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Autore: Koa__    01/05/2021    2 recensioni
Dopo che gli angeli hanno cancellato la memoria di Clary, Jace si ritrova a camminare per un sentiero oscuro fatto di dolore. Questo, oltre alla rabbia che prova per il compatimento che legge sul volto degli altri, lo portano a gettarsi a capofitto nel lavoro. Alec, a un mese e mezzo dal matrimonio, vive invece una vita felice accanto a suo marito. Nonostante percepisca la sofferenza di Jace e si sia convinto di stargli vicino, dentro di sé sa di non star facendo abbastanza per il suo Parabatai. Una sera, prima di addormentarsi, entrambi esprimono un desiderio all’angelo. Jace vorrebbe avere una vita perfetta come quella di Alec mentre quest’ultimo vorrebbe stare più vicino a suo fratello e si sente in colpa per esser stato così lontano nelle ultime settimane. Il mattino successivo, Jace e Alec si risvegliano l’uno nel corpo dell’altro senza sapere come ci siano finiti. Inizia così un’indagine segreta alla ricerca di chi può aver mai fatto loro un simile tiro mancino, che li porterà a scavare dentro loro stessi.
Genere: Angst, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Simon Lewis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Arrendersi alla volontà dell'angelo

 


 

Alec Lightwood non era stato abituato a seguire i propri sentimenti, l’addestramento da Shadowhunter che aveva ricevuto e l’educazione che Robert e Maryse gli avevano dato, lo avevano portato a soffocare un’importante parte di se stesso e a non esprimere mai ciò che provava davvero. Era cresciuto con l’idea che dovesse obbedire agli ordini e seguire fedelmente le regole del Calve, in una maniera che, a pensarci, ora trovava ridicolmente ottusa. Poi però era arrivato Magnus Bene, col suo fare eccentrico e provocatorio, lui coi suoi cocktail, i capelli dritti, gli occhi truccati e una folta schiera di anelli su dita laccate di smalto, e lo aveva stregato in un modo che con la magia non c’entrava proprio nulla. Da quando l'aveva incontrato, Alec Lightwood aveva capito che doveva comunque sentire ciò che il proprio cuore lo spingeva a fare, indipendentemente da quello che ci si sarebbe aspettati da lui. Stranamente se ne ricordò nell’attimo stesso in cui ebbe varcato la soglia dell’appartamento di Brooklyn, che condivideva da qualche settimana con suo marito. Gli venne in mente nell’attimo in cui il suo sguardo si posò sull’ingobbita figura di Jace, il quale se ne stava ritorto su se stesso, appoggiato alla balconata del terrazzo. Quindi, gli fu sufficiente posare gli occhi in quelli affranti del suo Parabatai perché la rabbia che aveva dentro si sciogliesse come neve sotto al caldo sole d’agosto. Che Jace c’entrasse o meno con quello scambio, si disse intanto che lo raggiungeva e quindi stringeva in un abbraccio che non chiedeva e non diceva più di quanto non ne avessero bisogno, al momento non importava.


