Capitolo 10: Ravenheart
Of love and hate the singers tell
But I feel more, more of both
More than heaven and hell
I take a bow to destiny
Now I have really learnt my part
Once loving him, now hating love
I've made mistakes, my Ravenheart
So come on, come to me, Ravenheart
Messenger of evil
Come to me, what's the news?
Here I'm still left
lonely…
(“Ravenheart” – Xandria)
Bjorn aveva più volte
invitato Helgi a stabilirsi nella dimora reale con tutti loro, tenendo conto
delle terribili esperienze che aveva subito in Islanda e del fatto che
Aethelred, e soprattutto Hvitserk, si erano molto affezionati a lui e cercavano
di distrarlo e incoraggiarlo. Lui, però, non aveva voluto e, anzi, aveva scelto
di abitare nella piccola casa in cui, qualche mese prima, Aethelred aveva
vissuto con Hvitserk per disintossicarlo
da funghi e alcool. Partecipava agli incontri del Re con i suoi consiglieri e,
spesso, Aethelred o Hvitserk andavano a prenderlo per portarlo a fare un giro o
nella dimora reale, a bere e chiacchierare con gli altri… però continuava a
rifiutare di vivere definitivamente là. Nessuno aveva compreso le sue
motivazioni, ma ben presto sarebbero state chiare.
Era giunta la
primavera e Ubbe scalpitava sempre di più per partire, era da mesi che voleva
iniziare la sua esplorazione di terre lontane, ma prima c’era stato da
sostituire Bjorn alla guida di Kattegat, poi i problemi esistenziali di
Hvitserk, l’aggressione a Lagertha e al suo villaggio, la guerra contro i Rus’…
insomma, mancava solo un’invasione di cavallette e poi avrebbe avuto tutto!
Così, adesso che il periodo era favorevole e che, al momento, non si
profilavano nuovi guai all’orizzonte (sebbene, con Ivar a Kattegat, Ubbe
ritenesse che i guai ce li avessero già in casa…), questa volta il vichingo
aveva iniziato seriamente a fare i preparativi per la partenza.
Questo aveva causato
un lieve dissidio con Bjorn, che non
aveva nessuna intenzione di lasciare che i suoi figli ancora bambini, Hali e
Asa, partissero per una spedizione così pericolosa.
“Non sono figli tuoi,
ho io la responsabilità su di loro!” aveva detto Bjorn al fratello.
“Sono comunque figli
di Torvi e non venirmi a parlare di responsabilità” era stata la secca replica
di Ubbe. “Tu non ci sei mai stato per loro e adesso ti preoccupi? Torvi non può
allontanarsi dai suoi figli.”
“Nemmeno io voglio
che si allontanino da me e saranno molto più al sicuro qui a Kattegat con me e
Gunnhild” Bjorn, come sempre, non intendeva sentire ragioni. “Senza contare,
poi, che sono legatissimi a Lagertha e per loro sarebbe un dolore separarsi.”
“Mi costa veramente
molta fatica dirlo, ma questa volta Bjorn ha ragione” intervenne Ivar che, come
sempre, assisteva tranquillamente a tutte le conversazioni altrui e non perdeva
l’occasione per dire la sua pensando che, evidentemente, quanto lui aveva da
esporre interessasse tutti. E poi era troppo divertente prendersela con Ubbe,
sempre così pedante e tutto d’un pezzo, come se gli avessero infilato un
bastone su per il… “I bambini sono prima di tutto di Bjorn ed è lui che deve
decidere se mettere o meno in pericolo i suoi figli. Dovrebbe mandarli in
esplorazione con te, Ubbe? Ma andiamo! Non troveresti nemmeno la strada di casa
senza una mappa!”
“Fatti gli affari
tuoi, Ivar, e vattene da qui. Questa conversazione non ti riguarda, è una cosa
tra me e Bjorn!” lo rimbeccò Ubbe, mentre Bjorn, stavolta, non disse niente.
