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Autore: Old Fashioned    25/02/2021    10 recensioni
Prima guerra mondiale. A un giovane e ardimentoso pilota tedesco viene assegnata una strana missione: dovrà atterrare con il suo aereo dietro le linee nemiche e lì caricare a bordo una persona, poi rientrare alla base. Tutto semplice, all'apparenza, peccato che la persona che dovrà caricare, una pericolosa spia tedesca, sia inseguita dal suo arcinemico: una spia inglese di pari livello, disposta a tutto pur di catturare il rivale.
Questa storia è stata scritta per Crazy_person, come modesto ringraziamento per tutte le bellissime recensioni che mi ha sempre lasciato.
Genere: Angst, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Gente mia, ecco l’aggiornamento della vicenda. Come sempre grazie a tutti coloro che sono passati da queste parti. Un ringraziamento particolare va ovviamente a chi mi ha anche lasciato il suo parere.







Capitolo 3

La linea del fronte si annunciò in lontananza come un ribollire di fumi scuri, punteggiato qua e là dai bagliori gialli delle esplosioni.
Von Knobelsdorff vi si avvicinò cauto, scrutando il cielo alla ricerca di aerei nemici, ma nessuno arrivò a sfidarlo. Guardò in basso e vide un frenetico formicolare di uomini fra le trincee.
Aggrottò perplesso le sopracciglia, chiedendosi se il potere del signor Matthesius arrivasse anche a ordinare un assalto di fanteria per distogliere l’attenzione del nemico dal suo aereo.
Come sempre, rinunciò ad addentrarsi in quei ragionamenti. Più aveva a che fare con lo spionaggio, del resto, più si rendeva conto che esso era come un’idra dalle innumerevoli teste, delle quali però la maggior parte erano perfettamente invisibili, oppure apparivano come tutt’altro.
Salì appena di quota, non rinunciando comunque a sondare i dintorni. Se le misteriose vie dello spionaggio gli erano perlopiù ignote, conosceva invece molto bene quelle dei piloti e sapeva che nessun aviatore degno di questo nome si sarebbe lasciato sfuggire la possibilità di una facile vittoria.
Perché in effetti il suo placido castrone sarebbe stato tutt’altro che un avversario impegnativo, ma avrebbe comunque rappresentato un abbattimento, e dopo un certo numero di abbattimenti si diventava Assi.
Aerei però non ce n’erano da nessuna parte, e di certo a terra avevano ben altre preoccupazioni che seguire il suo tranquillo volo.
Quando si lasciò alle spalle le trincee, lo invase una strana sensazione d’irrealtà. Era in territorio nemico, il quale non differiva in nulla rispetto a quello che aveva appena lasciato, se non per un piccolissimo particolare: se fosse atterrato lì e l’avessero scoperto, sarebbe stato preso prigioniero, processato come spia, forse addirittura ucciso.
Alzò le spalle con noncuranza, con ragionamenti del genere non sarebbe andato da nessuna parte. Aveva una missione da compiere, e se l’avesse svolta nel modo migliore – cosa che di certo non si presentava difficile – entro pochi giorni sarebbe tornato alla Jasta, a litigare con Behringer e Hoffmeyer su chi avesse più abbattimenti.
Pensò ai suoi camerati e una sferzata di nostalgia lo invase. Si chiese se fossero ancora vivi. Non era così scontato esserlo, in effetti, per dei piloti da caccia.
Meccanicamente fece scorrere lo sguardo sugli strumenti, regolò qualche parametro. Osservò la mappa, quindi si sporse appena per controllare che la navigazione stesse procedendo in modo corretto.
Vide solo campi, una lunga strada bianca, rare macchie d’alberi. Di quando in quando coglieva i tetti, rossi o color paglia, di qualche masseria. Si chiese se in giro ci fosse qualcuno in grado di accorgersi del suo aereo.
Virò appena seguendo le indicazioni della bussola, poi di nuovo guardò fuori. Individuò all’orizzonte, nitide contro il cielo chiaro del primo mattino, le sagome di tre mulini a vento dalle pale immobili.
