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Autore: Old Fashioned    11/03/2021    10 recensioni
Prima guerra mondiale. A un giovane e ardimentoso pilota tedesco viene assegnata una strana missione: dovrà atterrare con il suo aereo dietro le linee nemiche e lì caricare a bordo una persona, poi rientrare alla base. Tutto semplice, all'apparenza, peccato che la persona che dovrà caricare, una pericolosa spia tedesca, sia inseguita dal suo arcinemico: una spia inglese di pari livello, disposta a tutto pur di catturare il rivale.
Questa storia è stata scritta per Crazy_person, come modesto ringraziamento per tutte le bellissime recensioni che mi ha sempre lasciato.
Genere: Angst, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Incliti lettori,
ecco un altro pezzo del mappazzone. Ringrazio moltissimo il manipolo di valorosi (pochi, felici pochi, banda di fratelli) che sta seguendo la vicenda. Un ringraziamento speciale va ovviamente a tutti coloro che mi hanno lasciato anche un parere.





Capitolo 4 – Seconda parte

The Bishop si costrinse a tornare alla situazione contingente. Di nuovo scrutò attento la campagna, quindi trasse di tasca una mappa e la dispiegò per terra.
Per un po' la studiò assorto, valutando la distanza dei vari centri abitati dal punto in cui si trovava. Calcolò quanto ci avrebbe messo il Werwolf a raggiungere ognuno di essi, tenendo conto che non avrebbe faticato a trovare mezzi di trasporto, rubandoli o facendosi caricare da qualcuno. Da quello che diceva il suo dossier, l'agente tedesco parlava un francese perfetto, per gli sarebbe stato facile confondersi con la popolazione locale.
Nonostante questo, ragionò, il Werwolf aveva due problemi. Il primo era l'assoluta necessità di raggiungere le linee tedesche più rapidamente possibile. Il secondo era avere al seguito una persona senza alcun addestramento allo spionaggio. Si chiese perché il tedesco non avesse ancora eliminato il pilota dell'aeroplano. Lui stesso al suo posto l'avrebbe fatto: ubi maior, minor cessat. Stranamente, invece, quella macchina da guerra, quell'assassino senza scrupoli si stava trascinando dietro una specie di palla al piede, potenzialmente in grado di far fallire la sua missione.
Ponderò perplesso la cosa, chiedendosi se c'era qualcosa che non sapeva, qualche elemento che stava trascurando a proposito del misterioso pilota. Forse era a sua volta un agente? Se non lo era, per quale motivo il Werwolf lo teneva con sé?
Stabilì che con le ipotesi non sarebbe andato da nessuna parte: la priorità era recuperare il materiale rubato, tutto il resto era mera speculazione. Socchiuse gli occhi, cercando di immedesimarsi nella mentalità dell'avversario: dove sarebbe andato, cos'avrebbe fatto, se fosse stato lui? Sorrise fra sé e sé: ogni paesello di quella zona era in pratica un nido di spie, dell'una o dell'altra fazione. Sarebbe bastato attivare quelle al soldo dell'Inghilterra e in breve avrebbe scoperto dove si nascondeva il Werwolf.

