Singing
is the answer
24 – High expectations
vs facts
«E questo tu lo chiameresti il migliore? Ma è…» Raon non
sapeva esattamente come continuare senza rischiare di offendere Tae. Il locale
era situato al piano terra di un piccolo edificio grigio in una via laterale
del centro città, raggiungibile tramite un breve passaggio pedonale. L’entrata
era modesta, uno spartano menù scritto a mano in lingua coreana era appeso ad
una delle due vetrate trasparenti contornate dal vecchio legno scuro. Raon e Aya erano scettiche non avendo mai dedicato alcuna attenzione
a quel viottolo anonimo.
«Sei sicuro sia aperto? Guarda, potremmo andare al solito, invece, lì si mangia
bene.» Lo scetticismo di Raon aveva contagiato anche l’amica, ma non Tae: lui
le stava osservando divertito.
«Immagino non siate mai venute dalle mie parti. Beh, dall’altra parte del
mondo, intendo. Ecco, questa è la cucina che più si avvicina a quella con cui
sono cresciuto.»
«Non dirmi che adesso entriamo e troviamo tua nonna dietro ai fornelli, sarebbe
troppo…»
«Da anime giapponese?» Rise Raon concludendo l’affermazione lasciata a metà da Aya.
«No, no! Mia nonna vive ancora in Corea, non la sradicheresti da lì neanche
prendendola di peso e caricandola su un aereo. Ha il suo orticello, i polli, i
pesci a cui badare.»
«I pesci?» L’ilarità lasciò spazio ad una leggera sorpresa.
«Mica tutti hanno cani e gatti, lei ha dei pesci da compagnia, diciamo. Tanti
anche. Dai, non guardatemi così, giuro che non vi sto prendendo per il culo.
Entriamo, sto morendo di fame.»
Il luogo era decisamente piccolo rispetto ai soliti ristoranti a cui due
cittadine erano abituate, del tipico sfarzo opulento orientaleggiante fatto di
simboli, colori precisi e soggetti riconducibili alle tradizioni di un luogo
lontano e affascinante non v’era traccia: tavolini di legno quadrati a ridosso
di pareti dipinte già da qualche annetto, ricoperte da vecchie fotografie e
decorate da disegni dai tratti tradizionali e in bianco e nero s’intonavano a
un’atmosfera senza tempo – e senza pretese – e al corto bancone ligneo che dava
accesso diretto al cucinino nascosto da una tendina rosso brillante. Una voce
tonante e annosa si levò da dietro la parete in una lingua che a Raon parve
straordinariamente familiare quanto incomprensibile; le ragazze si bloccarono
all’entrata allarmate, mentre Tae avanzava a proprio agio verso la cassa. «I
signori Park sono fatti così, lavorano qui da parecchio tempo e non fanno altro
che litigare, ma fidatevi. Oh, coraggio, venite. Giuro che non sono cattivi,
solo un po’…» esitò prima di riprendere, «particolari, ecco. Lo capirete da
voi.»
La figura minuta che li raggiunse era vestita in modo semplice ma vivace, i
colori accesi dei suoi vestiti brillavano risaltando sul pallore della pelle
raggrinzita e dei capelli ingrigiti stretti in una crocchia disordinata; i
piccoli occhi scuri osservavano i tre ospiti, ma si rivolse soltanto al
ragazzo. La vecchietta parlava fluida accompagnandoli al tavolo in fondo, il
più distante dall’entrata, uguale a tutti gli altri: Tae afferrò una sedia da
quello adiacente e si mise sul lato esterno, a stretto contatto con le due
ragazze. Lo spazio era angusto ma piacevolmente caldo, ed un lieve vociare
proveniva dai pochi avventori presenti. Nessun occidentale, a parte Aya, sembrava essere presente ai tavoli. Raon si guardava
attorno perplessa e meravigliata allo stesso tempo, consapevole di trovarsi in
uno di quei piccoli luoghi di ritrovo tipici di chi ricerca all’estero le
proprie origini culinarie. Avrebbe voluto chiedere tante cose a Tae riguardo al
posto, a quella che pareva la titolare, al menù alla carta assente.
«Siete allergiche a qualcosa?»
«Come?» Risposero le due all’unisono.
«Chiede se avete problemi di allergie, altrimenti ordino un mix da dividere.»
Negarono entrambe mentre il ragazzo ordinava sorridendo.
