, ma sentii ugualmente il sangue pulsare forte e veloce, scaldare la pelle del volto, infuocare tutto il mio viso.
“A me, mio maestro?”
Mosse appena la testa in segno di assenso.
“Per questo ho atteso che comprendessi il significato dell’ultimo elemento: tutto sta nella terra, la morte e la rigenerazione, la rinascita e il ritorno alla vita.”
Fece una pausa.
“Dopo Beltane, dopo l’incantesimo che farò, tutto questo starà nelle tue mani, Bella.”
Mi venne una paura immensa di non essere in grado di capire e di non riuscire ad essere all’altezza di quel dono. Poi questa paura fu sommersa dalla gioia senza freni per ciò che mi aveva appena detto. Non riuscivo nemmeno a parlare.
“Spero di aver riposto bene la mia fiducia…”
La sua voce era lievemente incrinata, non doveva essere facile per lui questo gesto, anzi era forse il più difficile della sua vita e lo faceva a me.
Dal canto mio, non riuscivo nemmeno a trovare le parole per esprimere ciò che sentivo.
“Mio Signore, mio maestro, sapete che farei di tutto per voi, la mia vita è vostra, potete fidarvi di me. Non sono solo parole, ve l’ho sempre dimostrato coi fatti.”
Mi penterò con lo sguardo.
“Non devi convincermi, Bella, sono già convinto di quello che sto per fare.”
Non volevo convincerlo in realtà, volevo soltanto rassicurarlo. Non glielo dissi ovviamente.
Ero comunque talmente emozionata che mi sarebbe andato bene tutto.
“Mio maestro, avete bisogno dei miei servigi durante l’incantesimo di Beltane?”
Scosse la testa e rimase zitto.
Mi sedetti vicino al tavolo piuttosto delusa. Ci rimasi male, avrei voluto assisterlo come l’ultima volta, mi preoccupavo perché sapevo abbastanza bene a cosa stava andando incontro, ma sembrava convinto di fare tutto da solo.
“Non potrò nemmeno assistervi, maestro?”
Si scostò dal camino e venne lentamente nella mia direzione, sempre in silenzio, senza parlare. Altrettanto lentamente si mise alle mie spalle.
“No, non voglio nessuno, farò bene da solo.”
Improvvisamente ci fu silenzio.
“Non ricordi cosa ti ho detto su chi ti si mette alle spalle, Bella?”
Alzai lo guardò voltandomi verso di lui.
“Certo che lo ricordo, maestro, ma voi potete farmi tutto ciò che volete, soprattutto da dietro.”
Scoppiò a ridere forte, evidentemente il mio riferimento all’ultimo incontro sessuale che abbiamo avuto era più che chiaro.
Era strano vederlo ridere, eppure negli ultimi tempi, sempre coi suoi sbalzi repentini di umore, lo vedevo ridere spesso ed era una delle mie gioie più grandi.
Si avvicinò subito, appoggiò le mani sulle mia spalle e accostò la bocca al mio orecchio.
“Lo terrò ben presente, mia Bella.”
Sorrisi senza guardarlo, lo sentivo accanto a me e mi bastava. Avrei voluto rimanere così per sempre.
“Non ti voglio con me durante l’incantesimo, ma dovrai essere qui al mio ritorno, perché ti affiderò subito la coppa.”
Mi strinse forte le dita sulle spalle, molto vicino al collo, sentii male, ma non glielo feci notare.
“Saprai custodirla in modo impeccabile vero, Bella?”
Era più una minaccia che una domanda. Le sue dita mi stringevano fino quasi a soffocarmi. Potevo percepire tutta la sua paura, i suoi dubbi e timori. Tutti sentimenti che non avrebbe ovviamente mai ammesso.
Non aveva bisogno di minacciare, avrei tenuto la sua anima con tutto l’amore e l’adorazione di cui ero capace.
Sapevo bene che era la sua anima, ma non glielo dissi mai.
