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Autore: Eevaa    14/03/2021    7 recensioni
Vincitrice del "Premio voto popolare" dei Ciambella Awards 2020-2021
«Ci pensi mai a cosa sarebbe accaduto se le cose fossero andate in un altro modo?» domandò Goku.
«Intendi se tu non fossi stato così imbecille da risparmiare la vita ad un pazzo assassino pericoloso – come fai sempre, del resto – lasciandolo salpare alla volta dell'universo dopo che ha ammazzato la metà dei tuoi alleati? Oh, a volte ci penso» rispose Vegeta, cinico. Come non pensarci? Diciannove anni prima, in quell'esatto deserto, Kakaroth l'aveva lasciato vivere. E il resto era storia.
«Beh, se non avessi risparmiato quel pazzo assassino, a quest'ora non avrei un fratello».

Vegeta detesta i sentimentalismi. È il principe del cinismo per eccellenza, così emotivamente incapace da non riuscire a esprimere gratitudine o affetto nemmeno nei confronti delle persone a lui più care.
Un evento inaspettato e doloroso, però, lo porterà a un lungo percorso di riflessione su se stesso. Un nuovo cambiamento, una presa di coscienza.
[Post-Torneo del Potere] [No-spoiler alle nuove saghe del manga] [BROTP]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goku, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.
Nessun copyright si intende violato.


ATTENZIONE: ABBONDANTE USO DEL TURPILOQUIO.
I personaggi sono molto più "sboccati" di come siamo abituati a sentirli, ma è una scelta stilistica consapevole. Non ho segnalato l'OOC semplicemente perché mi rifaccio molto al doppiaggio inglese e giapponese originale, nel quale soprattutto Vegeta è un grandissimo scaricatore di porto.
Nulla contro il doppiaggio italiano, ovviamente, la Mediaset ci ha regalato perle come "filibustiere" che tutt'ora mi fanno sorridere. (Applausi a Gianluca Iacono sempre e comunque!)
A tal proposito voglio avvisarvi che in questo capitolo verrà fatto uso di linguaggio MOOOOLTO scurrile anche nei confronti delle divinità fittizie dell'opera. Giusto perché in inglese "goddammit" è nella bocca di Vegeta ogni tre frasi.
Siccome non voglio ferire la sensibilità di nessuno, la lettura di questo capitolo è a vostro rischio e pericolo, idem per quanto riguarda il dramma.