§

Ha ancora della paglia tra i capelli,” disse l'agente segreto.
Mi stupirebbe il contrario,” brontolò von Knobelsdorff. Si passò comunque una mano fra le ciocche castane, allontanandone effettivamente alcuni fili giallastri. Subito dopo si sbottonò la giacca e se la sfilò con un sospiro di sollievo. “Non ne potevo più,” sospirò.
L'altro non rispose.
Il tenente si guardò intorno: erano su una strada bianca che nella luce del crepuscolo brillava come un lungo osso calcinato. Il carro da cui si erano lasciati cadere non era ormai altro che una vaga sagoma all'orizzonte, il suo rotolio e cigolio era un'eco lontana, a stento distinguibile tra gli innumerevoli rumori della sera di prima estate.
Un buffetto sulla spalla lo fece sussultare: si girò di scatto e si trovò di fronte l'uomo, che lo fissava con un'espressione vagamente divertita.
Aggrottò le sopracciglia e arretrando di un passo ringhiò: “Non l’ho sentita avvicinarsi.”
Per tutta risposta, l’altro disse: “Aveva un po’ di paglia nel colletto.”
Me la tolgo da solo.”
E come, se non sa di averla?”
Le battute sono fuori luogo.”
L’altro scosse la testa come di fronte a un bambino molto sciocco e molto testardo. “Non sono battute,” replicò. “Se vuole restare vivo, non deve attirare in alcun modo l’attenzione. Un giovanotto che se ne gira con un ridicolo costume da caccia, pieno di paglia come se avesse passato il pomeriggio ad amoreggiare con una contadinella nel fienile, viene notato da tutti. Cerchiamo di limitare i danni togliendo almeno la paglia.”
Von Knobelsdorff aggrottò le sopracciglia. “Il mio abbigliamento non è ridicolo,” protestò.
L’altro emise un sospiro. “Di tutto ciò che le ho detto, è questa l’unica cosa che le è rimasta in mente?”
La deve smettere di trattarmi come un moccioso,” lo rimbeccò il tenente.
L’uomo non rispose. Trasse di tasca un fazzoletto di una stoffa leggera che sembrava seta, lo dispiegò e lo sollevò controluce. Pur nel debole chiarore del crepuscolo, von Knobelsdorff si accorse che sul tessuto vi era una mappa. Si avvicinò incuriosito e riconobbe ogni paese, ogni strada e quasi ogni casa. “È quella di von Stade,” disse.
L’altro si girò a fissarlo. “Prego?”
È la stessa che mi ha mostrato il mio comandante, la riconosco. La mappa che gli aveva lasciato la giovane donna che poi mi ha spiegato la missione. Solo che quella era su carta, non su stoffa.”
Come fa a ricordarsela?”
Von Knobelsdorff si strinse nelle spalle. “Sono un pilota, navigare fa parte delle mie competenze.” Indicò un punto della mappa e soggiunse: “Questo incrocio, ad esempio, con due strade, la ferrovia e il fiume, è inconfondibile, lo riconoscerei tra mille.”
L'uomo non rispose, ma il tenente ebbe l'impressione di averlo per la prima volta colpito. “Ora dove si va?” chiese.
Verso questo paese.” Indicò un punto sulla mappa di seta. “Passeremo attraverso i campi, non è prudente rimanere sulla strada.”
The Bishop, come lo chiama lei, ci sta cercando?”
Può scommetterci.”
Non lascerà perdere, vero?”
No.”
Il tenente rimase in silenzio per qualche secondo, si guardò intorno come se temesse di veder spuntare l'agente avversario dal fondo della strada, quindi chiese: “Abbiamo qualche speranza di sfuggirgli?”
Andiamo,” disse l'uomo per tutta risposta, quindi si incamminò risolutamente verso la macchia.

Raggiunsero il paese che ormai era buio. I lampioni erano spenti, il coprifuoco faceva trapelare dalle finestre oscurate solo esili lame di luce, che si riflettevano qua e là sul selciato. Nel silenzio denso si coglievano l'eco di qualche conversazione portata avanti sottovoce e un frinire lontano di insetti notturni.
Il Werwolf strinse gli occhi. Quell'apparente pace gli suscitava un'inquietudine che andava facendosi più intensa di momento in momento.