Non servì intavolare lunghi e articolati discorsi per intuire lo stato d’animo nel quale versava suo fratello, in effetti bastò notare la maniera in cui il viso gli si era deformato in un’espressione sofferta. Il proprio viso, si disse Alec intanto che sedava uno strano brivido che gli aveva percorso la schiena nell’istante stesso in cui aveva realizzato che stava guardando la propria faccia. Ecco, se c’era una parte assurda di quella situazione, era esattamente questa. Già era strano il osservare il mondo dal basso o l’essere additato da tutti come un poveraccio a cui era capitata una disgrazia, ma guardare se stessi dal di fuori era probabilmente la cosa più strana di tutte. Di sé, Alec non poté fare a meno di notare i capelli davvero troppo spettinati, orribili se visti da dietro, il fisico non poi così attraente e naturalmente anche espressioni che sapeva di non aver mai portato. Quel modo di incrociare le braccia al petto e le labbra ritorte, come in un broncio, erano atteggiamenti tipici di Jace. Se messe sul suo, di volto, davano ad Alec la sensazione di un bambino che fa i capricci. Quasi gli venne da sorridere nel vederlo corrucciato in quel modo e fu allora che si rese conto che ogni traccia di rabbia era ormai del tutto svanita; convincendosi che in ogni caso urlare contro al proprio Parabatai non sarebbe servito a niente, Alec si decise a stringerlo di nuovo in un abbraccio fraterno.
«Risolveremo tutto» gli sussurrò all’orecchio con l’intento di rassicurare l’animo di un Jace che, lasciatosi andare, aveva emesso un sospiro sofferente. Percepire la sua tensione, neanche fosse gravato del peso del mondo, scatenò in Alec Lightwood un moto di tenerezza che gli si agitò dentro al cuore.
«Vedrai che andrà tutto bene» aggiunse, accentuando la presa che aveva su di lui mentre Jace si rilassava un poco. Che Alec non stesse parlando unicamente dello scambio dei corpi non fu neanche necessario sottolinearlo. Si riferiva principalmente a Clary, Jace se n’era detto più che certo intanto che stirava un sorriso addolcito di gratitudine. Lo stava dicendo per confortarlo, probabilmente non ci credeva neppure lui che “Sarebbe andato tutto bene”. Avrebbe dovuto fargli presente che non era necessario che glielo ripetesse per l’ennesima volta, quando un pizzico all’anima lo fece piegare su se stesso. Non faceva male, era come se qualcuno gli avesse posato addosso una coperta molto calda. Quasi ebbe la sensazione che continuando a toccare Alec potesse bruciarsi, al punto che sciolsero l’abbraccio, quindi si guardarono negli occhi quasi cercassero nello sguardo dell’altro la conferma di ciò che sentivano dentro. Mai avevano percepito il legame Parabatai vibrare e quindi tendersi come ora stava facendo, non una volta li aveva così profondamente avvolti. In passato lo avevano sentito crescere e poi affievolirsi, quasi spegnersi e infine tornare prepotente a unirli, ma adesso era diverso. Se chiudevano gli occhi e permettevano a quella sensazione di unità di avvolgerli, entrambi si rendevano conto che lui e Jace non erano mai stati tanto affiatati prima. Il loro legame adesso era tanto forte che Alec aveva quasi l’impressione che la runa scottasse sulla pelle. Il marchio bruciava tanto, che istintivamente si portò una mano al fianco, quasi volesse accertarsi che non fosse soltanto un’impressione.
«Anch’io» annuì Jace, facendo la stessa cosa e fermando il proprio sguardo sulla runa Parabatai che il corpo di Alec aveva marchiato sull’addome. Non aveva idea se il potere che percepiva crescere dentro al petto fosse dovuto alla ritrovata vicinanza, oppure se aveva a che vedere con lo scambio dei corpi, ma Jace decise di non rimuginarci sopra troppo e vivere appieno quella stupenda sensazione di potere. Sì, era potere e forza. Tanta forza.
«È lo scambio di corpi» disse Alec, serrando le labbra quasi faticasse a trattenere le ondate di felicità che percepiva dentro di sé, assieme alla sensazione di essere invincibile.
«Credo anch’io» gli rispose «ma non ho idea del perché stia succedendo tutto questo.»
«La senti anche tu, vero? Mi sento potente, come se potessi spaccare il mondo soltanto perché siamo uno accanto all’altro.»
«Sì, e la confusione che avevo in testa è sparita. Prima...» mormorò Jace, gesticolando con le braccia come se cercasse di trovare le parole adatte. Parole che non fece in tempo a pronunciare, perché il suo Parabatai lo precedette.

«Era tutto confuso e non sapevi dove finissi tu e cominciassi io?»
«Esatto!» annuì, felice di esser stato capito. Era stato così complicato spiegarlo a Magnus... «Ti ricordi come è stato subito dopo che aver ricevuto la runa?» gli chiese quindi, rivangando quel periodo di confusione ed eccitazione che era seguito alla cerimonia Parabatai. «Ho provato la stessa identica cosa. Non so chi sia stato a farci questo, ma sento che la ragione ha a che vedere col nostro legame Parabatai.»