- I've got you, brother -


Capitolo 2
Uomo di scienza, uomo di fede






Che suo marito fosse un gigantesco scimmione emotivamente costipato, quella non era una novità.
Bulma era abituata alle sue fughe rocambolesche, le scenate di ira, i teatrini del sarcasmo da premio Oscar e persino quel cipiglio da lei denominato come “faccia da principe dei rompicoglioni”.
Lo amava più di ogni altra cosa al mondo, insieme a Trunks e la piccola principessa dai codini azzurri che l'aveva svegliata alle sette e mezza del mattino, dopo a malapena mezz'ora di sonno.
Proprio perché era abituata alle reazioni poco convenzionali di Vegeta, Bulma non si era aspettata di vederlo tornare, quella notte. Era certa che la notizia che Goku fosse in fin di vita l'avesse semplicemente distrutto, ma non si sarebbe fatto vedere da nessuno. Come gli animali feriti che si nascondono.
Per quanto suo marito detestasse ammetterlo, Bulma era convinta che Vegeta volesse a Goku un gran bene, almeno quanto gliene voleva lei.
Ma piuttosto che piangere come una persona normale si sarebbe sradicato i dotti lacrimali dagli occhi e, piuttosto che ammettere di avere dei sentimenti, Vegeta si sarebbe scavato una fossa da solo.
E proprio perché Bulma aveva impiegato anni a comprendere la psicologia nascosta di suo marito, non lo avrebbe ammonito per non esserle stato vicino, quella notte. Non ce l'avrebbe avuta con lui solo per essersi dimenticato che Goku, in fin dei conti, fosse anche il suo, di migliore amico.
Sapeva che affrontare il dolore con qualcuno, per Vegeta, fosse un vero attentato al proprio orgoglio. E sapeva anche però che non avrebbe accettato facilmente quella cosa, che non si sarebbe arreso e non avrebbe mai lasciato perdere.
Proprio per quel motivo, quella mattina, non si sorprese affatto di trovarlo immerso tra le provette e i macchinari del laboratorio medico-scientifico.
Nonostante fosse lei il genio in famiglia, sapeva che Vegeta fosse esperto di tecnologia avanzata. Veniva dallo spazio, del resto.
Lo guardò smanettare con i computer compulsivamente, con lo sguardo duro e due graziose occhiaie violacee dipinte sotto gli occhi. Non che lei non ne avesse, dopo un'intera notte passata a piangere e un brusco risveglio dovuto al pianto della principessa dei saiyan.
«Vegeta, che stai facendo?» gli domandò, dopo essere entrata in punta di piedi nel laboratorio.
Questi la guardò di sfuggita, poi riprese a decriptare una pagina di dati complessi.
«Analisi» rispose, loquace come di consueto.
Grazie al cazzo, avrebbe voluto rispondere Bulma. Quello lo aveva capito anche lei.
«Di cosa?» domandò però, trattenendo la saccenteria sulla lingua.
«Del mio sangue».
Bulma si irrigidì. Non aveva dubbi che egli stesse conducendo qualche studio riguardo alla situazione, alla malattia di Goku, ma non comprendeva il senso di analizzare le proprie caratteristiche.
«Del tuo... sangue?»
«Ero troppo piccolo quando è esploso il mio pianeta, non sapevo ancora nulla riguardo a molti aspetti della medicina saiyan. Da queste analisi che sto facendo è emerso che io e Kakaroth possediamo una tipologia analoga di sangue, nonostante proveniamo da famiglie diverse. Mi sono fatto mandare l'analisi di un campione da mio fratello Tarble, stanotte, e mi ha risposto immediatamente. È lo stesso tipo, effettivamente me l'aspettavo. Possiamo chiamarlo RH S+» spiegò velocemente Vegeta, tutto trafelato nell'annotazione dei dati. «Ho contattato anche Cheelai, su Vampa, e mi ha inviato stamattina quello di Broly che, invece, è diverso. RH T+, se vogliamo. Esistono quindi almeno due diversi gruppi».
Bulma sorrise amaramente. Era bello vedere che suo marito fosse intelligente e testardo quanto lei, era qualcosa che amava e a volte odiava allo stesso tempo, quando si trovavano in disaccordo su qualcosa.
Ma, a parte per la soddisfazione della sete di curiosità, proprio non comprendeva cosa spingesse Vegeta a compiere quel tipo di studi.
«Tesoro, a cosa servono queste analisi? Non ci sono-»
«Donatori. Lo so» la interruppe sua maestà, interrompendo finalmente il flusso di scatti ossessivi compulsivi indirizzati al macchinario. «Non ci sono» concluse quindi, a testa bassa.
Bulma sospirò. Le si spezzava il cuore a vederlo così impotente, nonostante l'ostinazione.
«Vegeta, troveremo un modo...» tentò, ma Vegeta la guardò storto. In effetti non ci credeva troppo neanche lei, dopo la diagnosi infausta della sera prima. «E se non dovessimo trovarlo, le divinità saranno dalla nostra parte. Ho contattato Whis e Dende, saranno qui a breve» aggiunse, quindi.
Magari, se la scienza non avrebbe potuto far niente, gli Dei avrebbero trovato qualcosa. Dubitava anche di ciò, ma era un misero tentativo.
Sua maestà il principe degli smorzatori d'entusiasmo fece per aprire la bocca e dire qualcosa, ma lo squillo sul suo portatile lo fece desistere.