Avere Ivar dalla sua parte poteva sempre tornargli comodo.
“Ma questi sono
affari miei” replicò candidamente il giovane. “Non state forse parlando dei
miei adorati nipotini? Visto che, con
ogni probabilità, non avrò mai figli miei almeno lasciate che mi preoccupi dei
miei nipoti!”
Aethelred, suo
malgrado, apprezzò l’ironia di Ivar e dovette schiacciarsi la bocca con le mani
per soffocare una risata. Del resto era d’accordo con lui, un viaggio
lunghissimo con chissà quali pericoli non era certo la cosa più indicata per
due bambini, anche per due piccoli vichinghi!
Hvitserk, invece, non
disse nulla, ma si alzò silenziosamente e, senza che nessuno ci facesse caso,
uscì dalla Sala Grande. Aveva deciso di contribuire alla disputa tra fratelli a
modo suo, ossia andando a prendere Helgi: in fondo lui aveva già compiuto quel
viaggio insieme alla sua famiglia, a quella di Kjetill e a Floki e, dunque, chi
meglio di lui avrebbe potuto dire se la spedizione in Islanda fosse o meno
adatta a due bambini piccoli?
E comunque era una
scusa come un’altra per passare del tempo con Helgi. Hvitserk si rendeva conto
di sentirsi sempre più attratto da lui, conosceva la sua tragica storia e
sentiva che solo lui avrebbe potuto comprenderlo veramente. Inoltre lo vedeva
così fragile, impaurito e indifeso e provava sempre più intenso il bisogno di
rassicurarlo e consolarlo, stringerlo tra le braccia e… Insomma, era un po’
quello che, in Wessex, lo aveva attirato verso Aethelred, soltanto che il
Principe si era poi rivelato un ragazzo determinato e fiero, molto più di lui,
mentre Helgi era soltanto tenero e spaventato.
Giunse dunque alla
piccola abitazione di Helgi e chiese al giovane di andare con lui alla dimora
reale per parlare con Bjorn e Ubbe.
“Ubbe vuole partire
per l’Islanda, vorrebbe vedere i luoghi in cui Floki ha portato te e le
famiglie che si sono unite a voi” spiegò. “Io credo che speri anche di
ritrovare Floki… comunque, Bjorn non vuole che i suoi figli partano con lui e
Torvi perché ritiene che sia troppo rischioso. Visto che tu hai fatto quel
viaggio e hai vissuto là ho pensato che avresti potuto dire…”
“Cosa? Ubbe vuole
andare in Islanda? E con Torvi e i bambini? Ma è impazzito? No, no, non può,
non deve farlo!” lo interruppe Helgi, sgranando gli occhi e diventando
pallidissimo. La notizia pareva averlo totalmente sconvolto.
Hvitserk, colpito e
addolorato dalla sua reazione, lo prese per le braccia e cercò di attirarlo a
sé per calmarlo.
“Lo so che la tua
esperienza lassù è stata orribile, hai perduto tua moglie e il tuo bambino e
poi la tua famiglia, ma proprio per questo potresti spiegare meglio di chiunque
altro a Ubbe che…”
“Non è il viaggio,
non è il luogo… Kjetill è ancora là, ne sono certo! E li ucciderà tutti, li
massacrerà come ha fatto con la mia famiglia, come voleva fare con me! Non
devono andare, non devono andare!” esclamò Helgi, terrorizzato.
Per la prima volta
Hvitserk parve comprendere quello che vedevano gli altri quando era lui a dare di matto parlando di Ivar…
Helgi era fuori di sé dalla paura e sembrava considerare quel Kjetill un mostro
assetato di sangue. Lo abbracciò, cercando di rassicurarlo.
