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Autore: Old Fashioned    18/03/2021    9 recensioni
Prima guerra mondiale. A un giovane e ardimentoso pilota tedesco viene assegnata una strana missione: dovrà atterrare con il suo aereo dietro le linee nemiche e lì caricare a bordo una persona, poi rientrare alla base. Tutto semplice, all'apparenza, peccato che la persona che dovrà caricare, una pericolosa spia tedesca, sia inseguita dal suo arcinemico: una spia inglese di pari livello, disposta a tutto pur di catturare il rivale.
Questa storia è stata scritta per Crazy_person, come modesto ringraziamento per tutte le bellissime recensioni che mi ha sempre lasciato.
Genere: Angst, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Gente mia,
ecco un altro mezzo capitolo, col quale spero vi sollazzerete. Come sempre ringrazio la mia “Band of Brothers”, ovvero i pochi, felici pochi, che mi stanno seguendo.
Un ringraziamento particolare va, come sempre, a chi mi ha anche lasciato un parere.
Ma bando alle ciance: buona lettura!






Capitolo 5

Il Werwolf aprì gli occhi. Doveva essere notte fonda, il buio era impenetrabile.
Nell'aria c'era odore di legno vecchio, di polvere, della canfora che sicuramente Madame Salomé faceva mettere negli armadi, del borgogna che era rimasto nel bicchiere. C'era anche un sentore – ma più che altro una specie di calore, una vibrazione vitale – che proveniva dal suo accompagnatore.
Tese l'orecchio: il silenzio era denso, corposo. Era come se ovunque fosse stato steso uno strato di ovatta, che soffocava ogni suono. Il fruscio delle coperte sembrava il crepitare di legna secca, il verso di un uccello notturno echeggiò come il grido fatale di un'erinni.
Pur nell'oscurità picea strinse gli occhi, mentre una sorda sensazione di minaccia lo pervadeva.
Scivolò cauto giù dal letto, si avvicinò tentoni alla finestra e la aprì. Al fioco chiarore di un'esile falce di luna e poche stelle, colse un alternarsi di tetti variamente inclinati, di abbaini e grondaie.
Per un po' lo contemplò in silenzio, calcolando la difficoltà che avrebbe offerto a un neofita, poi si volse nuovamente verso la stanza. Quello che percepiva non era propriamente qualcosa che provenisse dai sensi. Era un'impressione, più che altro. Una generica sensazione di allarme.
Il silenzio non era quello di una tranquilla casa immersa nel sonno: somigliava piuttosto a quello di una foresta in cui si sta aggirando un predatore.
Possibile che the Bishop fosse già riuscito a trovarlo? Non era impossibile, in effetti. Non era escluso, del resto, che qualcuna delle ragazze del bordello fosse una spia inglese. La comparsa dei due sfortunati amanti, che aveva così intenerito la maîtresse, poteva invece aver insospettito gente più portata al pragmatismo.
In ogni caso, tutto, in quella calma gelida, gli urlava che era il momento di andarsene.
Studiò l'alternarsi di spioventi su cui la luce fioca della luna disegnava vaghe chiazze lattee. Si vide balzare sulle tegole, raggiungere l'altana di cui i pallidi raggi disegnavano il contorno e da quella scendere verso un secondo tetto, più largo e basso. Da lì avrebbe facilmente trovato una grondaia lungo la quale sarebbe sceso fino a terra.
Se si fosse lasciato alle spalle l'ufficiale – cosa per nulla difficile, dal momento che stava dormendo della grossa – the Bishop se lo sarebbe trovato davanti, servito per così dire su un piatto d'argento. L'avrebbe ignorato o avrebbe speso qualche minuto per capire cosa sapeva della missione?
Si voltò verso il punto dove si trovava il giovanotto e considerò fra sé e sé che in qualche minuto potevano succedere molte cose.
Tentennò. Forse the Bishop era troppo furbo per cadere in una trappola così banale.
