Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: mystery_koopa    03/03/2021    1 recensioni
La semplice storia di due ragazzi incontratisi per caso, legati l'uno all'altro come elementi estranei e inseparabili.
Una storia di indifferenza, riflessioni, sentimenti e insicurezze raccontata attraverso tre momenti nel tempo.
✠ Quarta classificata al contest fiume "Acquerelli" indetto da Juriaka e valutato da GaiaBessie sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon, Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

SECONDA PARTE – LA VOLONTÀ DI PERDERE
 

La prima cosa che incontrai aprendo gli occhi furono i suoi: era sereno, nonostante fosse evidente che un residuo velo di sonno gli stesse ancora annebbiando la vista. Sbadigliò lentamente e mi sorrise, mentre io distolsi lo sguardo, godendomi per un ultimo istante il contatto del mio viso con la sua pelle.
“Spero di non averti disturbato anche stanotte…”
“Non preoccuparti, mi basta averti accanto per dormire benissimo”.

Non era la verità, lo sapevamo entrambi. Lo percepivo dal suo tono di voce, dallo sguardo distratto e stanco, e me lo sentivo: era rimasto sveglio per l’ennesima volta, per colpa mia. Mi odiavo. E più mi ripetevo di odiarmi e più volevo gridarlo ad alta voce, e sentendomi lamentarmi sull’odio che provavo per cose di me che anche lui odiava, mi avrebbe odiato ancora di più. E stavo male, e stavo peggio ogni secondo che passava.

Abbassai lo sguardo e sospirai sommessamente, tentando inutilmente di contrastare il tremore che mi stava assalendo dall’interno; strinsi violentemente le palpebre e iniziai a respirare con ritmo sempre più veloce, quasi a fatica.
Deglutii a vuoto e alzai la testa per guardare Massimo, scorgendo un’apparente preoccupazione sul suo viso: ma fu solo un secondo, mi fu impossibile non girarmi d’istinto dall’altro lato. Non capivo cosa stessi facendo, non era successo nulla: potevo dispiacermi o sentirmi in colpa, avrei potuto farmi perdonare in qualsiasi modo, sebbene non ce ne fosse nemmeno bisogno, ma in quel momento tutto ciò che il mio corpo chiedeva era di allontanarsi, sebbene era impossibile che lo desiderasse davvero. E la mia mente era assente, sospesa, come ne nemmeno esistesse.

Mi alzai di scatto, quasi perdendo l’equilibrio nel tentativo di sfuggire alla dolce stretta delle braccia del mio ragazzo. Indossavo solo un pigiama leggero e stavo gelando, nonostante la finestra della stanza fosse chiusa: fuori la neve si accumulava lenta e costante, mentre un vento rigido scuoteva gli alberi e minacciava di sollevarla da un istante all’altro in una tempesta perfetta, avente il mio corpo come ideale occhio.

Uscii dalla stanza, camminando quasi senza accorgermene fino al soggiorno. I miei piedi nudi tremarono ancora più violentemente al contatto col marmo delle piastrelle; mi fermai per un istante.
Di fronte alla porta, nell’angolo opposto della stanza, una maglietta bianca era gettata a terra, sporca di cenere nera.
“Dove sei?”
Non sapevo nemmeno se fossi stato io a dirlo, ripetendo la voce di Massimo all’interno della mia testa.
“Dove sei?”
Allontanarmi era l’unica cosa da non fare. E andai avanti.

Mi sbattei la porta alle spalle, senza nemmeno curarmi di prendere il cappotto contenente le chiavi. Feci qualche passo oltre la soglia e lasciai che il vento mi bagnasse il volto di neve, respirando a fondo l’aria gelida fino a sentire dolore ai polmoni. Scesi le scale esterne velocemente, girai l’angolo e mi trovai di fronte la lastra ghiacciata del mare, la sabbia trasformata in neve, gli scogli in grandine. Guardai in basso e andai avanti, a piedi nudi nell’inverno più selvaggio rincorrendo me stesso, guidato da un’ombra che mi faceva strada in un corridoio di luce.

“Dovei sei?”
Non mi voltai né alzai lo sguardo, ma sapevo perfettamente dove mi trovavo. Nell’unico luogo in cui sarei dovuto essere, compiendo l’unica azione che non avrei mai dovuto fare.