La galleria è ampia, oscura, ha un'alta volta a botte di cui si coglie a stento il profilo. L'aria è fredda e umida. Un tanfo venefico pervade ogni anfratto.
Tubi di varie dimensioni scorrono lungo il soffitto, infiltrazioni d'acqua gocciolano lungo le antiche pietre lasciandosi dietro rosse scie ferruginose.
I suoi passi rapidi e il suo respiro ormai ansante sono unici suoni che turbano la quiete secolare del luogo.
Si ferma, si costringe a calmarsi. Sta correndo troppo, fa troppo rumore e la ferita, malamente bendata, rischia di stillare una scia di gocce rutilanti che condurrebbero the Bishop esattamente sulle sue tracce.
Tende l'orecchio: nel silenzio ancestrale c'è un passo, o forse solo l'idea di esso. È lento e inesorabile, la sua cadenza è come un rintocco.
Anche senza l'ausilio della traccia di sangue, the Bishop sta arrivando.
Si passa la mano sulla fronte, la ritrae coperta di sudore gelido. La ferita pulsa, il sangue scorre caldo, quasi piacevole nel freddo mortifero del sotterraneo, intridendo pian piano la medicazione.
Ricaccia il desiderio di abbandonarsi, riprende la marcia. La luce minima che si permette – l'esile fascio di una torcia schermata – si perde nel buio infinito della galleria, trae vaghi baluginii come d'ossidiana dal canale silenzioso che ne occupa la parte centrale.
Per un attimo si chiede come sarebbe immergersi in quella torpida corrente, lasciarsi trasportare da essa fin nell'oblio.
Subito dopo si riscuote, stringe i denti. Allunga il passo per quanto la ferita glielo consente e con la mano libera si accerta che la pistola sia ancora al suo posto, infilata in cintura. Si volta indietro. Alle sue spalle c'è solo buio piceo, ma ha l'impressione che a un tratto sull'antica volta guizzi qualcosa come uno sprazzo di luce.
Torna a guardare avanti, dove la lama di luce della sua torcia fa brillare pietre antiche, lucide d'umidità, percorse da insetti diafani che fuggono al suo apparire.
Conosce la mappa di quel posto a memoria, sa che entro breve raggiungerà le scale che portano verso l'alto. Si chiede se riuscirà a issarvisi, o se la ferita glielo impedirà.
Un refolo d'aria gli passa sul volto umido, dal canale altrimenti silenzioso sale un lieve gorgoglio. Egli lo illumina con la torcia e l'impressione è che il livello dell'acqua si sia impercettibilmente alzato.
A quel punto ricompare la luce dietro di lui. Non è più l'idea vaga di un riflesso, ma un piccolo punto dorato, come una stella in un cielo nero.
L'acqua tracima, gli lambisce un piede. L'aria si muove con più vigore.
Fa girare la torcia dinnanzi a sé, individua il brillio metallico della scala a pioli poco più avanti. Allunga il passo, ma barcolla ed è costretto a cercare appoggio con la mano contro la parete fredda. Scrolla la testa, si sta impadronendo di lui la sensazione di sprofondare nell'ovatta.
Si gira e la luce alle sue spalle è un minaccioso occhio di demone, che lo scruta malevolo.
Si rimette in marcia, pregando che la debolezza non arrivi a sopraffarlo proprio in quegli ultimi metri. Afferra un piolo, pronto a issarsi verso la salvezza.
Dietro le sue spalle, l'occhio malevolo si trasforma in un fascio di luce che per un attimo gli fa sbattere gli occhi. La galleria gli appare in tutta la sua cupa vastità, ricordandogli la volta immensa di una cattedrale.
L'acqua ormai copre tutto il corridoio e ribolle portando con sé cartacce e rifiuti.
Echeggia un colpo di pistola, rimbombando come un tuono. Un proiettile si schiaccia sulla parete a un palmo dalla sua testa, facendo schizzare via schegge di pietra.
Si gira, spara a sua volta, la luce scompare e torna visibile subito dopo, segno che the Bishop ha cercato copertura da qualche parte ma poi ha ripreso ad avanzare.
Correnti d'aria frattanto si insinuano nelle antiche strutture sempre più rapide e violente, traendo sibili e ululati da ogni anfratto, come se migliaia di creature si stessero mandando richiami attraverso l'intrico di cunicoli.
Con fatica sale un altro gradino, deve rimettere via la pistola per muoversi più in fretta. Altri colpi fanno sibilare l'aria tutt’intorno.
Perde la presa, si ritrova in acqua fino alla cintura, ghermito come da un'immensa mano decisa a trascinarlo via.
Getta un fugace sguardo alle sue spalle, la luce è immobile. Investite da quel fascio giallastro, le onde paiono una torma di animali che avanza frenetica, apparendo e scomparendo nelle ombre dense.
Riguadagna la scala, sale un alto piolo, di nuovo l’acqua lo lambisce, ma ormai il tombino a a poca distanza dalla mano.
Si issa con un ultimo sforzo, rovescia da una parte il disco di ghisa, crolla ansante sul selciato umido di una via parigina.
Sotto, tutto ribolle e ulula, come se un mostro fosse rimasto intrappolato nella galleria e stesse mugghiando furente.
The Bishop non c’è, ma non si fa illusioni: tornerà.