“Va bene, adesso
calmati” gli disse con dolcezza, tenendolo stretto. “In realtà non hai mai
raccontato cosa sia successo davvero in Islanda, cosa sia accaduto alla tua
famiglia o a Floki. Vuoi dirlo a me, ora? Magari poi ti sentirai meglio e,
così, sapremo anche cosa rispondere a Ubbe. Te la senti di parlarmene?”
Hvitserk non aveva
perso la gentilezza e il modo di fare tenero che avevano conquistato Aethelred
in Wessex e anche Helgi non fu in grado di resistere. Stretto tra le sue
braccia, tremando pietosamente, raccontò per la prima volta tutto l’orrore che
aveva vissuto in Islanda. La morte della sua Thorunn incinta era stata solo
l’inizio di una faida tra la sua famiglia e quella di Kjetill, ma il peggio era
arrivato dopo. Per dare un taglio a risse, odio e omicidi, Floki aveva
stabilito di esiliare la famiglia di Helgi dalla colonia, ma l’Islanda era un
luogo davvero inospitale e, qualche settimana dopo, in pieno inverno, lo stesso
Helgi era tornato alla colonia, mezzo assiderato e quasi morto di fame, a
supplicare Floki di aiutare i suoi familiari che stavano morendo di stenti. Con
grande sorpresa di tutti, era stato proprio Kjetill a dichiararsi subito
disponibile ad accorrere in loro aiuto, ma le sue motivazioni erano aberranti: una
volta giunto sul posto dove si trovava la famiglia di Helgi li aveva uccisi tutti,
senza pietà, comprese le donne e le fanciulle. Aveva tenuto prigionieri per una
notte intera Helgi e suo padre, picchiandoli e prendendoli a calci,
preparandosi a decapitarli la mattina seguente. Quando erano rimasti soli, il
padre di Helgi aveva supplicato il figlio di scappare, di provare a salvarsi
almeno lui. Il giovane era ferito, stordito e non avrebbe voluto lasciare suo
padre, inoltre non pensava che sarebbe davvero riuscito a sfuggire a Kjetill,
però il padre gli aveva fatto giurare di tentare il possibile e l’impossibile
per sopravvivere… e Helgi lo aveva fatto. Aveva esaudito l’ultimo desiderio di
suo padre. Si era trascinato nella neve, senza una meta, mangiando radici. Si
era nascosto nelle tane delle bestie selvatiche, aspettandosi sempre di vedere
Kjetill piombargli addosso con l’ascia e farlo a pezzi, ma alla fine, in
qualche modo, aveva raggiunto un piccolo villaggio sulla costa e loro lo
avevano aiutato, nutrito, curato finché non era stato abbastanza in forze per
salire su una nave che andava verso Kattegat.
Kjetill, tuttavia,
era rimasto il suo incubo, la sua ossessione. Era convinto che lo stesse ancora
cercando, che avrebbe trovato il modo di raggiungere Kattegat… e poi avrebbe
massacrato anche lui.
Era devastato dal
dolore per la perdita di tutta la sua famiglia, per il rimorso di aver condotto
lui Kjetill da loro, senza sapere cosa avesse in mente, e dal senso di colpa
per essere stato l’unico a salvarsi. Ma era anche divorato dal terrore che
Kjetill lo cercasse per completare l’opera…
“Per questo non ho
voluto vivere nella dimora reale” rivelò Helgi, sempre stretto tra le braccia
di Hvitserk, sempre tremando pietosamente, “perché io lo so che un giorno
Kjetill tornerà a Kattegat e la dimora reale sarà il primo posto in cui andrà,
per salutare Re Bjorn. E io… io…”
Hvitserk era rimasto
agghiacciato da quel terribile racconto, in confronto alle sofferenze di Helgi
quello che aveva passato lui faceva ridere, Kjetill era davvero un pazzo sadico
e crudele e chissà, forse era vero che prima o poi sarebbe arrivato a Kattegat
o, magari, avrebbe incontrato Ubbe e Torvi e avrebbe fatto loro del male. No,
Bjorn aveva ragione, i bambini dovevano restare al sicuro e sarebbe stato
meglio se anche Ubbe avesse evitato di esplorare proprio quelle zone, c’erano
tanti altri posti verso i quali poteva fare vela.