«Sarà anche vero, ma chiunque sia stato aveva un piano ben preciso e non oso immaginare quale possa essere lo scopo» rispose Alec, intanto che sentiva l’ansia crescere dentro di sé. Qualunque fosse la ragione doveva essere fondata e specifica, magari era stato fatto per essere duraturo. Per l’angelo, in quel caso come avrebbero potuto risolvere le cose a quel punto? «E se non riuscissimo più a tornare nei nostri corpi? Come la spiegheremo al Clave una cosa del genere? Come farò con Magnus?»
«Ehi» gli disse Jace, afferrandolo istintivamente per le mani e stringendole tra le proprie intanto che piantava lo sguardo nei suoi occhi. Fare deciso e determinato, pareva che la presenza del proprio Parabatai avesse fatto ritrovare a Jace la sicurezza smarrita. «Lo hai detto tu prima: andrà tutto bene.» Non era una frase di circostanza, Alec lo sapeva meglio di chiunque perché Jace Herondale non era quel tipo di persona che è solito rincuorare gli altri con paroline dolci. E sebbene fosse vero che gli capitava di dire mezze verità, o omettere più di un dettaglio per non scoprirsi troppo, sapeva che a lui non aveva mai mentito. Inspirando lentamente di modo da riportare un briciolo di calma dentro di sé, Alec si rese conto che aveva ragione: non c’era motivo per cui non potessero far tornare le cose come prima. Accidenti, erano riusciti ad andare all’inferno e a tornare indietro sani e salvi! Se paragonata, questa cosa dello scambio era un intoppo da niente. Dovevano solo aspettare che Magnus fosse pronto e poi indagare, per scoprire chi aveva giocato loro quel brutto scherzo e consegnarlo al Clave. Magari Jace si era fatto un’idea più precisa a riguardo e stava giusto per domandarglielo, quando suo marito, vestito di tutto punto, uscì in terrazzo. 


 

Aveva sentito delle voci che ben conosceva provenire dal balcone e a quel punto, lo stregone Magnus Bane era stato colto da una fretta che in tutta la sua pluricentenaria esistenza raramente aveva provato. Aveva accelerato l’operazione, che in genere richiedeva qualche attimo in più per accertarsi che il trucco fosse perfettamente in linea col proprio stile, non si era neppure fermato davanti allo specchio per controllare se l’eyeliner fosse stato messo correttamente o i capelli fossero sufficientemente ingellati. Neanche aveva indossato la giacca del completo violetto che si era scelto per la giornata, e neppure si era preoccupato di aggiustarsi l’ombretto, aggiungendo qualche glitter. Non un anello era stato indossato e lo smalto era sbeccato in uno o due punti, ma non gli importava, non tanto quanto l’accertarsi che il suo adorato Alexander stesse bene. Aveva sentito la voce che sino ad allora aveva associato a Jace, provenire dal terrazzo e a quel punto un’ondata di emozione gli aveva invaso lo stomaco, facendogli battere velocemente il cuore. Era arrivato! Sapeva che era ridicolo sentirsi così, dato che lui e suo marito si erano parlati la sera prima, intanto che si addormentavano l’uno tra le braccia dell’altro e sapeva anche che Jace avrebbe sentito di sicuro se ad Alec fosse accaduta una qualche cosa, ma Magnus sapeva di avere un disperato bisogno di stringere a sé l’uomo che amava. Per sedare quella paura che sempre aveva di perderlo, che sino ad allora aveva celato dietro a una calma che non aveva mai realmente posseduto.
«Alexander» mormorò in un sussurro flebile, palesandosi sulla porta del terrazzo in una maniera che Alec Lightwood percepì al pari di un’apparizione angelica. Il tono che era uscito dalla bocca di Magnus era suonato incredulo e fremente d’aspettativa. Era felice, il che divenne ovvio dal modo in cui aveva allargato il sorriso non appena aveva incrociato l’anima del suo amato Alexander. Al tempo stesso, quando aveva pronunciato il suo nome, un qualcosa di non ben definito gli era vibrato dentro. Un qualcosa che Alec aveva riconosciuto esser fatto della stessa materia di cui erano fatti tutti quei tormenti interiori, che dominavano Magnus quando aveva il timore di perderlo. Era davvero lui? Si chiese lo stregone, facendo un passo o due in avanti senza realmente accorgersi di star camminando con un’insolita fretta addosso. Il suo Alexander stava realmente là dentro? Si domandò avanzando e al contempo tremando appena, per l’emozione e l’ansia. Forse anche un accenno di paura gli divorò lo sguardo, una che Magnus preferì accantonare subito.
«Alexander, sei davvero là dentro?» chiese, pur sapendo che era sciocco anche soltanto dubitarlo. Lo disse, intanto che accarezzava il volto che sapeva appartenere a Jace. Lo sfiorò con le punte delle dita, constatando quanto fosse diverso da quello dell’uomo di cui si era innamorato. Certo che lo sapeva che era lui, e dove avrebbe mai dovuto essere? Ma era come se sentisse la bruciante necessità di una conferma, voleva guardarlo negli occhi, voleva ritrovarlo e permettere alla serenità di dimorargli di nuovo nel cuore.
«Magnus!» Alec disse soltanto questo, sollevando lo sguardo con, addosso, una punta di vibrante felicità che non riusciva a contenere. Pronunciò il suo nome come fosse un rantolo, parlando più fra sé che per rivolgersi a lui. «Mags, sono io» aggiunse e fu allora che lo stregone lo riconobbe. Nessuno mai lo chiamava in quella maniera, baciando ogni lettera quasi venerasse la sua stessa esistenza. No, a Magnus Bane non importava realmente che i capelli del suo Alexander ora fossero biondi o avesse gli occhi tinti di quella strana eterocromia, che li rendeva simili fra loro pur essendo diversi nelle sfumature. Non contava neppure che l’altezza fosse diversa e le rune fossero collocate in posti che reputava sbagliati, era lui e basta. Lo capì guardandolo negli occhi. E tanto gli fu sufficiente perché il suo animo si quietasse. Era lui, si ripeté ora caricato di una vibrante felicità che gli scalpitava sulle dita, neanche fosse stata la sua stessa magia la prima a essere eccitata. Era lui e quello che gli stava riservando era il suo meraviglioso sguardo sincero, lo stesso che era drasticamente privo di ogni maschera di distacco e razionalità, che usava sempre quando era al lavoro. Quello era il suo Alexander, annuì Magnus sorridendo.
«Sei tu, mio bellissimo cucciolo» mormorò stirando le labbra mentre gli accarezzava delicatamente il viso col dorso della mano. Era ancora molto strano, si rese conto. E l’idea di star sfiorando in quella maniera il corpo di un altro avrebbe dovuto frenarlo, ma amava a tal punto suo marito che in lui nacque persino il desiderio di baciarlo. Come aveva già detto, non gl’importava davvero che avesse un altro aspetto.