Il fuoco appariva ormai spento, soffocato dal peso del gelo. E se sotto la superficie ci fosse stata ancora una scintilla di vita?
Sarei morto congelato, aspettando di trovare in me la forza per cercarla.
“Dove sei? Cesare, dove sei!?”
Non lo sapevo più nemmeno io, e continuai a domandarmelo finché la mente si spense.

 
***

La prima cosa che incontrai aprendo gli occhi fu la sua metà del letto, vuota ma sfatta, ancora leggermente calda. Sbadigliai lentamente, mentre il viso mi si piegava in un’espressione delusa, stanca nonostante il lungo riposo. Stare da solo poteva essere la cosa più facile e più difficile al tempo stesso, per me. Inspirai profondamente ancora una volta, asciugandomi con un rapido movimento del braccio il velo di sudore che mi ricopriva la fronte.
Mi godetti per un ultimo istante la sensazione di piacevole calore trasmessami dal piumino e infine distolsi lo sguardo dal lenzuolo. Allargando il braccio verso il comodino, controllai l’ora sul cellulare:
10:40 A.M.
16/12
17°
 
Guardai fuori dalla finestra: un pallido sole scaldava i tetti, e nonostante fosse dicembre inoltrato riuscii a percepire un vago senso di calore soltanto vedendolo; solo allora mi accorsi di avere le estremità fredde, probabilmente perché rimaste troppo a lungo al di fuori delle coperte. Mi alzai di scatto, barcollando leggermente al momento di indossare una felpa più pesante al di sopra del pigiama. Poi, strofinandomi gli occhi, mi incamminai verso il soggiorno, dove la luce era già accesa.

“Finalmente sei sveglio. Come stai? Stanotte continuavi ad agitarti, ti sei alzato diverse volte e stamattina non ti sei nemmeno accorto della sveglia, non me la sono sentita di buttarti di peso giù dal letto”.
“E il lavoro? Devo-”
“È domenica, Cesare”.

Mi sorrise dolcemente, e io iniziai a sentirmi in colpa. Espirai profondamente, provando debolmente a ricambiare.
“Spero di non averti disturbato anche stanotte…”
Un’intera sequenza mi scorse davanti agli occhi, e mi ritrovai solo a contemplare la mia morte, circondato dal ghiaccio sulla tomba di un amore ormai distrutto. Deglutii a vuoto e alzai lo sguardo, resistendo a fatica alla tentazione di correre.
“Non preoccuparti, mi basta averti accanto per dormire benissimo”.

Non era la verità, lo sapevamo entrambi. Scoppiai a piangere come un bambino dal nulla, senza nessuna ragione oltre a una memoria che non ricordavo di aver vissuto. Massimo si alzò di scatto dal divano e mi corse incontro, stringendomi tra le sue braccia, senza sapere cosa fosse successo. Inspirai l’odore della sua pelle lasciando che mi stringesse al petto, ma, per la prima volta, sapevo che il suo contatto non sarebbe bastato a calmarmi, com’era sempre successo in precedenza. Era davvero la stessa cosa?
Mi vergognavo di me stesso: non era possibile che mi comportassi così, che mi rendessi ridicolo in questo modo davanti ai suoi occhi. E non avevo mai pensato che far vedere una mia debolezza improvvisa potesse essere sbagliato, ma in un istante mi ritrovai ancora più perso in un pianto a singhiozzi, con la testa sempre più pesante pensando a quanto sarebbe stato umiliante vedermi dall’esterno in quel momento, a quanto fossi stato un deficiente a lasciare tutto in meno di un mese per trasferirmi da chi sentivo di amare pur conoscendolo pochissimo, a dare tutto per scontato pensando che per una volta fosse la mia, di occasione per essere felice. Io non me lo meritavo.

“Non riesco a fare a meno di chiedermelo… se io non fossi abbastanza per te?”
Parlai a fatica, tremando nonostante il calore trasmessomi dal suo corpo.
“Se tu non fossi abbastanza io non sarei vivo”.