Forse avrebbe ignorato il giovane – o magari l'avrebbe rapidamente abbattuto – e poi avrebbe proseguito l'inseguimento.
Raggiunse l'ufficiale, lo scosse delicatamente.
Egli mugolò qualcosa di indistinto e sulle prime fece per girarsi dall'altra parte.
Dobbiamo andare,” gli disse sottovoce.
Cosa?”
Dobbiamo andare via.”
Ma...”
In quel momento, un lieve scricchiolio ruppe il silenzio che gravava ovunque.
Si muova,” sibilò il Werwolf. Afferrò il giovane per le spalle e lo scosse di nuovo.
Finalmente l'altro si alzò. Ancora intontito dalla stanchezza, barcollò e rovesciò il bicchiere, che si ruppe toccando il tavolo.
Al suono del cristallo infranto, l'agente segreto dovette farsi forza per non sobbalzare. “Si muova!” ripeté con urgenza, poi lo sospinse verso la finestra.
Scavalcò il davanzale.
Al suo fianco, l'ufficiale sussurrò: “Che cosa sta facendo?”
Fuori!”
In quel momento la porta si schiuse con violenza e nel riquadro buio comparve una sagoma umana. Ci furono due brevi sibili in rapida successione e per un istante brillò nell'aria lo sbuffo bianco del cuscino che esplodeva in un nugolo di piume. L'odore della cordite saturò l'atmosfera.
Fuori!” ripeté il Werwolf.
Un terzo colpo fece schizzare schegge di legno dallo stipite della finestra.
I due rotolarono sullo spiovente, inseguiti da altri colpi. Una tegola andò in frantumi poco lontano.

L'umidità della notte aveva coperto il tetto di una patina scivolosa. Von Knobelsdorff fece qualche passo malfermo, perse l'equilibrio e cadde a faccia in giù. D'istinto allargò braccia e gambe per non mettersi a rotolare, ma l'inerzia lo spingeva comunque verso il basso, in quello che gli appariva come uno spaventoso abisso di tenebre.
Si contorse cercando di offrire la maggior superficie possibile alle tegole incrostate di muschio, contrasse le dita alla ricerca di un appiglio, ma il movimento non si arrestava.
Una mano lo afferrò per i vestiti, frenando la sua caduta. Alzò gli occhi e intravide il volto pallido dell'uomo. Colse, o forse immaginò e basta, un suo sguardo di riprovazione. “Grazie,” brontolò, ma l'altro stava già correndo verso la linea di colmo con l'agilità di un felino.
Egli si sollevò con cautela, spasmodicamente attento a non perdere di nuovo l'equilibrio, e si mosse per raggiungerlo. Udì un breve sibilo alle sue spalle, quasi ebbe l'impressione di percepire lo spostamento d'aria di una pallottola. Balzò in avanti con nuova energia, bilanciandosi con le braccia aperte come quando da piccolo andava a pattinare sul ghiaccio.
Scorse dinnanzi a sé l'uomo, più che altro come una sagoma appena delineata dalla luce lunare. “Aspetti!” boccheggiò. Di nuovo scivolò con un piede, si riprese all'ultimo, si chinò per appoggiare sul tetto anche le mani.
Alle sue spalle percepiva un tramestio leggero, segno che qualcuno altro si stava muovendo sulle tegole, però con molta più agilità di lui.
Di nuovo si sentì afferrare e sollevare quasi di peso. Barcollò, annaspò nel vuoto con le mani protese, chissà come riprese a correre, un piede di qua e uno di là dalla linea di colmo, poi d'un tratto superò una balaustra, si trovò su un pavimento, poi di nuovo su un tetto, meno inclinato del precedente.
Udì rumore di cristalli infranti, si accorse che l'uomo aveva rotto e aperto la finestra di un abbaino. Fece per entrarvi, ma l'altro lo fermò e gli indicò di proseguire in silenzio. Lo guidò verso lo spiovente che non riceveva la luce lunare.