«Mi dispiace tu ti sia spaventato» mormorò suo marito, ora stringendolo in un abbraccio delicato. Percepire quelle mani su di sé e la bocca che gli sfiorava il collo, provocandogli più di un brivido lungo la schiena, scatenò in Magnus Bane sensazioni che non voleva provare in quel momento, ma che pure non riuscì a controllare. Era Alexander nel corpo di Jace, come avrebbe dovuto comportarsi? Gli mancavano quei suoi occhi da cerbiatto, naturalmente e il sorriso da infarto, ma prima ancora di essere attratto dal suo corpo statuario, Magnus si era innamorato dell’anima del suo Alexander e quella l’aveva lì, davanti agli occhi. La sua anima ora lo guardava e sfiorava con reverenza, certo che lo amava ancora, si disse dandosi dello sciocco.
«Non ti preoccupare, cucciolo mio, ho superato ben di peggio» annuì, deglutendo rumorosamente intanto che tentava di indietreggiare. Proposito che svanì sul nascere dato che Alec lo attirò di nuovo a sé. Un Alec a cui non importava che fosse strano, sebbene lo fosse per davvero. Perché per lui ciò che contava realmente era averlo accanto e quando si avvicinò a suo marito per baciarlo, lo fece senza pensare al fatto che il corpo fosse quello del suo Parabatai. Voleva stringerlo, accarezzarlo e quindi baciarlo, intrecciando la sua lingua alla propria. Voleva guardarlo negli occhi per un tempo infinito e curare la sua paura.


 

«Ehi!» si intromise Jace a quel punto, bloccando sul nascere ogni tentativo di effusione «va bene tutto, ma quello è ancora il mio corpo.»
«E allora?» replicò Magnus, stizzito. Detestava l’idea di non poter baciare l’uomo che amava, ancora di più per una motivazione tanto ridicola. Dannazione, si era appena convinto del fatto che gli andasse bene lo stesso e sul più bello quel dannato Shadowhunter lo interrompeva?
«E scusatemi se lo dico, ma vedere me stesso baciarti è… Che cavolo, tutto questo è davvero troppo per me!» sbottò, lasciandosi cadere su una delle poltroncine del terrazzo e affondando le mani tra i capelli scuri.
«Tecnicamente non stavo per baciare te, ma mio marito» precisò lo stregone, incrociando le braccia al petto mentre Alec deviava lo sguardo a terra. Si era imbarazzato da morire già soltanto perché Magnus continuava a chiamarlo “Cucciolo” e ad Alec non piaceva mai davvero quando usava quei nomignoli davanti alle altre persone. Era una cosa intima, un particolare della loro relazione che preferiva tenere privato. E c’erano aspetti di ciò che faceva con suo marito che non avrebbe mai rivelato neanche al proprio Parabatai. Ma poi si era intromesso Jace, il quale comunque non aveva tutti i torti. Che cosa cavolo gli era venuto in mente? Sì, amava la sua anima prima ancora che il suo corpo e per Magnus era la stessa identica cosa, Alec sentiva che lo avrebbe amato persino se si fosse trasformato in una lucertola (e a suo marito non piacevano affatto le lucertole!), ma forse aveva ragione Jace quando diceva che era semplicemente troppo.
«Ma stavi per farlo sulla mia bocca» replicò Jace, contrariato. La sua espressione corrucciata svanì subito, lasciando il posto a una più dolce comprensione. Jace li capiva, non poteva dire di non riuscirci. «Ascolta, Magnus, sei praticamente mio fratello adesso e non è che io muoia dalla voglia di pomiciare con te. Quindi facciamo che prepari tutto quello che devi e la facciamo finita. Prima sistemiamo questa faccenda e prima voi due potrete tornare a… fare quello che fate di solito quando non ci sono io.» 