Si diede lo slancio con la poltrona per raggiungerlo e accettò la video-chiamata.
Il volto magro e appuntito di un ragazzino apparve sullo schermo, sguardo duro e labbra strette.
Bulma sgranò gli occhi dallo stupore. Ma certo! Vegeta aveva contattato il pianeta Sadala, i saiyan del Sesto Universo.
Come aveva fatto a dimenticare? I saiyan non erano estinti per davvero. Non ovunque, almeno.
Bulma resistette faticosamente dal saltare addosso a quel bel pezzo di muscoli e intelligenza che era suo marito e, invece, si portò più vicino a lui per assistere.
«Maestro! Ho ricevuto il tuo messaggio. Non sai quanto mi addolora sapere che-»
«Poche chiacchiere, Cabba. Cosa hai scoperto?» lo interruppe Vegeta, educato come suo solito.
«Ho fatto ricerche urgenti sulla tipologia di sangue, ti ho mandato i risultati, ci sono due diversi gruppi sul pianeta. Noi li chiamiamo Delta e Gamma, potrebbero corrispondere ai vostri, certo, ma...»
Cabba si interruppe e Bulma percepì chiaramente l'irritazione farsi strada sulle vene pulsanti di Vegeta. Effettivamente le pause a effetto non erano quanto di più gradito, in quel momento.
«Cosa c'è?» sibilò lui, a denti stretti.
«Ma ciò che mi preoccupa è la conformazione fisica. Sembra che dagli appunti che mi hai mandato voi siate... al nostro opposto. Il nostro cuore è a destra. Ed è visibilmente più piccolo del vostro, forse appunto perché anche la nostra costituzione lo è. La vostra struttura organica è completamente ribaltata rispetto alla nostra!»
Bulma, la quale avrebbe adorato saper trattenere la lingua, si lasciò sfuggire un immancabile e sempreverde «merda».
«Già... merda» confermò Cabba, dall'altra parte dello schermo.

E con quella terribile notizia si infranse l'ultima possibilità esistente di un trapianto, o di una cura medica che potesse fare al caso loro.
Bulma aveva anche pensato di potersi recare nel futuro per poter chiedere aiuto a Mirai Trunks ma, come dimenticare, quel futuro era stato mezzo distrutto da Zamasu e Black Goku, sicuramente non avevano avuto un gran che tempo per poter sperimentare dei medicinali. Senza contare che gli era stato fatto divieto dagli Dei di viaggiare nel tempo, dopo la storia di Zamasu.
«Maledetto parallelismo antitetico tra gli universi» sbottò Vegeta, adirato.
La vena pericolosamente pulsante sulla sua tempia diede preoccupazione a Bulma che prima o poi gli sarebbe venuto un ictus, e quindi che presto avrebbero avuto non uno, ma ben due saiyan sul letto di morte.
Pensieri decisamente amari e catastrofisti in linea con la giornata di merda.
«Mi dispiace, Maestro, non sai quanto...» soffiò Cabba, tristemente.
Vegeta, emotivamente negato come di consueto, grugnì. Bulma ben sapeva che non si sarebbe scomodato a esprimere gratitudine, quindi prese lei le redini del discorso per portarlo su una via socialmente accettabile.
«Grazie comunque della tempestiva risposta, Cabba».
«Di niente, signora Bulma! Fatemi sapere se ci sono novità. Io, Kale e Caulifla siamo molto preoccupati».
Bulma annuì dolcemente e chiuse la video-chiamata, e ciò rese particolarmente pesante il glaciale silenzio che ne susseguì.
Ogni fallimento sarebbe pesato un poco di più sulle spalle di tutti ma per Vegeta, che con i fallimenti aveva un rapporto decisamente tragico, un poco di più. Bulma non aveva dubbi: ne sarebbe uscito più pazzo di quanto già non fosse.
E lei non solo avrebbe perso il suo migliore amico, ma avrebbe dovuto fare i conti con un marito depresso.
Le venne da piangere per mille e uno motivi, ma poi si ricordò che la principessa con i codini azzurri aveva bisogno di lei.