Abbassò lo sguardo sulla cartina: teoricamente la sua navigazione avrebbe dovuto terminare davanti alle imponenti strutture. C'era un grande prato, in effetti, forse un pascolo, che sembrava creato apposta per far atterrare gli aeroplani.
Fece un giro tutt'intorno. Al suo passaggio, un paio di bovini si allontanarono indolenti, uno stormo di uccelli si alzò in volo. Un lontano luccichio d'acqua baluginò per un attimo tra le fronde.
Nessun segno di riconoscimento.
Il tenente fece un secondo giro, rievocò le istruzioni che la donna gli aveva fatto imparare a memoria: un fumogeno bianco alle sette precise.
Le sette erano passate e di fumogeni non v'era l'ombra.
Anche in quel caso, le istruzioni erano precise: la missione era da considerarsi come fallita. Avrebbe dovuto invertire la rotta e rientrare, senza la preziosa spia e senza le ben più preziose informazioni di cui essa era in possesso.
Sarebbe rimasto noto come colui che aveva fallito la missione. Un giovane pilota ardimentoso, pieno d'amore di Patria, ma fondamentalmente incapace.
Strinse le labbra e virò per compiere un terzo giro. Le mucche ormai dovevano essersi abituate al ronzio del suo apparecchio, perché nessuna di esse si spostò. Scese addirittura di quota, scrutando ansiosamente i dintorni alla ricerca di qualsiasi cosa si discostasse dall'ordinario.
Possibile che una spia così efficiente, un individuo che persino la donna qualificava come abilissimo e scaltro, mancasse l'appuntamento con quella che letteralmente rappresentava la salvezza sua e della Germania?
Poi colse ai margini di una macchia d'alberi un esile filo di fumo e il cuore gli balzò nel petto. Invertì la rotta, scese ancora di quota. Non era certo un fumogeno, più che altro sembrava un focherello di sterpi, ma qualcosa gli diceva che non sarebbe stato opportuno ignorarlo.
Alla peggio decollerò di nuovo,” disse a mezza voce, quindi ridusse motore e diede la prima tacca di flap.
L'aereo prese ad abbassarsi dolcemente. Von Knobelsdorff intanto si guardava intorno, alla ricerca di buche o altri ostacoli che potessero danneggiargli il carrello, ma il prato pareva un'unica, uniforme distesa di erba vellutata.
Diede un'altra tacca di flap, tolse ancora motore, portando i giri al minimo. Per qualche istante l'aereo parve letteralmente galleggiare a mezz'aria, poi un sobbalzo morbido fece capire all'ufficiale che aveva toccato terra. Frenò dolcemente fino ad arrestarsi, poi subito fece girare il velivolo su se stesso, per essere pronto a decollare in qualsiasi momento.
A quel punto si guardò intorno, ma anche il fumo che aveva visto dall'alto sembrava scomparso. Si slacciò le cinture di sicurezza, si sollevò a metà dal seggiolino, ma il nuovo punto d'osservazione non gli diede ulteriori elementi d'interesse.
Strinse le labbra contrariato. Che fare?
Poi una vibrazione improvvisa lo fece letteralmente sobbalzare. Si girò per scoprirne la provenienza e vide un uomo – un contadino, a giudicare dall’aspetto – che si stava infilando nell'abitacolo posteriore.
Chi è lei?” sbottò, alzando la voce per coprire il rumore del motore.
Andiamo,” disse l'altro per tutta risposta.
Von Knobelsdorff non si mosse. “Chi è lei?” ripeté perentorio, “Cosa fa sul mio aereo?”
Lo sconosciuto, che si stava già allacciando le cinture di sicurezza, abbandonò le cinghie con un sospiro e disse: “Si muova.”
Neanche per sogno, se non so chi è lei.”
Il nuovo arrivato alzò gli occhi al cielo. “Si muova, per favore.”
Von Knobelsdorff aggrottò le sopracciglia e ringhiò: “Si qualifichi, prima. Lei potrebbe essere chiunque, per quanto mi riguarda.”