“Non devi temere
niente, Helgi” disse comunque al giovane, stringendolo a se con tenerezza, “non
permetterò che quel pazzo ti trovi. Anzi, credo invece che dovresti proprio
vivere con noi, nella dimora reale, così saresti sempre protetto dalle guardie,
mentre qui sei solo e indifeso. E potresti stare con me. Io ti proteggerò
sempre, a qualsiasi costo, non lascerò che quel Kjetill ti faccia del male,
mai, te lo giuro!”
Ancora stravolto per
il racconto terribile che aveva ascoltato e lacerato dal dolore per ciò che
Helgi aveva passato, senza nemmeno rendersene conto Hvitserk lo strinse di più
a sé e lo baciò, spontaneamente, in un impeto di tenerezza e calore. E Helgi
era troppo turbato per respingerlo… ma forse non lo avrebbe fatto comunque.
Così li trovò
Aethelred che aveva avuto la stessa idea di Hvitserk e aveva pensato di andare
a cercare Helgi perché parlasse dell’Islanda a Ubbe. E, confuso e disorientato,
avrebbe voluto andarsene senza farsi vedere da loro, ma finì per sbattere
contro la porta e fare ancora più rumore del normale. Hvitserk si riebbe da
quell’attimo di stordimento, si staccò delicatamente da Helgi (che ancora non
aveva capito bene cosa fosse successo) e fece per andare verso Aethelred, ma il
giovane Principe uscì svelto dalla casetta. Hvitserk riuscì a raggiungerlo
fuori, lo prese per un braccio, aveva mille cose da dirgli e non sapeva da dove
cominciare.
“Io… mi dispiace,
Aethelred, non credevo… non immaginavo che…”
“No, non devi
preoccuparti, Hvitserk” lo interruppe il ragazzo. “Mi ero accorto da tempo che
ti stavi avvicinando a Helgi e… no, non dire niente, io sono felice per te,
sono felice che tu abbia trovato qualcuno che possa davvero essere la persona
giusta per te. E anche Helgi se lo merita, dopo tutto quello che ha passato…
Non devi dirmi niente e tanto meno scusarti. Tu mi hai salvato, mi hai voluto
bene e poi io ho aiutato te. Siamo pari, non mi devi niente. Voglio vederti
felice e voglio vedere che stai bene, questa è l’unica cosa che conta per me.”
“Davvero, Aethelred,
io…”
“Hvitserk, non stiamo
più insieme da un sacco di tempo” disse il Principe, con un sorriso insieme
dolcissimo e straziante. “Hai il diritto di innamorarti di chi vuoi, non devi
chiedere il permesso a me.”
“Ma anch’io voglio
che tu sia felice, che trovi qualcuno che ti ami come meriti, come non ho
saputo fare io” insisté Hvitserk. “Tu meriti una persona forte, che sappia
starti accanto e farti sentire importante, e chissà… magari già c’è, questa
persona. Io penso che…”
“Io penso che vada
bene così” tagliò corto Aethelred. “Ti voglio bene, Hvitserk, te ne vorrò
sempre tantissimo, ma credimi se ti dico che non sono rimasto male perché sono
ancora innamorato di te. E’ solo che… beh, fa male essere ancora una volta sostituito, fa male sentirsi sempre la
seconda scelta. Non è colpa tua, sono io che non riesco a farmi amare, e forse
è giusto così. Ti voglio bene, sei il mio migliore amico e la tua famiglia è
diventata la mia, sono contento così e non devo cercare né pretendere altro.