-兄弟愛-

L'incontro con gli Dei non aveva sortito l'effetto sperato. E quando mai? Nel corso degli anni Vegeta aveva ben imparato che, sebbene fossero considerate entità superiori, non fossero altro che sedicenti buoni a nulla con le manie di protagonismo – quelle le aveva anche lui, certo, ma almeno si dava da fare per dare sfoggio delle sue abilità – e nessuna voglia di alzare le divine chiappe dai loro comodi giacigli.
Non era mai stato un uomo di fede e non aveva mai creduto nel mondo metafisico. Non fino a quando non si era trovato a passeggiare tra le fiamme dell'inferno.
Poi aveva avuto modo di interfacciarsi con una serie di divinità alle quali aveva sempre fatto affronto con le più atroci bestemmie, ma questo non aveva affatto frenato lui di continuare a sputare le suddette bestemmie in egual modo. E forse anche un po' più colorite.
Tanto sarebbe finito all'inferno comunque. Con o senza quel meccanismo di abnegazione.
Quando Whis, Beerus, Dende e i tre Kaiohshin erano giunti alla Capsule Corporation, quel pomeriggio, si erano confrontati vicendevolmente e non ne avevano cavato un ragno dal buco.
La scusante? “La natura è più forte di noi”.
Stronzate. Cavilli burocratici, altroché. Possibile che un drago che riusciva a riportare in vita i morti non potesse far nulla contro le morti naturali? Se lui avesse – ipoteticamente, ma non troppo – messo le mani al collo del nano verde supremo della Terra e l'avesse ucciso, un drago qualunque avrebbe saputo riportarlo in vita. Perché mai con una persona morta di una malattia lo stesso drago non avrebbe potuto fare nulla?
Era decisamente giunta l'ora di cambiare il sistema operativo di quegli inutili draghi, allora.
Vegeta era furibondo. Aveva inveito contro santi e santoni, quando ogni loro proposta intelligente era stata negata dalle divinità.
Ad esempio, come aveva suggerito Bulma, far tornare Goku giovane. Lei in fondo era esperta di ringiovanimenti con le Sfere del Drago. “Non funzionerebbe, la rigenerazione dei tessuti non comprende quelli malati. Alcuni malati di cancro avevano provato a fare lo stesso, ma la situazione non è cambiata” aveva risposto Dende.
Oppure Gohan aveva sapientemente suggerito a Kibithoshin di procedere con i suoi poteri curativi. “Gli Dei possono porre rimedio all'intervento umano, ma non alla natura. Posso curare le ferite, non le malattie”. Mezza sega.
Vegeta aveva proposto di poter uccidere Kakaroth con le sue stesse mani per poi riportarlo in vita con le Sfere del Drago, ma “sarebbe inutile, riprenderebbe la sua vita da dove l'aveva lasciata. Da malato terminale”.
Insomma, tutte buone scusanti per sottolineare il fatto che la scienza e la medicina umana fossero ben più funzionali dell'intervento divino. E poi gli dicevano di smetterla di bestemmiare Zeno! Hah!


Proprio nel bel mezzo di un'animata discussione in cui il principe dei saiyan stava dando sfoggio del suo personalissimo rosario di volgarità, la dottoressa Hange Brief li chiamò all'interno del laboratorio per comunicare loro che Goku fosse sveglio.
«Se volete fargli un saluto...» disse, pacatamente. «Perché ogni giorno potrebbe... essere l'ultimo».
Vegeta ci vide rosso, specialmente perché tutti si rassegnarono e acconsentirono a quella buffonata. Tra i pianti e la disperazione che odiava.
Quei maledetti figli di puttana si erano arresi. Tutti, dal primo all'ultimo, nell'ascoltare il verdetto divino. Vegeta non lo sopportava.
E men che meno sopportò quando sua moglie, giunto il proprio turno di entrare, gli si avvicinò con occhi rossi e un sorriso amarissimo sulle labbra.
«Vuoi entrare prima tu, tesoro?» gli domandò.
Odiava vederla in quello stato. Sia perché, suo malgrado, non gli piaceva vederla triste, e sia perché non sopportava che persino lei si fosse arresa.
«Non voglio entrare» rispose, lapidario.
«Ma potrebbe essere l'u-»
«HO DETTO DI NO!» ruggì, poi se ne andò ad ampie falcate. Di nuovo.
Non voleva sentirsi dire che quella avrebbe potuto essere l'ultima volta che avrebbe parlato con quel sacco di immondizia.
Era semplicemente inaccettabile.
Lui era il principe dei fottuti saiyan, e il principe dei fottuti saiyan non era geneticamente programmato per la resa.