 

Jace non si aspettava davvero che lo ascoltassero perché quando quei due iniziavano ad amoreggiare, separarli diventava praticamente impossibile. Non è che era omofobo, no davvero, al contrario perché non solo non aveva mai avuto alcun problema per il fatto che Alec si fosse innamorato di un uomo, ma era stato felice che si fosse finalmente esposto. Quando si era reso conto che Alec era coinvolto emotivamente da Magnus lo aveva sostenuto perché avrebbe amato suo fratello, il suo Parabatai, sempre e comunque. Lo avrebbe seguito all’inferno, a discapito di tutto e tutti, persino della propria vita. E poi non avrebbe mai osato sperare nessuno di meglio per Alec, perché Magnus lo amava immensamente. Questo lo sapeva per certo e non perché quei due si erano salvati a vicenda più di una volta, ma perché, se pensava allo sguardo che gli aveva riservato quella mattina prima ancora che sapesse dello scambio, Jace si convinceva che nessuno al mondo avrebbe mai amato Alec Lightwood più di Magnus Bane. Il giorno in cui si erano sposati era stato uno dei più belli della vita di Jace, almeno fino a quando non aveva trovato la lettera in cui Clary gli diceva che gli angeli le avrebbero cancellato la memoria, come punizione per aver creato delle rune “contro natura”. Quello che aveva offuscato la felicità sentita sino ad allora. Ma, nonostante tutto ciò, in quei frangenti Jace si ripeté che a tutto c’era un limite. Per quanto amasse Alec e volesse bene a Magnus, non aveva la minima intenzione di vedere la propria bocca fare certe cose. Era strano ecco, ma strano in un modo che non era disposto ad accettare. Imporsi tra loro non era una di quelle cose che gli era piaciuto fare, ma credeva davvero al fatto che prima si sarebbero dati una mossa e prima tutto quello si sarebbe risolto. E quando vide lo stregone passare in un’altra stanza così da preparare l'occorrente per il rito, Jace Herondale tirò un sospiro di sollievo. Era pronto per tornare nel proprio corpo e farla finita.

 

Se c’era una cosa su cui Magnus Bane non aveva rivali, quella era la magia. Alec lo sapeva meglio di chiunque perché era uno degli aspetti che rendeva la loro quotidianità imprevedibile e, di fatto, magica. Vivere insieme era una sorpresa continua, non sapeva mai davvero cosa sarebbe successo ogni volta che agitava le mani. Come gli aveva detto una volta, però, Alec non lo amava perché la sua magia era straordinaria, lo amava anche per quella. Era come un fattore secondario molto apprezzato e divertente, ma non fondamentale. Eppure non poteva negare che Magnus fosse effettivamente uno stregone eccezionale. Per questo non si sorprese del suo averci impiegato non più di qualche minuto per preparare l’occorrente necessario. Pochi attimi e un libro si era improvvisamente aperto sul tavolo al grido di: “So tante cose, zuccherino, ma non conosco tutto a memoria” che Magnus aveva borbottato, accennando al contempo un sorriso. Una pozione era stata preparata con incredibile sicurezza e ora lo stregone la agitava, controllandone la colorazione in controluce.
«Dovete recitare la formula: “Reddite animas nostras in eorum corpora” * e poi bere questa» disse, porgendogli due fialette dentro alle quali era contenuto un liquido chiaro e dall’odore improbabile. Beh, sembrava facile, si disse Alec afferrando una delle due boccette mentre Jace faceva altrettanto. Non indugiarono neppure né persero tempo a pronunciare belle frasi a effetto; e per dirsi che cosa poi? Si guardarono semplicemente negli occhi mentre, inevitabile, la mente correva alla cerimonia che avevano affrontato per diventare Parabatai. Era un ricordo che avevano rivissuto spesso, le volte in cui il loro legame era stato a rischio. Era come se ogni volta che un problema aveva a che fare con la loro unione, entrambi sentissero la necessità di ricordare come tutto era iniziato. Alec chiuse gli occhi, ritornando a quando la runa gli era stata impressa sulla pelle. Poi li aprì, quasi cercasse nel proprio Parabatai la conferma che anche lui stesse vivendo il medesimo ricordo. Jace, ammiccando, gli sorrise e quindi prese ad agitare la boccetta a mezz’aria mormorando un: «Salute, fratello» che fece sorridere Alec in rimando. Quindi bevvero la pozione e poi pronunciarono quelle parole: «Reddite animas nostras in eorum corpora.»  Era fatta, ora dovevano soltanto aspettare che facesse effetto. 