Il passo cadenzato di una pattuglia che transitava poco lontano lo richiamò bruscamente alla realtà.
Dobbiamo toglierci dalla strada,” disse a bassa voce.
L'ufficiale non replicò. Il Werwolf si chiese se rimanesse in silenzio per uno dei suoi puntigli da adolescente o se fosse solo stanco. Doveva esserlo, in effetti: soldati del genere erano abituati ad azioni esplosive, in cui si dava tutto nel giro di pochi minuti, e poi ci si riposava, quasi dimenticandosi della guerra. Pur prontissimi a precipitare intrappolati in un aereo in fiamme, non sapevano nulla di saltare pasti, dormire se ve n'era la possibilità, sopportare freddo o dolore, scappare braccati giorno e notte.
Colse nell'oscurità la sagoma chiara di un'insegna. Dall'edificio sul quale era affissa filtravano qua e là sprazzi di luce, alcuni di un giallo pallido, altri rosati o addirittura rossi. Tese l'orecchio e gli parve di cogliere l'eco di risate e conversazioni.
Si avvicinò cauto. L'insegna recitava: Da Madame Salomé. Seguiva un tariffario: alla buona, doppietta, mezza ora, ora intera. Riduzioni ai militari.
Entriamo,” disse.
Prevedibilmente, l''ufficiale si impuntò. “Le pare il momento di andare in certi luoghi?” protestò indignato.
Dobbiamo toglierci dalla strada e questo è il posto ideale.”
Perché sarebbe il posto ideale?”
Il Werwolf gli circondò le spalle con un braccio e lo spinse dentro.