Il vero problema era quella vocetta irritante e fastidiosa – che nella sua mente suonava davvero tanto come quella di sua moglie – nella testa. Sempre, ovunque. Una piccola tortura cinese nelle proprie sinapsi che gli ricordava che c'era una persona, a pochi passi da lui, al quale avrebbe fatto piacere ricevere una visita. A prescindere da quanti minuti di orologio sarebbero trascorsi prima della sua morte.
No, nessuna morte, si impuntava Vegeta, per il quale “negazione” era divenuta la parola d'ordine in quei giorni.
A lui non importava fare un piacere a Kakaroth. Non gli importava di vedere la sua stupida faccia da pagliaccio da circo mentre si trovava su un letto d'ospedale. Non gli importavano le buone maniere e le convenzioni sociali, a lui importava solo trovare un fottuto modo per tirarlo giù da quel fottuto letto. E parlarci da sano. O meglio, prenderlo a calci nel sedere da sano.
Però, nel caso non funzionasse, ti pentiresti di non averlo fatto, gli sussurrava quella stupida voce-Bulma, appena sotto l'ipotalamo.
Si rigirò nel letto e cacciò la testa sotto il cuscino, come se potesse sfuggire alla propria merdosa coscienza che da due notti non lo lasciava stare.
«Ne vuoi parlare, amore?»
La testa sotto il cuscino non gli impedì nemmeno di sfuggire alla voce vera di sua moglie, in evidente stato di preoccupazione.
«No» borbottò, tra il cuscino e il materasso.
«Vegeta, pensi per caso che io non ti capisca?»
«Appunto perché mi capisci, mi domando perché tu insista a farmi parlare quando sono evidentemente negato».
Ammissione di colpa. Almeno era giunto a quelle conclusioni, nel corso degli anni. Non solo era emotivamente ritardato, ma aveva delle grosse difficoltà di comunicazione in quell'ambito.
Oh, era talmente egocentrico che si sarebbe fatto seghe a doppie mani guardando una propria fotografia, ma era evidente che sulla Terra lui poteva benissimo essere catalogato in uno spettro di disturbo sociale. Borderline, sicuramente.
Da quando era arrivato aveva saputo riconoscere quelli che erano i propri difetti in ambito socio-comunicativo e non aveva fatto un bel cazzo di niente per cambiarli. Un po' perché, appunto, era il principe degli egocentrici, un po' perché non era così semplice.
E poi gli piaceva essere se stesso. Riteneva che senza i propri silenzi e il proprio cinismo non sarebbe stato così attraente, ma in fin dei conti non gli sarebbe dispiaciuto migliorare un poco quella piccola parte di lui che lo rendeva davvero incapace nel gestire la propria emotività. Solo per lui. Non per gli altri, naturalmente.
Quando Bulma gli aveva suggerito di andare da uno strizzacervelli, però, aveva spezzettato il biglietto da visita in mille coriandoli e gliel'aveva lanciati in faccia urlando “il circo è in città”.
«Perché ti stai facendo del male, e io non sopporto guardarti mentre ti autodistruggi» gli disse Bulma, giusto per sottolineare la deriva che aveva appena preso il proprio pensiero.
Era esattamente quello il problema: la sua incapacità emotiva lo distruggeva, sempre.
«Passerà» fece spallucce.
«Quando?! Quando il tuo migliore amico morirà e ti pentirai di non essere andato neanche a parlarci?»
«Smettila di chiamarlo in quel modo!» ringhiò, rosso di rabbia. E Kakaroth non morirà, aggiunse mentalmente.
«Mi scusi, sua maestà il principe degli scimmioni, credo che qui stiamo perdendo il focus della conversazione».
«Forse perché questa conversazione non sarebbe mai dovuta iniziare?!»
«Sei impossibile» sibilò lei, furiosa.
«Ora dimmi qualcosa che non so» replicò Vegeta.
«Sto solo cercando di aiutarti, testa di rapa!»
Bulma lo guardò con il consueto cipiglio di quando gli imponeva lo sciopero del sesso. Ma tanto di fare sesso in quel momento non ne aveva alcuna voglia né intenzione, quindi se ne fregò.
Però poi lo sguardo di sua moglie si addolcì e lui si ricordò che quelli erano solo i suoi tentativi di farlo stare meglio, di preoccuparsi per lui. E lui non si stava preoccupando per lei.
Eh già, Kakaroth è il migliore amico di tua moglie, e tu non stai facendo un cazzo di niente.
Vegeta scrollò la testa e fece l'unica cosa che era in grado di fare per ovviare ai suoi problemi comunicativi: linguaggio del corpo. Sì, come le scimmie.
Forse era vero che era il principe degli scimmioni.
Si sdraiò di nuovo sul letto e trascinò la testa di sua moglie contro il proprio petto. La cinse un poco, poi chiuse gli occhi.
«Allora, per favore, non parliamo». Mi basta la mia coscienza con la tua stessa insopportabile voce a farmi sentire un bastardo.