“Terrò la coppa con tutta la cura e l’adorazione di cui sono capace e che vi meritate, mio maestro. Non abbiate pensieri per questo.”
Sentii la stretta allentarsi lievemente, d’istinto appoggiai le mie mani sulle sue e gliele strinsi. 
“Fidatevi di me, mio Signore, non vi deluderò.”
Sembrò più convinto e rassicurato. Però non perse ugualmente tempo, tornò velocemente a darmi delle indicazioni sul da farsi.
“Non appena te l’avrò consegnata, la dovrai mettere in sicurezza. È un oggetto di magia oscura ed è molto prezioso, va protetto e non deve essere rintracciabile.”
Lo ascoltavo e tacevo, sapevo che aveva già pensato a tutto per cui mi limitai ad annuire ad ogni cosa.
“Tu hai libero accesso alla Gringott, vero Bella?”
Anche su questo punto annuii.
“Tu e la tua famiglia avete diverse camere blindate, sarei onorato che la mia coppa andasse a dimorare lì, insieme ad oggetti di grande valore magico e simbolico, non potrei pensare a nulla di più adatto.”
Le mie dita erano ancora strette alle sue, non era più una minaccia, ma restavamo ancora fermi così. Legati da quel segreto.
Cercai di concentrarmi. Pensai per un attimo alle camere blindate.
“Va bene, mio Signore, credo sceglierò la camera blindata dei Lestrange, così sarò certa di potervi accedere solamente io. E anche mio marito.”
Feci una pausa, poi mi decisi a spiegare meglio quella decisione.
“Eviterò le camere blindate della mia famiglia natale. I Black… diciamo che non tutti i Black sono affidabili come un tempo e come dovrebbe essere. Non voglio correre rischi.”
Mi guardò attento, non gli sfuggì il mio imbarazzo mentre parlavo della mia famiglia.
“Noto che tutti hanno degli scheletri nell’armadio, Bella, anche la più nobile e antica delle casate. Siamo qui anche per questo, non temere, riporterai la tua famiglia al passato splendore.”
Mi alzai e lo guardai con calma.
“Non mancherò di sistemare anche i miei problemi familiari, questo è sicuro, ma quello che mi preme di più, mio maestro, è servire voi, lo sapete.”
Sembrò soddisfatto. Poco prima avevo percepito un’attrazione forte, forse anche perversa, fra lui e il mio status, la mia famiglia, o ancora meglio, fra lui e il mio sangue.
Gli piaceva da morire.
Improvvisamente, quasi come un fulmine, un’idea mi esplose nella mente. Un’idea malata, cattiva, macabra.
Un guizzo nel suo sguardo mi fece intuire che in un istante l’aveva vista anche lui, chiara e fulgida, nei miei occhi.
Mi si avvicinò con bramosia, con una luce febbrile nello sguardo.
“Mi piace la tua idea, mia Bella.”
Gli sorrisi complice.
“Abbiamo molte settimane prima del sabba di Beltane, vediamo di impiegare il tempo in maniera interessante.”
In quel momento ebbi un fremito di paura, un fremito di buon senso che si affacciava nella mia mente e cercava di fermarmi.
Restai infatti ferma immobile a guardarlo, stregata dal desiderio che si faceva strada sempre più violentemente nel mio ventre, tra le gambe, nella carne, che mi faceva provare brividi di delirante follia.
Allo stesso tempo una timida sensazione di paura si affacciava nella mente, si soffermava sul male e sul dolore che si prospettava in quella pratica pazzesca.
Il suo sguardo quasi scarlatto mi fece capire che non avrei comunque più potuto fermarlo, avrebbe fatto tutto ciò che io avevo solo vagamente immaginato e lo avrebbe portato all’estremo.
Si avvicinò a me stringendomi e assaporando il mio odore, sfiorando col suo viso il mio seno, poi il collo e il viso. Sentiva l’odore del mio sangue che scorreva impazzito sotto la pelle.