Prima di poter protestare, von Knobelsdorff si trovò in un corridoio semibuio, con una tappezzeria scura alle pareti e poche luci fioche sul soffitto. L'aria era piuttosto calda e sapeva di colonia da poco prezzo, con una vaga nota di varechina e acido fenico.
In fondo c'era una pesante tenda di velluto, oltre la quale si coglievano barbaglii di luce e un lieve parlottio.
Fece per sottrarsi alla presa che l'uomo gli manteneva sulla spalla, ma questi si limitò a sussurrare: “Stia attaccato a me.” Lo sospinse poi in avanti.
Sbucarono in quello che al tenente parve il salotto buono di una famiglia medio-borghese: tappezzeria alle pareti, una vetrina con dentro le ceramiche, un'angoliera con qualche libro, un lampadario di vetro opalino che diffondeva una luce giallo-rosata.
Lungo i lati della stanza, divani e poltrone ospitavano giovani donne variamente spogliate. A parte qualche uomo in borghese, i clienti erano tutti militari britannici in libera uscita, che comunque non dedicarono loro che qualche occhiata distratta.
A quella vista egli non poté fare a meno di irrigidirsi, e subito l'uomo rinsaldò la presa sulla sua spalla.
Si costrinse alla calma. Non hai l'uniforme, non sanno chi sei, si ripeté un paio di volte. Non hai nulla da temere.
Mentre stava indugiando in quei ragionamenti, una delle donne si alzò dal divano su cui era adagiata e li raggiunse. Pareva un po' più vecchia rispetto alle altre, portava i capelli castano-rossicci raccolti in uno chignon e aveva pendenti di granati alle orecchie. Indossava un abito da sera nero, decorato da pietre di giaietto. “Buona sera, signori,” li salutò, “sono madame Salomé. Cosa posso fare per voi?”
L'uomo salutò a sua volta, poi a bassa voce chiese: “È possibile avere una stanza?”
La tenutaria aggrottò interdetta le sopracciglia, quindi in tono sussiegoso gli disse: “Questo non è un albergo, signore.”
L'agente segreto annuì come chi si fosse aspettato esattamente quella risposta. Infilò la mano libera in tasca e ne trasse una banconota arrotolata. La porse con riservatezza alla donna, quindi chiarì: “Una camera discreta, per me e il mio amico.” Si piegò verso il tenente, che dovette farsi forza per non sussultare quando si sentì baciare sulla tempia. Un'altra banconota seguì la prima. “Una camera e poche domande, non so se mi spiego.”
Von Knobelsdorff cercò di mettere un po' di distanza tra sé e l'altro, ma questi, esternamente imperturbabile, strinse la presa talmente forte che al tenente parve di avere intorno alla spalla la morsa di un fabbro. Rimase immobile.
Madame Salomé srotolava intanto le banconote con fare professionale. Von Knobelsdorff diede un'occhiata: erano molti soldi. Probabilmente, la totalità degli avventori che si trovavano nel salotto le avrebbe lasciato a fine serata poco più della metà di quella cifra.
Intesi?” la richiamò alla realtà l'agente segreto.
Ma ecco... non sarebbe nello stile della casa...”
Una terza banconota si aggiunse alle prime due. “Non potrebbe fare un'eccezione?” le chiese l'uomo suadente. “Domani il mio amico tornerà al fronte, volevo offrirgli un vero letto.”
Sotto lo sguardo indagatore della donna, il tenente non riuscì a fare altro che abbassare lo sguardo. Si sentiva le guance in fiamme, gli pareva che tutti lo stessero fissando. Quel dannato individuo lo stava facendo passare per un invertito! Si morse il labbro impedendosi ogni reazione, anche quando l'uomo abbandonò la presa sulla sua spalla e gli scompigliò affettuosamente i capelli.
Mi capisce, madame?” lo sentì dire. Il tono era quello di chi cerca la comprensione di una persona più adulta e più esperta per un problema di cui non riesce a venire a capo. “È la nostra ultima notte insieme.”
Ma certo,” rispose la donna con un sospiro. Si rivolse poi al tenente: “E tu cosa dici, mon petit chou, sei contento di passare la notte col tuo amico? Fatti vedere.” Cercò senza successo di sollevargli il mento.
È molto timido,” intervenne l'uomo.
Oh, ma certo, capisco. Del resto, è così giovane, non è vero?”
Ha diciotto anni.”
Diciotto anni! E domani andrà al fronte!” Fece un nuovo, profondo sospiro. “Povero ragazzo.”
La camera, signora. E anche qualcosa da mangiare, se è possibile. Vede com'è pallido?”