-兄弟愛-

Non riuscì a dormire neanche quella notte, naturalmente. La vocetta continuò a martellarlo, mentre Bulma invece gli riposava addosso e attenuava giusto un poco quel senso di solitudine e malessere generico. In fin dei conti era solo grazie a lei che aveva imparato a essere giusto un pelo più umano.
Lei, Trunks e Bra.
E Kakaroth.
Odiava quella stramaledetta coscienza. Odiava che tutte le strade della sua mente negli ultimi giorni conducessero sempre lì, nella direzione di quell'idiota.
Odiava il pensiero che ogni minuto perso sarebbe potuto essere un minuto fatale e, sebbene i suoi meccanismi di negazione gli stessero suggerendo che sarebbe andato tutto bene, la realtà lo colpiva dritto in faccia con uno stivale borchiato.
E faceva male, per quanto detestasse ammetterlo. Faceva un gran male.
Proprio per quel motivo, alla terza notte senza sonno e il terzo giorno senza alcuna novità se non dei netti peggioramenti dello stato di salute del deficiente, trovò la forza di avvicinarsi a quell'ala medica infernale di soppiatto. Alle due del mattino, quando nessun altro avrebbe potuto vederlo e, in cuor suo, sperò che neanche Kakaroth lo vedesse.
Perché detestava il fatto che quel pagliaccio altrettanto socialmente coglione non si sarebbe svegliato gridando“urcaaaa, Vegeta, che faccia orribile che hai! Cosa sono quelle occhiaie?” con il solito sorriso largo a deformargli le guance.
Odiava quel sorriso. Ma in quel momento odiava ancor di più non poterlo vedere.
Perché quel che vide, in realtà, fu un fantoccio di Kakaroth pallido, smagrito, sofferente, attaccato a dei tubi, dei fili e dei macchinari che producevano dei bip stereotipati.
Vegeta deglutì e capì che avrebbe preferito non essere lì. Faceva davvero, davvero un gran male vederlo in quello stato.
«Maledetto idiota» soffiò, forse più rivolto a se stesso che a quello schifo di Kakaroth.
Nella penombra chiuse gli occhi e si costrinse a dei respiri profondi, lunghi. Un modo stupido per calmarsi, la meditazione. Non funzionava quasi mai.
«Ve-geta».
La voce gracchiante di Kakaroth lo fece sussultare e riaprire gli occhi. L'idiota era sveglio, e addio al suo buon proposito di non farsi vedere da nessuno.
Sembrava un fantasma, i suoi occhi erano decisamente meno gioiosi del solito, però sorrideva un poco. Niente a che vedere con quel sorriso che sua maestà odiava.
«Sei ve-nuto, alla f-fine» soffiò.
Testa di cazzo, pensò Vegeta. Non verso Kakaroth, in quel caso, ma rivolto a se stesso. Per non essere andato lì prima, quando era evidente che lo aspettasse. La sua coscienza, nel frattempo, ballava la Zumba e gli urlava “te l'avevo detto”.
«Sì, per dirti che se ti azzardi a morire vengo a prenderti nell'Aldilà e ti faccio morire due volte, capito?» sibilò quindi Vegeta, avvicinandosi di un passo.
E Kakaroth rise flebilmente. Sempre nulla a che vedere con la sua consueta risata da clown, ma meglio che niente.
«Que-sta volta... mi sa... che ho paura» ammise Goku, dopo una piccola pausa.
Vegeta, che fino a quel momento si era sforzato di non provare alcun moto di pietà, lo avvertì crescere dentro al petto. Era penoso vederlo in quello stato, ed era terribilmente ingiusto.
Non era normale che si sentisse in quel modo riguardo a Kakaroth: l'aveva odiato, l'aveva detestato, l'aveva persino ammirato qualche volta, di sicuro l'aveva invidiato. Ma mai, mai aveva provato pena per lui, e si sentiva davvero in difetto per quel sentimento.
«Hai un ago conficcato nel braccio, capisco il tuo disagio, data la fobia da clown che hai» tentò quindi di buttarla sulla pungente ironia.
Ricordò il giorno, su Namek, in cui aveva solamente osato portargli vicino una siringa e quell'idiota aveva dato di matto. Un combattente grande e grosso con la paura di qualcosa di così piccolo, che scemenza!
Da che pulpito, tu hai la fobia dei vermi. Prima o poi si sarebbe auto-lobotomizzato pur di non avere più a che fare con la propria coscienza.
Goku alzò gli occhi al cielo e storse la bocca in un sorriso amaro.
«Sai cosa intendo...»
Vegeta divenne serio di nuovo, e capì che quel discorso andava affrontato.
«No, Kakaroth. Assolutamente no. Non te ne andrai così facilmente, sei un guerriero, porca troia». Con tutta l'incapacità comunicativa di cui era in possesso.
«Stavolta... non ho un ne-mico v-vero. È q-questo che... mi fa... paura. Non po-sso combatt-ere...». Kakaroth sembrava infinitamente stanco, distrutto. E arrendevole come non l'aveva mai visto.
Forse, di tutta la situazione, era quello che faceva più male al principe dei saiyan. Il suo grande rivale si era arreso come si erano arresi anche gli altri, quando lui stesso aveva sempre millantato che un eroe non si arrende, che lui avrebbe sempre combattuto fino alla fine.
Gli fece una gran rabbia.
«Ascoltami bene, idiota» si avvicinò di più, minaccioso, con un dito puntato verso di lui. «Non te lo ripeto più: non morirai. Non così. Non ti permetterò di disonorare la razza saiyan in questo modo. Morire per una malattia! I saiyan muoiono in battaglia, brutto figlio di puttana. E poi ti ho sempre detto che quando morirai sarà per mano mia».
L'idiota sorrise un poco. Maledetto il giorno in cui aveva capito che quelle non fossero vere minacce, veri insulti e vera rabbia.
Maledetto il giorno in cui Kakaroth aveva imparato a conoscerlo e leggere tra le righe dei suoi atteggiamenti da pazzo. Perché lo si vedeva da quel sorrisetto che Kakaroth avesse ben capito che quelli erano solo meccanismi di negazione, preoccupazione.
Poi, però, gli chiese una cosa che Vegeta non si aspettava minimamente.