Non avevano capito una sola parola e per quanto ad Aya
sembrasse assolutamente normale, a Raon infastidiva terribilmente. Avrebbe
voluto, potuto comprendere tutto quanto, e invece a parte la musicalità
familiare di una lingua morbida e tonale, non aveva colto una sillaba.
«Ma è squisito! Cazzarola, qualsiasi cosa sia questa è straordinaria, giuro!» Aya avanzava con entusiasmo bacchette alla mano, pescando
dall’una all’altra ciotola e riempiendo il proprio piatto, gli occhi lucidi e
le papille gustative in fermento. Tae aveva esposto gli ingredienti principali
ed i sapori presenti sul vassoio ingombrante, faticando a trovare spazio per
riuscire a mangiare; l’aspetto casalingo delle pietanze profumate e speziate
riempiva l’aria, scaldava il palato e stuzzicava la gola. Aveva pure tentato di
insegnarne i nomi originali, ottenendo scarso risultato ma sollevando l’ilarità
delle presenti, constatando ancora una volta come Raon non si sentisse a
proprio agio in un posto simile.
«Qualcosa non va? Forse non ti piace lo stufato?»
Aya si voltò verso l’amica, la bocca ancora piena:
come poteva non piacerle? Raon adorava mangiare, e ancor più mangiare bene.
«No, non è quello, scusatemi. È che, fa strano, ma queste cose non le ho mai
mangiate se non da piccola, quando mia nonna badava a me e Han mentre i miei
lavoravano.» Si rabbuiò, faticava a ricordarne i sapori ormai, doveva essere
passato parecchio tempo. «Mi sa che i miei si sono occidentalizzati troppo
anche per potermi insegnare qualsiasi cosa…» la risata triste si fermò a metà,
interrotta da un altro boccone di carne.
«Possiamo tornarci insieme, se vuoi.»
Le ragazze si voltarono verso Tae che stava sorbendo rumorosamente del brodo
saporito e denso da una ciotola. Si guardarono piombando nel silenzio più
assoluto.
«Ovvio, l’invito è esteso anche a te, Aya.»
«Ah, sì, che domande, pensavo per un attimo tu avessi chiesto a Raon di uscire
con lei.» Era nervosa lei, si era ripromessa di controllare che andasse tutto
bene ma questo prevedeva anche un riavvicinamento tra Raon e Åsli, e questo ancora non era successo. Sapeva che lei non
aveva ancora risposto a nessun messaggio o chiamata, ne era sicura perché
l’altra non aveva toccato il cellulare neppure una volta.
«Anche fosse?»
«Mi sembrerebbe strano, ecco…»
«Va bene.» Raon finì inesorabilmente al centro dell’attenzione, arrossendo
lievemente sul viso chiaro. «In fondo, mangiare con qualcuno non ha mai fatto
male, no?»
Aya strattonò da sotto il tavolo il maglione di lei,
cercava di attirare la sua attenzione con occhiatacce eloquenti.
«Ovvio, se non è un problema.»
«Ma ti pare! Mi sono proposto io, che problema c’è?»
Sollevò il bicchiere sorridendo ad entrambe: «al nostro primo appuntamento,
dunque.»
Raon sorrise, era la cosa più strana che le era accaduto in quel periodo.
La seconda cosa strana, dopo aver incontrato Åsli
in fumetteria qualche tempo prima.
L’atmosfera s’era improvvisamente alleggerita, Tae e Raon conversavano di
studio, università, lavoro e progetti per il futuro, come ogni tipico ragazzo
che s’avvicinava ai trent’anni con precisi obiettivi in testa. Aya completò il pasto osservandoli silenziosa: non andava
bene, si ripeté, non andava affatto bene. Non era ciò che aveva previsto per
l’amica, no, e oltretutto mai avrebbe immaginato il giovane si sarebbe fatto
avanti così presto. Chi era? Perché si stava intromettendo nella vita di loro
due, dei suoi progetti per lei, delle evoluzioni che aveva immaginato potessero
portarle nuovamente il sorriso?
«E tu, Aya, cosa farai dopo la laurea?»
Ci pensò un po’ su: aveva scelto la facoltà che più le piaceva, la stava
portando avanti senza infamia né gloria ma si stava impegnando. Certo, qualche
esame era saltato, ma in fondo nessuno le aveva mai accennato quanto potesse
essere stressante, e debilitante a volte, studiare per poter ottenere ciò che
desiderava. «Me ne andrò da qui.» Era risoluta, convinta, fin troppo seria.