A quelle parole, l'uomo estrasse una pistola e gliela puntò contro. “Potrei ucciderla, se volessi,” disse lentamente, fissandolo con occhi che ardevano di un bagliore gelido da belva.
Von Knobelsdorff rimase immobile, rivolgendogli a sua volta uno sguardo feroce. “E poi chi lo fa volare, questo?” lo sfidò.
Lo sconosciuto si limitò ad alzare gli occhi al cielo. “Spionaggio, Matthesius. Le dicono qualcosa queste parole, o no?” Poi, senza attendere risposta, concluse: “E ora si sbrighi, mi stanno alle costole.”
Di chi sta parlando?”
Degli inglesi, ovviamente, stupido ragazzetto fastidioso.”
Von Knobelsdorff aprì la bocca per dire al misterioso individuo quel che pensava di lui, ma in quel momento apparvero nel cielo terso due sagome fin troppo familiari. Senza più prestare attenzione all’uomo, si sedette e si strinse al massimo le cinghie di sicurezza, poi diede tutto motore e l’Albatros cominciò la corsa di decollo.
Le sagome andavano ingrandendosi, e man mano le loro forme indistinte mutavano in quelle minacciose di un biplano e un triplano.
Merda, pensò von Knobelsdorff, calcolandone mentalmente la distanza. L’Albatros frattanto saliva, lento e regolare. Il suo movimento era vigoroso ma senza scatti, tranquillo. Ricordava la forza pacifica di un cavallo da tiro.
Il suo unico vantaggio era che aveva due mitragliatrici, una in caccia e una posteriore. Posto che il tizio sapesse usare quella posteriore, ovviamente.
Si girò rapido e lo vide pronto, già imbragato e con l’arma imbracciata. Lo sguardo acuto con cui scrutava il cielo era quello di un rapace in cerca di preda.
Non ebbe tempo di ragionare oltre sulla faccenda: già il biplano, un Sopwith Pup, si stava avvicinando per prenderlo di coda.
Von Knobelsdorff virò per mantenere il contatto visivo e intanto si chiese cosa fare: due contro uno, praticamente in decollo, ai comandi di un aereo che conosceva solo da un’ora scarsa. Fece partire la prima raffica, che costrinse il Pup a scartare bruscamente. Tolse i flap, poi cercò di guadagnare quota, ma subito il triplano si mosse per intercettarlo. Sentì l’Albatros vibrare, vide l’avversario schizzare via.
I due, però, erano tutt'altro che disposti a lasciarli andare.
Avrebbe voluto girarsi verso il suo misterioso passeggero, ma farlo avrebbe significato perdere il contatto visivo con gli avversari, e di conseguenza avrebbe significato permettere loro di metterglisi in coda.
Da come tenevano in mano i comandi non erano certo due sprovveduti, e il fatto che fossero comparsi letteralmente dal nulla per attaccare un aereo senza marche e senza distintivi faceva intuire che sapessero anche perfettamente chi c'era a bordo.
Cercò di salire ancora di quota. Il motore ormai fuori giri ululava, le pur robuste strutture portanti vibravano. Il Pup salì invece con la disinvoltura di un rondone, quindi con un mezzo tonneau si preparò a piombargli addosso dall'alto. Von Knobelsdorff picchiò prima che l'altro potesse mettere in atto la manovra, puntò in direzione del triplano, sparò un paio di raffiche. Di nuovo sentì la vibrazione della mitragliatrice posteriore, colse con la coda dell'occhio il biplano che si allontanava.
Il Pup guizzò subito dopo nell'aria, si preparò a un nuovo attacco. Il triplano azionò le mitragliatrici. Il tenente tentò una manovra evasiva, ma il placido ricognitore non era nemmeno lontanamente agile come il suo caccia. Strinse i denti, virò per fronteggiare il biplano, ma pur concentrato su di esso, vedeva il Sopwith Triplane avvicinarsi inesorabile. Sul muso del velivolo brillavano ritmici i lampi arancioni degli spari. Saltò un tirante di una semiala, pezzi del rivestimento volarono via come petali da un fiore ormai sfatto.