 

Una strana sensazione pervase il petto Alec Lightwood dopo che ebbe ingurgitato l’intruglio di Magnus e detto quella frase in latino. Aveva sentito del calore e come l’impressione che qualcosa che sino ad allora gli era stato dentro, cercasse di uscire fuori. Era… insolito! Quasi una mano invisibile stesse cercando di tirargli fuori il cuore dal petto. Sensazione che non durò molto tempo e che svanì quasi immediatamente, sparendo con la velocità con cui in lui crebbe la consapevolezza che non era accaduto un bel niente. Avrebbe dovuto essere un'operazione piuttosto veloce tuttavia, invece che proseguire con lo scambio e le anime uscire dai corpi provvisori, entrambi vennero avvolti da delle scintille. Le luci del soggiorno si accesero improvvisamente e poi fecero per spegnersi, lampeggiando ininterrottamente. Alec non impiegò che qualche istante per capire che non soltanto non stava funzionando, ma c’era una ragione ben precisa per cui tutto quello era successo. Quelle scintille e l’atmosfera tesa e carica di magia negativa, era la stessa che era apparsa quando Clary aveva creato la runa che legava gli Shadowhunters ai Nascosti, per poter permettere loro di andare a Edom e salvare Izzy e Magnus. Considerando come era andata a Clary, Alec aveva ripensato subito a quell’episodio dopo che lei se n’era andata dall’istituto. Jace aveva avuto ragione nel dire che c’era opposizione, era stato troppo rischioso creare una runa che legasse i Nephilim ai Nascosti. Quella che si era creata nel loft di Brooklyn era la stessa identica atmosfera di quel giorno. La pozione di Magnus non aveva funzionato perché gli angeli non volevano che succedesse e Jace, notò Alec guardandolo quegli occhi carichi di consapevolezza, era arrivato alla stessa conclusione. Il flusso di energia era scemato, le luci avevano smesso di sfarfallare ed entrambi si erano lasciati cadere in avanti coi gomiti appoggiati al tavolo. Respiravano con affanno, come se fossero reduci da un enorme sforzo fisico.
«Perché diavolo non ha funzionato?» sbottò Magnus intanto che i due Parabatai si guardavano negli occhi, annuendosi in maniera impercettibile. Non c’era più traccia di confusione o paura, in loro. Ciò che era appena accaduto era così inequivocabile che non era stato necessario neppure parlarsi. Entrambi stavano pensando la stessa cosa, entrambi avevano capito.
«Perché non si va contro la volontà dell’angelo, Magnus» spiegò Alec, intanto che uno strano sorriso nasceva sul volto non sbarbato del corpo di Jace che ancora lo ospitava. Non era felice, era soltanto consapevole di quanto stava succedendo e lo era in un modo che stava sfuggendo alla comprensione del suo irritato marito.
«Sii chiaro, tesoro, perché è impossibile che io abbia fatto un errore. L’altra volta ha funzionato, funziona sempre. Da secoli!»
«Quelle scintille...» rispose Jace per lui, agitando una mano fra lui e Alec come a indicare qualcosa che era però già sparito «le abbiamo già viste prima, significa che gli angeli fanno opposizione. E se loro non sono d’accordo è perché, se siamo così, è per volontà loro.»
«No» negò lo stregone, scuotendo il capo con vigore. Non si sarebbe arreso all’ennesima sciocchezza, aveva già dovuto rinunciare a biscottino, non avrebbe affrontato una cosa del genere. E per quanto tempo poi? Non c’era niente che la magia non potesse sistemare, questo era sempre stato chiaro nella mente dell’ormai ex sommo stregone di Brooklyn, il quale aveva iniziato a far volteggiare le mani a mezz’aria attivando la propria magia, la quale cominciò subito a fluire dalle sue mani. Se non ci riusciva la pozione, poteva farlo da solo. Era uno degli stregoni più potenti al mondo e sapeva che situazioni del genere avrebbero potuto risolversi facilmente, era stato così quando Azazel lo aveva fatto finire nel corpo di Valentine. E poi avevano passato ben di peggio di questo, che poteva mai essere uno scambio di corpi? Ci sarebbe riuscito, si disse, iniziando a recitare le parole giuste: «Reddite animas nostras in eoruom corpora» disse mentre gli occhi gli si tingevano d’oro, assumendo l’aspetto di quelli di un gatto. Esporre il marchio lo rendeva sempre un po’ più forte, oltre che sicuro di sé. Colpì prima Jace con un fascio di magia rossastra che prese lo Shadowhunter in pieno petto, zittendo ogni suo tentativo di fargli presente che non avrebbe mai funzionato, quindi colpì anche Alec.
«Reddite animas nostras in eorum corpora» ripeté a voce un po’ più alta mentre, attorno a loro, la magia pareva voler accendere ogni cosa, crescendo in maniera esponenziale e avvolgendo così entrambi. Alec percepì la stessa identica sensazione di poco prima, ma questa volta in maniera ancora più intensa. Sentiva Magnus e il suo potere, entrargli dentro e cercare disperatamente di afferrare la sua anima. Non dovettero aspettare molto, questa volta le scintille tornarono e anche ora la tensione negativa crebbe, facendo sfarfallare le luci dell’appartamento. 
«Reddite animas nostras in eorum corpora» urlò Magnus Bane a voce ancora più alta, potenziando il flusso che gli usciva dalle mani, caricandolo al punto che quasi si sentì mancare. Era al limite, lo sforzo che stava facendo era tanto grande che a un certo punto dovette cedere e lasciar svanire l’incantesimo. Non era successo proprio niente: Jace e Alec erano ancora nel corpo sbagliato.
«Dannazione!» sbottò Magnus, picchiando con forza una mano sul tavolo che fece tremare ogni oggetto. Era arrabbiato e deluso da se stesso, ma soprattutto era terrorizzato. Non poteva perdere Alec, non di nuovo! E soprattutto non adesso che avevano trovato un po’ di felicità, era sicuro che se fosse rimasto dentro a un corpo non proprio sicuramente non l’avrebbe più voluto. Non poteva già finire tutto, no! Non dopo solo un mese dal matrimonio. Avevano ancora tante cose da fare insieme, progetti, viaggi, una famiglia da costruire... No, non lo accettava. Odiava non riuscire a sistemare le cose, detestava essere impotente e soprattutto quando l’uomo che amava aveva bisogno di lui.