«Prenderò le mie cose, le ficcherò in valigia e andrò a cercare lavoro da
qualche parte.»
«Bene, hai le idee chiare. E cosa ti piacerebbe fare esattamente?»
Quanto sapeva essere snervante, si disse, prima di riprendere fiato e calma con
un sonoro sospiro. Cosa, di preciso? Cosa avrebbe potuto fare, con quel
percorso, in una situazione economica simile, instabile a livello globale? Inseguire
i suoi sogni, e sperare un giorno di poterli raggiungere.
«Lavorare con le istituzioni dei Beni Culturali per la conservazione del nostro
patrimonio artistico.» Solenne, convinta. «Se continuerò a vivere qui coi miei,
in questa città, non potrò mai riuscire a fare l’esperienza necessaria, e lo so
bene. Come so che non potrò mantenermi senza il loro sostegno, quindi prima
dovrò riuscire a trovare un lavoro più proficuo e mettere i soldi da parte.»
Faccenda spinosa la sua, odiava farsi mantenere: il part time le permetteva il
minimo necessario, la completa autonomia economica le era necessaria per poter realizzare
i propositi che si era prefissata qualche anno prima, nell’unico liceo
artistico presente nel capoluogo.
«Fantastico!» L’entusiasmo improvviso di Tae la prese alla sprovvista. «È
straordinario avere un obiettivo, mi piace tu abbia le idee così chiare, sai? È
raro al giorno d’oggi.» Il sorriso che le rivolse la spiazzò, e rispose con un
cenno del capo. Non doveva cedere alle lusinghe, lui era il nemico.
«Tu? Non mi dici niente di te?»
Raon sollevò lo sguardo dalla tazza di infuso che aveva ordinato, un liquido
scuro fumante dall’aroma particolarmente forte. Lo scrutò sconsolata,
masticandosi l’interno della bocca indecisa se parlare con sincerità o meno.
«Da quel che ho capito frequentate gli stessi corsi, anche tu quindi fai studi
umanistici. Dove vorresti arrivare?»
Inspirò, espirò, bevve lentamente e mandò giù incurante della temperatura
lavica della ceramica e del suo contenuto. «Grafica.»
«Come?»
Aya la guardò amareggiata, sapeva quanto Raon
detestasse affrontare l’argomento.
«Vorrei fare la grafica e l’illustratrice.»
Tae aggrottò le sopracciglia riflettendo sulla notizia appresa. Non ci voleva
certo un genio per capire che l’indirizzo scelto e l’obiettivo fossero ben
lontani dall’incontrarsi a metà strada. Era confuso, e tremendamente curioso.
Non si pose nemmeno il problema nonostante avesse incrociato lo sguardo torvo
di Aya, rivolto nella sua direzione. No, gli stava
dicendo, non continuare, lascia stare.
Non stette certo zitto, aggiudicandosi una fulminata da parte di due occhi
azzurri e inquisitori.
«Allora hai sbagliato proprio sezione, non credi? Che sappia io, gli studi sono
ben altri, e…»
«E non c’entra un cazzo con quello che sto facendo, credi non lo sappia?» Raon
sbatté i palmi sul tavolino, attirando gli sguardi dei pochi presenti rimasti:
qualcuno bisbigliò contrariato accanto al bancone del locale. Scattò in piedi e
uscì sbattendo la porta del locale, trascinandosi dietro il malcontento di un
irritato cuoco nascosto in cucina.
«Cosa ho detto di male?» Tae era sinceramente spiazzato da un comportamento
simile.
«Vuoi veramente saperlo? Non ti sei fatto i cazzi tuoi, ecco. Lo prendiamo
questo dolce, o no?»
«Ma tu sai perché ha reagito così?»
Aya sorrise compiaciuta, certo che lo sapeva: la
conosceva bene, come avrebbe potuto non saperlo? Il tono saccente con cui
rispose alla curiosità fuori luogo dell’altro uscì spontaneo. «Sua madre aveva
promesso di pagarle gli studi alla condizione di scegliere una facoltà che
avrebbe portato a un buon lavoro. Lei ha scelto un percorso di studi incentrato
sulla storia dell’arte, non che le dispiaccia, ma non è quello che vuole fare.