A quel punto, von Knobelsdorff entrò nel buio pesto. Non vedeva la propria mano neppure se la teneva a un palmo dalla faccia, procedeva carponi guidato unicamente dai lievi suoni che l'uomo produceva avanzando.
A un tratto, quasi gli andò a sbattere contro.
L'agente segreto era fermo. Non appena si accorse di lui, con un sussurro appena percettibile gli disse: “Ora scendiamo.”
Il tenente si sentì gelare. “E come?”
Lungo la grondaia. Non ricominci a crearmi problemi con le sue domande inutili, o questa volta la lascio davvero al suo destino.”
Un istante dopo, l'uomo si stava già sporgendo dal bordo del tetto, praticamente senza fare alcun rumore.
Von Knobelsdorff deglutì. Gli occhi gli si erano un po' abituati al buio piceo nel quale era immerso e percepiva vagamente i contorni delle cose. Oltre l'ultima fila di tegole c'era un abisso che a occhio e croce – considerando le rampe di scale salite per raggiungere la camera – non doveva essere profondo meno di otto metri.
Mancare un appiglio significava sfracellarsi a terra, e passare nel migliore dei casi per un anonimo suicida. Niente Pour le Mérite e niente gloria.
Si adagiò sul ventre, sporse cauto le gambe nel vuoto, cercò coi piedi qualcosa che somigliasse al supporto di una grondaia.
Strisciò sempre più giù, obbligandosi a non pensare alla possibilità di un tubo mangiato dalla ruggine o di un intonaco mezzo marcio.
Toccò finalmente, molto più in dentro rispetto a quanto immaginasse, qualcosa che gli rimandò un suono cavo e metallico. Si lasciò scivolare un altro po', finì a penzolare nel vuoto mentre annaspava freneticamente per ritrovare il tubo che aveva colpito un attimo prima.
Infine raggiunse la più alta delle staffe, che data la situazione gli parve solida come la base di un monumento. Sospirò di sollievo, poi con circospezione tastò in giro alla ricerca di un appiglio per l'altro piede.
A questo punto, veniva la parte difficile, ovvero abbandonare la presa sul bordo del tetto per agguantare il tubo e tramite quello scendere pian piano fino a terra.
Si chiese dove fosse l'uomo, se avesse infine deciso di lasciarlo indietro. Tendendo l'orecchio non coglieva che pochi fruscii provenire dal basso, il che voleva dire che l'agente segreto era già lontanissimo.
Staccò con circospezione una mano e afferrò il tubo della grondaia, che dal bordo del tetto piegava verso l'interno per raggiungere il muro.
Pensò alle scimmie in Africa, rivide l'illustrazione di una bertuccia che penzolava da un tronco di palma obliquo e gli parve di essere esattamente nella stessa posizione, però senza l'agilità e la forza del primate.
Staccò la seconda mano. Trovandosi a sostenere tutto il suo peso, il tubo emise uno scricchiolio sinistro. Egli cercò di non pensarci. Non aveva molte alternative, del resto, poteva solo tentare di scendere, possibilmente senza sfracellarsi al suolo. Cominciò a procedere adagio verso il basso.
Cercò di fare il vuoto in mente, di concentrarsi solo sui movimenti necessari a scendere lungo la grondaia. Provò a guardare giù, ma gli parve che l'abisso di buio nel quale stava scendendo fosse un'enorme bocca spalancata, pronta a inghiottirlo. Serrò gli occhi per un istante mentre un brivido gli percorreva la spina dorsale. Nonostante il fermo proponimento di pensare solo alla discesa, gli si ripresentavano di continuo episodi della sua vita. Qual era il rischio maggiore che aveva mai corso? Si era trovato su un aereo in fiamme, oppure in sella a un cavallo imbizzarrito, fuori controllo, che correva con la schiuma alla bocca nella terra di nessuno. Era passato con noncuranza accanto a un obice che sporgeva da terra per metà, salvo poi essere investito un minuto dopo dall'onda d'urto della sua esplosione.