Il tenente diede di nuovo tutto motore, si tirò la barra alla pancia per far cabrare l'Albatros, impostò una virata e si trovò col fianco del triplano nel mirino. Piantò la mano sul comando della mitragliatrice, un'ala del Sopwith saltò, la fusoliera parve letteralmente disintegrarsi sotto la gragnuola di colpi. L'aereo puntò il muso verso il basso.
Von Knobelsdorff virò alla ricerca del biplano, ma in quel momento qualcosa colpì l'Alabatros come un colpo di maglio. L'elica si inchiodò, dal motore prese a uscire un fumo denso e nero.
Il tenente cercò di mantenere il velivolo in assetto. Al rombo del motore si era sostituita una cacofonia di fischi, sibili e scricchiolii, punteggiata di tanto in tanto dallo schiocco di strutture che saltavano, incapaci di tollerare lo sforzo della caduta.
Stiamo precipitando!” udì alle sue spalle.
Non rispose nemmeno. Il Pup stava seguendo la loro traiettoria, di tanto in tanto tra le folate scure lo vedeva guizzare.
Si guardò intorno alla ricerca di uno spazio che permettesse l'atterraggio, ma il fumo che ormai lo avvolgeva gli rendeva difficile analizzare il terreno.
Chiuse il serbatoio della benzina, agì sui flap per cercare di recuperare un assetto che permettesse di toccare terra in relativa sicurezza. Il suolo si avvicinava con spaventosa rapidità, si sentiva il Sopwith Pup ronzare intorno come una specie di insetto molesto.
Poi un ramo si agganciò al carrello, l'Albatros capitombolò in avanti, rimbalzò in un'esplosione di frasche, si avvitò su se stesso e con schianti e gemiti di legno spaccato piombò nella macchia.
La caduta fu parzialmente attutita dalla vegetazione, ma l'atterraggio fu comunque duro. Von Knobelsdorff sentì le cinghie di sicurezza mordergli le spalle. Batté la testa da qualche parte, curiosamente senza sentire alcun dolore. Dopo i frenetici cambi di prospettiva della caduta, trovare finalmente un orizzonte fermo gli diede qualcosa che somigliava a una vaga sensazione di sicurezza. “Bene,” mormorò.
Una mano sulla spalla lo fece sussultare. “È ferito?” chiese una voce.
Il tenente scrollò la testa, poi rispose: “Non lo so.”
Riesce a stare in piedi?” La voce aveva un tono di urgenza autoritaria che gli fece storcere il naso. “Non lo so,” ripeté.
Nel suo campo visivo comparve lo sconosciuto. “Beh, se ne accerti,” disse questi ruvido, “dobbiamo scappare.”
Come a sottolineare l'impellenza di quell'affermazione, si udì il rombo di un aereo a bassa quota. Una mitragliatrice crepitò e dall'alto piovvero fogliame e rami spezzati.
Von Knobelsdorff si sentì afferrare per una spalla e trascinare in avanti. Scese malamente dal relitto, incespicando sulle strutture semidistrutte dell'aereo. L'uomo lo sospinse di nuovo, con urgenza. “Si muova,” gli disse poi, “sta per fare un altro passaggio.”
Il tenente cominciò a correre. Il bosco era un susseguirsi di tronchi dritti e scuri, avvolti da quello che rimaneva di una lieve nebbia. Per terra vi erano felci e arbusti, qualche rovo che si avvinghiava ai vestiti. Pietre coperte di muschio gli rendevano i passi malfermi.

Corsero per un tempo che al tenente parve infinito. Il rombo dell'aereo era sparito, gli unici rumori che si udivano erano ormai il frusciare della vegetazione e il tonfare ritmico dei passi.
I pesanti indumenti di volo ancora addosso, il giovane ufficiale sentiva i rivoli di sudore scorrergli lungo la schiena.
Dove stiamo andando?” ansò.
Ho un nascondiglio.”
Von Knobelsdorff rinunciò a rispondere. Non era improbabile in effetti che li stessero cercando, o meglio che volessero recuperare a tutti i costi gli importanti segreti militari che la famigerata spia tedesca aveva trafugato. Se avevano scomodato addirittura due aerei per intercettarli, poteva immaginare che un tratto di bosco non avrebbe rappresentato una barriera in grado di tenerli lontani a lungo. Chiunque essi fossero, naturalmente.