«Beh, potresti... potresti rispar-miarmi questa... agonia, allora. Farmi... morire... come un gue-rriero. In realt-à... era anche per questo che... speravo... veni-ssi qui. Oltre che per s-salutarti, ovviam-ente».
Vegeta spalancò gli occhi. Gli stava chiedendo di ucciderlo. Di porre fine alle sue sofferenze nel qui ed ora, risparmiargli la pena.
Quello era quanto di più dignitoso potesse uscire dalle sue labbra e, suo malgrado, la pietà scomparve nel range delle sue patetiche emozioni. Tornò invece l'ammirazione – non che facesse meno male, provare ammirazione per Kakaroth era quanto di più tremendo, per lui.
E da qualche parte, tra le sue sinapsi, la sua coscienza gli suggerì persino che quello che Kakaroth gli stava chiedendo sarebbe stata la cosa più giusta da fare.
Ma questo significava per se stesso una sola cosa: arrendersi. E nessuno poteva chiedergli di arrendersi. Non così facilmente. Non al principe dei saiyan.
Si sporse un poco sul letto così che Kakaroth potesse guardarlo bene in faccia.
«Ti prometto...» si interruppe. Non gli aveva mai promesso niente, non era da lui fare promesse. Ma quelle che faceva le manteneva sempre, e questo rese quella promessa ancor più difficile, per il significato che celava. Si fece forza e la enunciò, prendendosi la responsabilità di tutto quello che stava per dire. «Ti prometto che quando avrò esaurito ogni possibilità e non ci saranno davvero più speranze verrò qui e farò quanto mi hai chiesto. Lo giuro. Ma prima... fammi tentare ancora un po' di tenere in vita la tua faccia da culo». Per favore, aggiunse mentalmente. Non era tipo da quelle gentilezze.
Tuttavia quella era una promessa solenne, una promessa da principe. Un uomo d'onore, per quanto mantenere fede a quella promessa sarebbe stato complesso.
Il volto di Kakaroth, deformato da spasmi di dolore, si rasserenò un attimo.
«Gra-zie. Significa ta-nto, per me».
La verità maledetta era che Vegeta non aveva alcuna voglia di ucciderlo, non in quel frangente. Men che meno aveva voglia di vederlo spegnersi per uno schifo di malattia.
Quindi no, non si sarebbe arreso. La fede, gli Dei non l'avrebbero aiutato? Lui era dalla parte della scienza e avrebbe trovato la soluzione in quell'ambito. E 'fanculo alle divinità.
«Kakaroth... guardami bene: troverò il modo. Tenterò di tutto per farti guarire e prenderti a calci fino a che non ti sarai alzato da qui, fosse l'ultima cosa che faccio».
Anche quella suonava tanto come una promessa. Quella, però, non sapeva se avrebbe potuto mantenerla per davvero e dovette sopprimere ancora un poco la fastidiosa coscienza che gli diceva “non farti illusioni, non dargli illusioni”.
Forse perché la voce della sua coscienza ancora non era consapevole dell'idea geniale che gli sarebbe venuta in mente da lì a poco.