Non sono e non sarò mai speciale per
nessuno, ma probabilmente è perché io non sono speciale. Va bene così. Tu mi
hai fatto un immenso dono portandomi a Kattegat e anche solo per questo voglio
che tu sia felice, mi hai comunque cambiato la vita in meglio. Ora trova la tua
strada, magari proprio con Helgi, e sii felice, Hvitserk.”
Non lasciò che gli
rispondesse, non voleva sentire altro. Aethelred si allontanò e questa volta
Hvitserk non cercò di inseguirlo, lo guardò mentre se ne andava. Lo guardò sentendosi
più tranquillo, ora, perché mentre erano lì fuori aveva visto qualcun altro e
questa volta non era stata un’allucinazione, questa volta era stato vero e lui
era stato felice di vederlo e di capire perché era lì.
Hvitserk aveva visto
Ivar, aveva visto l’espressione sul suo volto e adesso lo vedeva seguire
Aethelred.
No,
non è vero che non sei speciale per nessuno, Aethelred. E non sei destinato a
restare solo. Sei buono e generoso e forte e hai bisogno di qualcuno da amare e
che ti possa amare molto più di me. Meriti di essere il punto di riferimento,
la stella luminosa di qualcuno che non è mai stato veramente amato e che
proprio per questo, nonostante tutto, saprà metterti al di sopra di ogni altra
cosa. Qualcuno che ha forza e determinazione per starti accanto come meriti e
farti sentire al sicuro. Qualcuno che, per te, saprà diventare migliore.
A quel punto,
rassicurato, Hvitserk rientrò nella piccola abitazione di Helgi.
Aethelred, nel
frattempo, procedeva spedito verso la dimora reale. Aveva tutta l’intenzione di
fingere che non fosse accaduto niente, aspettare il ritorno di Hvitserk con
Helgi e ascoltarli parlare con Bjorn e Ubbe di ciò che era accaduto in Islanda.
Si ripeteva che non doveva pensare ad altro, che d’ora in poi quella doveva essere
la sua vita e lui doveva esserne contento e soddisfatto. Era praticamente un
vichingo, collaborava con Bjorn al governo di Kattegat, in città tutti gli
volevano bene, aveva una famiglia, una nuova madre e dei fratelli… il resto non
faceva per lui. Amare troppo faceva soffrire e lui non voleva stare male mai
più. Aveva amato i suoi genitori e sua madre gli aveva spezzato il cuore e
quasi lo aveva ucciso. Aveva amato Hvitserk e adesso lo vedeva comportarsi con
un altro proprio come faceva con lui, con tenerezza e affetto. Era vero quello
che gli aveva detto, non era più innamorato di lui… ma lacerava lo stesso il
cuore vedere gli stessi gesti, lo stesso dolce amore, rivolti ad un altro. Lo
faceva sentire inutile, insignificante, facile da dimenticare. Adesso basta.
Non avrebbe mai più lasciato che una simile debolezza lo rendesse vulnerabile,
sarebbe bastato a se stesso.
“Ehi, insomma,
allora, vuoi andare più piano?” una voce dietro di lui, una voce che aveva
imparato a conoscere fin troppo bene, interruppe i suoi pensieri. “Lo so che
non vuoi sentirlo dire, ma devo ricordarti che sono pur sempre uno storpio e non ce la faccio a starti
dietro!”
Aethelred si fermò,
anche se una parte di lui, chissà perché, avrebbe voluto scappare lontano.
Si fermò e attese che
Ivar lo raggiungesse.
E… a proposito, cosa
ci faceva Ivar là? Non era rimasto nella dimora reale a divertirsi guardando
Bjorn e Ubbe che litigavano?
Mentre il giovane
vichingo si avvicinava a lui, Aethelred ebbe il vago pensiero che quello non
era proprio il momento giusto per parlare con Ivar, e poi chissà cosa voleva…
ma si riprese subito, dandosi dello sciocco. Non aveva motivo di essere
imbarazzato in presenza di Ivar e quello era un momento come un altro per
parlarci, no?
No?
Fine capitolo decimo