Raggiunsero delle rovine, ormai così coperte d’edera e vitalba da risultare quasi invisibili. L’uomo rallentò, prese a girare intorno al rudere come alla ricerca di qualcosa. Infine disse: “Qui.” Scostò una tenda di rampicanti, rivelando quello che rimaneva di una porta.
Fece cenno al tenente di seguirlo, e quando furono entrambi all’interno, fece ricadere con attenzione l’edera che aveva smosso, riportandola alla posizione originaria.
Si incamminò poi attraverso un androne la cui volta era crollata. Qua e là spuntavano dal pavimento giovani tronchi, i rampicanti serpeggiavano ovunque. A ben guardare, nelle zone più nascoste si notava ancora qualche porzione ormai sbiadita di antiche pitture.
Che posto è questo?” chiese von Knobelsdorff, abbassando istintivamente la voce di fronte alla solennità misteriosa del luogo.
Ci fermeremo il minimo indispensabile,” disse l’altro per tutta risposta, dirigendosi con sicurezza a una scala che portava verso il basso, “dobbiamo riprendere fiato e fare il punto della situazione.”
Il tenente si irrigidì appena mentre l’antica diffidenza tornava a farsi sentire.
L’uomo sembrò accorgersene e in tono tagliente gli disse: “Siamo dietro le linee nemiche, ci stanno braccando, sono ragionevolmente certo che senza di lei mi muoverei con molta più disinvoltura. Se avessi voluto abbandonarla al suo destino l’avrei già fatto, non le pare?”
L’ufficiale emise un sospiro. “Immagino di sì.”
Ora sarebbe prigioniero,” rincarò l’altro. “La starebbero già interrogando, probabilmente.”
Von Knobelsdorff non replicò. Si sentiva gli abiti fradici e la gola secca, era certo di avere il viso in fiamme. Si limitò a indicare la scala e a chiedere: “Là sotto?”
C'è dell'acqua.”
Il tenente si girò a fissare lo sconosciuto negli occhi. “Lo sa cos'ho notato?” gli disse, “Che lei non risponde mai alle mie domande.”
Sono inutili,” fu l'asciutta replica.
L'altro assottigliò lo sguardo e ringhiò: “Cos'avrei chiesto di tanto inutile, si può sapere?”
Un po' tutto, finora. Mi sembra che lei non abbia ancora capito la gravità della nostra situazione.”
Cosa le fa credere che non l'abbia capita?”
L'uomo cominciò a scendere le scale. “Dovremo trovare un mezzo di trasporto,” disse, “raggiungere il paese, prendere il treno.”
L'ufficiale corrugò indispettito la fronte, poi disse: “L'ha fatto di nuovo.”
Cosa?”
Non ha risposto alla mia domanda.”
Perché sarebbe controproducente farlo, risponderle sarebbe solo un'inutile perdita di tempo. Inoltre, vale sempre la buona vecchia regola: meno cose sa e meglio è.”
A quel punto, con un paio di balzi agili il tenente sopravanzò il misterioso interlocutore, quindi si pose a barriera sui gradini. In tono tagliente disse: “Ma non sono nemmeno un cavallo, che lei può condurre dove vuole con redini e speroni. Sono un ufficiale tedesco, sono quello che ha rischiato la pelle combattendo contro due aerei inglesi per proteggerla...”
Non sarebbe successo, se lei non avesse cominciato con le sue stupide domande,” lo interruppe l'uomo.
Come se non aspettasse altro, rapido von Knobelsdorff replicò: “Non avrei dovuto chiederle nulla? E se lei fosse stato un agente nemico che si era sostituito all'agente tedesco? Io l'avrei portata tranquillamente oltre le linee senza nemmeno sapere cosa stavo facendo.”
Si fissarono per qualche secondo in silenzio. Sul gradino più basso, leggermente ansante per la rabbia, von Knobelsdorff doveva tenere la testa piegata all'indietro per mantenere il contatto visivo con l'altro, ma non distoglieva lo sguardo.