§

Io non so come si sia permesso di fare una cosa del genere!” sibilò l'ufficiale. “Ora penseranno che siamo degli anormali.” Stava cercando di togliersi la camicia, ma le mani gli tremavano così tanto che non riusciva a slacciare i bottoni.
La aiuto?” gli propose il Werwolf serafico.
Stia lontano da me,” fu la tagliente risposta.
L'agente non replicò. Si mise nel piatto un altro po' dello stufato che madame Salomé gli aveva fatto generosamente recapitare, si versò un bicchiere di vino e riprese a mangiare. “Venga anche lei,” disse dopo un po'. “Non sappiamo quando avremo la possibilità di fare un altro pasto.”
Non ho fame.”
Non dica idiozie, è tutto il giorno che non tocchiamo cibo.”
Si dà il caso che il suo lauto pasto non mi interessi.”
Il Werwolf emise un sospiro infastidito, quindi posò la forchetta e sollevò lo sguardo a fissarlo in viso. “Si avvicini, prego,” gli disse.
Sto bene qui.”
La voce dell'agente segreto divenne un minaccioso ringhio: “Si avvicini, ho detto, altrimenti vengo io da lei, e le garantisco che non le piacerà.”
L'ufficiale tentennò qualche istante, forse chiedendosi se fosse il caso di rispondere per le rime, ma poi fece un paio di riluttanti passi nella sua direzione.
A quel punto, il Werwolf proseguì: “Ora mi ascolti bene, giovanotto, perché questa spiegazione la sentirà una volta sola. La mia priorità è portare a termine la missione che mi è stata affidata. Se per raggiungere l'obiettivo devo uccidere, rubare, farmi passare per un pederasta o qualsiasi altra cosa, io lo faccio, è chiaro? Perché la considerazione di una tenutaria francese e di quattro marmittoni mangia-roastbeef è niente, mentre servire la Patria è tutto.” Fece una pausa, poi in tono duro soggiunse: “Mi sono spiegato?”
Pur guatandolo con occhi di fuoco, il giovane ufficiale chinò il capo in un cenno affermativo.
Molto bene, allora la smetta di crearmi problemi, ne ho già abbastanza da risolvere. Venga al tavolo, si nutra adeguatamente e assuma un aspetto presentabile, poi valuteremo il da farsi.”
Il giovane prese posto sulla sedia come se si stesse accomodando sui carboni ardenti. Evitando con ostinazione di guardarlo in faccia, si servì un po' di boeuf bourguignon, poi chiese: “Come le è venuta in mente... quella cosa?”
Che cosa?”
Far finta che noi due...” Non riuscì nemmeno a terminare la frase, le guance gli si accesero di nuovo.
Impassibile, il Werwolf spiegò: “Certe donne sono molto sensibili ai drammi degli omosessuali di bell'aspetto, lo tenga a mente per il futuro.”
Io non sono omosessuale,” replicò rapido l'ufficiale.
L'uomo sorrise. “Ma è senz'altro di bell'aspetto.”
Il più giovane si tese come per balzare via dalla sedia. “Cosa?”
È di bell'aspetto. E la smetta di sussultare come l'eroina di un romanzo per fanciulle appena si toccano certi argomenti.”
L'ufficiale si limitò a fissarlo torvo, poi abbassò lo sguardo sul piatto e ve lo mantenne ostinatamente mentre mangiava.

Il Werwolf si alzò, si guardò intorno. La stanza, piccola, dall'arredamento modesto, non sembrava destinata all'uso dei clienti. Forse un tempo era servita per ospitare una cameriera, ma era chiaramente vuota da mesi: sui mobili c'era un leggero velo di polvere e l'aria sapeva di canfora, più che di lavanda.
In un angolo, seminascosto da un separé di stoffa, vi era un tavolino su cui si trovavano una bacinella e una brocca piena d'acqua. Accanto ai due recipienti vi erano due asciugamani dal bordo di macramè. L'agente segreto ne sollevò uno e l'osservò: tessuto fine, morbido. Tutt'altra cosa rispetto ai ruvidi teli di canapa che venivano forniti agli avventori del bordello per le necessarie abluzioni.
Lo posò. Alle sue spalle vi era un silenzio glaciale, rotto appena, di tanto in tanto, da qualche lieve acciottolio di stoviglie. “Tutto bene?” chiese, ma non ottenne risposta.
Immaginò che il rigido ufficialetto volesse sdegnosamente ignorarlo.
Ripensò a quello che gli aveva appena detto: se per raggiungere l'obiettivo devo uccidere, rubare, farmi passare per un pederasta o qualsiasi altra cosa, io lo faccio.
Una frase che decisamente strideva con la scelta di portarselo dietro.
Considerata l'importanza di quello che aveva con sé, avrebbe dovuto lasciare indietro un generale di corpo d'armata, se gli avesse impedito di muoversi con la necessaria velocità e segretezza, figurarsi quel tenentino, che a ogni richiesta che considerava troppo strana si impuntava come un cavallo ombroso.
Scosse la testa quasi con indulgenza: forse non era ancora così immune da certi sentimenti come credeva.
Si girò a guardare il giovanotto e vide che si era addormentato con la testa appoggiata sul braccio. Il piatto era ancora mezzo pieno, nella forchetta era infilzato un boccone di carne.
Sorrise fra sé e sé, poi prese la coperta e gliela stese sulle spalle.



   
 
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