Non so se avrei dovuto sentirmi sollevato, avvertii solo le gambe cedermi; i suoi occhi iniziarono a inumidirsi, le lacrime trattenute dalle palpebre appena dischiuse. Mi strinsi ancora di più a lui, allacciando le braccia dietro alla sua schiena come a volerlo tenere con me per più tempo possibile, preso da un’incontrollabile paura di perderlo in un solo secondo.

“Ti prego, dimmi che non hai davvero pensato di…”
“L’ho fatto nel modo superficiale in cui tutti l’hanno fatto, almeno una volta nella vita. L’hai visto, quando ci siamo conosciuti: cercavo continuamente un modo per distrarmi, per dedicare tutte le mie attenzioni a qualcun altro, per esaurire tutte le mie energie. È da pochissimo che l’ho capito, ma davvero mi stavo consumando e…” Inspirò rumorosamente.
“Mi sento male sono a sentirti parlarne. Vivere senza te… sì, ma… non posso nemmeno pensare a un mondo in cui tu non esisti”. Sospirai. “Lo so, sto esagerando… è solo che-”
“E sono stato soltanto fortunato a incontrarti. E forse è solo per egoismo che ho cercato di tenerti con me il più possibile. So di star rovinando tutto dicendotelo, ma io davvero ho capito di amarti, e non potrei mai riuscire ad andare avanti così. E hai tutti i motivi possibili per sentirti inutile o usato o… Perdonami, Cesare, perdonami, ti prego, io-”
“Hey, basta. Tranquillo. Guardami, Massimo”.

Sollevai il volto per guardarlo negli occhi: sorrise leggermente ricambiando lo sguardo e gli strinsi le mani nelle mie. Sciogliemmo il nostro abbraccio lentamente e andammo a sederci l’uno di fianco all’altro, continuando a mantenere un contatto senza dire una parola. Non era più necessario.

 
***
 
Quel pomeriggio uscimmo a camminare sulla spiaggia insieme. Era molto caldo, per essere dicembre: lui era a maniche corte, io indossavo solo una felpa, e il contatto della sabbia fresca con i nostri piedi nudi era quasi un sollievo, come se tutto ciò che era emerso durante la mattinata stesse fluendo al di fuori dei nostri corpi, depositandosi nelle profondità di quella distesa dorata.

“Ho avuto paura di perderti, in questi mesi; non solo stamattina. E forse avrei anche voluto che ti allontanassi, pensavo che sarebbe stata la cosa giusta per te, quell’unico passo che non avevo il coraggio di compiere”.
Mi fermai improvvisamente, trattenendolo per una spalla. “Finiscila”.

“Scusami”. Riuscii a strappargli una risata.

“Già che siamo in vena di confessioni, scusami se ho pensato che il tuo passato non esistesse, o se non ti ho mai chiesto quasi nulla a riguardo. Forse mi ha fatto comodo pensare che non ne volessi parlare. E poi, per quanto riguarda stamattina… non so se hai presente la teoria secondo cui i sentimenti finiscono dopo quattro mesi se sono superficiali… ed ecco, oggi è il 16 dicembre e ieri sera non riuscivo a pensare ad altro. Come se ormai tu avessi avuto tutto il tempo per stancarti di me, capisci?”
“Tu non sei a posto, fatti curare”.
“Non credevo che potessi battermi in sarcasmo”.
“Sono serio, infatti. Ma almeno credo di sapere cosa ti può far bene”.

Mi baciò all’improvviso, con passione, stringendomi a sé nonostante non fossimo soli; e per una volta, sinceramente non me ne importava nulla. Non avevo mai detto “ti amo” a nessuno, nella mia vita, e in quel momento non sapevo nemmeno se l’avrei mai fatto. Ma, quattro mesi o meno, sapevo che per la prima volta era vero. E, per quanto l’avessi potuto desiderare, non sarei mai riuscito a cancellare quella sensazione da me.






 
[1716 parole]
SPAZIO AUTORE:
Grazie mille a tutti coloro che hanno letto e apprezzato il primo capitolo della raccolta, spero che anche questo sia di vostro gradimento. Il terzo è già quasi pronto e uscirà tra pochissimi giorni, al limite della scadenza del contest!
Questi ultimi capitoli sono dedicati a Juriaka, che è stata costretta ad abbandonare il concorso e che spero possa superare presto il difficile momento che sta vivendo.
A prestissimo,
mystery_koopa


 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: mystery_koopa