Il Werwolf fissò serio l'ardimentoso giovanotto: occhi fiammeggianti, capelli un po' scompigliati dalla corsa che gli ricadevano sulla fronte pallida, un rivolo di sangue ormai secco che gli scendeva lungo la guancia. Un'espressione dura, irosa, come di chi ha ricevuto un torto immeritato e ne chiede conto.
Normalmente i suoi collaboratori li voleva più docili. Li voleva efficienti, disciplinati e silenziosi come i camerieri dei ristoranti di lusso.
Non gli piacevano le teste calde che volevano mettere becco in ogni cosa.
A onor del vero, quello in effetti non se l'era scelto. Di sicuro l'avevano reclutato Matthesius e la Lesser. Serviva un pilota di aeroplani e i due, con lo spirito pratico che li accomunava, avevano probabilmente scelto il migliore che avevano trovato.
Peccato che attaccare a un calesse un giovane purosangue domato a metà garantisse tutt'altro che una serena passeggiata.
Lo oltrepassò con andatura misurata, finì di scendere le scale, poi di nuovo si girò a guardarlo. “Venga giù,” gli suggerì in tono più conciliante, “venga a bere un po' d'acqua.”
Ci fu qualche altro secondo di immobilità carica di tensione, poi il giovanotto emise un sospiro e rilassò la postura rigida delle spalle. Scese a sua volta gli ultimi gradini.
Il Werwolf gli tese una borraccia.
Egli la prese, la stappò e sollevò lo sguardo a fissarlo.
Non è avvelenata,” gli disse l'agente segreto. “Vuole che beva prima io, per dimostrarglielo?”
Non importa, tanto se fosse avvelenata avrebbe qualche antidoto in bocca.”
Il Werwolf sogghignò. “Molto acuto.”
Rimase a fissarlo mentre si dissetava. Fece scorrere lo sguardo sulla sua gola, che nella penombra del sotterraneo appariva bianca e liscia, e poi sul suo profilo regolare. “Si tolga quella roba,” gli disse.
Il giovanotto abbassò all'istante la borraccia. “Cosa?”
Quel soprabito pesante. Di questa stagione dà troppo nell'occhio.”
Mi serve per volare.”
Temo che non ce ne andremo volando,” gli rispose l'agente segreto. Guardò in alto, verso la scala che avevano appena percorso, e aggrottò le sopracciglia in ascolto. I suoni erano quelli neutri della natura, il cinguettare degli uccelli, lo stormire delle fronde. Forse il battere ritmico di un picchio in lontananza.
Si fece consegnare la borraccia, bevve a sua volta. Il fatto che non si sentissero rumori sospetti non era ovviamente una garanzia di non avere nessuno alle costole. Anzi, paradossalmente sarebbe stato meglio udire qualche maldestro tramestio, o magari un latrare di segugi. Nessun rumore invece significava una cosa sola: che chi lo stava inseguendo era così abile da non produrne.
Si voltò verso il giovanotto, che si stava facendo scivolare giù dalle spalle un cappotto foderato di pelliccia, e gli disse: “Togliamo quel sangue, così dà troppo nell'occhio.”
L'altro gli rivolse uno sguardo torvo. “Quale sangue?”
Il Werwolf trasse di tasca un fazzoletto bianco, vi fece cadere un po' d'acqua e si protese per ripulirlo, ma il giovanotto si fece indietro. “Faccio da solo,” ringhiò.
E come, se non riesce nemmeno a vedersi?” Senza dargli il tempo di replicare, l'agente segreto gli si avvicinò ulteriormente e gli passò la pezzuola umida sulla guancia. L'ufficiale fremette, ma rinunciò a indietreggiare.
Così, bravo,” apprezzò il Werwolf, continuando a ripulirlo. “Ha un piccolo taglio,” disse poi, a voce più bassa. “Le fa male?”
No.” Il giovane aggrottò le sopracciglia. “Ora basta, però.” Voltò la testa, allontanando il viso dal tocco umido del fazzoletto.