Scendere lungo una grondaia umida nel buio pesto era più o meno rischioso?
Rinunciò a darsi una risposta. Continuò a ripetere i movimenti della discesa in modo meccanico e possibilmente sempre uguale: staccare un piede, farlo strisciare lungo la grondaia verso li basso, allungare adagio le braccia per far scendere anche il corpo, trovare un sostegno col piede, staccare anche l'altro piede, portarlo all'altezza del primo...
Qualcosa gli si strinse intorno a una caviglia.
Egli sussultò, perse la presa rimanendo appeso solo per le braccia, si contorse nel vuoto alla ricerca di un nuovo appiglio mentre una sferzata di adrenalina gli troncava il respiro.
La pianti di agitarsi,” lo ammonì la voce asciutta dell'uomo, “dobbiamo trovare una chiesa.”
Ancora sotto l'effetto della sorpresa, von Knobelsdorff non poté altro che ansimare: “Cosa?”
Si muova,” fu la risposta dell'altro. “E stia zitto, possibilmente. Ci sono pattuglie ovunque.”
Il tenente abbandonò la presa sulla grondaia e prese contatto col selciato. Non fece in tempo a godersi la sensazione di sicurezza delle pietre solide sotto i piedi che già l'uomo l'aveva afferrato per un braccio e lo stava spingendo via dalla strada.
Si infilarono in un androne scomparendo nell'oscurità. Dal fondo della via cominciò a farsi udire il ritmo cadenzato di un reparto in marcia. Ci furono fugaci guizzi di luce.
I passi si avvicinarono, poi rallentarono. Comparvero altri rumori, come di qualcosa che battesse contro qualcos'altro traendone un suono cavo. Uno dei soldati disse qualcosa, un altro rispose.
Polizia militare,” sussurrò l'uomo.
Von Knobelsdorff si girò verso di lui, cercando di individuarlo nell'oscurità, ma percepì unicamente il vago calore che emanava la sua persona. Colse il sibilo lieve di una lama che veniva estratta dal fodero.
I colpi continuavano, era chiaro che qualcuno stava battendo col calcio del fucile contro imposte e porte.
Di nuovo qualcuno parlò, ma venne zittito bruscamente e l'operazione proseguì in un silenzio attento.
L'ufficiale si chiese cosa stesse succedendo e perché. Era chiaro che quegli uomini erano alla ricerca di qualcosa: mancati rientri al contrappello, violatori del coprifuoco, disertori... oppure loro due? Possibile che l'agente inglese che stava dando loro la caccia fosse già riuscito ad allertare una o più pattuglie di polizia militare?
Si appiattì più che poteva contro il muro. Avrebbe voluto chiedere all'uomo cosa fare, ma quello era chiaramente il momento di mantenere l'assoluto silenzio. I rumori si avvicinarono, l'agente segreto al suo fianco si tese come un felino.
La lama catturò un barbaglio di luce e per un istante il suo filo brillò gelido.
I rumori all'esterno frattanto sembravano essersi fermati. C'era scalpiccio di passi poco lontano, qualcuno tossì. Si udì l'ormai noto battere dei calci di fucile contro il legno.
L'agente segreto era come una freccia incoccata. Von Knobelsdorff capì che se qualcuno si fosse affacciato nell'androne, probabilmente non ne sarebbe uscito vivo.
E poi cosa sarebbe successo? Quanti soldati c’erano sulla strada? L'uomo li avrebbe abbattuti tutti? Avrebbe dovuto aiutarlo? In che modo? Aveva ancora la sua pistola, ma capiva che sparare un colpo in quel frangente avrebbe come minimo svegliato tutto il paese, con ovvie conseguenze.
La porta si schiuse. Il pennello di luce di una torcia si insinuò all'interno, dardeggiò qua e là.