Deglutii vistosamente.
Senti la sua lingua calda sulla pelle.
Tremai di mille brividi di piacere, assaporavamo entrambi l’idea nella mente. Fu lui a staccarsi per un attimo, desideroso di andare oltre.
“Lo porti sempre con te, se non sbaglio, vero?”
Annuii senza riuscire a parlare, tanto mi leggeva la mente, parlavamo col pensiero. Lo guardavo solamente,  ancora in bilico tra la voglia di provare subito e la paura del dolore.
Mi baciò con estrema passione, mi morse le labbra, sentimmo un certo sapore ferroso insinuarsi nelle nostre lingue, fra le labbra e in bocca.
Con le sue dita sottili e forti mi prese la guancia, appoggiai il viso, i capelli si intrecciarono alle sue dita, restammo a baciarci a lungo, finché il sangue non smise di bagnare le labbra.
Scese dunque a baciarmi il collo, lento e vorace.
La mia mente già non ragionava più, la voglia di lui aveva travalicato ogni cosa. Lo spinsi con dolcezza più giù sui capezzoli turgidi, amai la sua lingua, il suo succhiarli con desiderio e bramosia.
Abbassò il vestito, accarezzandomi i fianchi fino alla cintura, indugiò per qualche attimo ancora poi lo afferrò.
Me lo sentii sfilare lentamente dal fodero e poi, altrettanto lentamente, lo portò all’altezza del nostro viso, ne vidi, con la coda dell’occhio, il manico scuro, con gli smeraldi attorno.
Subito dopo lo portò sul mio viso, sentivo la punta della lama scorrermi sulla guancia, sfiorandomi delicatamente. 
Il cuore mi batteva forte.
“Hai ancora voglia di farlo, adesso che lo senti sulla pelle?”
Annuii. Mi importava solo di avere lui e di averlo in quel modo nuovo ed eccitante che non avevo mai provato prima.
Lentamente portò la lama fra le nostre labbra, quelle di entrambi. Questa volta la girò appena: bastava un respiro, un movimento impercettibile e ci saremmo tagliati. 
La lama fredda mi gelò la pelle. Il desiderio era di baciarlo, ma mi avrebbe lacerato le labbra.
Ci guardammo fissi, occhi negli occhi, il suo sguardo instabile e perverso che si era acceso pochi attimi prima, mi ipnotizzava completamente.
“Hai paura di me?”
Non mosse la lama.
Inevitabilmente a quelle parole le sue labbra si coprirono di sangue caldo e denso. Lo assaporai dal momento che mi entrò sotto la pelle, ne sentii subito dopo l’odore pungente. Era la prima volta che mi mostrava la sua essenza.
Se avevo paura di lui?
Annuii. 
Certo che avevo paura, mi faceva paura il suo desiderio ossessivo del mio sangue e ancora di più il suo innato e irrefrenabile sadismo.
Mi guardava, giocava con la lama, la toccava con la lingua, quegli occhi avevano una luce febbrile, malata: non avrei mai saputo dir loro di no.
Si allontanò leggermente.
Mi prese con forza e mi portò nel letto.
Nel suo letto.
Mi sbatté sulle lenzuola scure, fredde e morbide. Mi leccai le labbra osservandolo, eccitata da mille sentimenti contrastanti.
Lo guardavo dal basso in alto, le gambe piegate e leggermente divaricate, pronte ad accoglierlo, mentre lui mi guardava dall’alto, con il mio coltello nella mano sinistra.
Accarezzava il coltello con le sue dita sottili, sensuali.
Si avvicinò a me lentamente, scivolando fra le mie gambe, insinuandosi accanto a me.
Mi arresi completamente a lui, chinai il capo all’indietro, lo attesi lasciandogli campo libero sul mio corpo. La fiducia più totale.
Le sue labbra rosse e insanguinate si piegarono in un sorriso di piacere.
“Fammi sentire il tuo sapore, dammi il tuo sangue.”
   
 
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