When the time
will come
Echoes of tears
«Allora?» Taehyung si stava torturando i polpastrelli, strizzandoli e picchiettandoli con fare
nervoso.
«Allora niente.» Jimin si stava arrabbiando con lui, con il suo essere così
esposto e maledettamente irritante in certi frangenti. «Per assurdo, il fatto
che tu abbia parlato, anzi, che tu abbia proprio spiattellato la cosa ha reso
tutto più facile. Avresti dovuto vedere Jin, appena è arrivato lo ha insultato
e se l’è caricato in spalla come un sacco di patate. Non l’ho mai visto così
nervoso, credimi.»
Il ragazzo si spostò sedendosi accanto all’amico, sbuffando sonoramente. Il
letto di Taehyung ancora era sfatto, non erano nemmeno andati a dormire:
condividevano la stessa stanza ma anche le stesse abitudini ormai, e se uno dei
due non riusciva a riposare neppure l’altro avrebbe preso sonno facilmente.
Jimin era tornato da poco, ed aveva lasciato soli Jin e Jungkook soltanto dopo
essersi sincerato delle condizioni dell’altro. Ora che quell’impiastro era
steso a letto sotto al piumone, l’antipiretico calato a forza dalla mancata
delicatezza del maggiore, Jimin poteva rilassarsi.
O almeno ci avrebbe provato. Perché s’era reso conto d’aver fatto probabilmente
una grande cazzata. S’era intromesso, permettendosi di dire la sua a due
persone palesemente innamorate che ancora stavano negando l’evidenza davanti a
tutto, a tutti.
«Jimin?»
«Che cosa c’è adesso? Se vuoi dirmi di nuovo scusa, giuro che ti mando a fare
in culo.» Lo stava attaccando perché sapeva di avere sbagliato, creando un
certo attrito. Per tutta la strada di ritorno non aveva osato fiatare, provando
un costante ed oppressivo senso di suggestione nei confronti di Jin. Solo un
“grazie, ora vai”, aveva ricevuto.
«Non è questo. Credi possano risolvere qualcosa?»
Lui si addolcì, scostandosi i capelli dagli occhi con un gesto abitudinario.
«Lo spero, lo spero di cuore. Non possono continuare così, non farà bene a
nessuno dei due.»
«Sei un idiota. Uno stupido, un idiota.»
Jin se ne stava seduto accanto al letto osservando Jungkook dormire: il corpo
veniva scosso da brividi, e piccole gocce di sudore gli imperlavano la fronte
che brillava umida alla luce fioca della lampada. Le coperte a celare tutto
tranne gli occhi chiusi, rapidi movimenti sotto le palpebre dettavano un riposo
agitato, mal goduto.
«Cosa devo fare con te, me lo dici? Mi distraggo un attimo e fai il cretino… Jk, sei irrecuperabile.» Lo aveva detto sorridendo. Per
quanto fosse cresciuto, il collega sapeva ancora essere il ragazzino che aveva
conosciuto ed imparato ad amare al tempo del loro debutto: cocciuto e immaturo.
Per un attimo le due figure distinte del ventitreenne e quello dell’adolescente
ribelle si accostarono.
Un secondo sorriso e un sospiro, una piccola carezza all’altezza della tempia:
Jin lo sfiorò una volta e più d’una, sussurrandogli quanto si fosse comportato
da irresponsabile, e quanto la preoccupazione fosse tuttora presente,
schiacciante. Era ipnotizzato da quel respiro irregolare, dalla coperta che si
muoveva a seguito del petto aritmico; un mugolio improvviso uscì dalle labbra
secche, accompagnato da un paio di colpi di tosse a scuoterlo interamente. Il
ragazzo si chinò su di lui rassicurandolo con semplici parole, qualche sillaba
di poco conto accompagnata con dolcezza: s’era avvicinato troppo, superando di
gran lunga lo spazio vitale dell’altro che sembrava non essere cosciente, attivo
o recettivo. Continuava a parlargli scostandogli i capelli bagnati dalla pelle
e soffiando con delicatezza sulla fronte.
Quest’ultima si rilassò sciogliendo le sopracciglia corrugate. Il volto rovente
però mandava messaggi chiari: il dolore misto alla stanchezza eccessiva l’aveva
letteralmente messo in ginocchio.
Jin passava i polpastrelli su quegli zigomi ben delineati, scorrendole il profilo
fino alla mascella, accarezzandola delicatamente, passando più volte sul mento
e sotto le labbra.
Quelle stesse labbra che stava desiderando così intensamente, anche se malate,
screpolate, pallide. Erano le sue, poco importava in che condizioni versassero.
Jungkook era lì, immerso tra lenzuola calde, a soffrire di una stupidissima
conseguenza di un altrettanto comportamento immaturo; era con lui, stava
tremando nonostante la temperatura mite della stanza e gli strati di tessuto
pesante su di sé. Lo sentì sussurrare prima di ingoiare a vuoto, la gola secca
a richiedere liquidi.
«Vieni.»
Lo fece raddrizzare appena porgendogli un bicchiere di acqua fresca. Una parte
del contenuto si riversò sul mento e sul collo, seguendo la linea della
clavicola e bagnandogli la canotta. Jin deglutì scostando forzatamente lo
sguardo e lasciando ricadere all’indietro Jungkook, strappandogli un lamento
malandato.
«Scusa!» Si avvicinò nuovamente constatando le condizioni dell’altro: stringeva
i denti, le palpebre serrate come le labbra.
Stava male.
E Jin non sapeva come poterlo aiutare. Avrebbe soltanto dovuto aspettare che
facesse effetto la pastiglia che gli aveva fatto ingoiare a fatica. Gli si
stese accanto, infilando una mano sotto al copriletto invernale.
Era troppo caldo lì sotto, il ventre scoperto di Jungkook scottava
terribilmente.
Scostò subito parte delle coperte, avrebbe vegliato su di lui tutto il tempo
necessario. Accostò la fronte alla tempia dell’altro, socchiudendo gli occhi.
«Riprenditi, ti prego… non farmi preoccupare così. Te lo chiedo, Jk, cosa farei senza di te?» Espirò rassegnato. La
consapevolezza del tempo che passava gli cozzò addosso, impregnandogli l’anima
di nebbia grigia e di brutti pensieri. Tanto che sentì il petto stringersi, la
gola chiudersi, il bisogno di un contatto fisico necessario.
Stava piangendo.
Proprio come un perfetto imbecille.
Stava piangendo e portò le ginocchia al busto, per poi stringere con fare
possessivo il fianco di Jungkook, che ancora dormiva agitato, coinvolto in un
sonno disturbato, inquieto. Vi si aggrappò come ad un porto sicuro, alla
persona più cara, all’unico motivo per cui la notte ormai non dormiva più se
non per qualche sporadico colpo di sonno.
Non se ne sarebbe andato trascinandosi quei sentimenti, li avrebbe nascosti
giù, sempre più in profondità, e seppelliti con i doveri che avrebbe affrontato
a testa alta.
Quella notte però si sarebbe finalmente permesso di riversarli su quel dannato
cuscino, su un letto troppo piccolo per due, su qualcuno che non avrebbe mai
scoperto ciò che gli stava dilaniando viscere e sentimenti.