Giunse da fuori una domanda in inglese. Chi era affacciato sull'androne rispose con un diniego. La figura sulla soglia tentennò, fece girare la lanterna schermata, poi fermò il debole fascio di luce contro la parete. Sopraggiunse un'altra figura.
Nel silenzio assoluto echeggiò un rumore decisamente corporale. Il nuovo arrivato ridacchiò, il primo replicò qualcosa che suonava come una protesta, ma vi si coglieva un'intonazione scherzosa.
La porta si richiuse.
I passi e i colpi sul legno si allontanarono.
Solo dopo qualche minuto von Knobelsdorff sentì l'uomo rilassarsi. Lo udì emettere il fiato come se fino a quel momento l'avesse trattenuto; la lama scomparve con lo stesso breve sibilo di quando era stata estratta.
Subito dopo il tenente sentì sul braccio l'ormai ben nota presa che questi usava per attirare la sua attenzione. Si chiese come avesse fatto a individuare con tanta precisione la posizione dell'arto nella completa oscurità.
Forse vedeva al buio come i gatti.
Andiamo,” sussurrò l'uomo con voce appena udibile.
Il tenente rinunciò a chiedere dove sarebbero andati. Perché tanto non avrebbe ricevuto risposta, perché bisognava stare in silenzio, ma anche perché cominciava a sentirsi esausto e lasciarsi condurre era un buon modo per risparmiare energia.
Sentì la presa sul braccio guidarlo e docilmente la seguì.
Uscirono. La strada era deserta, alla debole luce della luna si intravedevano appena i contorni degli edifici. Nell'aria vi era un silenzio denso, carico di oscura minaccia.
Von Knobelsdorff si guardò intorno, quasi aspettandosi di veder comparire da qualche parte l'agente che li stava inseguendo, ma tutto era immobile e gli unici suoni che si udivano erano quelli che loro stessi producevano.
Cauti come animali selvatici, si misero in marcia.

Il Werwolf individuò un campanile. Per quanto scavasse nella memoria, ripercorrendo la topografia della cittadina, non riusciva a ricordare a quale chiesa appartenesse. Poco male, l'importante era che ci fosse dentro quello che gli serviva.
Si appiattì in un lembo d'ombra, l'ufficiale lo imitò in silenzio. L'agente segreto si chiese se avesse rinunciato finalmente a discutere con lui per ogni singola cosa o se fosse solamente esausto.
Probabilmente si trattava della seconda opzione, ragionò, e poi distolse l'attenzione dal suo accompagnatore per rivolgerla all'edificio sacro.
Era poco più di una chiesetta, la struttura di base era quella solida di un edificio romanico, ma quel poco che si coglieva del suo aspetto lasciava indovinare successivi rimaneggiamenti barocchi. Suppose che di giorno sembrasse una specie di piccola bomboniera, rosa o color crema, con volute bianche come panna montata un po' ovunque.
Nella canonica, che emergeva dal buio come una solida sagoma nera, non si indovinava il minimo punto di luce.
Dato l'orario, il tranquillo parroco di provincia che la occupava doveva essere immerso nel sonno.
Attraversò la strada silenzioso, muovendosi di ombra in ombra. Raggiunse la chiesa, iniziò a percorrerne le pareti alla ricerca di una porta.
Un debole tramestio – tipico di chi sta cercando di muoversi senza rumore ma non è addestrato a farlo – gli fece capire che l'ufficiale l'aveva raggiunto. Si limitò ad afferrargli un braccio nel buio e a spingerlo contro il muro, dove le ombre erano più dense.
Ricominciò poi il suo lavoro di ispezione.
Alla fine trovò una porticina di legno alla base del campanile, nel punto in cui la canonica si collegava alla navata principale. Palpò la serratura, che gli parve una semplice piastra di ferro irruvidita dalle intemperie. La forma della toppa suggeriva una chiave a mappa singola, probabilmente di fattura antica.
Trasse di tasca grimaldello e tensori.

§

The Bishop soffocò un'imprecazione. Strinse gli occhi, cercando di penetrare l'oscurità densa del coprifuoco. Tese l'orecchio, ma tutto era immobile e silenzioso.