«Ehi, ehi» sussurrò Alec, raggiungendolo e quindi stringendolo in un abbraccio che ebbe il potere di calmare il corpo dello stregone, ancora profondamente scosso. Una stretta e un bacio a sfiorargli la fronte, al quale Jace non si oppose questa volta, guardandoli invece con un pizzico d’invidia mescolata a un moto di dolcezza. Se ci fosse stata Clary, anche lei lo avrebbe abbracciato in quel modo. Anche lei lo avrebbe rassicurato come Alec stava facendo con Magnus.
«Mi dispiace, Alexander, ho fallito.»
«No, Mags, non è colpa tua. La volontà degli angeli non la si può aggirare» gli rispose, lasciandogli un bacio tra i capelli. Piccolo e fugace, ma sufficiente a calmarlo. «Se avessimo potuto farlo, avremmo riportato qui Clary, ma ci sono cose che devono seguire il loro corso.»
«Tutto questo non ha senso, Alexander» biascicò Magnus, allontanandosi un poco di modo da poterlo guardare negli occhi. Non si allontanò perché lui ancora gli stringeva le mani «per quale motivo gli angeli dovrebbero volerti nel corpo di Jace?» In effetti Alec se l’era domandato e non aveva trovato nessuna risposta che potesse considerarsi convincente; perché degli esseri celesti avrebbero dovuto scambiare i loro corpi? Per ottenere che cosa? Nel caso della memoria cancellata di Clary avevano voluto punirla, ma loro che avevano fatto di sbagliato? E poi quella non era una vera e propria punizione. Erano entrambi sani e salvi, soltanto nel corpo dell’altro.
«Qualunque sia il motivo, che siano stati gli angeli o meno, ha a che vedere con noi due. Col legame Parabatai. Un legame che la magia di uno stregone, per quanto potente, non può curare» disse Jace, ricordando di come, tempo prima, Magnus non era mai riuscito del tutto ad aiutarli in questo senso. Aveva creduto che in questo caso potesse mettere a posto ogni cosa, ma quanto era appena successo gli aveva fatto capire che quella faccenda riguardava molto più gli Shadowhunters che la magia. «Se c’è un motivo, questo riguarda noi due» aggiunse dopo, incrociando le braccia al petto con quel fare sicuro e consapevole grazie al quale riusciva sempre in qualche modo a convincere chiunque a seguire le sue iniziative.
«E quindi cosa suggerisci di fare?» gli domandò Alec.
«Di provare in un altro modo» replicò Jace, facendo spallucce. «Magnus potrebbe potenziare il contatto, ma dovremo entrare nelle nostre menti e ritrovarci da soli, Alec. Questa è la sola cosa sensata da fare.» Sì poteva fare, si disse Alec convinto. Qualcosa di simile l’avevano anche già tentata e, per quanto pericoloso, pareva non avessero altri modi. Il problema era… la volontà dell’angelo era questa? Che entrassero nelle rispettive menti alla ricerca di chissà quale verità? Stava già per caldeggiare la prospettiva di usare il divanetto del soggiorno, che era sicuramente più comodo per operazioni del genere, quando lo squillo del cellulare lo precedette. Era il proprio o, meglio, era quello che ora stava nella tasca di Jace. Non era neanche la prima chiamata che riceveva, ma sino ad allora aveva preferito evitare di rispondere e poi era davvero troppo sconvolto per gestire anche altre persone. Con gesto di stizza, Jace lo prese dalla tasca dei pantaloni dove lo aveva infilato poco prima.
«Underhill» disse, guardando Alec negli occhi, il quale lo convinse a rispondere con un piccolo incoraggiamento. A stento notò Magnus roteare gli occhi e tamburellare le dita sul tavolo in un gesto di stizza. Soltanto rispose al telefono, attivando il vivavoce di modo che tutti potessero sentire.