Continua...


ANGOLO DI EEVAA:
Buongiorno a tutti e innanzitutto grazie a chi ha scelto di iniziare e proseguire la lettura di questa storia che, come avrete ben notato, è allegra e gioviale come una passeggiata tra i fiori di campo. Yep.
La situazione di Goku precipita sempre di più, così come la pazienza di Vegeta e la sua sanità mentale oramai vacillante. Come avete notato ho affrontato molto velatamente anche la tematica dell'eutanasia, che sarà molto ricorrente nel corso dei prossimi capitoli. Proprio per questo motivo ho inserito la voce "tematiche delicate". Sono molto curiosa di sapere i vostri pensieri a riguardo, ovviamente senza giudizio di alcun tipo. Chiedo però di essere molto rispettosi del parere altrui, qualunque sia il vostro :) non mi piace creare "flame", ma solo discussioni intelligenti e fatte con cognizione di causa.
Spero inoltre che non vi abbiano dato fastidio gli insulti di Vegeta rivolti alle sue divinità, ma nel mio immaginario lui è un personaggio abbastanza irriverente da questo punto di vista. Insomma, è un ex sicario che ha sterminato pianeti e popolazioni... mi sembra credibile renderlo un poco più crudo.
In tutto ciò... ehi, sembrerebbe che sua maestà abbia avuto un'idea geniale a fine capitolo. Di che potrebbe trattarsi? Ipotesi? Teorie.
Come sempre vi ringrazio di cuore, di nuovo, per tutto il supporto. Un grazie speciale a Nemesis01 per l'aiuto che mi ha dato con la traduzione inglese di questa storia :)
Un abbraccio e a presto,
Eevaa



Riferimenti:
-Il titolo del capitolo è un omaggio a una puntata omonima di una delle mie serie tv preferite, LOST. Qualcuno l'ha notato?
-Il fatto che i saiyan dell'universo 6 siano "invertiti" è ovviamente fantasia mia.
-Anche i due gruppi sanguigni sono roba inventata di sana pianta. I saiyan sono una popolazione aliena... mi sembrava piuttosto logico che non fossero strutturalmente identici ai terrestri, ma esattamente come i terrestri mi sembrava piuttosto verosimile che non fossero tutti uguali tra loro.
  
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