E sai anche tu che più passano gli anni più è difficile cercare lavoro in
apprendistato. Sta sprecando tutto questo tempo per prendere un pezzo di carta
che non vuole nemmeno.»
Il ragazzo si rabbuiò, si diresse al bancone salutando la coppia di anziani
proprietari, pagò l’intero conto e si affrettò ad uscire.
«Ehi, aspetta, e il dolce?»
«Non volevo, sai?» Tae inspirò fumo dalla sigaretta osservando il cielo poco
stellato: la sera era calata ormai e l’aria pizzicava sulla pelle scoperta
nonostante la stagione stesse mutando in fretta. Soffiò verso il velo scuro
puntinato a tratti, a tratti cancellato dalle luci della grande città. «A volte
so essere curioso, troppo, tanto da dare fastidio alla gente.»
«Non importa,» Raon stringeva il bottone di chiusura della tasca della giacca
con troppa convinzione, un’inutile convinzione, «è la realtà dei fatti. Prima
mi laureo, prima sono libera di fare ciò che voglio. Al giorno d’oggi se non si
ha un titolo tra le mani, non si va da nessuna parte, giusto?»
Aya annuì sfregandosi i palmi delle mani: quella sera
era decisamente fredda, contrariamente alla primavera che si stava avvicinando.
Imprecò mentalmente contro la scelta sbagliata di vestirsi leggera, fin troppo.
«E lasciar perdere?» La sua domanda era schietta, ma era raro sentire l’amica
parlare di quello specifico argomento, quindi ne avrebbe approfittato. Ormai
erano in gioco, e sapeva che ogni
sfuriata di Raon prevedeva un periodo di quiete, una sorta di ricarica del
livello di scontrosità: ora lei era in stato di recupero, quindi non avrebbe
sbottato di nuovo, almeno per un po’.
«Sprecare tutto quello che mi è stato pagato? Davvero pensi che butterei via
tutti quei soldi nel cesso? A questo punto mi conviene finire, sono a più di
metà percorso e lo sei anche tu.»
«Dopo cosa farai?»
La ragazza si voltò in direzione di lui. «Seguirò qualche corso nazionale
organizzato da studi di grafica, e farò gavetta. Prima o poi ci arriverò, avrei
anche già cominciato ma sarebbe impossibile incastrare questo e lo studio.»
«Ce la farai, vedrai. Hai detto che hai già fatto più di metà strada, quindi
non mancherà poi molto, no? Ho fiducia in te.»
Il sorriso che Tae le regalò era luminoso, non avrebbe saputo definirlo
diversamente; Raon rovesciò lo sguardo prima sull’acciottolato e poi verso
l’uscita del vicolo. «Beh, che dire, grazie. E grazie per la cena. Penso ora
sia il momento di andare a casa, vero, Aya?»
L’amica annuì, i brividi che le stavano scuotendo la schiena la infastidivano
non poco, poco più dell’idea di tornare a casa. «Direi di sì, e a proposito,
grazie.» Si avvicinò a Tae abbassando successivamente il tono e guardandolo in
cagnesco, «sappi che ti tengo d’occhio.»
Rise lui senza nemmeno nasconderlo. Ora a tremare non erano solo le vertebre di
Aya, ma anche i nervi e la pazienza. «Vedremo.»
«Aspettate prima di andare, questo è il mio numero, segnatevelo. Non sarebbe
una cattiva idea andare in biblioteca e studiare assieme, a meno che non
vogliate fare un altro teatrino come quello di oggi. Prima o poi ci sbatteranno
fuori da lì, ne sono sicuro. Ah, e la mia proposta per la cena è ancora valida,
per tutte e due.»
I cellulari segnarono rapidi la successione di dieci cifre, ed i tre si
salutarono con un sorriso.
«Raon, sei cotta, e non credo sia un bene.»
«Ma sei scema? Siamo solo andati a mangiare tutti assieme, e poi non si può
chiamare appuntamento se non siamo soli, giusto?»
«Certo, ma non mi fido di te. E poi Åsli come la
prenderebbe?»
Raon staccò di un paio di metri l’amica per poi guardarla con uno sguardo
furioso.
«La smetti di vivere in una fanfiction? Se lui è stronzo, è stronzo. Almeno Tae
non mi ha strattonata baciandomi per poi dimenticarsene come un semplice pezzo
di merda.»
L’aveva detto e non se n’era nemmeno accorta, le parole semplicemente avevano
scelto di uscire da sole.