«Capo» disse Andrew Underhill, con tono sicuro «mi dispiace interrompere le tue attività coniugali, ma abbiamo un enorme problema e dovresti venire subito.» A Jace non sarebbe servito notare l’arreso consenso di Alec apparire su quello che in effetti era il proprio volto, eppure fu comunque a lui che guardò prima di dirgli che si sarebbe modo subito. Sapeva che Alec avrebbe preferito prima gestire una crisi e poi sistemare il guaio nel quale si erano senza volerlo ficcati. Avrebbe voluto risolvere subito la faccenda, specie perché Magnus pareva averla presa molto peggio di quanto non avessero fatto loro, ma prima di ogni altra cosa erano degli Shadowhunters e ora lui impersonava il capo dell’Istituto. Avrebbero risolto tutto, ma per un viaggio come quello che avevano programmato occorreva certamente del tempo. Oltre che una calma che non avevano. Adesso avevano del lavoro da fare e non c’era niente che potesse trattenerli, forse, si disse intanto che insieme uscivano dall’appartamento, era proprio questo che gli angeli volevano per loro prima ancora che confrontarsi. Magari volevano che cavalcassero quella ridicola situazione, finendo col capire da che parte tutto quello li avrebbe portati. Dovevano soltanto arrendersi alla volontà dell’angelo.


 


Continua






 

*Reddite animas nostras in eorum corpora, è la formula che pronunciano Magnus e Valentine per tornare l’uno nel corpo dell’altro nell’episodio 12 della seconda stagione.

 

Note: Naturalmente non poteva andare subito tutto quanto liscio, altrimenti dove stava il divertimento? Non tirerò eccessivamente la corda, ma Jace e Alec dovranno affrontare delle questioni prima di tornare nei rispettivi corpi. Intanto, un grazie a tutte le persone che hanno letto sino a qui e a chi ha recensito i due capitoli precedenti. Un grazie anche a chi ha inserito la storia tra le seguite, spero che quello che sto pensando vi stia piacendo. Io più vado avanti e più mi rendo conto che scrivere questa storia, per quanto molto semplice e lontana da ciò che ho scritto sinora, era quello di cui avevo più bisogno in questo momento.
Koa

   
 
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