Quel dannato tedesco era riuscito a sfuggirgli di nuovo.
Ripensò a una massima di Epicuro che recitava: guardati dal desiderio, esso è la fonte di ogni dolore.
Gli parve che la frase si attagliasse particolarmente a quanto appena accaduto.
Per un attimo era stato a tanto così da lui. L'aveva intravisto sul tetto, mentre correva sulle tegole con l'agilità di un felino. Per un istante era anche riuscito a prenderlo di mira, ma l'istante dopo il Werwolf era già scomparso.
Era stata la brama di catturarlo che gli aveva tolto la lucidità. Quando aveva udito il rumore del vetro infranto, e successivamente trovato la finestra dell'abbaino rotta, aveva quasi sentito la stoffa della sua camicia sotto le dita, il guizzare dei suoi muscoli tra le mani serrate.
Aveva pregustato il suo respiro ansante, il suo divincolarsi rabbioso.
Era stato un grossolano errore, ovviamente. Il Werwolf gli aveva teso una trappola e lui c’era caduto come l’ultimo dei novellini: nessun agente segreto degno di questo nome avrebbe fatto tutto quel rumore rompendo un vetro, nessuno si sarebbe lasciato dietro tracce così evidenti.
Emise un sospiro. Ovunque fosse il Werwolf, ormai era fuori dalla sua portata. Era riuscito a sgusciare fra le maglie della rete che lui aveva pur rapidamente intessuto intorno all’edificio del bordello e ancora una volta aveva fatto perdere le proprie tracce.
Cercò di ragionare: cos’avrebbe fatto se fosse stato al posto suo? Di certo non si sarebbe arrischiato a trasmettere via radio i dati in suo possesso. Sicuramente il Werwolf aveva intuito – se non sapeva già per certo – che l’Inghilterra era in possesso dei codici radio segreti dell’Impero Tedesco fin da prima del conflitto.
Non li avrebbe nemmeno affidati ad altre persone: se lui era in grado di sfuggirgli, altri non avrebbero avuto quell’abilità.
Non li avrebbe infine nascosti per andarli a recuperare in un altro momento: era vitale che quelle informazioni raggiungessero prima possibile il quartier generale tedesco.
Quindi che cosa avrebbe fatto?
Senza dubbio avrebbe cercato di raggiungere più in fretta possibile colui o coloro cui avrebbe dovuto comunicare quei dati.
Ricordò i safari in Africa: per catturare un leopardo non era necessario addentrarsi nella savana, bastava appostarsi presso una pozza d'acqua. La bestia prima o poi sarebbe arrivata per bere, e a quel punto sarebbe stata con relativa facilità abbattuta.
Allo stesso modo, non aveva senso setacciare la cittadina alla ricerca del Werwolf: la cosa più razionale da fare era presidiare la stazione ferroviaria e le strade in uscita.
Che stesse nascosto lì dentro, se voleva. Poteva starci anche fino alla fine della guerra. Ma se avesse provato a uscire avrebbe trovato lui ad attenderlo, esattamente come il cacciatore presso la pozza d'acqua.
Raggiunse il più vicino dei posti di guardia inglesi. Al suo apparire, il comandante della sezione, un sergente, scattò sull'attenti e salutò, quindi a voce alta e chiara scandì: “Ancora nulla, signor colonnello!”
Abituato al silenzio della segretezza, the Bishop ebbe un fugace moto di fastidio a quella reboante ostentazione di vigore marziale, ma subito dopo recuperò una perfetta impassibilità. “Dica agli uomini di continuare a cercare,” ordinò conciso. Era ben consapevole che quella volonterosa soldataglia non avrebbe trovato assolutamente nulla, il Werwolf era troppo furbo per loro, ma era come scatenare i battitori nella foresta: non avrebbero certo catturato il leopardo, ma l'avrebbero comunque disturbato.


   
 
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