Non ho finito.”
Finisco io.”
Perché?”
Ora sono io che non rispondo alla sua domanda, va bene?”
Il Werwolf si limitò a porgergli il fazzoletto. “Si sbrighi,” gli disse soltanto, “qui siamo in pericolo.”

Von Knobelsdorff prese riluttante il piccolo pezzo di tessuto e se lo passò sul volto. Si era già trovato molte volte in pericolo, ma si era sempre trattato di minacce chiaramente identificabili, ben definite. Visibili, in una parola. Pallottole, aerei nemici, il rischio di finire disarcionato durante un assalto.
Tutte cose conosciute, che sapeva come gestire.
Gettò uno sguardo sul suo interlocutore: età indefinita ma giovane, una camicia sdrucita, con le maniche arrotolate fin sopra i gomiti, un fazzoletto al collo, le scarpe sporche di fango. Un cappello sformato, sotto il quale si intravedeva una corta capigliatura bionda. Incrociandolo per la strada, nessuno gli avrebbe rivolto una seconda occhiata.
A ben guardare, però, c'era qualcosa che strideva rispetto all'apparenza di semplice contadino.
Gli occhi chiari erano vividi, imperiosi. Inducevano l'eventuale interlocutore ad abbassare i propri. Si muoveva sicuro, con la grazia letale di un predatore, e di certo le sue mani erano abituate a stringere armi, più che attrezzi agricoli.
Chi è lei?” gli chiese d'impulso, poi alzò le spalle e soggiunse: “Tanto non me lo dirà, vero?”
Meno cose sa...” cominciò l'uomo. L'ufficiale lo interruppe: “Certo, certo. Meno cose so e meglio è, non è così?”
Io lo dico per il suo bene.”
E anche perché questo povero idiota non sarebbe mai in grado di custodire le informazioni nel modo corretto, vero?”
L'uomo scosse la testa innervosito, poi rispose: “Io non conosco la sua resistenza a metodi di persuasione energici, giovanotto. Non so se di fronte a ferri roventi, scosse elettriche o frustate con il filo spinato sarebbe in grado di raggiungere l'estasi del martirio o spiattellerebbe tutto frignando come un infante, per cui preferisco non rischiare.”
Von Knobelsdorff strinse i denti. “E lei sarebbe in grado di resistere?” lo provocò.
Io sì,” fu la secca risposta.
Perché, ha provato?”
L'uomo lo trafisse con uno sguardo gelido, poi tagliente replicò: “Proprio non ce la fa a non fare domande, vero?”
Von Knobelsdorff stava per ribattere quando l'altro lo fermò con un gesto e perentorio sibilò: “Andiamo.”
Convinto che sarebbero tornati da dove erano venuti, il giovane ufficiale si mosse verso le scale, ma l'altro si addentrò rapido nei meandri diroccati del sotterraneo, aggirando cumuli di pietre e detriti. Alla scarsa luce che penetrava dalle fenditure della volta, il tenente faceva del suo meglio per non farsi distanziare troppo. Si chiese se quel tizio sarebbe stato capace di lasciarlo indietro, magari per poter fuggire più in fretta.
Probabilmente sì, concluse. E forse, nemmeno lui al posto suo avrebbe rischiato di non consegnare in tempo importantissimi segreti militari per salvare la vita di un anonimo tenentino degli ulani.
Non poté indugiare oltre in quei ragionamenti, perché d'un tratto l'uomo lo spinse contro la parete e gli fece cenno di tacere. Indicò poi verso l'alto.
Von Knobelsdorff sollevò lo sguardo e si accorse che da una crepa del soffitto stava scendendo un'impalpabile pioggia di polvere d'intonaco.
Istintivamente si appiattì contro il muro. Aveva cacciato tante volte prima della guerra, aveva abbattuto cervi e caprioli nelle tenute della sua famiglia, per cui non faceva fatica a immedesimarsi in colui o coloro che stavano girando intorno alle rovine. Poteva quasi percepire l'attenzione spasmodica, l'ebbrezza. Quell'istinto sicuro che anche in assenza di ogni altro elemento coglieva la presenza della preda.
Si voltò verso l'uomo, che di nuovo gli fece cenno di tacere.
Dall'alto cadde altra polvere, a von Knobelsdorff parve addirittura di cogliere il movimento di un'ombra.
Percepì una pressione sul braccio. Si girò di scatto e l'uomo gli indicò l'imboccatura di un basso cunicolo.
Si infilarono nel condotto. La già scarsa luce venne meno dopo pochi metri, precipitando il percorso in un buio piceo. Von Knobelsdorff aveva l'impressione che la galleria piegasse lentamente verso il basso. Dapprima asciutto e polveroso, il fondo andava man mano facendosi più umido, tanto che a un certo punto il tenente ebbe la chiara percezione di affondare in una fanghiglia densa.
Allungò una mano a toccare la parete e la trovò umida e muscosa. L'aria fredda sapeva di limo.
Cercò di allungare il passo, per non farsi distanziare eccessivamente dall'uomo, ma incespicò e quasi cadde.
Stia attento,” sibilò l'altro, senza diminuire l'andatura.
Il tenente rinunciò a replicare.
Continuarono ad avanzare. Ormai per terra c'era l'acqua, se la sentiva penetrare nelle scarpe a ogni passo, ma allo stesso tempo sembrava che un vago chiarore si stesse sostituendo al buio assoluto della galleria.
Stia attento,” gli ripeté l'uomo a bassa voce, “potrebbe essere là fuori che ci aspetta.”
Di chi sta parlando?” gli chiese von Knobelsdorff, ma prevedibilmente non ricevette alcuna risposta.
Il chiarore nel frattempo stava aumentando, ormai si distinguevano vagamente le asperità delle pareti di pietre grezze. L'aria si era fatta meno umida, l'odore di limo era arricchito dai profumi resinosi di un bosco.
Il giovane tese l'orecchio e gli parve di cogliere un lieve scorrere d'acqua.

Con l'acqua ormai alle ginocchia, raggiunsero la fine della galleria. Dapprima l'uomo si immobilizzò e rimase per lunghi minuti in ascolto, poi, quando si persuase che a parte loro non c'era nessuno, riprese ad avanzare cauto. Si fecero strada piegati fra erbe palustri e rami di salice. Von Knobelsdorff si accorse che si trovavano nell'ansa di un fiume, apparentemente lontano da ogni centro abitato.
Tutto conferiva una sensazione di calma idillica, tanto che l'ufficiale stentava più che mai a convincersi che la loro situazione fosse pericolosa.
Fu l'uomo che a un certo punto ruvidamente disse: “Muoviamoci, the Bishop non ci metterà molto a capire da che parte siamo usciti.”
Il tenente si voltò a fissarlo. “Chi?”
Andiamo.”
L'altro alzò gli occhi al cielo esasperato. Avrebbe avuto mille domande da porre al misterioso agente, come conosceva quel tunnel, ad esempio, chi o cosa era the Bishop, perché lo riteneva così pericoloso, ma era certo che non avrebbe ricevuto risposta a nessuna di esse. Si rassegnò a seguirlo mentre attraversava la golena e poi si inerpicava sull'argine.
Arrivarono alla sommità della barriera. Appoggiato al tronco di un albero, l'uomo fece scorrere lo sguardo sulla pianura costellata di covoni.
Era ormai tarda mattinata e i contadini si preparavano a consumare il pasto. Attaccati a carri carichi di fieno, placidi cavalli da tiro tenevano la testa nascosta nel sacco della biada, agitando talvolta la coda per scacciare le mosche.
L'uomo si voltò verso l'ansa da cui erano arrivati, aggrottò le sopracciglia e disse: “Muoviamoci.”
Fece per incamminarsi, ma subito si arrestò. Fissandolo critico, disse a von Knobelsdorff: “Naturalmente non dobbiamo dare nell'occhio. Le è chiaro questo, no?”
Certo,” ringhiò l'ufficiale.
Pensa di esserne in grado?”
Se le dico di no cosa fa, mi lascia qui?”
Mi sembra ovvio.”
   
 
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